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Autore: crazyfred    04/04/2024    1 recensioni
La storia della Forestale e della Polizia di San Candido e dei personaggi che ruotano intorno al lago incastonato tra le montagne riparte dalla fine della quarta stagione: Albert Kroess è stato da poco arrestato, Deva è stata dissolta, Vincenzo è appena tornato con Eva e Francesco, dopo la morte di sua moglie, è ancora in bilico con Emma. Dimenticate quello che avete visto in tv, qui la quinta stagione è tutta a modo mio!
Genere: Commedia, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Commissario Nappi, Emma, Francesco
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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4. NON LO SO SE MI FA BENE, SE IL TUO RUMORE MI CONVIENE

 




Dopo l'ennesima notte insonne, Francesco provò a stemperare la tensione che aveva addosso con una corsetta mattutina, lasciandosi guidare da Argo che, fedele, non solo lo seguiva ma spesso lo precedeva attirato dagli odori del bosco. Qua e là c'era ancora la neve, laddove i raggi del sole non riuscivano a filtrare tra i rami e doveva stare attento ai rigagnoli d'acqua che il disgelo formava spontaneamente rendendo il terreno sdrucciolevole. Finì, senza che lo avesse pianificato, nel piccolo specchio d'acqua nascosto tra gli alberi dove aveva insegnato ad Emma a nuotare, dove lei gli aveva rubato un bacio ed era l'unico posto che potessero dire veramente loro, più della palafitta, più del lago, più delle montagne.  A volte si fermava a pensare come sarebbero andate le cose se si fossero incontrati per la prima volta formalmente, in caserma, come sarebbe stato logico. Ma il destino, per loro aveva avuto altri piani e certe domande erano superflue ormai.
 
La giornata non era particolarmente serena. L'umidità della notte si stava alzando dal lago e la temperatura era ancora rigida, ma non lo sarebbe rimasta ancora a lungo. Si era concesso un giro del lago di corsa - l'unico modo per riscaldarsi del resto. Nonostante il cielo grigio, il verde petrolio dei larici e le sfumature tra il grigio, l'argento e il bianco delle montagne si riflettevano perfettamente, quasi fosse uno specchio, sulle acque del lago. Terminata la prima ricognizione di corsa, venne incuriosito da quella palafitta che, poco timidamente, si apriva sul lago; l'aveva vista il giorno prima ed era stato amore a prima vista. Attraversato il ponticello per raggiungerla, si accorse, come non aveva fatto passandoci di corsa poco prima, che era ridotta in condizioni penose, in stato di abbandono: un paio di barchette di legno galleggiavano sotto i pali della piccola casa e a causa dell'alto livello dell'acqua quasi toccavano la banchina, travi di legno e assi erano state lasciate qua e là alla rinfusa e il tetto era sfondato in diversi punti, sicuramente dalla neve e dall'incuria di un inverno intero senza manutenzione.
Non era chiusa a chiave, una catena serrava l'ingresso ma niente lucchetto. Era come se lo stesse invitando ad entrare e Argo sembrava essere della stessa opinione perché, appena aprì la porta, quasi letteralmente fece gli onori di casa. La sua era solo una vaga idea, balenata quando Roccia gli aveva detto che apparteneva alla forestale, ma il cagnolone senza neanche sentirla, l'aveva abbracciata immediatamente.
Sulla terrazza, la situazione non era tanto migliore. Probabilmente non era solo una rimessa delle barche come aveva creduto all'inizio, ma un vero e proprio magazzino. Il forestale sbirciò da una finestrella il cui vetro era rotto e si rese conto che in realtà un tempo doveva aver ospitato qualcuno: lì dentro infatti c'erano un materasso arrotolato, una vecchia stufa a legna e un cucinino da campeggio, oltre a un marasma di roba accatastata che nella penombra e nella sporcizia non riusciva a distinguere.
"AIUTO!"
Si voltò di scatto. In mezzo al lago, ad un paio di metri dalla spiaggia, una donna tentava di restare a galla, annaspando, continuando a cercare aiuto. Più cercava aiuto, più faticava; più faticava, più avrebbe avuto fame d'aria e il lago l'avrebbe tirata giù. La spiaggia era vuota, nessuno che potesse correrle in aiuto ed era ancora presto perché in caserma ci fosse qualcuno in servizio. Bisognava fare in fretta. Francesco si liberò in men che non si dica della felpa e delle scarpette e senza perdere tempo usò un varco nel parapetto della terrazza come trampolino per tuffarsi; era ancora accaldato e sudato per la corsa e quasi di sicuro quel tuffo gli avrebbe fatto più male che bene, ma non avevo molta scelta. O uno shock termico per lui, o una persona morta affogata nel lago. Non sotto i suoi occhi, pensò, mai più.
L'acqua era ghiacciata, ma non come l'acqua del mare di mattina presto d'estate. Era come se tanti piccoli spilli si conficcassero nel corpo ad ogni singola bracciata ed entrassero in profondità, nei muscoli, nelle ossa, fino ai polmoni. Immettere aria tra una bracciata e l'altra gli stava costando una fatica enorme, e neanche il movimento riusciva ad acclimatare il corpo a quella temperatura. Come poteva del resto, se fino a poche settimane prima il lago era probabilmente ricoperto completamente da una lastra di ghiaccio? L'uomo, per quanto gli fosse possibile, teneva sotto controllo la donna che per qualche miracolo riusciva ancora a tenersi su, seppur a fatica. Quando finalmente si avvicinò e la prese per la vita era ormai allo stremo delle forze e c'era mancato veramente poco che andasse giù. La portò a riva, tenendola con cura in superficie, assicurandosi che potesse respirare quanto più possibile. Non aveva forze per camminare e uscire dal lago con le sue mani, ma riuscì a dirglielo solo a gesti, legando le sue mani attorno alle spalle del suo salvatore: il resto era solo respiro ansante e agitato per lo spavento; così la tirò fuori di peso, portandola in braccio e appoggiandola sulla spiaggia, su un asciugamano, vicino ad uno zaino e alcuni vestiti lasciati alla rinfusa, certamente suoi. Non c'era nessun altro, nei paraggi, da essere così pazzo da tuffarsi in primavera in un lago alpino.
"Va tutto bene" le disse, per cercare di rassicurarla, accovacciato al suo fianco.
Francesco si accorse, finalmente, guardandola bene in volto, che era solo una ragazza. Non poteva avere più di trent'anni. La pelle era bianchissima, ma aveva poco a che fare con lo shock, e i capelli lunghissimi. Il respiro era ancora irregolare. Ancora incredula, portò una mano sulla fronte. L'uomo avrebbe voluto non notare la scollatura generosa, ma i polmoni che cercavano aria spasmodicamente mandavano il suo sterno su e giù in maniera troppo pericolosa e dovette imporsi di guardare altrove per non fare brutte figure. Sei un totale idiota, ripeteva tra sé e sé, come ti possono venire in mente certi pensieri in un momento così?
"Stai bene?" le chiese. Meglio guardarla negli occhi, dei bellissimi occhi nocciola impreziositi da pagliuzze dorate. Neanche quella si rivelò una brillante idea. Uno sguardo puro e innocente che riusciva a bucare punti dell'anima che l'uomo non sapeva o non ricordava di avere. "Sì. Grazie" rispose, iniziando poco alla volta a calmare il suo respiro.
"Vuoi che chiami qualcuno?" "No grazie" "Sicura?"
Annuì lei, mettendosi in piedi. Solo in quel momento Francesco si rese effettivamente conto di quanto fosse alta, poco meno di lui che non era un gigante ma sicuramente al di sopra della media. E le forme erano tutte al posto giusto, sembrava provenire da un altro pianeta. Un'aliena. Una dea. O forse una creatura magica del lago, visto che era da lì che l'aveva raccolta. "Ti sei sentita male?" domandò, cercando di darsi un contegno, ricordandosi di essere un quarantenne e non un adolescente. "No … no in realtà … non so nuotare" confessò la ragazza, ridendo tra l'imbarazzato e il divertito. La sua bocca si aprì in un sorriso candido e luminoso come la neve in una giornata di sole.
Roba da non credere: è arcinoto che se non sai nuotare il lago è l'ultimo posto dove imparare da autodidatti. Era completamente da pazzi. Eppure c'era una luce, una serenità in lei, che sconvolgeva Francesco a tal punto da non notare nemmeno che nel frattempo era uscito il sole e le gocce di acqua fredda che aveva ancora addosso e cadevano dai capelli fradici non erano più così insopportabili. Era come se tutta la luce che vedeva e lo accecava non venisse dal sole o fosse riflessa dal lago ma fosse emanata da lei. Da quella sconosciuta che aveva di fronte, di cui non sapeva il nome, ma che gli aveva sconvolto totalmente la giornata.
"E allora perché ti sei buttata?"
Era un'esplosione di energia ma anche di dolcezza, lo spiazzava totalmente. "Volevo provare" ammise, ridacchiando. Ok, era confermato, era completamente folle, ma l'uomo percepiva una follia sana che in qualche modo era riuscita a contagiarlo perché non riusciva a rimproverarla come probabilmente avrebbe fatto con chiunque altro. Rimase lì, senza parole, emettendo un flebile "Ah!" da perfetto idiota quando lei mise addosso una camicia azzurra che si bagnò immediatamente aderendo alle sue forme statuarie eppure morbide mentre raccattava le sue cose. "Va beh … grazie eh" gli disse e Francesco come uno stupido riuscì a dire solo "Prego" "A buon rendere!"
Se ne andò, lasciandolo solo su quella spiaggia, imbambolato come uno stoccafisso. Senza sapere il suo nome, senza dirle il mio. Si girò per un istante e questo gli permise di vedere il suo viso e il suo sorriso per un'ultima volta. Le aveva salvato la vita e probabilmente non l'avrebbe rivista più.
 
L'aveva rivista, l'aveva rivista eccome. Tutto quello che avevano vissuto insieme quell'estate non sarebbe bastata una vita intera per farlo accadere ad altri. Eppure per lui non era stato abbastanza, non poteva essere abbastanza quando si aveva accanto una persona speciale come Emma. Ora invece stava succedendo di tutto affinché ciò non si ripetesse ed entrambi stavano dando una grossa mano al destino, purtroppo. Uscito dal bosco, trovò sul telefono la notifica di una chiamata persa, era Adriana. Tra la sua malattia e i continui problemi al Centro di Accoglienza, poteva essere successo di tutto: la richiamò immediatamente.
“Adriana? Mi hai chiamato?” “Hai fatto venire apposta mia sorella a lavorare qui, vero?” urlò la donna dall'altro capo del telefono, infuriata “come ti sei permesso?” Non c'erano dubbi su quale fosse il problema: quando Valeria e Martino erano andati al Centro Migranti, Adriana aveva incontrato la sorella. Francesco non sapeva molto dei trascorsi tra le due, solo che erano 10 anni che non si parlavano e che doveva essere successo qualcosa di grave che aveva costretto la più giovane delle sorelle addirittura a lasciare San Candido. 
“Sai benissimo perché l'ho fatto, Valeria potrebbe aiutarti” “Non stava a te farlo, Francesco!” “E a chi allora, Adriana? Glielo hai detto o no a tua figlia della malattia?” Ma a quella domanda ottenne solo silenzio “Prima o poi dovrai parlarle e avere qualcuno vicino può essere importante. Non puoi fare tutto da sola” “Non ho bisogno di nessuno...specialmente di quella lì”
L'amica gli chiuse in faccia il telefono lasciandolo con un palmo di naso. Provò a ricontattarla ma senza successo: ad ogni tentativo, Adriana faceva cadere la chiamata. Le sarebbe passata, forse, ma Francesco non avrebbe cambiato idea: non poteva affrontare la malattia e il percorso di cura da sola, con un'adolescente ignara in casa a cui nascondere l'ineluttabile risposta del suo corpo ai chemioterapici. Essere riuscito a portare Valeria a San Candido era la cosa migliore che avesse potuto fare, ne era più che convinto.
  
A sera, Francesco se ne stava sul terrazzo della palafitta a fare alcuni lavori, aiutato da una lampada da campeggio che aveva acceso per poter restare ancora un po' fuori a lavorare quando il sole era ormai sceso dietro i monti: aveva portato l'elettricità alla casa sul lago con un generatore, ora doveva sistemare l'illuminazione esterna in vista dei mesi estivi, quando la terrazza sarebbe diventata il luogo più frequentato. 
“Si può?” Era Vincenzo, con sé aveva due bottiglie di birra e un sacchetto di un panificio. “Ma certo vieni pure” “Ho portato birra e bretzel per festeggiare, che non si dica che non mi sono adeguato al posto”
Francesco sorrise e lo fece accomodare in casa, conoscendo l'avversione dell’amico per il minimo spiffero freddo; la notizia della nascita alquanto rocambolesca dell'erede di casa Nappi era arrivata fino a lui che di solito non si lasciava trascinare ai pettegolezzi: correva voce che mentre Eva portava da sola la borsa per il ricovero, Vincenzo metteva piede in Pronto Soccorso con la sedia a rotelle. Non sapeva se le cose fossero andate davvero così o fosse solo una diceria infame di qualche infermiera acida che ce l'aveva con il poliziotto venuto dal sud, ma decise che per una volta non avrebbe approfondito: era un'immagine che, onestamente, divertiva pure lui. “Come va il bernoccolo?” domandò, sarcastico, mentre in bagno si lavava le mani. “Che fai, sfotti?” lo riprese l'amico “Mi trincero dietro un sonoro no comment” “A proposito...tanti auguri papà!” si felicitò, tornando dall'amico che gli porse la birra. “Grazie!” rispose Vincenzo, facendo tintinnare la sua bottiglia su quella dell'amico, lo sguardo pieno di orgoglio per quella creaturina capellona che in quel momento dormiva pacifica nella nursery dell'ospedale. Il cuore però, oltre che pieno di gioia, era anche colmo di inquietudine.
Mentre sul cellulare l'amico gli mostrava le foto della piccola Nina, questo il nome scelto che era un giusto compromesso tra modernità e tradizione, Francesco non poté fare a meno di notare lo sguardo strano, quasi incupito del Commissario.
“Che c'è?” gli domandò “Non sei contento?” “Come no?! Contentissimo!” si riprese Vincenzo “solo che...so' spaventato France', c'ho paura di fare solo sbagli con questa bambina” “Ah beh ma nessuno può insegnarti a fare il padre” chiarì. Non voleva spaventarlo, ma era la cruda realtà dei fatti “Si impara...col tempo...e con gli errori.”
Non poté in quell'istante fare a meno di pensare al suo bambino, quel bambino che non sarebbe mai diventato un ragazzo, né tanto meno uomo, di cui non poteva più vedere il sorriso davanti ai suoi occhi o di cui non avrebbe più sentito la voce chiamarlo papà. “Quando Marco era piccolo” prese a raccontare, sommessamente, addossato al mobile della cucina, giocherellando col collo della bottiglia pur di non incrociare lo sguardo dell'amico per pudore “mentre dormiva io gli mettevo una mano sul petto e ascoltavo il suo respiro. E forse...forse questo è un padre: un uomo che nonostante i suoi errori … prova a proteggere quel respiro.”
Lui non ci era riuscito, ma c'aveva provato con tutto sé stesso a proteggerlo. Si sentiva padre ancora, a tutti gli effetti, anche se a differenza degli altri padri suo figlio lui non poteva stringerlo più: nessuno poteva capire quel dolore o quel senso di vuoto che si può provare. Un'esperienza tanto totalizzante come la paternità ti cambia la vita e non sei più lo stesso.
“Tu non dovevi fare il forestale” commentò il poliziotto, cercando di stemperare gli animi “dovevi fare il filosofo!” Sì, meditò Francesco, un filosofo che aiutava gli altri ma non era in grado di aiutare sé stesso, proprio un bell'affare.
“Uh!” proruppe il commissario, cambiando discorso “Ma non mi avevi mica detto che è tornata Emma. L'ho vista ieri sera mentre cercavo parcheggio dopo aver portato Eva in ospedale” “Sì … sì è tornata” “E che 're tutto questo entusiasmo, France'?” ironizzò nei confronti dell'amico che perseverava con la sua solita espressione da cane bastonato “Un po' di contegno!” “È tornata ma non resterà” “Ah...e non si può fare niente?” “Cosa vuoi che ti dica...” disse, facendo spallucce “l'unica cosa che si può fare non credo stia a me farla” “E perché?” “Perché non voglio che metta la vita privata davanti alla carriera.”  “Ah France'?! Ma che stai dicenn'? A me era sembrato che tra te e lei …” Era sembrato anche a lui, ma entrambi, evidentemente, avevano preso un abbaglio. “Non voglio si senta obbligata a stare qui per me” “E t'agge capite a te, va'” esclamò Vincenzo, alzando gli occhi al cielo “ascoltami bene: se dovesse decidere di restare qui per te invece che andare altrove, sarà una sua libera scelta e non l'avrai obbligata. E se vorrà lavorare altrove, chi ve lo impedisce di volervi bene comunque?!”
Chi glielo impediva? Sé stesso, ecco chi. Il Comandante Neri era scettico su molte cose, si fidava solo di ciò che i suoi sensi potevano percepire, ma una cosa che categoricamente rifiutava erano le relazioni a distanza: stare con una persona con cui si condividono le giornate era di per sé complesso, figurarsi stare fisicamente lontani per settimane. E poi aveva sperimentato la distanza da Emma in quei mesi: anche se erano in un limbo tra amicizia e qualcosa in più, la lontananza aveva fatto loro solo del male. “Ah … a proposito” continuò Vincenzo “io per non saper né leggere e né scrivere le ho detto di venire a parlarti” “Che hai fatto?” “Ma sì … almeno mettete in chiaro tutto quello che c'è da mettere in chiaro e non avrete rimpianti, che quella guarda che è la cosa peggiore”
Emma non era tipa da farsi dire cosa fare, Francesco ne era sicuro: forse si sarebbe risparmiato quel confronto da cui, ne era sicuro, se ci fosse stato sarebbe stato lui ad uscirne con le ossa rotte.
 
 
"Tu non chiudi mai la porta qui?" Francesco, che era di spalle impegnato a tostare un po' di pane per un panino al volo per pranzo, non si era accorto della porta che si apriva, né dei passi sul legno. "Emma! Entra pure" si scambiarono un bacio formale, come tra due conoscenti che non si vedono da un po' e hanno perso tutta la confidenza che avevano acquisito, cordiali ma freddi. "Sei da sola oggi, niente amico?" "Giorgio è solo un collega, siamo solo amici" "E io che ho detto?” Era quello che aveva detto, ma il sottinteso parlava chiaro. “Accomodati, ti faccio un caffè" le disse, invitandola a sedere al piccolo salottino che aveva creato di fronte al nuovo finestrone fronte lago che aveva installato. Impacciato, non sapeva come comportarsi; era eccitato all’idea di averla lì, davanti a sé, tutta per sé, ma al contempo era agitato, con una tremenda paura di fare o dire la cosa sbagliata. Solo lei riusciva a renderlo un perfetto idiota, lo aveva quasi dimenticato. "Grazie" rispose Emma, timidamente: avrebbe voluto andare via, avrebbe voluto dire di no ma non ci riusciva, era come se fosse attratta magneticamente da quel posto. E poi comunque era inutile nasconderselo: sapeva perfettamente di tenere ancora troppo a Francesco per ferirlo in quel modo. Ci aveva già giocato troppo quando era tornata qualche settimana prima senza dirgli nulla ed evitandolo, non se lo meritava. Mentre Francesco preparava il caffè, Argo, che fino a quel momento era rimasto defilato, nel suo angolino sotto la tettoia, le si avvicinò e lei prese a coccolarlo; le era mancato quel cucciolone fin troppo cresciuto. Rialzandosi si concesse di guardare un po’ intorno, sbirciando nella casa: non poté fare a meno di notare che, rispetto all’ultima volta che era stata in quel posto, c’era stato ben più di un cambiamento. Mentre si perdeva nel verde smeraldo delle acque, in terrazza, Francesco arrivò con i caffè, ed Emma si accorse che persino le tazzine erano nuove.
"Hai cambiato un po' di cose da quando sono stata qui l'ultima volta" "Te l'avevo detto mi pare, no? C'è stato un lungo e freddo inverno di mezzo, ho dovuto renderla vivibile per forza se voglio evitare di trasferirmi di nuovo in foresteria a fine estate" Emma rise ricordandosi quando l'aveva aiutato a fare quel piccolo trasloco stagionale. "Come biasimarti … non ci si stanca mai a guardare questo spettacolo" gli disse, gli occhi fissi sul lago mentre beveva il caffè "sei fortunato"
Se solo avesse voluto avrebbe potuto renderla una fortuna anche sua, pensò il forestale, ed Emma avrebbe dovuto saperlo. La ragazza, si morse la lingua per quel commento fatto ad alta voce, ma Francesco non disse una parola, limitandosi a sorridere sommessamente, persino eludendo il suo sguardo e concentrandosi sulla tazzina del caffè.
“Ti trovo bene, sono contento” Ma il viso di Emma si aprì in una smorfia amara, portando una ciocca di capelli dietro alle orecchie e scuotendo il capo “Bene è un concetto abbastanza relativo con me...” Francesco avrebbe voluto scomparire in quel momento: era così bella, così viva nei suoi modi di fare, che era facile dimenticare quella bomba ad orologeria che aveva nella testa. “Scusami, sono stato indelicato” “Ma figurati, lo sai che sono la prima a scherzarci su, non possono fare altrimenti” sdrammatizzò, sorridendo e il forestale annuì, rapito da quel sorriso che si apriva sul viso della ragazza e che, forse complice il sole di quel pomeriggio che si rifletteva sulle acque cristalline del lago, sembrava farla brillare. “Meglio così...anche perché sei così bella quando sorridi”
Emma aveva sperato che non tirasse fuori frasi ad effetto come quella, buone solo a confonderle le idee: non sapeva come prendere il comportamento di Francesco, che era sinceramente dispiaciuto di vederla partire in autunno, si era allontanato durante l'inverno e ora, al suo ritorno, alternava momenti di euforia a momenti di menefreghismo. Sapeva che personcina complicata fosse, ma non era sicura di poter portare così tanta pazienza.
“E quindi hanno lasciato a te la patata bollente” disse l'uomo per uscire da quel momento di imbarazzo che si era creato tra loro e Emma capì immediatamente a cosa Francesco si riferisse. “Per forza: a seconda della mia scelta, la ricerca avrà un tenore diverso: se torno sarà più esaustiva ma descrittiva, se vado in Valtellina invece sarà meno completa ma comparativa” “Una bella rogna di scelta” “Puoi dirlo forte …”
"Che succede, Emma?" domandò l'uomo, notandola distante “sei strana”. Quando l'aveva lasciata andare aveva temuto che la distanza potesse rimuovere la familiarità e la facilità di stare insieme e il suo peggior incubo si era avverato. "Ma no, niente...” minimizzò Emma “non sono più abituata a queste altitudini, mi stanco più facilmente” “E poi hai fatto le ore piccole ieri …” commentò lui, poggiando la tazza sul tavolo di maniera decisa, guardandola dritta negli occhi stavolta “me lo ha detto Vincenzo che ti ha vista uscire da un pub ieri notte con il tuo amico" "Lo so, mi ha minacciata" disse Emma, mimando le virgolette, provando a fingere nonchalance "di dirti tutto se non fossi venuta di mia spontanea volontà, ma sapevo benissimo che te lo avrebbe detto comunque.” 
Forse aveva sbagliato ad usare quelle parole, perché sembrava che in quel momento fosse lì solo perché era stata obbligata. Lei invece non voleva solo rivederlo con tutta sé stessa, ma passare del tempo sola con lui. Ma non avrebbe dovuto … il che era una cosa ben diversa. “Che io sia stata fuori fino a tardi sono fatti miei comunque … non ho 15 anni e non devo rendere conto a te o al tuo compare...” “Vorrei solo che parlassi chiaramente” “Sarebbe a dire?” "Vorrei soltanto capire … torni in Alto Adige senza dirmi niente, ti vedo e mi eviti e poi vieni a dirmi che non sai se resti. A che gioco stai giocando Emma?” “Io? Io starei giocando? Anch’io vorrei capire perché non ti sei fatto più sentire. Forse me lo sono sognata … non lo so … ma mi pare di ricordare che prima di partire per Milano i programmi fossero ben diversi. Poi ti ho invitato a passare il Natale con me e hai rifiutato, e ora che ti chiedo cosa vorresti che io facessi, e tu cosa mi rispondi? Vai tranquilla per la tua strada. Dopo tutte le promesse che ci eravamo fatti. Non mi sembra che ci sia altro da aggiungere” Non poteva farle la paternale su scelte che non lo riguardavano più, non doveva permettersi di fare la morale a lei dopo tutto il tempo che aveva lasciato passare. 
“Non mi permetterei mai di interferire nella tua carriera, Emma! Non devi rinunciare a nulla per me.” “Però non ti sei fatto più sentire. Te ne sei fregato. Quindi spiegami che diritto hai ora tu di dirmi cosa posso o non posso fare” “Non me ne sono fregato, dovresti sapere però quanto è difficile per me…e il Natale per me è il momento peggiore, non puoi capire...” “Forse non posso capire, ma posso provarci se mi spieghi. E invece tu hai deciso di andare avanti da solo, quindi io ho il diritto di fare la stessa cosa, non ci vedo niente di male.” Di male c'è che io non sono affatto andato avanti da solo. 
Senza di lei al suo fianco, tutto era più tremendamente difficile: voleva provare a superare quel dolore, e farlo con lei al suo fianco avrebbe sicuramente avuto un sapore più dolce, ma aveva una paura folle di lasciarsi andare, amare follemente e soffrire da morire un'altra volta. E poi c'era quella maledetta convinzione di non meritarsi alcunché di buono che non l'abbandonava.
“Io non so quanto tempo ho...” continuò Emma “mesi…magari sono fortunata e sono anni, magari non lo sono e ho i giorni contati...e quindi non ho il lusso del tempo indeterminato, quella lista che ti ho dato ha una data di scadenza. Perciò ti chiedo: vuoi o non vuoi fare parte della mia vita? Perché io lo vorrei ancora…ma non posso concedermi il lusso di aspettarti in eterno” “Cosa vuoi da me?” “Chiedimi di restare qui” “Non posso farlo...non ci riesco”
Proprio perché aveva i giorni contati non poteva mettersi tra lei e i suoi sogni e Francesco sentiva di non essere la persona giusta con cui realizzarli. Se tra i due c'era qualcuno con una condanna, non era certo Emma: lui la vedeva tutti i giorni davanti ai suoi occhi, ci conviveva ogni giorno ed aveva la forma di tutti quelli che avevano lasciato questo mondo troppo presto per colpa sua.
Emma si alzò dal tavolo e senza dire una parola di più se ne andò, ferita: Francesco non aveva capito niente di lei, per l'ennesima volta. Aveva persino preferito credere che potesse esserci qualcun altro invece che credere in quello che c'era tra loro.
Era sparita dai radar, è vero; ma dopo sei lunghi mesi senza fare un passo avanti aveva sentito il bisogno di staccarsi, persino dal ricordo di uno dei periodi più belli e intensi della sua vita: per sé stessa, perché la sua situazione era già abbastanza complicata e precaria di suo e non era cambiata di un millimetro, e anche per lui, perché nonostante tutto, sentiva ancora forte l'istinto di proteggerlo dall'ennesima batosta e dall'ennesimo dolore che si stava infliggendo tenendola lontana. Era arrivata alla soluzione che doveva prendere quella decisione per entrambi.
Lui rimase impietrito. Incapace di correrle dietro per chiederle scusa e incapace anche di tirarsi uno schiaffo che avrebbe meritato. Ancora una volta Livia aveva fatto quello che sapeva fare meglio: mettersi contro di lui. Era solo un fantasma ed era riuscita comunque a rovinargli la vita, ancora una volta: non era più sua moglie da due anni e gli ultimi mesi di vita li aveva trascorsi a mettere i bastoni tra le ruote della sua felicità. Ci aveva provato a tirarsi su, a scrollarsi di dosso la colpa per la morte di suo figlio e lei era tornata ad accusarlo e a negargli un perdono di cui non aveva bisogno ma che lui cercava disperatamente. E in quel baratro in cui era scivolato si era dimenticato dell'unica persona che contava davvero e che invece era viva quanto lui.
 
   
 
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