CAPITOLO 13
IL RICHIAMO
Sicilia,
Isola di Santo Stefano
Ottobre
1999
Mezz’ora
dopo, tre test
di gravidanza giacevano allineati sul tappeto liso davanti al divanetto
rosso
che separava la zona cucina dalla zona soggiorno. Claudia era seduta a
gambe
incrociate sul tappeto e li fissava tenendosi la testa tra le mani.
«A
quanto pare non era
lo stress» osservò Rosa a bassa voce dal divano,
rompendo il silenzio di tomba
che regnava ormai da parecchi minuti.
Claudia
pensò che forse
non era più riuscita a sopportarlo, proprio come lei. Non
rispose subito. Le
sembrava che la testa si fosse completamente svuotata. Sapeva che il
risultato
sarebbe stato quello, se lo sentiva dal primo giorno in cui aveva
iniziato a
sospettare. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma invece di
una risposta le
affiorò spontanea alle labbra una domanda.
«E
adesso che faccio?»
chiese con un filo di voce. Anche se non era stata un’enorme
sorpresa, anche se
dentro di sé aveva sempre sentito di aspettare un bambino,
avere la risposta lì
davanti, chiara e netta, inconfutabile, era comunque uno shock. Si
sentiva
paralizzata, come se si fosse tuffata di botto nell’acqua
gelida del mare in
pieno inverno.
Rosa fece un
respiro
pesante e rifletté per un momento. «Devi decidere
tu, Claudia. Ti posso dire
solo una cosa, questo sì: devi riflettere molto bene su
quello che fai, perché
se decidi di tenerlo, questa storia non riguarda più solo te
ed Enrico. E
Stefano» aggiunse poi, ripensandosi. Claudia emise un gemito
e lasciò sprofondare
il viso tra le mani.
L’enormità
di
quell’affermazione colpì Claudia come uno
schiaffo. Era sul punto di rimettere
quel poco che aveva mangiato a pranzo ed era abbastanza sicura che non
fosse
colpa della gravidanza.
«Ho
vent’anni» si
lasciò sfuggire, angosciata, la voce soffocata dalle mani
premute contro il
viso. Non aveva il coraggio di abbassarle. «Come cazzo
faccio? Maledizione!»
Per un attimo che durò un’eternità le
parve di annegare nella disperazione.
Rosa non
trovò nulla da
ribattere e lasciò che tornasse il silenzio per qualche
istante. Claudia si
disse che probabilmente stava cercando di immaginare di trovarsi nella
sua
situazione, incinta a vent’anni, da sola, senza un lavoro
fisso, senza aver terminato
gli studi, senza certezze, senza sapere nemmeno chi fosse il padre.
«Non
hai proprio idea
di chi possa essere?» azzardò Rosa, dopo un
po’ di tempo, come se le avesse
letto nel pensiero.
Claudia
alzò le spalle,
togliendo bruscamente le mani dal viso. Si ritrovò a
guardare di nuovo i test
di gravidanza, di nuovo quella risposta spaventosa che sembrava
gridarle in
faccia quanto era stata stupida e imprudente e fu tentata di coprirsi
nuovamente
gli occhi. Invece li spostò sulla parete di un bianco
sporco. «È difficile
dirlo. Sono stata insieme a Enrico fino al giorno prima che io e
Stefano…» Non
proseguì. Si morse il labbro con forza, riflettendo, quasi
assaporando il
dolore che sentiva di meritare. «Forse… Secondo me
è più probabile che sia di
Stefano. Perché io ed Enrico siamo sempre stati attenti,
abbiamo sempre preso
precauzioni. Non mi spiego come sia potuto succedere. Con Stefano non
sono
stata attenta. Non avevo il controllo, in quel momento.»
Sbuffò, asciugandosi
gli occhi ancora umidi e tirando su col naso. «Sono stata una
cretina. Sono una
brutta persona e sono una cretina.»
Rosa la
guardò male.
«Basta, Claudia. Non serve a niente insultarti da
sola.» Fece una piccola
pausa, mentre giocherellava con il bordo sfilacciato della tappezzeria
del
divano. «Non è una garanzia. Voglio dire, il fatto
che tu ed Enrico abbiate
sempre preso precauzioni. Può capitare un errore, una
distrazione, un
incidente» continuò, con tono professionale da
infermiera.
Claudia
sollevò le
sopracciglia. «E non ce ne siamo accorti?»
«Non
è impossibile.
Sono cose che capitano. O pensi che tutte le gravidanze siano sempre
programmate?» Claudia la fissò ancora per un
attimo, ma non poteva darle torto.
Distolse lo sguardo, pensierosa, il cuore che le sprofondava sempre
più sotto
le scarpe. Non aveva idea di cosa fosse meglio, di cose dovesse
augurarsi. Non
riusciva neanche a riflettere con lucidità.
«Magari… è più probabile che
sia di
Stefano, dal momento che con lui sicuramente non
sei stata attenta, ma
non puoi escludere che sia di Enrico» continuò
Rosa. Claudia sospirò. Sapeva
che la sua amica stava dicendo la verità. Era la semplice
voce del buonsenso.
Eppure non era convinta. Quella era la conseguenza della follia fatta
con
Stefano, ne era sicura, anche se non avrebbe saputo spiegare cosa la
spingesse
a pensarla così. «Queste sono solo chiacchiere,
comunque. Niente di scientifico
e affidabile» sentenziò Rosa in tono pratico.
«Se vuoi avere la certezza, devi
dirlo almeno a uno dei due e fare un test di
paternità.»
Claudia chiuse
un
attimo gli occhi, cercando riparo nel buio fresco e riposante dietro le
palpebre abbassate. Se avesse sentito un’altra volta la
parola “test” si
sarebbe messa a urlare. «Ma il bambino non è
ancora nato» obiettò. E non so
se nascerà mai, aggiunse in silenzio nella sua
testa. «Dovrei aspettare
di…» dovette costringersi a tirare fuori quella
parola. «… partorire, giusto?»
Rosa scosse il
capo.
«Oggi si può fare un test quando la gravidanza
è ancora in corso. È sicuro,
anche se costa un po’. Basta che uno dei due decida
di…» esitò, cercando la
parola giusta, «collaborare» concluse, a disagio.
Claudia
sentì una fitta
di panico che le rivoltava le viscere. «Non posso dirlo a
Enrico. Non ce la
faccio» protestò. Sentiva di nuovo le lacrime che
premevano per uscire e guardò
in alto, cercando di controllarsi, anche se la voce era già
più incrinata di
quanto avrebbe voluto. «Non posso dargli questo dolore. Ne ha
già passate
tante. Lui mi ama e Stefano è suo fratello. No»
scosse la testa con vigore.
«Non posso coinvolgerlo.»
Rosa la studiava
con
un’espressione di dubbio misto a compatimento.
«Claudia, potrebbe essere il
padre di tuo figlio: è già coinvolto.»
«Ho
detto di no.»
Rosa
sospirò e cambiò
posizione sul divano, appoggiandosi contro lo schienale.
«Chiama Stefano,
allora.»
«Certo,
così corre qui
e se incontra Enrico facciamo billèca»¹
rispose, sarcastica. «No.
Stefano deve assolutamente restare fuori da tutto questo. Ha la sua
vita
lontano da qui, l’università, il suo
futuro… Deve concentrarsi su quello.»
Rosa sembrava
sempre
più stupita. «Non li puoi lasciare fuori tutti e
due, Claudia. Devi avere una
risposta.»
All’improvviso
Claudia
non ne poté più. Si alzò in piedi di
scatto, così bruscamente che per un attimo
le girò la testa. «Sai che
c’è? Questo bambino è mio prima che di
chiunque
altro. Mio e basta. C’è solo
una cosa che devo fare se voglio rimediare
a questo… disastro.» Prese i test di gravidanza e
andò a gettarli nella
spazzatura, poi scomparve nella sua stanza, ignorando lo sguardo
preoccupato di
Rosa che seguiva i suoi movimenti. Si infilò la giacca,
prese la borsa e tornò
in salotto.
«Dove
vai?» si informò
Rosa con cautela, ancora sul divano nella stessa posizione. La
osservava come
se fosse una bomba a orologeria, in procinto di scoppiare da un momento
all’altro.
Claudia la
guardò. «Lo
sai dove sto andando» rispose con tono neutro.
Uscì.
****
Salì
sulla Fiat blu
scuro che Enrico le aveva regalato per il diploma due anni prima,
usata, ma in
buone condizioni. Strinse il volante tra le mani per un attimo e chiuse
gli
occhi, mentre i ricordi le riempivano la mente. Le sembrava di vedere
Enrico seduto
al suo fianco al posto del passeggero che le faceva lezione di guida,
quando
doveva prendere la patente. All’inizio Claudia era
così imbranata che
sobbalzava su tutte le stradine sperdute nella campagna di Santo
Stefano, ma
poi ci aveva preso gusto e nel giro di poche settimane era diventata
più brava
di lui, che aveva la patente già da un anno. Tutte le sue
prime volte
importanti erano state con Enrico. La prima volta che aveva fatto
l’amore, a
diciassette anni. Quella era stata la prima volta anche per lui. La
prima volta
che aveva guidato la macchina. Il primo viaggio da soli, un week end a
Catania,
per festeggiare il diploma di lei. La prima volta che aveva dato un
esame
all’università e lui era stato per tutto il tempo
alle sue spalle, per sostenerla.
Solo il primo bacio non era stato con Enrico. Era successo con Stefano,
l’ultimo giorno che lui aveva passato sull’isola,
nel cortile del baglio.
Ammesso che un incerto, lieve sfiorarsi delle labbra potesse essere
considerato
un bacio, ma quella era stata la prima volta che Claudia era stata
tanto vicina
a un altro essere umano.
Mise in moto con
un
sospiro e guidò con calma fino al baglio Falconeri. Quando
parcheggiò sotto la
tettoia, notò che la Volvo di Enrico (un regalo di suo
padre), non c’era. Scese
comunque e si diresse verso la casa. Appena entrata incontrò
una cameriera, che
le disse che Enrico era uscito da un’oretta per andare in
paese a incontrare
degli amici e non aveva detto quando sarebbe rientrato. Claudia decise
di
aspettarlo, ma rifiutò l’invito di prendere un
caffè in salotto e andò a
sedersi sulle scale della terrazza. Non sapeva se il signor Falconeri
fosse in
casa, ma voleva evitare di incontrarlo. Non era nello stato
d’animo adatto a
sostenere una conversazione normale, tanto meno con lo sguardo freddo e
penetrante di Edoardo puntato addosso. Le metteva sempre un certo
disagio.
Erano le cinque
del
pomeriggio e sebbene fosse ottobre inoltrato, lo strascico
dell’estate
siciliana si allungava sul principio dell’autunno, rendendo
le giornate ancora
luminose e calde. Per avere un cambiamento serio bisognava aspettare
almeno
novembre. Nessuno la disturbò, mentre se ne stava seduta
sulle scale a guardare
il cielo limpido. Ogni tanto qualcuno attraversava il cortile, la
cuoca, che si
fermò a salutarla e poi la spiò per un
po’ sulla soglia della cucina e il
giardiniere, che si limitò a farle un cenno da lontano
mentre trasportava gli
attrezzi da lavoro nella cantina. “La signorina
Claudia” non si vedeva al
baglio da qualche settimana e tutti sapevano che tra lei ed Enrico
c’era
qualcosa che non andava. Claudia era sicura che le chiacchiere, le
ipotesi e le
previsioni si fossero sprecate fin dall’inizio e le venne da
sorridere al
pensiero che quella sera, nella grande cucina di cui conosceva ancora a
memoria
ogni angolo dai tempi in cui ci passava interne giornate con sua nonna,
avrebbero avuto nuovo materiale per spettegolare.
Non dovette
aspettare
molto. L’aria non aveva ancora iniziato a rinfrescarsi quando
la Volvo grigio
metallizzato di Enrico varcò il cancello e si
fermò accanto alla sua Fiat.
Sentì un tuffo al cuore mentre si chiedeva che cosa stesse
pensando in quel momento,
scoprendo che era venuta da lui. Enrico rimase nell’abitacolo
della Volvo per
qualche istante, forse rimuginando sulla cosa, poi scese senza fretta,
lanciando occhiate calme intorno a sé. La sua bocca era una
linea sottile e
Claudia capì immediatamente che sotto l’apparente
tranquillità doveva essere
molto nervoso. Attraversò il cortile e quando vide Claudia,
ancora seduta sulle
scale, si bloccò. Dopo una brevissima esitazione, riprese a
camminare e la
raggiunse.
«Ciao»
disse, con voce
controllata.
Lei si
sforzò di tirare
fuori un sorriso. «Ehi.»
La
fissò in silenzio
per alcuni istanti, forse aspettando che lei aggiungesse qualcosa.
«Stai…
Aspettavi me? Perché non sei entrata in casa?»
Claudia
alzò le spalle.
«Mi andava di stare qui. È una bella
serata.»
Enrico
annuì, ma era
chiaro che era sorpreso da quell’improvvisata. Anche se in
quei due mesi di
pausa avevano sempre mantenuto i contatti, si erano incontrati
raramente e
soprattutto lei non era mai piombata al baglio così
all’improvviso, come faceva
quando stavano insieme. Era comprensibile che lui non sapesse cosa
aspettarsi.
«Sei
qui da molto?»
indagò, come se non sapesse bene che cosa dire.
«Ero al bar con Enzo e Diego,
in paese.» Fece una breve pausa. «Enzo ha una zita.»²
Claudia fece un
sorriso
tirato. «Ah, sì? E quanto durerà
stavolta?»
«Come
le altre volte:
poco» rispose Enrico. Ricambiò il sorriso e per un
attimo fu come se il legame
che ancora li univa vibrasse tra loro, splendente di luce. Rimasero in
silenzio
per un po’. Claudia era leggermente nervosa e non le sembrava
strano,
considerando quello che era venuta a fare, ma non avvertì
l’esigenza di
riempirlo immediatamente. Osservò Enrico per qualche
istante. L’aveva sempre
meravigliata che avesse un aspetto così virile pur avendo
lineamenti fini e
delicati.
«Come
vanno le cose?
Come sta tuo padre?» chiese poi, più per prendere
tempo che per riempire il
silenzio. Aveva il bisogno di sentirsi perfettamente calma e padrona di
sé
prima di affrontare argomenti più gravi.
Lui sembrava un
po’
incerto, come se le frasi banali che si stavano scambiando gli
suonassero
strane. Doveva aver intuito che Claudia era lì per qualcosa
di importante, ma
ebbe solo una piccola esitazione prima di rispondere.
«Meglio. La settimana
scorsa l’ho accompagnato a Palermo per il solito controllo.
Hanno confermato
che l’operazione è andata bene.»
«Sono
contenta.»
«Non
è tutto risolto,
ma se pensi che eravamo preparati al peggio…»
Enrico lasciò la frase in
sospeso, ma non era necessario che aggiungesse altro, non con lei:
Claudia
sapeva quanto fosse complicato il rapporto tra Enrico e suo padre. A
volte lei
detestava Edoardo, ma sapeva anche cosa significasse perdere
l’unica persona
con la quale si avesse ancora un legame familiare.
«Tu
come stai?» domandò
poi Enrico, cauto, quasi timoroso di ricevere una risposta che non gli
sarebbe
piaciuta.
Claudia dovette
riflettere prima di rispondere. In quel momento era una domanda
difficile per
lei, ma alla fine optò per la risposta più
semplice. «Sto bene. Tutto ok» disse
con voce tranquilla, eppure non riuscì a trattenere una
punta di incertezza che
colpì Enrico. Lui la fissò, confuso, ma non
indagò oltre.
«Entriamo?»
le propose.
«Beviamo qualcosa, magari.»
«No,
grazie, non mi va
nulla. La verità è che… non sono
venuta per una chiacchierata.» Claudia
raddrizzò la testa e lo guardò dritto negli
occhi, con la speranza che se fosse
apparsa sicura e determinata, allora sarebbe stata davvero sicura e
determinata
e il terrore che le invadeva le viscere tutte le volte che ripensava ai
tre
test di gravidanza positivi allineati sul tappeto sarebbe svanito.
«Ti devo
dire una cosa. Una cosa importante.»
Lui la scrutava
con
attenzione, come alla ricerca di un indizio. Distolse gli occhi e
guardò il
cortile vuoto per un attimo. «Lo immaginavo. Sempre diretta,
sei.» Accennò un
sorriso che si spense quasi subito, poi la guardò di nuovo.
«Dimmi.»
Claudia
cercò di
prendere un profondo respiro, di parlare con calma, ma
all’improvviso fu colta
dal panico e prima di bloccarsi buttò fuori le parole con
forza. «Sono
incinta.»
Cadde un
silenzio di
tomba. Per molto tempo lei udì soltanto il lieve stormire
del vento tra le
fronde del mandorlo e degli alberi di arance e limoni nel cortile e
l’acciottolio che proveniva dalla cucina e annunciava
l’inizio dei preparativi
per la cena. Enrico la fissava, immobile, con espressione
indecifrabile, come
se avesse indossato una maschera. Claudia si impose di sostenere il suo
sguardo
senza neanche sbattere le palpebre. Dopo una pausa che le
sembrò interminabile,
finalmente lui parlò.
«Sicura
sei?» chiese
con un filo di voce.
«Ho
fatto tre test di
gravidanza.»
La maschera sul
volto
di Enrico si crepò e lo shock lo invase. Rimase zitto ancora
per un po’,
probabilmente cercando di assimilare la notizia. Claudia gli
lasciò il tempo di
cui aveva bisogno. Anche lei ci aveva messo una decina di minuti a
realizzare che
cosa significasse davvero il risultato del primo test.
«Da
quanto lo sai?»
«Neanche
un’ora. Ho
fatto i test oggi pomeriggio. Io… lo sospettavo da un
po’ di tempo, in realtà,
ma… mi mancava il coraggio» confessò a
bassa voce e dall’espressione sul viso
di Enrico sentì che la capiva.
Il ragazzo si
mosse
lentamente, come se avesse le gambe pesanti, e sedette sui gradini
accanto a
lei. Fece un sospiro controllato, intrecciò le mani davanti
a sé e le strinse.
Claudia lo osservava ansiosamente. Non sembrava averla preso benissimo:
era pallido,
molto più del solito, e teso come la corda di un violino.
«Che
cosa… Che cosa
vuoi fare?» riuscì a chiederle, dopo una pausa, e
lei ebbe la sensazione che
avesse fatto molta fatica a tirare fuori quella domanda.
Un’ottima domanda.
Claudia si passò le mani sul viso.
«Non
ci ho ancora
pensato nel dettaglio, ma penso che… lo vorrei
tenere.» Nel momento in cui
quella frase le uscì dalle labbra, si rese conto di quanto
fosse vero. Non che
non avesse paura. Il pensiero di diventare madre a vent’anni,
di stringere tra
le braccia un minuscolo essere umano indifeso di cui avrebbe dovuto
aver cura,
una persona che sarebbe nata da lei e alla quale lei avrebbe dovuto
dedicare
tutta se stessa, anche sacrificando se stessa, era
come affacciarsi su
un baratro senza fondo. Eppure non riusciva a considerare
l’alternativa. Non
esisteva, un’alternativa. Più di ogni altra cosa,
voleva quel bambino e tutto
il resto… tutto il resto avrebbe imparato ad affrontarlo, da
sola o con qualcun
altro. «Sì, ne sono sicura»
ribadì, annuendo. Poi guardò Enrico.
«E… e tu?
Voglio dire, per te va bene?» balbettò, senza
sapere come formulare la domanda.
Lui continuava a
fissare davanti a sé, teso e distante. Prese aria,
aprì la bocca, espirò, prese
aria di nuovo. Dopo qualche tentativo, riuscì a mormorare:
«La decisione è tua,
Claudia. È il tuo corpo.»
Lei
sentì uno slancio
nei suoi confronti. Rimase a guardarlo per qualche secondo, un sorriso
che le
nasceva pian piano sulle labbra. Aveva sempre saputo che era un ragazzo
gentile, onesto, generoso, ma non aveva mai scoperto fino a che punto.
«È
vero. Però è anche
tuo figlio» aggiunse, dopo una breve riflessione. Ecco, era
fatta. L’aveva
detto. Dopo quelle parole, proseguire le parve più facile.
«Hai il diritto di
dire la tua.» Enrico sospirò appena, senza
muoversi. Claudia era convinta che in
quel momento fosse lontanissimo da lei, da lì.
Chissà a cosa pensava. «Sei
felice?» gli chiese a bruciapelo, sperando di scuoterlo.
Enrico
esitò. «Io… non
lo so. È così improvviso. Non riesco
a…» Si interruppe e si passò una mano
sul
viso, come se per scacciare qualcosa che lo tormentava.
«Scusami, non riesco a
riflettere.»
Claudia
annuì, seria.
«Ok, tranquillo, lo capisco. È normale essere
nervosi, no? Sono sotto shock
anche io, e me lo aspettavo da settimane.»
«Ho
paura» confessò
Enrico all’improvviso, di getto, cogliendola di sorpresa.
Claudia ebbe un
attimo
di incertezza, poi allungò la mano e prese quella inerte e
stranamente fredda
di lui. Non sapeva cosa stesse facendo esattamente. Seguiva il suo
istinto e
basta, senza avere la minima idea di dove l’avrebbe condotta.
«Anche io» mormorò.
«Cazzo, sto morendo di paura.»
Le
sfuggì una mezza
risata isterica. Mentre guardava il cortile inondato dai raggi del sole
che
iniziavano a declinare verso il tramonto, le venne in mente Amelia. Non
aveva
mai conosciuto sua madre, morta quando lei aveva appena un anno, ma sua
nonna
Amelia aveva rivestito quel ruolo così bene da non farle mai
sentire il vuoto.
Quando ripensava ai suoi genitori, Claudia provava un vago rimpianto,
più che
un’autentica tristezza: il rimpianto per qualcosa che era
perso per sempre e
che non avrebbe mai fatto parte della sua vita. Quando pensava alla
nonna,
invece, era come se una voragine le si aprisse nel petto, non riusciva
a
respirare. Di solito cercava di allontanare i ricordi, sperando che con
il
passare del tempo avrebbero fatto meno male e sarebbe riuscita a
riviverli con
serenità. Amelia era stata il pilastro della sua vita e
l’idea di essere per un
altro persona quello che la nonna era stata per lei la riempiva di
emozione e
di terrore in ugual misura. Il pensiero di Amelia le diede forza e la
spinta di
cui aveva bisogno per andare avanti. Strinse forte la mano di Enrico,
lo
sguardo abbassato sulle loro dita intrecciate come le loro vite.
«Però
ho un po’ meno
paura se penso che tu sei qui con me» aggiunse a bassa voce.
«E forse… credo
che l’amore sia questo.»
Le sue parole
scivolarono in un silenzio profondo e denso. Mentre aspettava la
reazione di
Enrico, Claudia si rese conto che non stava mentendo per salvare la
loro
storia. Non era una bugia, non del tutto, almeno. Da bambini, lei ed
Enrico
erano sempre stati parte di una cosa sola insieme a Stefano e dopo che
lui era
andato via, dopo che avevano perso un pezzo, si erano avvicinati sempre
di più,
stringendosi l’uno all’altra per colmare quel vuoto
che si allungava tra loro.
Nel tempo, Claudia aveva iniziato a sospettare che Enrico provasse
qualcosa di
più dell’amicizia per lei, che lo avesse sempre
provato. Era un sentimento
naturale, spontaneo. Faceva parte di lui, come gli occhi azzurri e il
sorriso
timido. Lo portava inciso in ogni espressione, ogni sguardo, ogni
gesto, ogni
parola. Giorno dopo giorno lei aveva ascoltato quel richiamo costante,
dolce,
gentile, e aveva ceduto.
«Ti ho
sempre amata» le
aveva bisbigliato Enrico all’orecchio, con un miscuglio di
incredulità, timore
e gioia, quando si erano baciati per la prima volta. Quel
“sempre” le era
rimasto dentro, come un solco scavato nel cuore.
Claudia
sollevò gli
occhi e scoprì che Enrico l’aveva osservata per
tutto il tempo, silenzioso,
quieto, attento come solo lui sapeva essere, e nei suoi occhi lesse la
risposta
che aspettava. Le parole non servivano. Di slancio gli prese il volto
tra le mani,
lo tirò a sé, chiuse gli occhi e lo
baciò.
NOTE.
1. Un macello.
2. Fidanzata.