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Autore: Autumn Wind    19/04/2024    0 recensioni
Mary Moon è una venticinquenne bostoniana che si è fatta da sola: nata nei sobborghi cittadini, è solo grazie alla perseveranza, al lavoro ed allo studio che è riuscita ad affermarsi come scrittrice ed a conseguire una certa indipendenza. Il suo fragile mondo le crolla addosso quando il temibile Preston Lodge II della National Trust la pone di fronte ad un gelido aut aut: o accetta di vedere suo zio e se stessa in bancarotta ed in prigione o acconsente a sposare l’ultimogenito dei Lodge ed a trasferirsi in Colorado.
Aiutare l’uomo che più detesta al mondo è l’ultima cosa che Mary vorrebbe, ma, se desidera onorare la promessa fatta a sua madre sul letto di morte come ha giurato, non ha scelta.
Trapiantata a Colorado Springs, in un mondo sconosciuto e sotto un cielo che le sembra tremendamente sbagliato, Mary scoprirà la brutalità della vita, ma anche l’amicizia e l’amore.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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9.
Rain

L’esplosione svegliò la cittadina di Colorado Springs alle quattro di un umido, ma tutto sommato tiepido, mattino di pioggia di uno dei tanti inverni del Colorado.
Loren si destò di soprassalto e schizzò sul balcone indossando malamente la vestaglia, ma, affacciandosi, non vide nulla di strano. “Bah, se non la finiscono con questi scherzi!” sbottò, borbottando al Reverendo di tornare a dormire mentre ritornava in camera, sbuffando come un mantice.
Jake e Teresa, come Grace e Robert E., di per sé, non sentirono il boato, ma il pianto inconsolabile dei loro figli impedì loro di riaddormentarsi e ci vollero ore ed ore per riuscire finalmente a calmarli.
Hank, così come tutto il saloon, neanche sentì il rumore per la quantità di whisky che aveva bevuto la sera prima in occasione di un addio al celibato.
Al Gazette, Nube che Corre, destato, corse alla finestra, svegliando anche Dorothy, che lo fissò, assonnata. “Che cos’è successo?” sbadigliò la rossa. “Un rumore: non l’hai sentito?”
“No.” sospirò la giornalista: era abituata allo svegliarsi del compagno in piena notte, in preda alla paura perché gli sembrava che i soldati stessero tornando a prenderlo per trascinarlo nelle riserve, per questo non vi diede troppo peso.
Horace, sulla banchina ad attendere il primo treno, fissò la cittadina, perplesso, ma venne distratto dal fischio della locomotiva e dimenticò ben presto quel boato sordo e lontano, preso com’era da un arrivo per lui a dir poco fondamentale.
In banca, Mary, al boato, si svegliò di soprassalto, ansimando. “Preston!” esclamò, scuotendo il marito. Questi bofonchiò qualcosa, aprendo un occhio. “Che c’è?”
“Hai sentito?”
“Ci sono dei ladri?”
“No, era un rumore lontano … come un boato.”
“Saranno le ferrovie.”
“E se non fosse?”
“Ce ne preoccuperemo se tornerà e si avvicinerà. Cerca di dormire, adesso.” sospirò, volgendosi dall’altra parte. Mary sbuffò, tornando sotto le coperte, ma non riuscì più a chiudere occhio.

 

Dicembre era arrivato e passato prima che i cittadini di Colorado Springs potessero rendersene conto ed aveva portato con sé una marea di scadenze, al Gazette, motivo per cui, quel mattino, era stata Mary a ritirare la posta, invece di Dorothy.
Sotto il cielo grigiastro, nel cappotto nero sopra all’abito viola, aspettava che Horace terminasse di smistare le lettere ed i pacchi picchiettando con le dita sul banco.
“Ci vorrà ancora molto, Horace?” chiese, ad un certo punto. “Avrei un articolo da scrivere: se vuoi, posso ripassare dopo …”
“No, no, era qui: l’avevo vista prima …”
Mary sospirò, zittendosi quando notò nel piccolo ufficio la presenza di una bambina e di una donna elegante dai capelli neri in una crocchia, alta più o meno come lei. “Horace, le avrai già messe al loro posto, come al solito!” sospirò questa. “Dici? Oh, sì, è vero: ecco a te, Mary!” sorrise l’uomo. “Grazie.” annuì lei, continuando a fissare la donna: non l’aveva mai vista e non le risultava che frequentasse qualcuno. Solo allora la donna parve accorgersi della sua presenza. “Oh, scusi, che sbadata: lei dev’essere la nuova giornalista di cui Dorothy parla sempre! Myra Bing, l’ex moglie di Horace, piacere di conoscerla, signora …” si presentò, allora, avvicinandosi. “Oh! Il piacere è tutto mio. Sono Mary, Mary Lodge.” sorrise questa, stringendole la mano. Al cognome, Myra sgranò gli occhi, volgendosi verso Horace. “Non mi avevi mai scritto che Preston si fosse sposato con la nuova dipendente del Gazette!” notò. L’uomo abbassò lo sguardo su Samantha, colpevole. “È una cosa recente.” intervenne Mary, togliendola dall’imbarazzo e rivolgendo subito le attenzioni verso la bambina. “Ciao! E tu chi sei?”
“Samantha.” mormorò questa. “Piacere di conoscerti, io sono Mary. Sei qui per passare le feste con il tuo papà?”
“Sì. Ma voglio tornare a casa, qui non c’è niente per bambini!”
“Samantha!” la rimproverò Myra. “No, ha ragione: oltre ai giocattoli di Loren, non c’è granché per i più piccoli, qui.” confermò la scrittrice. “Beh, di questo non devi preoccuparti, Sam: ci ha pensato il papà a prenderti tutto quello che può farti divertire! Vieni, voglio mostrarti qualcosa!” sorrise Horace, entusiasta, prendendo la bambina in braccio e dirigendosi verso gli appartamenti dove abitava. Mary, rimasta al banco accanto a Myra, fissò per un po’ la scena prima di rivolgerle la parola. “È ammirevole che abbia deciso di mettere da parte ogni possibile dissapore per la bambina.”
La donna sorrise. “Cerco di fare del mio meglio: ho già sbagliato troppo, con lei.”
“Non direi: è amata, è felice ed è sana. Non tutti i bambini possono dire di esserlo …”
“Questo è vero, ma neanche gli adulti, dopotutto, no?”
“Decisamente.”
“Sa, io ci sono passata, nell’infelicità, intendo, anche se era una cosa diversa e … beh, volevo dirle che non deve avere paura di liberarsi dalla sua prigionia!”
La scrittrice parve raggelarsi completamente mentre si voltava. “Come, prego?” ripeté, fingendosi confusa per non sembrare irritata. “Beh, un matrimonio combinato è come quello che facevo io a … beh, ha capito.”
“Non so davvero cosa le abbiano raccontato, signora Bing, ma posso assicurarle che non c’è motivo di preoccuparsi: sono felice e sto bene. Davvero. Non è un matrimonio di facciata.” la liquidò. “Ma potrebbe chiederlo a Preston stesso, se non mi credesse: dopotutto, ha lavorato per lui, a quanto ne so. Gli farà piacere salutarla.”
Myra annuì, poco convinta. “Passerò senz’altro.” convenne. “Bene. Le auguro una buona giornata.” si congedò Mary, voltandosi ed iniziando a dirigersi spedita al Gazette: inutile dire che l’uscita l’aveva irritata più del dovuto. Sospirò, passando davanti all’ufficio dello sceriffo ed a Robert E, dove ghirlande d’agrifoglio, fiocchi rossi e stelle di Natale la facevano da padrone. All’emporio, Loren stava litigando con una gigantesca candela da mettere accanto alla porta. “Oh, stupido affare!” brontolò, le mani sui fianchi. “Mary, buongiorno: cosa ne pensa, a destra o a sinistra quest’affare?”
“Perché non accanto al bancone?” suggerì lei. “Dice? L’ho sempre detto che è una donna intelligente!”
“Fa sempre piacere sentirselo dire!” sorrise, attraversando la piccola piazza totalmente occupata dall’enorme abete decorato con centinaia di palline e decorazioni che luccicava nell’uggioso mattino. Un sottile strato di fumo usciva dal saloon, mentre, dalla finestra della clinica, vedeva Michaela e Colleen ripulire degli strumenti chiacchierando amabilmente.
Infine, Mary poté finalmente rifugiarsi al Gazette, come sempre sommerso di carta.
“Sono arrivate le informazioni da New York.” annunciò, consegnando la posta a Dorothy prima di togliersi il cappotto ed accomodarsi alla scrivania. “Oh, grazie a Dio!” sospirò la rossa, sommersa dalle revisioni mentre Brian lavorava al torchio, guardando, di tanto in tanto, fuori dalla finestra.
“Potremmo decorare anche noi un albero, qui in redazione!” propose il ragazzo con un sorriso smagliante ad un certo punto, alludendo all'enorme abete che stavano decorando in piazza. “Oh, sarebbe un’idea meravigliosa, Brian, ma non saprei davvero dove metterlo: siamo già a stretto in tre! Per questo ci basta così poca legna nella stufa! E, poi, è un po’ tardi ...” replicò Dorothy nell’abito verde e nel caldo scialle di lana. “Senza contare che dovremmo procurarci anche le decorazioni e non ne abbiamo proprio il tempo! Sembra che, col Natale alle porte, mezza città si sia decisa a mettere annunci o combinare qualcosa degna di prima pagina! Ho avuto così tanto da fare che non ho fatto l’albero neanche a casa mia …”
“Ci potrebbe pensare Nube che Corre!” azzardò Brian. “Oh, no: lui non festeggia, non come noi, lo sai, anche se partecipa per cortesia. Ora che mi ci fai pensare, sarebbe proprio il caso di decorare anche in soggiorno ...” sospirò Dorothy. “Abbiamo messo la ghirlanda alle porte e le candeline alle finestre: non siamo totalmente sprovvisti di decorazioni!” considerò Mary. “Per l’anno prossimo ci organizzeremo meglio magari, ma, per ora, dovremo farci bastare il pensiero …”
“A casa tua hai già decorato, Mary?” domandò Brian. “Sì. E, se vi può consolare, ho litigato con il mio amabile marito per tutta la domenica sul colore delle decorazioni dell’albero di casa!” sospirò, lisciandosi il pesante vestito viola. “Scommetto che Preston optava per rosso ed oro!” indovinò Dorothy. “Oh, sicuro, peccato che io trovi più elegante l’argento. Alla fine abbiamo messo tutte e due, ma l’effetto non è molto di classe come credevamo …”
“Dove passerete il Natale?” chiese la giornalista. “Non ne abbiamo ancora parlato, ma immagino a casa, tra di noi: non abbiamo altri familiari, qui. Voi sarete tutti dai Sully, immagino!”
“Sì e spero che Michaela abbia imparato a cucinare un arrosto come si deve per allora!” rise Dorothy. “Avresti dovuto assaggiare i piatti di quando ci ha presi con sé, erano anche peggio!” commentò Brian, facendo ridere le colleghe.
“Comunque …” proseguì Dorothy dopo un po’. “Ancora non ho trovato un’idea speciale per il numero di Natale!”
“Potremmo parlare del Natale in città!”
“Lo facciamo ogni anno, Brian. No, dev’essere originale … ma cosa? Le tradizioni invernali degli indiani non interessano a nessuno …”
“Ed una storia di Natale per bambini?” azzardò Mary, rammentando le parole di Samantha. “Oh, questa sì che è un’idea: grandioso!” esclamò la rossa, entusiasta, saltando sulla sedia. “Ve ne occuperete tu e Brian!”
“Ma sarebbe per domani!” protestò il ragazzo. “Appunto, non c’è tanto tempo, al lavoro, su!”
Mary scosse il capo, tornando all’articolo sul furto di vacche degli Winstol: a volte c’era così tanto da fare al Gazette che non trovava neanche la forza per dedicarsi alla revisione della storia di Scarlett da presentare al suo editore di Boston per Capodanno come avevano concordato dopo varie lettere al vetriolo da entrambe le parti che Horace aveva consegnato e spedito con interesse. “È quasi meglio della storia a puntate sul Gazette!” soleva dire.
In quel mentre, la porta della redazione si aprì, facendo entrare un agitatissimo Matthew. “Che succede?” chiese subito Brian. “Un’esplosione alla miniera: ci sono morti e feriti.”

 

“Le ringrazio della fiducia, Loren.” sorrise Preston, riponendo le carte con cui il commerciante aveva appena trasferito i suoi risparmi dalla sua banca di Denver alla sua a Colorado Springs. “Io mi fido, sia chiaro, ma solo perché l’ha fatto anche il dottor Mike! Alla tua prima piazzata, i miei risparmi se ne tornano a Denver, sia chiaro!” brontolò Loren. “E quando mai ho fatto una … come l’ha chiamata? Piazzata?”
“Oh, vuoi un elenco delle volte in cui è accaduto? Per fortuna che ora hai Mary che ti ricorda di startene al tuo posto!”
“Mi spieghi una cosa, Loren: devo per forza essere sempre io il cattivo, tra me e mia moglie?” sospirò il banchiere. “Sì! Certo che sì!”
“La stupirebbe sapere che neanche lei è sempre perfetta!”
“Chiunque, rispetto a te o ad Hank, sembrerebbe un santo!”
Stava per replicare, quando Mary in persona fece il suo ingresso in banca nel cappotto nero, una pila di fogli tra le braccia. “Signor Bray, buongiorno!” salutò, abbozzando un sorriso prima di dirigersi speditamente in casa. “Buongiorno, miss Mary! Ma che ha?”
“Non saprei dire, ma, dai fogli, si tratta di questioni riguardanti il Gazette.” sospirò Preston senza smettere di guardare le scale. “Se vuoi il mio parere …”
“Non lo voglio e non gliel’ho richiesto, Loren, mi spiace ...”
“Beh, sarebbe ora che aveste anche voi un bambino.”
“Siamo sposati da pochi mesi e non ne abbiamo neanche mai parlato!” eruppe il banchiere, esasperato dai rimarchi di Loren sull’argomento. “Ma il dottor Mike …”
“Non sapevo che Dio avesse cambiato nome e si chiamasse dottor Mike, ora …”
“Stai diventando blasfemo, sai? E, comunque, adesso devo proprio andarmene!”
“Me ne dispiaccio enormemente. Grazie ancora-, Loren e buon lavoro!”
Il vecchio bofonchiò qualcosa prima di uscire dalla banca sistemandosi il cappello sulla testa.
Una volta che se ne fu andato, Preston trasse un sospiro di sollievo: quel mattino Loren gli aveva proprio fatto venire mal di testa. Il pensiero di Mary, tuttavia, tornò subito a farsi sentire e si affrettò a porre in banca il cartello ‘torno subito’ per salire in casa.
Come ogni giorno, si stupì nel vederla armeggiare con le sue carte in soggiorno, i lunghi capelli castani che le ricadevano sulla schiena in contrasto con il vestito viola. “Va tutto bene?” le chiese. La giovane sollevò gli occhi nocciola a fissarlo. “Certo! Perché?”
“Mi sei sembrata infastidita, prima. È forse successo qualcosa al Gazette?”
“No, affatto: sono solo un po’ oberata, tutto qui.” sospirò Mary, sforzandosi di sorridere. “Niente per cui tu ti debba preoccupare, davvero. Com’è andata con Loren?”
“L’affare è concluso, anche se lui è … beh, è Loren.”
“Dovevi prevederlo. Cambiando discorso, sapevi che Myra Bing è tornata in città per passare il Natale con Horace e la bambina?”
Preston sollevò le sopracciglia. “Davvero?”
“Ebbene sì. Mi ha detto che passerà a salutarti.”
“Lo sperò bene: un saluto e delle scuse sarebbero il minimo, considerato che se n’è andata su due piedi, lasciandomi senza dipendente.”
“E scommetto che questo ti ha causato un enorme disagio!” sospirò lei, continuando a dividere le carte. “Ovviamente.” annuì Preston. “Avevo deciso di assumere qualcuno per avere una mano alla banca, all’epoca gli affari andavano a gonfie vele e faticavo a gestire tutto da solo.”
“Ed ora come vanno?”
Il banchiere sospirò, abbassando lo sguardo. “Meglio rispetto a quando ho riaperto, ma non è ancora del tutto sufficiente. I miei finanziatori apprezzano gli sforzi ed il rialzo, ma devo fare di più …”
“Stai già facendo tutto quello che puoi: non puoi certo legare la gente ed obbligarla a fare un prestito!”
“Sarebbe una splendida idea, però, senz’altro molto meno faticosa che abbassare i tassi ed allungare i tempi di pagamento!”
Mary alzò gli occhi al cielo, esasperata e Preston sorrise tra sé e sé, raggiungendola per poi abbracciarla da dietro e porle un bacio sul collo. La giovane sospirò, appoggiandosi a lui e chiudendo gli occhi mentre il banchiere le posava il mento sulla testa. “Mi diresti se ci fosse qualcosa che ti turba?” le chiese di nuovo. “Certo che te lo direi, ma non è niente, davvero: solo tanto lavoro e qualche chiacchiera di troppo. E, comunque, lo stesso deve valere per te …”
“La banca è tutto ciò che mi preoccupa, al momento. Per il resto, la mia vita è serena come non è mai stata.”
“E la cosa ironica è che devi ringraziare tuo padre per questo!”
“Già … di nuovo …”
Mary si girò nell’abbraccio, fissandolo negli occhi, nocciola nel nocciola. “Non era questo che volevo dire e lo sai.” asserì, sfiorandogli un sopracciglio con un dito.
Furono interrotti da dei colpi decisi alla porta della banca. “E chi è adesso?” sospirò Preston, affrettandosi a scendere, seguito da Mary, incuriosita. Quando, aperta la porta, si trovarono dinanzi Dorothy, però, si stupì.
“Dorothy! Come possiamo esserti d’aiuto?” chiese Preston. “Volevo appunto parlare con Mary …” sospirò la rossa. “Oh. In tal caso, torno al lavoro …”
“No, resta, non c’è problema. Davvero.” lo fermò Mary, tornando a rivolgersi alla collega. “Dimmi pure, Dorothy!”
“Si tratta dell’esplosione alla miniera: Michaela ci sta andando per curare i feriti ed io l’accompagnerò, ma vorrei, se sei d’accordo, naturalmente, che venissi anche tu per aiutarmi a documentare l’accaduto.”
“Va bene.” asserì Mary. “Quando partiamo?”
“Tra un’ora: Michaela è quasi pronta ed io devo solo prendere la borsa.”
“Lo sarò anch’io.”
“E ci andate da sole?” obiettò Preston, lo sguardo evidentemente agitato. “Non è lontano, neanche un quarto d’ora a cavallo … conosciamo bene la strada.”
Il banchiere parve tutt’altro che convinto, ma, stranamente, non obiettò.
“Perfetto: ci vediamo tra poco.” annuì Mary. La rossa confermò prima di uscire. Non appena se ne fu andata, Preston si volse di scatto verso la moglie. “Stavi solo bluffando, spero, quando le hai detto che ci saresti andata!”
“Affatto: è il mio lavoro. E non ho l’abitudine di fingere!” rispose lei, dirigendosi decisa in casa per prepararsi: immaginava che quella discussione sarebbe arrivata, ma sperava che suo marito si fosse messo il cuore in pace. Avrebbe dovuto sapere che era più testardo di lei ...
“Ed il tuo lavoro include anche mettere deliberatamente a rischio la tua vita in quelle miniere pericolanti?”
“Non entrerò in nessuna miniera pericolante personalmente: il mio lavoro è solo intervistare i lavoratori per denunciare le pessime condizioni di sicurezza in cui sono costretti ad operare!” spiegò, iniziando ad allineare gli oggetti che le sarebbero serviti sul letto mentre frugava per cercare una borsa in cui trasportarli. “E, secondo te, è del tutto privo di rischi, vero?”
“A Boston, se vuoi saperlo, ho dovuto fare interviste in condizioni ben peggiori!” sbottò, esasperata, volgendosi a fissarlo con le braccia incrociate al petto. “Ad esempio al porto, con il mare in burrasca che rischiava di trascinarmi via!”
“Beh, anche lì sei stata imprudente: non avresti dovuto mettere a repentaglio la tua sicurezza allora e non dovresti nemmeno adesso!”
“Avrei perso il posto!”
“Ma oggi non lo perderesti!”
“Dorothy mi ha dato un’opportunità: dandomi questo lavoro mi ha permesso di riavere l’indipendenza economica …”
“Per fuggire alla prima occasione e tornartene a Boston, al tuo vecchio mondo! Perché era questo il piano originale, non è così? Devo dedurre che ancora non è cambiato?”
Mary arretrò, come colpita in pieno volto. “Non ho mai detto questo!” replicò, ferita, pur conscia di averlo spesso pensato, appena arrivata. “Sì che l’hai detto ed anche a più riprese!” continuò Preston, oramai visibilmente alterato. “Qualunque cosa abbia detto, è stato prima che le cose cambiassero!” sbottò lei. “Il fatto che le cose siano cambiate, però, non riesce comunque a farti mettere al primo posto qualcosa che non sia il tuo lavoro!”
“E per te non è forse lo stesso? La banca è l’unica cosa che conta, o sbaglio?”
“Contrariamente a te, io però voglio tornare a casa la sera! Anche se, forse, non la consideri poi casa tua ...”
“Mi hai fatto credere che la mia casa, ora, fosse questa!”
“Dipende da te, non da me!”
“Non ho scelto io di stare qui!”
“E perché, io sì, invece?”
“Tu sei un uomo, puoi fare quello che vuoi, non puoi capire cosa significa viaggiare per mezzo continente per sposare uno sconosciuto sotto ricatto!”
“Ma capisco perfettamente che sei un’irresponsabile ed un’egoista!”
“Cosa?” scoppiò Mary. “Non t’importa di niente e di nessuno, se non di te stessa!”
“Ed allora siamo un’accoppiata davvero vincente, visto che mi tieni buona per scaldarti il letto pur continuando ad essere così sicuro che prima o poi me ne andrò, vero?”
Approfittò del fatto di averlo lasciato senza parole per chiudergli la porta della camera in faccia e sbuffare, esasperata, prima di continuare a fare i bagagli: perché diamine si era convinta che fosse davvero diverso da come sembrava? Possibile che, ogni volta, ci ricascasse? Come poteva pensare quelle cose su di lei, dopo tutto quello che aveva creduto di aver provato? Forse non era mai stata neanche ricambiata ...
Scacciò il pensiero, continuando a prepararsi: ci avrebbe pensato una volta tornata dal suo incarico. O, forse, più semplicemente, avrebbe fatto quello che avrebbe dovuto fare dall’inizio e prendere il primo treno per Boston.

 

“Uff! Che faticaccia! Va tutto bene, Mary?” sospirò Michaela, lasciandosi cadere sulla sua brandina: con quei pantaloni larghi che sembravano una gonna, i capelli sciolti ed il lungo cappotto in pelle, sembrava quasi una delle conquistatrici del selvaggio west, partita in sella a Flash alla volta di un’avventura. Mary sollevò lo sguardo dalla lanterna che lanciava lunghe ombre sulle pareti della tenda e le rivolse un sorriso serrato. “Certamente! Non preoccuparti per me, davvero: se ci fosse qualcosa che non va, te lo direi subito!” si affrettò a dire, sistemando meglio la comoda gonna blu del caldo completo in lana che aveva indossato sotto al cappotto nero per l’escursione, assieme alla sciarpa in lana, ora abbandonata nei suoi bagagli ed alla treccia in cui aveva imprigionato i capelli. Come scossa da quel pensiero, iniziò meccanicamente a scioglierli dalla costrizione: aveva già mal di testa per averli tenuti legati.
“Io devo dire che non vivevo nulla di così avventuroso da tantissimo tempo, a dispetto della pessima situazione!” sorrise Dorothy, in un inconsueto abbigliamento da mandriana accanto a Myra, che aveva deciso di accompagnarle per dare una mano al dottor Mike a curare i feriti.
Fuori dalla tenda, la natura era modellata in una tiepida sera di dicembre, con l’erba brulla che si piegava al vento e le nuvole rosate e violacee che si rincorrevano nel cielo color ghiaccio, trafitte da lame di luce calante. Attorno alla miniera crollata, nelle tende illuminate da fuochi e lanterne, regnava invece il silenzio: dopo un viaggio relativamente breve a cavallo, avevano trascorso l’intera giornata aiutando i cinesi che lavoravano alla miniera. Michaela e Myra avevano curato i feriti, ritrovandosi costrette ad amputare molti arti e Dorothy e Mary, con l’aiuto di un interprete, avevano intervistato pressoché tutti e documentato le condizioni di vita nel campo. La scrittrice era stanca, ma, perlomeno, aveva potuto evitare di pensare ad altro.
“A chi lo dici! A St. Luois non succedono cose così …” sospirò Myra, vagamente nostalgica. “Se è per quello, nemmeno a Boston … credo sia uno dei motivi per cui Sully odia così tanto la mia città d’origine! L’etichetta, il vestirsi bene … decisamente non fa per lui!” rise Michaela. “Oh, anche Nube che Corre è così, è la sua coltura, del resto! Lo sapevo quando l’ho scelto, come lo sapevi tu, Michaela ...”
“Invece John è dell’idea che bisognerebbe essere sempre eleganti.” raccontò Myra, attirando gli sguardi sorpresi delle altre tre. “Oh, John è solo un amico, un mio collega, ma non è nulla di serio!” si affrettò a spiegare, ma Dorothy già rideva. “Sì, certo! Guarda che non c’è niente di male ad essere felice, dopo tutto quello che hai passato, Myra … voglio dire, il lavoro da Hank, poi il divorzio, il lavoro in una città lontana sola con Samantha …”
“Qualcuno ha azzardato a dire che non dovrei farmi tutti questi problemi, visti tutti gli uomini che … beh, avete capito.” sospirò Myra. “E forse è vero … ne ho viste talmente tante che non mi stupisce più niente e certamente non ho nulla da offrire, ad un eventuale nuovo marito!”
“Come no: hai da offrire la cosa più importante, ovverosia tutta te stessa, la tua personalità ed i tuoi pregi. A me non sembra niente!” considerò Michaela. “Arrivare illibate al matrimonio non significa nulla. A me è ... beh, è semplicemente successo per una serie di circostanze, ma non l’ho mai considerato fondamentale. Solo più giusto, perché significava impegno, fedeltà, ma il fatto che Sully fosse vedovo non mi ha mai infastidita …”
“È difficile che gli uomini arrivino illibati al matrimonio!” sospirò Myra, prendendo un altro sorso di tè. “E, di solito, frequentano posti come il saloon anche dopo ...”
Mary si sentì quasi fisicamente male a quelle parole, ma continuò a bere facendo finta di nulla: non era proprio il momento di pensare alle sue questioni personali.
“Siamo state fortunate, a prescindere da tutto: abbiamo trovato uomini splendidi, buoni, integri, onesti e gentili. Come siamo terminate le storie, come siamo arrivate ad esse e perché non conta poi molto, non credete?” sorrise Dorothy.
Quelle parole furono semplicemente troppo. Mary schizzò in piedi, sfoggiando un sorriso forzato. “L’acqua è finita: vado a prenderne dell’altra, ho molta seta.” annunciò, affrettandosi ad uscire dalla tenda per evitare di mostrare il suo evidente disappunto.
L’aria fresca, sebbene non gelida come quella di Boston, sulle guance bollenti l’aiutò a schiarire le idee ed a rilassarsi, seppur non quanto avrebbe sperato. Chiuse gli occhi, cercando di scacciare la vergogna, godendosi il silenzio e la solitudine dell’accampamento a quell’ora e sobbalzò quando sentì una mano sulla spalla. Si volse di scatto, ritrovandosi di fronte a Dorothy, visibilmente preoccupata. “Va tutto bene?” le chiese. “Non è nulla, davvero: torna dentro, non c’è bisogno che tu stia qui con me: abbiamo cavalcato e lavorato sodo, devi risposarti.” disse, sospirando e portandosi una mano tremolante alla testa. “A me non sembra niente, francamente. Cos’è successo con Preston? Perché immagino sia quella la causa scatenante il tuo malumore ...”
La scrittrice la fissò con i grandi occhi liquidi, scrutandola con attenzione e sospirò, scuotendo il capo, i lunghi capelli a coprirle le spalle. “Non voleva che venissi: secondo lui, non ce n’era alcun bisogno. Io gli ho detto che è il mio lavoro e che te lo dovevo e lui mi ha accusata di essere egoista e di voler soltanto tornare a Boston alla prima occasione e che per questo tengo tanto al mio lavoro. Ed io … beh, gli ho detto che lui era ancor peggiore perché mi teneva solo per scaldargli il letto, se davvero pensava questo di me. Non ci siamo neanche salutati: me ne sono andata senza guardarlo e lui è rimasto alla sua scrivania con dei clienti.”
Quando ebbe finito, si rese conto con vergogna di avere le guance arrossate. Lo sguardo di Dorothy era un misto di sorpresa e compassione che credeva non avrebbe sopportato ancora a lungo.
“Ecco cosa c’era dietro …” sospirò la rossa. “Sai, io un po’ capisco Preston: ho lavorato per lui per parecchio tempo e, a dispetto di come tutti lo disapprovassero, posso dire che era ed è molto meglio di quello che sembrava. Vive in quest’eterna competizione con i fratelli per avere l’approvazione dei genitori e pensa che eccellere nel lavoro sia l’unico modo per ottenerla, ma, per quanto si sforzi di assomigliare al padre, è molto diverso da lui: non avrebbe mai assunto Myra pur sapendo cosa facevo prima, altrimenti. Né finanziato me o la clinica e l’ospedale di Michaela. Od offerto lavoro a Grace …” spiegò. “In quanto a te, Mary, vale lo stesso: avrebbe potuto approfittare di te, ma non l’ha mai fatto e … beh, abbiamo visto e commentato tutti quanto sia cambiato ultimamente, grazie a te. Riesce ad essere più … più se stesso. Vi ho visti, in banca, da Grace ed al Gazette ed ho capito subito che ti amava. Non l’avevo mai visto … così. Aperto, felice, sincero. Ha anche cambiato la politica della banca. Per come la vedo io, tutta la discussione che avete avuto è stata dettata dal fatto che entrambi avete paura di perdere quello che avete trovato e che era ciò di cui avevate bisogno, anche se non lo sapevate nemmeno voi. Forse, non ve lo siete mai detti apertamente ...”
Mary aggrottò la fronte. Stava per parlare, quando la terra tremolò ed il fuoco della lanterna accanto a loro si spese di colpo. Prima che potessero reagire, il boato ed il vuoto sovrastarono qualunque altra cosa.

 

Il boato riecheggiò nuovamente per Colorado Springs, immersa nelle tenebre della sera.
Preston, ancora chino su dei prospetti che stava completando con stizza, si bloccò, come congelato. Per un attimo, pensò di ignorare il tuono, ma, poi, si decise ad alzarsi ed ad andare fuori a dare un’occhiata.
Come si aspettava, c’era praticamente mezza città in strada ed erano tutti agitati.
“Che succede?” domandò a Daniel. “Non ne ho idea …” replicò questi, facendo spallucce. L’ennesimo tuono rimbombò sopra le loro testa e, da una nuvola passeggera e grigiastra sopra di loro, iniziò a scendere una pioggia fine ed argentea. “Magnifico: oramai tutta la città esce per dei tuoni!” sbuffò il banchiere, scuotendo il capo. “Ed anche se fosse? Era un bel tuono e sei uscito anche tu!” rispose Daniel. Preston si volse, pronto a rispondergli per le rime: non sopportava lo sceriffo, non l’aveva mai sopportato e, da quando Mary se n’era andata senza neanche avere la decenza di salutarlo, lo sopportava ancor meno. Al solo pensiero, sospirò per il nervosismo: più rimembrava il loro battibecco e più s’infuriava. Come poteva pensare che lui fosse un uomo del genere, dopo tutto quello che era successo? L’aveva ferito, ma, soprattutto, l’aveva illuso di aver trovato finalmente una persona con cui essere sincero, se stesso, senza suscitare ribrezzo o sconcerto.
“Macché temporale!” esclamò Loren, uscendo dall’emporio con Matthew. “C’è stato un crollo dell’intera zona della miniera, ecco cos’è successo!”
Immediatamente, il cuore di Preston perse un battito. “Cosa?” esclamò. “In che senso? Cos’è successo?”
“Non lo so: ho solo sentito che c’è stato un crollo da un cliente, è un disastro!”
“Il dottor Mike era là!” considerò Matthew, scuotendosi della pioggia di dosso. “Ed anche Mary!” esclamò Preston, correndo verso la banca senza neanche rendersene conto, completamente dimentico delle voci degli altri che lo chiamavano. Afferrò in fretta cappotto e cappello e corse a prendere Fulmine da Robert E.
“Preston! Dove diamine pensi di andare da solo?” lo richiamò Daniel. “Alla miniera.”
“Aspetta almeno che racimoliamo qualche aiuto e vieni con noi!”
“Per allora potrebbe essere già troppo tardi!”
“Ma tardi per …”
“Senti!” lo zittì il banchiere, volgendosi, furibondo, verso Daniel. “Là c’è mia moglie, va bene? Potrebbe essere sotto le macerie o peggio e … e non me ne starò a discutere con te!”
Detto ciò, salì in sella e partì al galoppo nella pioggia che oramai era diventata un acquazzone.
Daniel rimaste a dissarlo, sbalordito. “Ma … ma ...” biascicò, rivolto a Matthew e Loren. “Non l’ho mai … visto così … irrazionale!”
“Forse perché non ha mai avuto nulla per cui valesse la pena esserlo.” considerò Matthew, scuotendo il capo.

 

Quando Preston arrivò all’accampamento, il caos regnava sovrano: rocce erano cadute da ogni dove e la pioggia aveva asciugato la polvere, facendola attecchire alle tende, ora fradice d’acqua. Ovunque c’erano uomini che andavano e venivano, bendati, da una grande tenda, evidentemente l’ospedale.
“Cos’è accaduto?” chiese ad un anziano. “Un crollo, uno dei tanti: sono morti dei cinesi e chi era vicino è rimasto ferito, ma niente di serio.” rispose questi. “E lei che ci fa qui?”
Preston lo ignorò, smontando da cavallo e consegnandoglielo, ignaro delle sue proteste mentre correva verso l’ospedale da campo con il cuore in gola ed il cappotto incollato alla pelle: l’unica cosa di cui gli importava era trovare Mary.
Non appena fu entrato, si bloccò, guardandosi freneticamente attorno, ma, ovunque guardasse, c’erano solo uomini fasciati e doloranti.
“Preston!”
La voce di Michaela lo ridestò, facendolo voltare per trovarsela davanti, sudata e stanca. “Sono venuto appena ho saputo.” riuscì a biascicare. “Mary?”
Il medico parve addolcirsi. “Non è qui: è nella sua tenda. Ha solo una ferita alla schiena, ma niente di grave …”
“Grazie a Dio!” annuì Preston, sentendo un’ondata di sollievo riversarglisi addosso mentre si affrettava ad uscire senza badare più a Michaela.
Vagò per qualche minuto e, quando, finalmente, intravide Dorothy uscire da una tenda, vi si precipitò. “Preston!” lo salutò questa, sorpresa. “Dorothy: Michaela mi ha detto che Mary è ferita …”
“Nulla di grave: un vetro l’ha colpita alla schiena, ma sta bene. Sta riposando e credo le farebbe bene vederti … magari anche chiarirvi.”
Il banchiere sospirò incassando lo sguardo accusatore della rossa prima che questa si allontanasse sotto la pioggia battente.
Con un sospiro, si fece coraggio ed entrò.
Nella tenda, l’aria era tiepida e la calda luce di una lampada rischiarava l’ambiente. Mary era stesa su una brandina, le coperte avvolte intorno a sé e l’aria stanca e confusa. Quando lo vide, però, ebbe un fremito. “Preston!” esclamò, facendo per tirarsi a sedere. “No, aspetta, lascia che ti aiuti!” la fermò lui, togliendosi cappello e cappotto ed affrettandosi a raggiungerla per porre dei cuscini alle sue spalle, cosicché vi si potesse appoggiare. “Michaela mi ha detto della ferita alla schiena.” disse, tossicchiando per rompere l’imbarazzante silenzio. “Non è grave.” sorrise tristemente lei. “Ma avrebbe potuto esserlo: era questo che intendevo quando non volevo che partissi, nient’altro!” ammise il banchiere, afferrandole la mano. “Non hai sbagliato solo tu, non devi scusarti: ho detto anch’io cose che non pensavo. Ero arrabbiata perché credevo non t’importasse poi tanto di me, ma non è così … non è affatto così ...” sospirò Mary, stringendogli le dita. “Io … io, quando ho sentito del crollo … avevo così tanta paura che ti fosse successo qualcosa … non voglio che tu te ne vada, in nessun caso ed in nessun modo, te l’ho già detto e te lo ripeto. Non posso fare a meno di te, non ora che ti ho trovata ...” mormorò il banchiere, rendendosi conto con orrore che gli occhi gli bruciavano. “E non devi: io sono qui. Non me ne vado. E non devi andartene nemmeno tu ...”
“L’unico posto dove andremo è a casa, insieme. E d’ora in poi potrai andare dove vorrai, fare tutte le interviste che vorrai o dovrai, ma non lasciamoci più così … per favore …”
Mary gli sorrise, asciugandogli le guance prima di sollevarsi leggermente e baciarlo. “Sei fradicio: levati quei vestiti e vieni qui, su!” gli disse. Un guizzo di malizia attraversò il volto di Preston. “Non credevo che avessi le energie per certi pensieri, dopo una tale giornata …”
Mary gli assestò una pacca sul braccio. “Stupido!” rise. “Siamo entrambi stanchi e dobbiamo risposare per tornare a casa per Natale …”
“A me non importa … basta che ci sia tu, del resto non m’interessa.” le sorrise, baciandola e tirandola a sé. Mary venne stretta con una tale forza che le fece quasi male, ma non disse nulla, limitandosi a sospirare, concentrandosi solo sulla colonia di suo marito, sulla musica della pioggia fuori e sul lasciarsi andare in quell’abbraccio che sapeva di casa.

  
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