11° Capitolo
Heather
quel pomeriggio lo osservava con dubbio, quasi incerta di cosa pensasse
realmente e con l’evidenza che volesse chiedere qualcosa, oltre alla comanda
che Stiles eseguì alla perfezione. Era il settimo giorno dalla prima volta che
l’aveva servita e avevano flirtato in ogni occasione presentata. «Il ragazzo
che viene sempre qui… state insieme?».
Alla
fine il quesito fu posto e Stiles avrebbe avuto il malsano istinto di chiedere
a quale ragazzo si riferisse, benché fosse ormai chiaro. «Affatto. Non c’è
niente tra noi».
La
bionda sospirò rassicurata, l’indecisione che evaporava. In fondo il figlio
dello sceriffo poteva capire che un numero discreto di persone avessero bisogno
di sapere di non intromettersi in relazioni avviate, a prescindere da che scopo
si volesse raggiungere. «Sono libero stasera, se ti interessa» la informò con
perizia, la proposta sottintesa di un proseguimento piuttosto interessante,
dedito alla scoperta reciproca e al piacere.
Heather
lo guardò intensamente per qualche attimo, a decriptare correttamente il suo
messaggio e rispondendo con un sorriso affilato.
Quella
sera Stiles fu costretto a inviare un messaggio a Derek, per informarlo di un
ritardo prolungato e di posticipare la loro videochiamata notturna.
«Ho
un ricordo chiaro in testa» disse Stiles con indosso il pigiama con le volpi
del mannaro, rotolandosi sul materasso e stringendo sotto al mento il proprio
cuscino. «Di te».
Il
capitano stava sistemando il suo borsone sportivo per la giornata successiva,
la partita prevista ad un orario proibitivo, per permettere alla squadra ospite
di ritornare in giornata al Michigan State University. «Cominciano
ad essere un po’ troppi».
Il
licantropo come di consueto era a torso nudo, muovendosi per la camera singola
di cui generalmente pagava la differenza di tasca propria, non volendo
condividerla con nessuno. A volte si chiedeva se avesse cominciato a
pretenderla da quando era entrato nella sua vita, dovendogli dedicare anche
quelle ore notturne distanti e senza provocare fastidi allo sfortunato con cui
avrebbe potuto coabitare. «Ti ripeto quella cosa in cui non sono entrato a
conoscenza di te a quindici anni?».
Derek
brontolò come se non avesse nessuna importanza. «Sentiamo» si sistemò sul
materasso, poggiando la schiena alla testata imbottita del letto, che Stiles
non trovava particolarmente igienica, ma ad un lupo mannaro come lui cosa
poteva importare, anche se era estremamente facoltoso.
Lo
studente del primo anno vedeva il pettorale scolpito del mutaforma anche a
stati di distanza, attraverso una microtelecamera presente nei loro smartphone;
i muscoli che si flettevano ad ogni suo movimento. Era sconveniente quanto
Stiles riuscisse ad essere costantemente in uno stato di bollore quando si
trattava di Derek persino attraverso una qualità dubbia, anche dopo aver appena
scaricato le sue voglie sulla partner designata in quell’occasione. «L’incontro
nel bosco, subito dopo che Scott è stato morso e noi cercavano delle risposte
per capirci qualcosa».
«Io
ricordo tu avessi capito perfettamente cosa fosse successo» lo interruppe il
licantropo incisivo, raccontando una storia diversa. «Era Scott a non aver
compreso nulla, a non crederci nemmeno».
«Credo
che la sua incredulità fosse una reazione più normale della mia» con una mente
diversa dalla sua, Stiles poteva comprendere le perplessità del suo migliore
amico.
«Certo,
ma era lui ad aver ottenuto il morso, tu non eri nemmeno lì» sottolineando
l’assurdità di come gli eventi si fossero sviluppati, di come qualcuno di
completamente esterno e non coinvolto avesse più risposte del diretto
interessato. «Per te l’impossibile è possibile».
«Non
sarebbe stato male se per una volta mi fossi sbagliato» si sarebbero
risparmiati molte difficoltà e tragedie.
Derek
si ammutolì, il silenzio era tutto ciò che era rimasto udibile. «Continua con
il tuo ricordo, Stiles».
«Beh,
ecco…» ora era in difficoltà, percepiva della contrarietà da parte della
creatura della notte e sotto sotto si sentiva alquanto sciocco a tirare fuori
quella storia. «Il primo ad essersi accorto di noi, a trovarci, sei stato tu.
Subito dopo hai condotto Laura da noi» molto strano per qualcuno che non ne
voleva proprio sapere di loro, che per tutta la durata di quell’anno si fosse
tenuto ai margini, senza voler interagire se non costretto. «È curioso».
Derek
lo guardò in modo anomalo, quasi avesse sopravvalutato la sua intelligenza.
«Non ho trovato voi. Ho trovato te» specificò a scandirlo, le parole che si
stampavano nel cervello di Stiles. «Ti ho già detto di conoscere il tuo odore».
«Sì»
che diavolo significava? «Lo conoscevi già allora?» il lupo ispessì le
sopracciglia a giudicarlo malamente. «Mi correggo: sapevi già distinguerlo?
Credevo avessi seguito l’odore di un lupo nuovo che non conoscevi e invadeva la
tua proprietà privata».
«Eri
un po’ difficile da ignorare quando ti ostinavi a seguire i nostri allenamenti,
a fare tutto quel baccano con i tuoi schiamazzi festosi» Stiles arrossì, perché
sapeva essere vero. Non si era mai controllato quando Derek era in campo a
mostrare le sue tecniche perfette, anche semplicemente durante un allenamento
di riscaldamento. Era sempre meglio che tornare in una casa deserta e nessuno
l’aveva mai esortato ad andarsene ‒ abituarvi al pubblico può solo
farvi bene, li spronava il coach. «E sì, sentivo il suo odore, ma era
troppo flebile. Il tuo, invece, era estremamente distinguibile».
Felice
di essere servito alla causa. «Grazie, avremmo continuato a brancolare nel
buio».
«Non
credo» dissentì il playmaker, con una visione totalmente diversa. «Saresti
riuscito a ottenere le tue risposte da solo e hai un modo tutto tuo di trovare
dei metodi funzionanti. Ve la stareste cavati».
Come
poteva non essersi mai accorto che Derek provasse una tale stima nei suoi
confronti? «Non sono comunque curioso di scoprirlo».
«Strano,
per una volpe in cerca di pericoli come te» Derek rilasciò una piccola risata
indistinguibile e Stiles avrebbe voluto trovare altri modi per scatenargliela
più di frequente.
«Don't-don't it feel so good right now?» intonò lo
studente di criminologia a voce soffusa qualche tempo dopo, il viso quasi del
tutto premuto sul cuscino e gli occhi leggermente socchiusi. Si muoveva a tempo
con lentezza, balbettando il don’t e soffermandosi scandendo sul right now, come Derek immagina richiedesse la
canzone.
«La
canti spesso» osservò il mannaro mentre andava avanti con qualche altro verso,
la stanchezza evidente che incombeva su Stiles.
«Davvero?
Non ci ho fatto caso» sbadigliò a bocca aperta sulla stoffa, il viso che si
spalmava meglio a cercare morbidezza. «Quando una canzone ti entra in testa è
difficile scacciarla via» abbozzò un’occhiata verso lo schermo del telefono, il
filo del caricabatteria già collegato. «L’hai mai ascoltata?».
«Soltanto
cantata da te» confessò la creatura della notte. Ne disconosceva perfino il
titolo.
Stiles
ridacchiò tra un misto di imbarazzo e allegria. «Non la migliore esperienza».
«Non
mi lamento» di voci gracchianti ne era stato pieno nella vita, il suo udito
spesso si spingeva troppo in là. «Hai un bel timbro».
La
matricola rise nuovamente e fu avvolta dal calore, anche senza che Derek fosse
lì in carne ossa ad emanarlo. «Stai flirtando con me?».
Derek
lo guardò senza un’inclinazione particolare, la perenne espressione controllata
che non lasciava trasparire nulla. «Ti do questa impressione?».
«Qualche
volta» ammise senza esitazione, il riverbero lontano di una risata lieta e
addolcita.
«Addirittura
qualche volta» il mutaforma scacciò
quell’assurdità con un unico gesto del capo, eppure era sempre statuario e
impeccabile, come se qualsiasi cosa Stiles gli dicesse non potesse piegarlo e
allo stesso tempo non si risparmiava di giocare con la piccola volpe al di là dello
schermo.
«Sì»
se Derek fosse stato lì, l’avrebbe toccato, sarebbero stati talmente vicini da
rendere difficoltoso trovare la fine di uno e l’inizio dell’altro. Fronte
contro fronte, i respiri che si miscelavano in uno solo e forse il lupo
completo gli avrebbe schioccato un bacio in un angolo del suo viso ‒
benché accadesse principalmente quando voleva consolarlo, confortarlo o fargli
sentire che era con lui.
Arrancava
davanti alla sua assenza, gli mancava come non credeva immaginabile, senza una
valida ragione.
«Com’è
andata la tua serata?» gli chiese invece Derek, andando avanti come se non
avessero parlato di niente.
Stiles
mugugnò contrariato, affondando il viso sul cuscino per nascondersi alla sua
vista con scarsi risultati. Non gli dispiaceva che Derek fosse diventato nei
suoi confronti umanamente accettabile, le domande di rito di una conversazione
quotidiana, ma era consapevole che il playmaker sapesse esattamente come avesse
trascorso quella sera. «Bene» non aveva nulla di cui lamentarsi, ma non voleva
nemmeno sbilanciarsi, raccontare il modo in cui si fosse intrattenuto con la
sua partner d’occasione.
«Da
ripetersi?» provò il mannaro, seguendo l’onda di piacevolezza che era evidente
Stiles avesse incontrato.
«Conosci
la risposta» perché chiederglielo quando era stato piuttosto chiaro. Sembrava
che a nessuno volesse entrare in testa. «Anche se fosse stata la mia migliore
esperienza, non permetterei che succedesse».
«Con
qualcuno vorresti» Derek lo disse senza girarsi attorno, gli occhi fermi e
troppo pieni di lui, conoscitore dei suoi segreti inespressi.
Ah, perché doveva
essere così cosciente di cosa vivesse in Stiles? Lo mandava ai matti. «Forse»
non bastava che Theo avesse colto la sua incertezza, per Derek, al contrario,
non esisteva. «Comunque sia, non era un lui» non vi era motivo per cui dovesse
essere così specifico, ma voleva evitare che ci fossero dubbi sulla sua
irremovibilità di riconcedersi alla stessa persona.
Il
licantropo non si pronunciò e il figlio dello sceriffo non sapeva se fosse il
caso di interrompere lì la conversazione. «Chi proteggi in questo modo? Loro o
te stesso?» era evidente che, invece, Derek avesse molto da dire; molto
insolito rispetto al vecchio Derek. Ma tutto lo era in confronto, probabilmente
perché non gli aveva mai permesso di avvicinarsi, interagire e conoscerlo.
«Potrei
rigirarti la domanda» l’umano non ritirava mai gli artigli, se doveva colpire,
colpiva, a prescindere quanto affetto e gratitudine provasse per quel
bellissimo lupo scorbutico.
La
creatura della notte lo fulminò con quelle incredibili iridi verdi, riuscivano
a spiccare in tutto il loro splendore anche attraverso una microscopica
telecamera in un ambiente in penombra; la matricola non riusciva proprio a
digerire l’ingiustizia.
«È
vero, non voglio che le persone si avvicinino troppo. Non voglio che nascano
situazioni complicate perché vengo frainteso o non diano peso alle mie parole,
archiviandole come sciocchezze dette tanto per essere dette e mettere le mani
avanti» in parte lo erano, lui era chiaro fin dal principio perché odiava le
scenate, ma con qualcuno non sembrava bastare mai. «Non ho detto nemmeno che
rinnego l’amore o che non possa succedere di innamorarmi in qualsiasi momento,
semplicemente non voglio creare di mia iniziativa un terreno in cui possa
germogliare finché non sarò in grado di badare anche un minimo a me stesso».
«Questo
è qualcosa che dovrebbe decidere la seconda persona coinvolta» disse
inaspettatamente il lupo mannaro, la voce profonda e penetrante che gli
affondava nei timpani.
«Che
cosa?» gli occhi ambrati erano attivi e circospetti, spalancati per lo stimolo
della sorpresa scioccante. «Di prendermi così come sono adesso?».
«Anche»
acconsentì all’ipotetica possibilità il capitano della squadra di basket, il
cellulare che cambiava inquadratura per la nuova posizione in cui si era
sistemato, distendendo i muscoli addormentati. «Adesso o dopo».
Stiles
era un po’ confuso, credeva di aver perso il nocciolo della questione o che
l’avessero persa entrambi. «Non mi chiuderò a riccio se avverrà un colpo di
fulmine, se è questo che ti preoccupa».
«Forse
no, ma comunque non ti sentiresti adeguato, giusto» la verità che Derek rivelò
a parole lasciò svuotato lo studente di criminologia di ogni particella
d’ossigeno.
«Avrei
torto in quel caso?» Derek non poteva proprio rimproverarlo per quello. «Quante
persone potrebbero accettare la mia storia? Imbarcarsi con le mie attuali
difficoltà?» Stiles in realtà non si era mai soffermato su quell’aspetto, era
troppo concentrato su se stesso per desiderare di far affondare qualcun altro
con sé, rimuginarsi su e fantasticarci. Aveva cercato di avere una relazione
quando era completamente a pezzi e non aveva minimamente funzionato, ma nella
via appena accennata per la guarigione come sarebbe andata? «C’è un solo nome
nella mia lista» cazzo, non avrebbe
mai dovuto farselo sfuggire.
C’era
un silenzio millenario intorno a loro, l’aria era immobile in modo anomalo
perfino all’interno di un appartamento. Era impressionante quanto fosse bravo a
scavarsi la fossa da solo anche quando la persona interessata non era nemmeno
nella stessa stanza. In quel caso specifico, nemmeno nel medesimo stato.
«Chi
sta flirtando, adesso?» lo stuzzicò bonariamente la creatura leggendaria,
spezzando la tensione che si stava radicando dentro l’essere umano.
Stiles
soffiò come un gatto offeso, indispettito e colto alla sprovvista. «Non voglio
parlarti più» si girò dall’altro lato per sfuggire al suo sguardo vigilante,
accompagnato dall’ennesimo sbadiglio che gli scappò a sottolineare quanto non
riuscisse più a stare sveglio ed a connettere il cervello con pensieri fluidi e
comprendibili.
Derek
rilasciò una risata più morbida e prolungata rispetto a quelle passate,
trattenendola di meno. «Stiles, non sto dicendo che stai agendo nel modo
sbagliato. È giusto che ti muovi nel modo in cui ritieni più opportuno e anche
di essere attualmente disinteressato a qualsiasi tipo di relazione che vada
oltre il colloquiale, ma non c’è bisogno che tu sia così severo. Se vuoi
rivedere qualcuno, fallo».
Con
il volto nuovamente diretto verso la fotocamera, il naso di Stiles si arricciò
a dissentire la sua visione, per niente persuaso a voler agire diversamente e
scatenando un’altra singola e secca risata nel mutaforma. «Buonanotte,
Sourwolf» voleva soltanto rivedere Derek, in tutta la sua presenza
materialistica, non attraverso un freddo schermo senza che potesse avvertire il
radiare della sua temperatura corporea incredibilmente alta o il suo odore
selvatico e completamente connesso alla natura che avevano il dono di farlo
sentire totalmente al sicuro.
Sfiorò
appena, distante da sé, il cuscino di Derek con le punta delle dita,
sprigionando la sua fragranza e Stiles sospirò di contentezza, ispirandola
tutta, anche se era un rachitico contentino. «Buonanotte, Stiles» proferì il
lupo nero con tutto il calore che poteva trasmettergli da quella distanza
insormontabile.
Lo
sfregare della padella lo svegliò, lo sfrigolare dolce e delicato, appena
accennato, insieme al profumo delizioso che gli riempiva le narici ad
annunciargli un lieto ben svegliato e
un pronostico migliore per iniziare la giornata universitaria.
Dalla
finestra proveniva luce aranciata per via della tenda che Derek aveva scelto,
propagando quel calore in tutto l’ambiente circostante, impedendo ai raggi
solari di invaderlo completamente e attutendo il suo potere, ma quel giorno
Stiles notò che era del tutto inutile quella premura, come nei giorni passati,
il mal tempo regnava sovrano, le nuvole difficilmente si dissolvevano e si
chiedeva se stava finalmente arrivando il tempo della prima nevicata.
Mettendosi
in posizione da seduto, la schiena contro i cuscini, gli occhi ancora appannati
e sporchi di sonno, non poté non notare quanto effettivamente fosse calda la
casa del mannaro, tutti quei rossi e aranci, singoli o miscelati insieme,
irradiavano appartenenza ovunque posasse lo sguardo, un abbraccio continuo,
totalmente opposto alla freddezza della sua camera nel bilocale a Beacon Hills
e nemmeno Laura a quel tempo si era dedicata molto a renderlo accogliente più
del necessario.
Era
qualcosa di stupefacente, Stiles l’aveva notato con tempi di ritardo, così
sopraffatto dalla realtà di quanto avesse bisogno che qualcuno si occupasse di
lui quando era un continuo pericolo per se stesso. Non gli aveva dato alcun
merito, ma Stiles non si era mai sentito fuori posto o al gelo, quel monolocale
lo chiamava, lo voleva al suo interno, esattamente come Derek esponeva
silenziosamente di volerlo con sé. Era tutto così diverso.
«Sta
diventando difficile» dichiarò l’umano quando lo raggiunse, i calzini
antiscivolo ai piedi e con le braccia che avvolgevano il torace nudo del
licantropo, aderendo alla schiena, la pelle contro la sua guancia premuta.
Voleva goderselo il più a lungo possibile, prorogare quel legame
indissolubilmente. Se Stiles aveva sviluppato una sorta di dipendenza, quella
era senz’altro la necessità di godere del calore di Derek.
«Cosa?»
Derek si destreggiava con i fornelli, una piccola pila di pancake fumanti che
si andavano ad impilare ad ogni gioco di padella, la tavola era già
apparecchiata e lo sciroppo d’acero in bella vista.
«Te
l’ho detto, sto diventando egoista» appoggiò le labbra sull’epidermide, ad un
soffio dalla spirale superiore della triscele tatuata, accarezzandola con il
fiato bollente. «Tutte queste notti senza di te» il mutaforma era rientrato
quando Stiles stava già dormendo e non si era accorto del suo ritorno, non si
era minimamente svegliato. Cosa sarebbe accaduto quando Derek si sarebbe
trattenuto più giorni lontano dal campus? Fu irrefrenabile il gesto di
scoccargli un bacio sulla pelle inchiostrata di nero.
Derek
non tremò in quell’occasione, ma rimase immobile come una statua, togliendo il
nuovo dischetto di farina dal fuoco e aggiungendo del nuovo impasto sulla
fiamma. «Cosa vuoi che faccia? Che inizi a perdere?» si girò nel suo abbraccio
e lo fronteggiò apertamente.
Stiles
lo adocchiò in un primo momento, prima di muovere una mano verso una confezione
di cioccolato vicino al piano cottura, cospargendo l’impasto del pancake con
alcune gocce sul lato ancora crudo, venendo assemblate con cura. «No, ovvio che
no. Non ti chiederei mai una cosa simile, non la chiederei mai a nessuno» non
era così egoista. Non era giusto nei
confronti di Derek né per i suoi compagni di squadra. Anche se ci avesse
pensato, anche se fosse stato tentato, Derek era troppo onesto. «Mi sto
soltanto lamentando. Posso lamentarmi e basta?».
«E
per questo che mi hai abbracciato tutta la notte?» domandò con leggero scherno
il capitano, un angolo della bocca arricciato verso l’alto. «Ti stavi
lamentando?».
Il
capo dello studente di criminologia fece uno scatto improvviso e le iridi
d’ambrosia si espansero. Che cosa stava farneticando? «Non so cosa faccio la
notte» il nocciolo della questione non era proprio quello? Se si trovavano in
quella situazione era proprio perché Stiles non aveva la minima idea di come si
comportasse mentre era in visita nel regno di Morfeo.
«A-ah,
certo» gli diede il contentino il padrone di casa, sbrigandosi a voltare la
frittella e lasciare che si cuocesse dall’altro lato per qualche attimo, prima
di provvedere a crearne una nuova. «Puoi lamentarti, Stiles» proferì
francamente, dandogli tutta la sua totale attenzione, prendendogli il viso in
una mano. «Ma le ultime volte sono andate meglio».
Non
si era più ritrovato Erica sul divano e questo era quanto dire, ma soltanto
perché un paio di volte si erano rivelate fortuite, non voleva dire che i suoi
problemi stessero scemando. «Questo lo dici tu, io non ne ho idea».
Lo
sospirò esausto sulle labbra del lupo completo e quest’ultimo gli lambì il
setto nasale con la punta del suo. «È così».
Stiles
lo assaporò pienamente, le palpebre socchiuse appena. «Davvero ti ho
abbracciato?» era una cosa così insolita, insospettata. Normalmente era Derek a
farlo, per quanto di normale non ci fosse proprio nulla, ma ormai era quella la
loro quotidianità.
«Sì»
confermò con tranquillità lo studente del terzo anno, osservando il cruccio
perplesso della volpe destabilizzata.
Stiles,
pensieroso, terminò di cucinare il pancake, sporgendosi dietro il licantropo e
guardandolo successivamente mentre gli porgeva un piatto in cui era stata
sistemata la sua porzione. «Forse non voglio condividerti con nessuno»
sopraggiunse meditativo, dirigendosi verso la tavola e sedendosi sulla sedia
che gli permetteva di guardare all’esterno. «O forse mi manchi più di quanto
immagino».
Derek
dietro di lui era in assoluto silenzio ed immobile, quasi Stiles fosse da solo
per l’intero monolocale, esattamente come quando il mannaro era in viaggio con
la squadra di basket; non era un bel pensiero, ne risentiva parecchio quando
accadeva e lo costrinse a girarsi verso di lui, ma Derek si era sistemato nel
posto davanti al suo, ottenendo una visuale in controluce che non gli
permetteva di delineare correttamente i lineamenti del suo volto. «Sono una tua
certezza, è normale».
Non
era sicuro che fosse semplicemente quello. «Attualmente, sei l’unica. O
quantomeno, sei ciò che gli si avvicina di più».
Derek
lo fissò con un punto interrogativo, ma non si prodigò a formulare una domanda
in proposito. «Anch’io sento la tua mancanza».
Improvvisamente
il figlio dello sceriffo credé di essere diventato improvvisamente sordo.
«Cavolo, vorrei tanto incontrare il Derek di due anni fa e sbatterglielo in
faccia».
Derek
quasi non si strozzò con il suo caffè bollente. «Ti avrei già divorato vivo».
Stiles
sbuffò profondamente offeso e si riempì con un’enorme forchettata della sua
pila di pancake. «Già, a volte sei pronto a farlo anche adesso».
«Allora
non dovresti provocarmi» gli fece ben notare, sottolineando l’ovvietà.
«Sourwolf,
non sarebbe divertente» Stiles ammiccò impudente del pericolo e Derek era
rassegnato, scuotendo il capo e limitandosi a concludere la colazione; con
l’umano nessuno poteva mai avere l’ultima parola.
«Merda»
esclamò lo studente di criminologia in un angolo lontano dal bancone, agitando
lo smartphone azzurro che aveva visto giorni migliori e pasticciando con la
tastiera touch senza ottenere risultati, ma aggravando la situazione.
«Che
succede?» gli chiese Tracy mentre sistemava alcune tazze appena uscite dalla
lavapiatti, ancora calde. Quella imprecazione attirò anche l’attenzione del
loro cliente più fedele.
Stiles
provò a chiudere tutto, ripristinare le applicazioni aperte insieme al motore
di ricerca, ma proprio non ne volevano sapere, gli stavano rendendo la vita
impossibile. «Non riesco a prenotarmi» sospirò sconfitto, gettando il telefono
sulla lastra di legno e necessario di prendere una boccata d’aria per calmarsi.
Dopo un respiro o due, gli occhi gli caddero sugli strumenti su cui quel giorno
il suo cliente preferito stava utilizzato per studiare, seduto come da prassi
su uno degli sgabelli del bancone, nella parte più estrema in cui difficilmente
avrebbero potuto disturbarlo, a meno che non si presentasse negli orari di
punta; in quei casi si appropriava di un tavolino. «Der, mi presti il tuo
iPad?» gli domandò con occhi supplicanti, il labbro inferiore che tremava e la
disperazione mista a speranza che prevaricavano. «Devo riuscire a iscrivermi ad
un nuovo corso e prenotarmi per una consulenza con un professore».
«Un
altro corso?» gli fece eco la creatura della notte, aggrottando le
sopracciglia, ma per nulla sorpresa. «Ti ricordi di essere soltanto una
matricola da appena tre mesi?» anche se aveva delle riserve, gli passò comunque
ciò che aveva richiesto.
Stiles
gli regalò il suo sorriso più luminoso e stracolmo di gratitudine, afferrando
con cautela la tavoletta elettronica e mettendo in sospensione l’app di lettura
che Derek stava utilizzando per mettersi in pari con i suoi studi, aprendo
invece il motore di ricerca in cui era salvato il sito internet
dell’università. «Inizia ad aprile, tranquillizzati, Sourwolf. Ma è troppo
richiesto, non voglio perdere l’occasione» inserì i suoi dati d’accesso e
smanettò con le varie icone, cercando quello di cui aveva bisogno. La
familiarità che aveva con quell’oggetto era evidente, lo si capiva anche da
quante cose di suo interesse fossero salvate al suo interno. Spesso aveva
dovuto prenderlo in prestito dal mannaro, decidendo successivamente di
concordare un codice comune ad entrambi per sbloccare lo schermo. Inizialmente
era stato un po’ mortificante per Stiles, ma come al solito Derek non gli
faceva mai pesare niente. Aveva molto senso dopo che gli dormiva con il viso
affondato nel petto ogni notte? «Sì» cantò quando la sua impresa sembrò essere
portata a termine, controllando tra le e-mail, l’indirizzo incolonnato sotto
quello di Derek, le password non salvate per avere ancora una parvenza di
privacy per tutti e due. «Grazie, mio grandioso Alpha» proferì con entusiasmo
una volta controllata la posta elettronica ed aver visualizzato la certezza
ultima, chiudendo tutto e restituendo l’iPad al legittimo proprietario.
Derek
roteò gli occhi immune a tutta quella teatralità. «Puoi contenere la sua
esagerazione» eppure dalla matricola ottenne il sorriso più caloroso,
accompagnato da un cupcake all’Oreo che gli allungò come premio ulteriore, come
se al lupo fosse realmente necessario.
«Alpha?
Cos’è, un gioco tra voi?» si vide costretta a chiedere Tracy non capendo quasi
mai la metà delle loro conversazioni.
Stiles
ammiccò spudoratamente e Derek avrebbe preferito uscire da lì prima di sentire
un’altra sua scemenza. «Vuol dire che lo seguirei in capo al mondo».
«Non
sei bene accetto» rigettò chiaramente il capitano della squadra di basket,
controllando l’orario sullo schermo della tavoletta elettronica e spegnendolo
successivamente. «Incartalo, invece di perdere tempo» gli indicò con un gesto
il dolce che si aveva messo sul piatto, insieme a quello terminato almeno
mezzora prima.
Non è vero,
mimò con le labbra il figlio dello sceriffo senza emettere suono nella
direzione della barista, scatenandole una piccola risata. Si affrettò a
prendere una piccola busta per il dolcetto, mentre Derek allungava il telefono
per pagare; Stiles non avrebbe dovuto più guardare a quanto corrispondesse
l’importo per la sua mancia, ma ogni volta si sorprendeva. Gli aggiunse anche
un paio di biscotti glassati mentre era distratto, con l’intento di scalarli
dalla sua paga. «Ecco a te, Sourwolf».
Derek
afferrò il pacchetto, lo smartphone in tasca e l’iPad a fare quasi da vassoio,
finché non fosse arrivato al 1855 Place per
prendere il borsone degli allenamenti e raggiungerli. «Ci
vediamo a cena?».
Stiles
dovette scuotere la testa in diniego, indicando con una mano la ragazza accanto
a sé. «Oggi gruppo di studio».
Tracy
allungò appena un braccio per identificarsi, con l’espressione colpevole come
se l’autrice del misfatto fosse proprio lei e fu attraversata dagli occhi di
smeraldo del capitano, quasi prendesse coscienza della sua presenza soltanto in
quel momento. Non molto lusinghiero, ma il suo batticuore non voleva sentire
ragione.
«Okay»
fu tutto quello che il licantropo proferì, inflessibile come sempre, eppure la
barista riuscì ad avvertire una nota impercettibile di scontentezza.
Stiles
lo salutò con il suo ghigno imperiale, i gomiti sul bancone e cinque dita che
sventolavano un ciao ciao mentre la
creatura leggendaria si defilava.
«Come
fai a resistergli?» domandò stupefatta ed incredula Tracy, lasciandosi scappare
un pensiero che aveva sempre avuto in testa da quando li aveva visti interagire
la prima volta meno di un mese prima.
Il
figlio della massima autorità di Beacon Hills la fissò in un primo momento
senza minimamente comprenderla. «Sei convinta non lo trovi attraente?».
In
quell’istante la studentessa di criminologia era ancora più stupita, forse si
era evidentemente persa qualcosa o aveva frainteso. «Non è così?».
Stiles
ridacchiò di cuore, soprattutto per la sua ingenuità. «No. Decisamente non è
così da quando avevo quindici anni, forse anche qualcosa in meno» soprattutto
se lo si vedeva ogni giorno mezzo nudo.
«Quindici-
cosa…» Tracy strabuzzò gli occhi, una nuova cliente entrò per ordinare una
fetta di Red Velvet e una spremuta d’arancia. Si concentrò a servirla per non
perdere il filo del discorso. «Com’è possibile? Pensavo vi foste conosciuti
qui» ma in effetti quello avrebbe spiegato le loro conversazioni, la loro
intesa.
La
cliente si allontanò soddisfatta, occupando uno dei pochi tavolini liberi e
Stiles si dedicò a sparecchiare e pulire la postazione in cui aveva soggiornato
il lupo nero per un’intera ora. «Provenivamo dalla stessa piccola città,
abbiamo frequentato lo stesso liceo».
Tracy
stentava a credere alle sue stesse orecchie, ma perché era così sorpresa? Non
aveva mai davvero indagato, nessuno aveva mai nominato la città dell’amato
capitano della squadra di basket e non si era curata di scoprire cosa
accomunasse davvero quei due. «Vi conoscete da così tanto tempo?».
«Quello
è un parolone» ridimensionò il figlio dello sceriffo. «Entrambi eravamo a
conoscenza dell’esistenza dell’altro, più o meno».
Non
era sicura di seguire il filo del discorso. «Quindi, non stavate insieme
nemmeno allora?».
Stiles
strabuzzò gli occhi e le pupille furono pizzicate. La fissò come se avesse a
che fare con una persona squilibrata. «Figurarsi» gli veniva da ridere al solo
pensiero, soprattutto se in mente aveva il Derek di due o tre anni prima.
«Perché avremmo dovuto?».
Tracy
aveva giusto un paio di argomentazioni in proposito, ma Stiles era troppo sordo
per sentirle o semplicemente ignaro. «È tutto qui? Prima vi ignoravate e adesso
avete un rapporto platonico?» relazione,
avrebbe corretto.
Il
ragazzo soppesò il significato di quell’espressione, la corretta collocazione
che dipingeva un quadro chiaro. «Se è così che vuoi definirlo».
E
in quale altro modo avrebbe dovuto definirlo? «Perché, allora, adesso state
sempre insieme?».
Le
labbra di Stiles si socchiusero, esitarono e le iridi girarono intorno come a
cercare qualcosa, la matassa dei suoi pensieri; Tracy credé di essere stata
troppo invasiva. «Le nostre vite si sono intrecciate» non proseguì e non
aggiunse nient’altro, rimase soltanto il fiato sospeso, quasi a dover essere
completato, ma lei non aveva gli elementi con cui farlo. Lei vedeva soltanto il
modo assoluto in cui Stiles e Derek Hale orbitassero l’uno sull’altro, come la
Terra e la luna. Ma chi era la luna? Se il fatto che Stiles etichettasse
scherzosamente Derek come un lupo acido avesse una qualche valenza, era
indubbio che la matricola fosse la luna per il capitano. «Non sapevo nemmeno
che Derek fosse qui».
Quella
nuova informazione la sorprese, ma aveva senso dopotutto, giusto? Se appena
erano consapevoli l’uno dell’altro, perché avrebbero dovuto conoscere i loro
spostamenti? «Dove credevi che dovesse essere?».
Uno
dei clienti ai tavolini tornò per una nuova dose di caffeina, ordinando anche
dei cookies alle nocciole per la sua compagna di studi che si teneva le mani
tra i capelli per la disperazione e Stiles lo servì impeccabilmente. «Non ne ho
idea, ero contento avesse trovato il modo di andar via» era onesto soltanto in
parte.
«Come
mai?» la studentessa di criminologia fu stuzzicata da quella nozione
disinteressata, le orecchie si fecero più attente. «Situazione difficile in
casa?».
Derek
una casa non l’aveva più. «Non lo sai» lo sguardo era sorpreso e quello in
risposta interrogativo, completamente ignaro. Stiles non l’aveva mai preso in
considerazione vista l’enorme ammirazione che la maggior parte del campus
provava per il nato lupo, ma stava diventato sempre più evidente che nessuno in
quell’ambiente fosse a conoscenza del suo passato. «Forse non è più tra le
principali» ragionò tra sé e sé. I risultati sportivi avevano surclassato tutto
il resto e l’interesse era soltanto superficiale? Stiles era vistosamente
sollevato.
Cos’è
che non sapeva? Cosa non era più tra le principali? Le notizie? I risultati su
internet? Era già pronta ad estendere una nuova domanda, ma il campanello che
annunciava l’arrivo di un nuovo cliente tintinnò e richiese la loro totale
attenzione. Qualche secondo dopo, risuonò nuovamente. «Beh, è innegabile che
qualcuno non vuole affatto un rapporto platonico» lo derise prontamente mentre
Stiles soffocava un’imprecazione alla vista di Heather e Theo una di seguito
all’altro, completamente all’oscuro del ruolo che avevano nella vita dello
studente di criminologia.
Quando
Tracy terminò il turno e ritornò nella sua camera nel dormitorio, fu difficile
togliersi le parole di Stiles dalla testa, quel mistero fitto sulla vita del
capitano.
Con
il telefono digitò le parole Derek Hale,
imbattendosi in un eccessivo numero di risultati. Dovette aggiungere ulteriori
parole chiave, cambiare più volte abbinamenti e decidere alla fine di includere
anche piccola cittadina o piccola città, finché una pagina di
cronaca nera spuntò come primo risultato, seguito da altre testate più piccole,
ribadendo fosse tuttora un caso irrisolto.
Le
venne il magone e le si chiusero le vie aeree quando lesse di un incendio
doloso spaventoso che inghiottì undici vite, tra cui alcuni bambini. A
sopravvivergli soltanto due membri della famiglia, ufficialmente orfani: Laura
e Derek Hale, di venti e quindici anni.
A
sovrintendere le indagini vi era lo sceriffo Noah Stilinski.
Ah, era davvero una
piccola città. Minuscola.
Stiles
era stravaccato malamente sul divano con un libro di difficile interpretazione
in mano, la stella principale del loro sistema solare era tramontata da ore e
le tenebre erano calate inesorabili, insieme al freddo che si intensificava di
giorno in giorno, Derek invece era immerso in una ricerca fondamentale che gli
richiedeva una quantità di tempo significativa, seduto davanti al tavolo, le
dita che scivolavano sulla tastiera del Mac e nell’intero monolocale quel
ticchettio era l’unico suono che albergava tra loro.
«Credi
che dovrei avvisarlo, mio padre?» domandò la matricola con la mente altrove,
evidentemente impossibilitata a concentrarsi sul testo che scorreva da alcuni
minuti senza risultato. «Per Natale».
Derek
si interruppe, sbirciandolo da sopra il portabile aperto. «Manca ancora un
mese».
Tantissimo
tempo, eppure centellinato. L’umano sospirò con frustrazione e sensi di colpa.
«Se
lo informarsi, cosa credi succederebbe?» gli domandò il licantropo con visione
lunga, costringendolo a valutare i vari scenari.
«Verrebbe
a prendermi di peso, esattamente come avrebbe voluto fare fin dal primo giorno
universitario» sarebbe andata esclusivamente in quel modo se Derek non fosse
stato una sorta di peloso e bellissimo angelo custode. Avrebbe anche
significato che non si sarebbero mai rincontrati.
Derek
non aggiunse nulla e Stiles sospirò amareggiato, socchiudendo il libro. «Sto
valutando, vigliaccamente, di aggiornarlo all’ultimo minuto, quando non
esisteranno alternative per risolvere la soluzione».
Il
mannaro digitò qualcosa sui tasti del portatile, il mouse touch che scorreva
tra i documenti di suo interesse. «Se ritieni sia la soluzione migliore».
Lo
stava giudicando? Non ne era sicuro, di certo non gli avrebbe fatto cambiare
idea. «A quel punto avrà chiara la situazione» ispirò grossolanamente, il peso
sul petto che non andava ad attenuarsi. «Tu, invece, che progetti hai?».
«Non
ci ho ancora pensato» disse distaccatamente, annotandosi qualcosa su un tomo
enorme poggiato alla sua destra.
Le
iridi d’ambrosia si posarono sentitamente sul suo interlocutore e il licantropo
non aveva molte scuse per ignorarle. «Stai considerando di rimanere con me?
Perché rimarrei da solo».
Era
un’accusa con della rabbia che faticava a trattenere. «Non ho ancora deciso
niente».
Stiles
si sciolse dalla sua posizione semisdraiata e si portò in quella da seduta.
«Derek, da quanto tempo non vedi Laura?».
«Da
quanto tempo non vedi tuo padre?» gli rigirò con prontezza, il tono eloquente
così com’erano gli occhi verde brillante.
«Touché» il figlio dello sceriffo si strinse
nelle spalle, rimpicciolendosi sotto lo sguardo del lupo. «Ma non devi rimanere
soltanto a causa mia».
«Cambieresti
i tuoi piani in base ai miei?» gli chiede direttamente, le folte sopracciglia
decise.
«No»
non avrebbe avuto alcun senso.
«Allora
non devi temere le mie decisioni» proferì con forza il capitano della squadra
di basket, portando a conclusione la discussione.
Stiles
abbattuto si abbandonò pesantemente sullo schienale del divano, prima di
alzarsi e raggiungere il mutaforma, prendendo una sedia e sistemandosi proprio
davanti a lui, le gambe che toccavano la sua coscia. «Sei sicuro che ti vada
bene restare con me?».
Stiles
non mollava proprio mai, era una lezione che Derek doveva continuamente
imparare. «Quante volte devo ripeterti che non ho preso una decisione in
merito?».
«Ma
l’hai presa, lo sappiamo entrambi» tergiversare non serviva alla causa.
«Quindi, Der, sei certo che rimanere con me sia quello che vuoi?».
«Tu
non sai cosa voglio» era una voce lapidaria, ma morbida, un connubio difficile
da spiegare, ma entrò dentro ogni vertebra dell’umano.
«Già,
è vero» poggiò la testa sconfitto contro la spalla della creatura della notte e
le mani all’altezza dello stomaco presero a tremare, ad enfatizzare le sue
insicurezze e colpe, i tormenti che non gli davano tregua.
Le
dita di Derek con delicatezza lo spostarono nell’incavo della spalla e Stiles
sprofondò completamente nel collo, accarezzandolo con il fiato caldo e
successivamente con le labbra. «Non mi pento mai del tempo che trascorro con
te, Stiles».
Lo
studente di criminologia sorrise contro di lui con pienezza, il cuore che
accelerava a quella devozione piena di affetto di cui Stiles era l’unico a
beneficiare. «Nemmeno io» la bocca scioccò un bacio inavvertibile
sull’epidermide, quasi fantasma, qualcosa che poteva non essere mai esistito e
le falangi del mannaro si intrecciarono alle ciocche castane in risposta.
Prendendo
un respiro pieno, Stiles notò che le mani si erano fermate e che la voragine
aveva smesso di risucchiarlo almeno per quell’occasione. Doveva arrendersi
all’innegabilità che Derek avesse il dono di calmarlo.
Gli
dedicò un sorriso tutto per lui quando si separò dalla nicchia confortevole,
incontrando la profondità sviscerante del suo sguardo, talmente stracolmo di
qualcosa che Stiles non era ancora in grado di interpretare. Quello non
smetteva di avere un effetto corroborante su di sé, soprattutto perché
sembravano estendersi per una quantità temporale infinita.
Ma
poi i suoi occhi furono catturati da qualcosa di bianco e arrotondato che
scendeva giù dalla finestra, seguito da altri batuffoli simili. Si voltò
immediatamente e si alzò dalla sedia per aguzzare la vista, avvicinandosi con
cautela alla piccola vetrata e sporgendosi da sopra il divano a tre posti. «Sta
nevicando» annunciò con tono l’inaspettato, la gioia che sormontava tutta
insieme. «Der, è neve».
Così
come lo esclamò, al pari di un bambino che vedeva realizzarsi il suo più grande
desiderio, Derek lo vide filare via con uno scatto mai visto ed invidiabile,
del tutto opposto alla sua incapacità di coordinazione, indossando saltellando
sul posto le scarpe e fiondandosi oltre la porta, precipitandosi per le scale a
due a due. «Stiles, rallenta» ma con chi parlava? Era un’impresa persa in
partenza.
Lo
trovò al centro del piazzale, al limite del bordo del marciapiede, le braccia
aperte a raccogliere i fiocchi candidi che gli ricadevano addosso e gli
rimanevano impigliati. Attorno a loro la gente reagiva in modi differenzi, chi
proseguiva ignorando il cambiamento con l’ombrello aperto, chi si rifugiava
sotto le tettoie in attesa che la nevicata rallentasse o si arrestasse,
qualcuno si fermava ad ammirarla, ma nessuno era così pieno di meraviglia e
contentezza come Stiles. E nessuno indossava soltanto una felpa che si andava
bagnando ad ogni secondo che trascorreva. «Indossa questi, subito».
Stiles
rise con il cuore pieno di gioia, il fiato che diventava visibile per via delle
temperature che scendevano oltre lo zero grado, permettendo al mannaro di
avvicinarsi per sopperire alle sue sregolatezze. «Sei un’incosciente» lo
riproverò Derek, la voce inflessibile, eppure era ben consapevole quanto
l’umano fosse completamente sordo a quelle ribeccate.
Gli
avvolse intorno al collo la sciarpa rossa, costringendolo ad indossare il
giubbotto, chiudendo la cerniera e bloccandola sotto alla fascia di lana
colorata. Si adoperò ad annodare la sciarpa rigidamente e a scacciare i
confetti bianchi dal volto arrossato di Stiles per via del freddo. Perché si
ritrovava ad avere a che fare con un bambino? «Indossa anche questo» gli ordinò
senza voler sentire ragioni, alzandogli sulla testa il cappuccio contornato da
un bordo di pelliccia finta bianco, nero e grigio. Le gote rosse emergevano
vistosamente in mezzo a quel contorno di blu e l’estensione della candidezza
del manto innevato, in pendant perfetto con il colore della sciarpa di cui
Derek gli aveva fatto dono.
«Dove
l’hai trovato? Pensavo di averlo perso» domandò la matricola con stupore
evidente, toccando alcune punte del pellicciotto che la incorniciava, così come
le giunture dei bottoni che permetteva ai due pezzi di separarsi o unirsi
all’occorrenza. «Non credevo nemmeno di averlo portato in casa tua».
«Sono
soltanto più bravo di te a trovare le cose» la fece semplice il lupo completo,
sistemando meglio il cappuccio sulla testa dell’umano che si arricchiva di
acqua cristallizzata.
«Certo»
sogghignò con la nozione fondamentale dalla sua parte. «Hai questo» con il
polpastrello dell’indice gli premette la punta del naso con il tocco di una
piuma.
«Sei
la volpe più impulsiva e irresponsabile che abbia mai conosciuto» rivelò Derek
qualche secondo dopo, faticando ad accettare che potesse esistere un tale
connubio in una mente sempre attiva e guardinga come quella di Stiles.
Il
figlio dello sceriffo gli scrostò la neve da uno dei sopraccigli neri, le dita
che lo accarezzavano con cura senza essere clementi. «Ne hai conosciute molte?»
lo provocò con accuratezza, le iridi d’ambrosia in quelle di smeraldo.
Derek
resse lo sguardo, ma non rispose né Stiles si aspettava qualcosa di diverso.
«Posso permettermelo se ho l’Alpha migliore del mondo ad occuparsi di me, delle
mie mancanze».
«Non
sono un Alpha, Stiles» scandì meticolosamente, tentando di farglielo entrare in
quella testa diabolica.
«Ah,
sei in errore» lo rabbonì il diciannovenne, una falange che si agitava davanti
i suoi occhi a negare le sue convinzioni sbagliate. «Devi soltanto arrivarci
anche tu, Sourwolf».
«Vuoi
saperne più di me su come mi senta?» gli domandò sprezzante e con una nota di
critica, le sopracciglia inspessite e giudicanti.
«Ovviamente
no» le gote erano più rosse, la pelle diafana sembrava ghiaccio e il fiato si
condensava in una nuvola fumosa che toccava il lupo e fili di pelliccia
sintetica morbida si muovevano ad ogni parola. «Ma non puoi credere davvero che
l’eredità secolare degli Hale, la tua eredità, possa aver commesso un errore
simile. Ha scelto Laura e ha scelto te» le dita gelate carezzarono le ciglia
del mannaro, le punta lambivano l’epidermide sottile della palpebra superiore.
«I tuoi bellissimi occhi sono soltanto un riflesso della tua totalità».
«Questo
è un modo molto elaborato di forzare una persona a far quello che tu vorresti» osservò
il capitano, ignorando volutamente l’attitudine dell’umano di elogiare il
prossimo.
«Ti
senti forzato nel dovermi costantemente inseguire? Come in questo caso» elaborò
Stiles in un moto di interesse, la gestualità che indicava se stesso e quel
giubbotto indossato in una rincorsa, la risposta già contenuta nella domanda.
Era minuziosa e studiata, assestata perfettamente.
Il
mannaro lo scrutò vigile, in sospensione. «No».
«Vedi?»
le labbra dello studente di criminologia si distesero in un sorriso composto di
soli denti, la vittoria in tasca. «Non puoi farne a meno».
Derek
sospirò internamente esaurito, la testa che scattava verso l’alto alla ricerca
di un nuovo respiro da prendere; vincere contro la curva machiavellica della
bocca di Stiles era un’impresa titanica che portava alla disfatta. «Vedo
soltanto una volpe molto scaltra» ispirando profondamente, la neve gli cadeva
addosso, ma con dolcezza si scioglieva appena entrava a contatto con lui, ad
evidenziare la differenza netta della sua temperatura corporea rispetto a tutti
quelli che li circondavano.
Di
sottecchi osservò la matricola mentre tra le falangi sottili e lunghe, che
l’avevano toccato pocanzi, si lasciava scivolare i batuffoli di acqua
solidificata; li sfiorava con i dorsi e giocava con loro, permettendo a
qualcuno di depositarsi sul palmo aperto, studiandoli con vivo interesse. «Non
ho mai visto la neve» proferì Stiles, come se in qualche modo sapesse di dover
dare delle spiegazioni per il suo entusiasmo fanciullesco. «Non quella reale»
sbirciò nella direzione di Derek attendendo qualche domanda, ma lui parlava con
l’espressione facciale e con il silenzio, aspettando che fosse lo studente di
criminologia a riempirlo. «Non so perché, il Nogitsune me la mostrò. Ma non
aveva alcun senso, non ha mai nevicato a Beacon Hills» poi tacque e il dubbio
che lo tormentava si palesò completamente. «È reale?».
«Supponi
non lo sia?» chiese il lupo completo con moderazione, gli occhi vigili.
«Perché?».
Stiles
lo guardò smarrito e un fiocco si sciolse sul monte di Venere. «Non l’ho mai
vista, non saprei riconoscere le differenze. Non sono capace neanche con ciò
che conosco» ammetterlo gli risuonava come una continua sconfitta. «A volte,
non so nemmeno se tu sia reale, se è tutto soltanto nella mia testa».
Derek
era frastornato dalla rivelazione di Stiles, dal panico che udiva nel
sottofondo della sua voce. «Io? Per quale ragione dovrei esserlo?».
Stiles
esitò, un nodo di saliva venne ingoiato, gli occhi saettarono da una parte
quasi a trovare coraggio o a sottrarsi completamente dal confessare la sua
verità. «Perché sei la cosa migliore che mi sia capitata negli ultimi anni».
Derek
trattenne il fiato, la sincerità di Stiles lo spiazzò. C’era anche un sorriso
triste a sporcargli la bocca e non era difficile comprendere per quale ragione.
«Credevo ti fidassi di me».
«È
così» le dita si tormentarono tra loro, il disagio e l’affanno sormontarono.
«Sono terrorizzato da quanto mi fidi di te, Derek. Ma se poi scoprissi che non
c’è nulla di vero? Che la mia testa sta nuovamente giocando con me? Per me è
così difficile capire cosa sia reale e cosa non lo sia».
«Non
sono nella tua testa» le mani di Derek gli circondarono il viso ghiacciato e
Stiles venne avvolto immediatamente dal suo calore, da come fluisse in lui
completamente, risollevandogli ogni osso. «Puoi sentirmi. Puoi toccarmi. Puoi
parlarmi. Sono reale».
Stiles
tremò vistosamente sotto il suo tocco, le iridi di miele si inumidirono e le
labbra tormentate dai denti che schiacciavano e si conficcavano nelle
pellicine. «Stiles, riesci a sentirmi?» gli domandò il lupo, il pollice che
asciugava le lacrime dalle ciglia chiare e la fronte poggiata contro la sua,
completamente a contatto.
Era
circondato, accerchiato da tutto quel calore corporeo che si insinuava sotto la
pelle, divenendo anche il suo. Da tutta l’essenza di Derek, onesta e dedita a
quella povera piccola volpe infreddolita ed impaurita quale era. Perché, perché
riusciva a vederlo soltanto Derek? «Sì» proferì senza voce, le corde vocali che
graffiavano, i suoni gracchianti che riproduceva.
Il
lupo lo avvicinò maggiormente a sé e se il suo intento era quello di
inglobarlo, Stiles non si sarebbe opposto. «Se hai bisogno di altre prove, di
altri fatti, li testeremo tutti, finché non sarai sicuro».
Stiles
voleva piangere, versare tutte le sue lacrime che si sarebbero condensate in
stille salate, sfogare tutto il malessere che si sovrapponeva strato dopo
strato dentro di sé, soffocandolo e che soltanto la cura e l’attenzione di
Derek riuscivano a scavare, creando un passaggio che gli permettesse di
respirare giorno dopo giorno. «Sì».
Il
capitano si allontanò appena, la distanza necessaria che gli permettesse di
poterlo guardare meglio nelle gemme caramellate appannate che non lo
focalizzavano perfettamente. Gli depositò un bacio caldo su un occhio che si
socchiuse al contatto ed un altro al centro della fronte. L’ultimo fu
schioccato sulla punta del naso rosso che scatenò ilarità in Stiles,
provocandogli una risatina divertita, sollevata e alleggerita.
Ricambiò
strusciando il naso contro il suo, sorridendogli con affettuoso diletto. «Der,
dovresti farmi un favore» gli disse con sottofondo diabolico, le iridi del
nettare degli dei che splendevano mentre si cancellava la patina di acqua
salata, separandosi dalle sue mani. «Indossa un cappotto. Congelo soltanto
guardandoti».
Tutta
la serietà di frazioni di secondi antecedenti era evaporata e Derek roteò gli
occhi esasperato da quanto riuscisse a metterlo sotto scacco continuamente,
anche nei suoi momenti di difficoltà. «Stai congelando perché hai tutti i
vestiti bagnati, sconsiderato come sei».
Il
figlio dello sceriffo scosse il capo con dissenso, a sottolineare che in torto
fosse proprio lui. «Sono sicuro sia anche colpa tua» ammiccò spudoratamente,
tornando la splendente e pericolosa volpe dal manto infuocato. «So che ami
questa giacca di pelle, sei incredibilmente sexy, ma forse dovresti essere più
discreto. Qualcuno potrebbe farsi sorgere qualche domanda vedendoti con solo
questa addosso per tutto l’inverno».
«Vivo
qui da due anni, Stiles. Se avessi destato dei sospetti, sarebbe piuttosto
inutile» e se ne sarebbe accorto. Non che a Derek importasse molto del parere
delle persone.
Sul
viso della matricola si dipinse quella curva affascinante che aveva un certo
effetto su chi lo guardava. «Avanti, fallo per me. Integriamoci nel mondo
reale».
«Cosa
non faccio per te» era una domanda retorica sospirata e anche esausta da
quell’uragano infiammato che lo trascinava a fondo con sé. «Vuoi restare ancora
qui?» gli chiese dopo averlo osservato per un po’ interagire ancora con la neve
che non smetteva di cadere dal cielo notturno. Stiles rispose con un chiaro
punto interrogativo sorpreso. «Per conoscerla».
Gli
occhi ambrati brillarono e la riconoscenza si espanse in ogni cellula. «Sì,
grazie».
Derek
si limitò ad annuire. «Resta qui» gli disse distrattamente, prima di sparire ed
entrare in uno dei negozi sulla strada.
Stiles
sbatté le palpebre varie volte, batuffoli impigliati davanti alla sua visuale.
Con cautela piroettò su se stesso, allargando le braccia e circondandosi, come
se stesse abbracciando la neve stessa. Rise con spensieratezza, anche se non
avvertiva più alcuna falange, completamente anestetizzate dal gelo.
«Tieni»
gli offrì la creatura della notte quindici minuti dopo, richiamando la sua
attenzione e costringendolo a voltarsi.
Derek
aveva un bicchiere di carta extralarge per ogni mano, il logo verde di
Starbucks che spiccava sul rivestimento bianco che non permetteva di scorgere
il contenuto. Non riuscì ad entrarne a conoscenza nemmeno quando gliene
depositò uno tra le dita, riscaldandole immediatamente, per via del tappo. «Sei
andato dalla concorrenza» lo ribeccò sarcasticamente, ma gli era segretamente
grato. «Potrei esserne infelicemente triste. E anche indignato».
«Vacci
piano, scotta» lo ignorò il mannaro per niente scalfito, senza dimenticarsi di
riprenderlo ed avvisarlo con il tono borioso che lo contraddistingueva.
Stiles
innalzò le sopracciglia con sfida, la curva arricciata sulle labbra della volpe
giocherellona. Tuttavia ci andò cauto, prese un piccolo sorso dalla cannuccia
in cartone e fu investito da un calore piacevole che gli scivolò in gola e in
ogni muscolo bisognoso, riscaldando ossa dopo ossa. Sulla lingua vi era
impresso il sapore zuccheroso della cioccolata al latte abbinata al caramello
dolce. Scostando con un accenno il coperchio, vi vide dei piccoli marshmallow
gialli e azzurri che galleggiavano colorati, infondendogli il buonumore.
Se
non ci avesse già pensato il cioccolato, quella delicata premura da parte del
lupo più scorbutico mai esistito avrebbe sciolto completamente la lastra di
ghiaccio che avvolgeva il suo cuore ed i polmoni. Che fosse una cosa voluta o
meno, Stiles dubitava che su quel pianeta ci fosse qualcuno che lo viziasse più
di Derek Hale. Che ci mettesse un tale impegno che non desse mai l’impressione
che fosse qualcosa di studiato a tavolino o estremamente complicato, ma la
semplicità più pura.
«Meglio?»
domandò la creatura leggendaria al secondo sorso di entrambi, più lungo e
goduto, una estemporanea del paradiso in quella nevicata da cui tutti
rifuggivano, ma di cui loro si beavano.
«Grazie»
si chiese se la cioccolata calda del suo restio meraviglioso Alpha fosse
fondente, miscelato all’adorato caramello salato. «È perfetto» tu sei
perfetto.
«Don't-don't it feel so good right now?» cantò Stiles
a mezza voce, un sorriso morbido tra le labbra mentre assaporava il calore
della bevanda, guardando da sotto le ciglia il lupo nero che, circospetto, non
gli toglieva gli occhi perforanti di dosso.
Un
fiocco di neve birichino e silente si insinuò sotto il tappo sollevato,
depositandosi in mezzo ai piccoli cilindri di zucchero azzurri e gialli,
dissolvendosi senza essere notato.
Feels
so good di Bryn Christopher e Shane Codd è la canzone spesso
cantata da Stiles e che probabilmente incontreremo diverse volte tra questi
capitoli.
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La
mia riproduzione casuale di Spotify senza vincoli l’ha trovata per me mentre
scrivevo i primi capitoli e da lì si è addentrata nella storia, divenendone
parte. Cercavo una canzone che potesse incanalare ciò che ricercavo e alla fine
è stata lei a trovare me.
Siamo
soltanto a metà storia, questi due complicati ragazzi hanno ancora tanto da raccontarci.
A
mercoledì,
Antys