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Autore: Antys    24/04/2024    0 recensioni
Non gli piacevano le emozioni negative che l’invadevano ad ogni aneddoto del suo passato che condivideva con quella cerchia pittoresca, accrescendo il malessere che tentava di seppellire dentro di sé. Ti prego, anche per stanotte dammi tregua.
[…]
L’aveva registrato con ritardo, come il licantropo l’avesse toccato con totale naturalezza e senza essere attraversato dal minino dubbio per calmare la sua crisi di panico. La temperatura corporea si era insinuata sottopelle, carezzandolo, ed era stata una sensazione così familiare a cui abbandonarsi e lascarsi vezzeggiare da risultargli totalmente anomala per la semplice ragione che Derek Hale non l’avesse mai toccato in vita sua.
[…]
Derek non era in grado di capire quale fosse il problema. «Stiles».
Ma era inutile chiamarlo, il figlio dello sceriffo era completamente sordo alla sua voce, probabilmente a tutte. «Sta arrivando».
Derek si guardò intorno, una mano sul braccio di Stiles ad arrestare la sua avanzata, a cercare ed individuare se una minaccia si stesse avvicinando, ma non sentiva nulla, c’era soltanto il totale silenzio e la brezza congelata che smuoveva le foglie degli alberi. «Non sta arrivando nessuno».
Genere: Angst, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing | Personaggi: Derek Hale, Derek/Stiles, Stiles Stilinski, Theo Raeken, Tracy Stewart
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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11° Capitolo

 

Heather quel pomeriggio lo osservava con dubbio, quasi incerta di cosa pensasse realmente e con l’evidenza che volesse chiedere qualcosa, oltre alla comanda che Stiles eseguì alla perfezione. Era il settimo giorno dalla prima volta che l’aveva servita e avevano flirtato in ogni occasione presentata. «Il ragazzo che viene sempre qui… state insieme?».

Alla fine il quesito fu posto e Stiles avrebbe avuto il malsano istinto di chiedere a quale ragazzo si riferisse, benché fosse ormai chiaro. «Affatto. Non c’è niente tra noi».

La bionda sospirò rassicurata, l’indecisione che evaporava. In fondo il figlio dello sceriffo poteva capire che un numero discreto di persone avessero bisogno di sapere di non intromettersi in relazioni avviate, a prescindere da che scopo si volesse raggiungere. «Sono libero stasera, se ti interessa» la informò con perizia, la proposta sottintesa di un proseguimento piuttosto interessante, dedito alla scoperta reciproca e al piacere.

Heather lo guardò intensamente per qualche attimo, a decriptare correttamente il suo messaggio e rispondendo con un sorriso affilato.

Quella sera Stiles fu costretto a inviare un messaggio a Derek, per informarlo di un ritardo prolungato e di posticipare la loro videochiamata notturna.

«Ho un ricordo chiaro in testa» disse Stiles con indosso il pigiama con le volpi del mannaro, rotolandosi sul materasso e stringendo sotto al mento il proprio cuscino. «Di te».

Il capitano stava sistemando il suo borsone sportivo per la giornata successiva, la partita prevista ad un orario proibitivo, per permettere alla squadra ospite di ritornare in giornata al Michigan State University. «Cominciano ad essere un po’ troppi».

Il licantropo come di consueto era a torso nudo, muovendosi per la camera singola di cui generalmente pagava la differenza di tasca propria, non volendo condividerla con nessuno. A volte si chiedeva se avesse cominciato a pretenderla da quando era entrato nella sua vita, dovendogli dedicare anche quelle ore notturne distanti e senza provocare fastidi allo sfortunato con cui avrebbe potuto coabitare. «Ti ripeto quella cosa in cui non sono entrato a conoscenza di te a quindici anni?».

Derek brontolò come se non avesse nessuna importanza. «Sentiamo» si sistemò sul materasso, poggiando la schiena alla testata imbottita del letto, che Stiles non trovava particolarmente igienica, ma ad un lupo mannaro come lui cosa poteva importare, anche se era estremamente facoltoso.

Lo studente del primo anno vedeva il pettorale scolpito del mutaforma anche a stati di distanza, attraverso una microtelecamera presente nei loro smartphone; i muscoli che si flettevano ad ogni suo movimento. Era sconveniente quanto Stiles riuscisse ad essere costantemente in uno stato di bollore quando si trattava di Derek persino attraverso una qualità dubbia, anche dopo aver appena scaricato le sue voglie sulla partner designata in quell’occasione. «L’incontro nel bosco, subito dopo che Scott è stato morso e noi cercavano delle risposte per capirci qualcosa».

«Io ricordo tu avessi capito perfettamente cosa fosse successo» lo interruppe il licantropo incisivo, raccontando una storia diversa. «Era Scott a non aver compreso nulla, a non crederci nemmeno».

«Credo che la sua incredulità fosse una reazione più normale della mia» con una mente diversa dalla sua, Stiles poteva comprendere le perplessità del suo migliore amico.

«Certo, ma era lui ad aver ottenuto il morso, tu non eri nemmeno lì» sottolineando l’assurdità di come gli eventi si fossero sviluppati, di come qualcuno di completamente esterno e non coinvolto avesse più risposte del diretto interessato. «Per te l’impossibile è possibile».

«Non sarebbe stato male se per una volta mi fossi sbagliato» si sarebbero risparmiati molte difficoltà e tragedie.

Derek si ammutolì, il silenzio era tutto ciò che era rimasto udibile. «Continua con il tuo ricordo, Stiles».

«Beh, ecco…» ora era in difficoltà, percepiva della contrarietà da parte della creatura della notte e sotto sotto si sentiva alquanto sciocco a tirare fuori quella storia. «Il primo ad essersi accorto di noi, a trovarci, sei stato tu. Subito dopo hai condotto Laura da noi» molto strano per qualcuno che non ne voleva proprio sapere di loro, che per tutta la durata di quell’anno si fosse tenuto ai margini, senza voler interagire se non costretto. «È curioso».

Derek lo guardò in modo anomalo, quasi avesse sopravvalutato la sua intelligenza. «Non ho trovato voi. Ho trovato te» specificò a scandirlo, le parole che si stampavano nel cervello di Stiles. «Ti ho già detto di conoscere il tuo odore».

«Sì» che diavolo significava? «Lo conoscevi già allora?» il lupo ispessì le sopracciglia a giudicarlo malamente. «Mi correggo: sapevi già distinguerlo? Credevo avessi seguito l’odore di un lupo nuovo che non conoscevi e invadeva la tua proprietà privata».

«Eri un po’ difficile da ignorare quando ti ostinavi a seguire i nostri allenamenti, a fare tutto quel baccano con i tuoi schiamazzi festosi» Stiles arrossì, perché sapeva essere vero. Non si era mai controllato quando Derek era in campo a mostrare le sue tecniche perfette, anche semplicemente durante un allenamento di riscaldamento. Era sempre meglio che tornare in una casa deserta e nessuno l’aveva mai esortato ad andarsene ‒ abituarvi al pubblico può solo farvi bene, li spronava il coach. «E sì, sentivo il suo odore, ma era troppo flebile. Il tuo, invece, era estremamente distinguibile».

Felice di essere servito alla causa. «Grazie, avremmo continuato a brancolare nel buio».

«Non credo» dissentì il playmaker, con una visione totalmente diversa. «Saresti riuscito a ottenere le tue risposte da solo e hai un modo tutto tuo di trovare dei metodi funzionanti. Ve la stareste cavati».

Come poteva non essersi mai accorto che Derek provasse una tale stima nei suoi confronti? «Non sono comunque curioso di scoprirlo».

«Strano, per una volpe in cerca di pericoli come te» Derek rilasciò una piccola risata indistinguibile e Stiles avrebbe voluto trovare altri modi per scatenargliela più di frequente.

«Don't-don't it feel so good right now?» intonò lo studente di criminologia a voce soffusa qualche tempo dopo, il viso quasi del tutto premuto sul cuscino e gli occhi leggermente socchiusi. Si muoveva a tempo con lentezza, balbettando il don’t e soffermandosi scandendo sul right now, come Derek immagina richiedesse la canzone.

«La canti spesso» osservò il mannaro mentre andava avanti con qualche altro verso, la stanchezza evidente che incombeva su Stiles.

«Davvero? Non ci ho fatto caso» sbadigliò a bocca aperta sulla stoffa, il viso che si spalmava meglio a cercare morbidezza. «Quando una canzone ti entra in testa è difficile scacciarla via» abbozzò un’occhiata verso lo schermo del telefono, il filo del caricabatteria già collegato. «L’hai mai ascoltata?».

«Soltanto cantata da te» confessò la creatura della notte. Ne disconosceva perfino il titolo.

Stiles ridacchiò tra un misto di imbarazzo e allegria. «Non la migliore esperienza».

«Non mi lamento» di voci gracchianti ne era stato pieno nella vita, il suo udito spesso si spingeva troppo in là. «Hai un bel timbro».

La matricola rise nuovamente e fu avvolta dal calore, anche senza che Derek fosse lì in carne ossa ad emanarlo. «Stai flirtando con me?».

Derek lo guardò senza un’inclinazione particolare, la perenne espressione controllata che non lasciava trasparire nulla. «Ti do questa impressione?».

«Qualche volta» ammise senza esitazione, il riverbero lontano di una risata lieta e addolcita.

«Addirittura qualche volta» il mutaforma scacciò quell’assurdità con un unico gesto del capo, eppure era sempre statuario e impeccabile, come se qualsiasi cosa Stiles gli dicesse non potesse piegarlo e allo stesso tempo non si risparmiava di giocare con la piccola volpe al di là dello schermo.

«Sì» se Derek fosse stato lì, l’avrebbe toccato, sarebbero stati talmente vicini da rendere difficoltoso trovare la fine di uno e l’inizio dell’altro. Fronte contro fronte, i respiri che si miscelavano in uno solo e forse il lupo completo gli avrebbe schioccato un bacio in un angolo del suo viso ‒ benché accadesse principalmente quando voleva consolarlo, confortarlo o fargli sentire che era con lui.

Arrancava davanti alla sua assenza, gli mancava come non credeva immaginabile, senza una valida ragione.

«Com’è andata la tua serata?» gli chiese invece Derek, andando avanti come se non avessero parlato di niente.

Stiles mugugnò contrariato, affondando il viso sul cuscino per nascondersi alla sua vista con scarsi risultati. Non gli dispiaceva che Derek fosse diventato nei suoi confronti umanamente accettabile, le domande di rito di una conversazione quotidiana, ma era consapevole che il playmaker sapesse esattamente come avesse trascorso quella sera. «Bene» non aveva nulla di cui lamentarsi, ma non voleva nemmeno sbilanciarsi, raccontare il modo in cui si fosse intrattenuto con la sua partner d’occasione.

«Da ripetersi?» provò il mannaro, seguendo l’onda di piacevolezza che era evidente Stiles avesse incontrato.

«Conosci la risposta» perché chiederglielo quando era stato piuttosto chiaro. Sembrava che a nessuno volesse entrare in testa. «Anche se fosse stata la mia migliore esperienza, non permetterei che succedesse».

«Con qualcuno vorresti» Derek lo disse senza girarsi attorno, gli occhi fermi e troppo pieni di lui, conoscitore dei suoi segreti inespressi.

Ah, perché doveva essere così cosciente di cosa vivesse in Stiles? Lo mandava ai matti. «Forse» non bastava che Theo avesse colto la sua incertezza, per Derek, al contrario, non esisteva. «Comunque sia, non era un lui» non vi era motivo per cui dovesse essere così specifico, ma voleva evitare che ci fossero dubbi sulla sua irremovibilità di riconcedersi alla stessa persona.

Il licantropo non si pronunciò e il figlio dello sceriffo non sapeva se fosse il caso di interrompere lì la conversazione. «Chi proteggi in questo modo? Loro o te stesso?» era evidente che, invece, Derek avesse molto da dire; molto insolito rispetto al vecchio Derek. Ma tutto lo era in confronto, probabilmente perché non gli aveva mai permesso di avvicinarsi, interagire e conoscerlo.

«Potrei rigirarti la domanda» l’umano non ritirava mai gli artigli, se doveva colpire, colpiva, a prescindere quanto affetto e gratitudine provasse per quel bellissimo lupo scorbutico.

La creatura della notte lo fulminò con quelle incredibili iridi verdi, riuscivano a spiccare in tutto il loro splendore anche attraverso una microscopica telecamera in un ambiente in penombra; la matricola non riusciva proprio a digerire l’ingiustizia. 

«È vero, non voglio che le persone si avvicinino troppo. Non voglio che nascano situazioni complicate perché vengo frainteso o non diano peso alle mie parole, archiviandole come sciocchezze dette tanto per essere dette e mettere le mani avanti» in parte lo erano, lui era chiaro fin dal principio perché odiava le scenate, ma con qualcuno non sembrava bastare mai. «Non ho detto nemmeno che rinnego l’amore o che non possa succedere di innamorarmi in qualsiasi momento, semplicemente non voglio creare di mia iniziativa un terreno in cui possa germogliare finché non sarò in grado di badare anche un minimo a me stesso».

«Questo è qualcosa che dovrebbe decidere la seconda persona coinvolta» disse inaspettatamente il lupo mannaro, la voce profonda e penetrante che gli affondava nei timpani.

«Che cosa?» gli occhi ambrati erano attivi e circospetti, spalancati per lo stimolo della sorpresa scioccante. «Di prendermi così come sono adesso?».

«Anche» acconsentì all’ipotetica possibilità il capitano della squadra di basket, il cellulare che cambiava inquadratura per la nuova posizione in cui si era sistemato, distendendo i muscoli addormentati. «Adesso o dopo».

Stiles era un po’ confuso, credeva di aver perso il nocciolo della questione o che l’avessero persa entrambi. «Non mi chiuderò a riccio se avverrà un colpo di fulmine, se è questo che ti preoccupa».

«Forse no, ma comunque non ti sentiresti adeguato, giusto» la verità che Derek rivelò a parole lasciò svuotato lo studente di criminologia di ogni particella d’ossigeno.

«Avrei torto in quel caso?» Derek non poteva proprio rimproverarlo per quello. «Quante persone potrebbero accettare la mia storia? Imbarcarsi con le mie attuali difficoltà?» Stiles in realtà non si era mai soffermato su quell’aspetto, era troppo concentrato su se stesso per desiderare di far affondare qualcun altro con sé, rimuginarsi su e fantasticarci. Aveva cercato di avere una relazione quando era completamente a pezzi e non aveva minimamente funzionato, ma nella via appena accennata per la guarigione come sarebbe andata? «C’è un solo nome nella mia lista» cazzo, non avrebbe mai dovuto farselo sfuggire.

C’era un silenzio millenario intorno a loro, l’aria era immobile in modo anomalo perfino all’interno di un appartamento. Era impressionante quanto fosse bravo a scavarsi la fossa da solo anche quando la persona interessata non era nemmeno nella stessa stanza. In quel caso specifico, nemmeno nel medesimo stato.

«Chi sta flirtando, adesso?» lo stuzzicò bonariamente la creatura leggendaria, spezzando la tensione che si stava radicando dentro l’essere umano.

Stiles soffiò come un gatto offeso, indispettito e colto alla sprovvista. «Non voglio parlarti più» si girò dall’altro lato per sfuggire al suo sguardo vigilante, accompagnato dall’ennesimo sbadiglio che gli scappò a sottolineare quanto non riuscisse più a stare sveglio ed a connettere il cervello con pensieri fluidi e comprendibili.

Derek rilasciò una risata più morbida e prolungata rispetto a quelle passate, trattenendola di meno. «Stiles, non sto dicendo che stai agendo nel modo sbagliato. È giusto che ti muovi nel modo in cui ritieni più opportuno e anche di essere attualmente disinteressato a qualsiasi tipo di relazione che vada oltre il colloquiale, ma non c’è bisogno che tu sia così severo. Se vuoi rivedere qualcuno, fallo».

Con il volto nuovamente diretto verso la fotocamera, il naso di Stiles si arricciò a dissentire la sua visione, per niente persuaso a voler agire diversamente e scatenando un’altra singola e secca risata nel mutaforma. «Buonanotte, Sourwolf» voleva soltanto rivedere Derek, in tutta la sua presenza materialistica, non attraverso un freddo schermo senza che potesse avvertire il radiare della sua temperatura corporea incredibilmente alta o il suo odore selvatico e completamente connesso alla natura che avevano il dono di farlo sentire totalmente al sicuro.

Sfiorò appena, distante da sé, il cuscino di Derek con le punta delle dita, sprigionando la sua fragranza e Stiles sospirò di contentezza, ispirandola tutta, anche se era un rachitico contentino. «Buonanotte, Stiles» proferì il lupo nero con tutto il calore che poteva trasmettergli da quella distanza insormontabile.

 

Lo sfregare della padella lo svegliò, lo sfrigolare dolce e delicato, appena accennato, insieme al profumo delizioso che gli riempiva le narici ad annunciargli un lieto ben svegliato e un pronostico migliore per iniziare la giornata universitaria.

Dalla finestra proveniva luce aranciata per via della tenda che Derek aveva scelto, propagando quel calore in tutto l’ambiente circostante, impedendo ai raggi solari di invaderlo completamente e attutendo il suo potere, ma quel giorno Stiles notò che era del tutto inutile quella premura, come nei giorni passati, il mal tempo regnava sovrano, le nuvole difficilmente si dissolvevano e si chiedeva se stava finalmente arrivando il tempo della prima nevicata.

Mettendosi in posizione da seduto, la schiena contro i cuscini, gli occhi ancora appannati e sporchi di sonno, non poté non notare quanto effettivamente fosse calda la casa del mannaro, tutti quei rossi e aranci, singoli o miscelati insieme, irradiavano appartenenza ovunque posasse lo sguardo, un abbraccio continuo, totalmente opposto alla freddezza della sua camera nel bilocale a Beacon Hills e nemmeno Laura a quel tempo si era dedicata molto a renderlo accogliente più del necessario.

Era qualcosa di stupefacente, Stiles l’aveva notato con tempi di ritardo, così sopraffatto dalla realtà di quanto avesse bisogno che qualcuno si occupasse di lui quando era un continuo pericolo per se stesso. Non gli aveva dato alcun merito, ma Stiles non si era mai sentito fuori posto o al gelo, quel monolocale lo chiamava, lo voleva al suo interno, esattamente come Derek esponeva silenziosamente di volerlo con sé. Era tutto così diverso.

«Sta diventando difficile» dichiarò l’umano quando lo raggiunse, i calzini antiscivolo ai piedi e con le braccia che avvolgevano il torace nudo del licantropo, aderendo alla schiena, la pelle contro la sua guancia premuta. Voleva goderselo il più a lungo possibile, prorogare quel legame indissolubilmente. Se Stiles aveva sviluppato una sorta di dipendenza, quella era senz’altro la necessità di godere del calore di Derek.

«Cosa?» Derek si destreggiava con i fornelli, una piccola pila di pancake fumanti che si andavano ad impilare ad ogni gioco di padella, la tavola era già apparecchiata e lo sciroppo d’acero in bella vista.

«Te l’ho detto, sto diventando egoista» appoggiò le labbra sull’epidermide, ad un soffio dalla spirale superiore della triscele tatuata, accarezzandola con il fiato bollente. «Tutte queste notti senza di te» il mutaforma era rientrato quando Stiles stava già dormendo e non si era accorto del suo ritorno, non si era minimamente svegliato. Cosa sarebbe accaduto quando Derek si sarebbe trattenuto più giorni lontano dal campus? Fu irrefrenabile il gesto di scoccargli un bacio sulla pelle inchiostrata di nero.

Derek non tremò in quell’occasione, ma rimase immobile come una statua, togliendo il nuovo dischetto di farina dal fuoco e aggiungendo del nuovo impasto sulla fiamma. «Cosa vuoi che faccia? Che inizi a perdere?» si girò nel suo abbraccio e lo fronteggiò apertamente.

Stiles lo adocchiò in un primo momento, prima di muovere una mano verso una confezione di cioccolato vicino al piano cottura, cospargendo l’impasto del pancake con alcune gocce sul lato ancora crudo, venendo assemblate con cura. «No, ovvio che no. Non ti chiederei mai una cosa simile, non la chiederei mai a nessuno» non era così egoista. Non era giusto nei confronti di Derek né per i suoi compagni di squadra. Anche se ci avesse pensato, anche se fosse stato tentato, Derek era troppo onesto. «Mi sto soltanto lamentando. Posso lamentarmi e basta?».

«E per questo che mi hai abbracciato tutta la notte?» domandò con leggero scherno il capitano, un angolo della bocca arricciato verso l’alto. «Ti stavi lamentando?».

Il capo dello studente di criminologia fece uno scatto improvviso e le iridi d’ambrosia si espansero. Che cosa stava farneticando? «Non so cosa faccio la notte» il nocciolo della questione non era proprio quello? Se si trovavano in quella situazione era proprio perché Stiles non aveva la minima idea di come si comportasse mentre era in visita nel regno di Morfeo.

«A-ah, certo» gli diede il contentino il padrone di casa, sbrigandosi a voltare la frittella e lasciare che si cuocesse dall’altro lato per qualche attimo, prima di provvedere a crearne una nuova. «Puoi lamentarti, Stiles» proferì francamente, dandogli tutta la sua totale attenzione, prendendogli il viso in una mano. «Ma le ultime volte sono andate meglio».

Non si era più ritrovato Erica sul divano e questo era quanto dire, ma soltanto perché un paio di volte si erano rivelate fortuite, non voleva dire che i suoi problemi stessero scemando. «Questo lo dici tu, io non ne ho idea».

Lo sospirò esausto sulle labbra del lupo completo e quest’ultimo gli lambì il setto nasale con la punta del suo. «È così».

Stiles lo assaporò pienamente, le palpebre socchiuse appena. «Davvero ti ho abbracciato?» era una cosa così insolita, insospettata. Normalmente era Derek a farlo, per quanto di normale non ci fosse proprio nulla, ma ormai era quella la loro quotidianità.

«Sì» confermò con tranquillità lo studente del terzo anno, osservando il cruccio perplesso della volpe destabilizzata.

Stiles, pensieroso, terminò di cucinare il pancake, sporgendosi dietro il licantropo e guardandolo successivamente mentre gli porgeva un piatto in cui era stata sistemata la sua porzione. «Forse non voglio condividerti con nessuno» sopraggiunse meditativo, dirigendosi verso la tavola e sedendosi sulla sedia che gli permetteva di guardare all’esterno. «O forse mi manchi più di quanto immagino».

Derek dietro di lui era in assoluto silenzio ed immobile, quasi Stiles fosse da solo per l’intero monolocale, esattamente come quando il mannaro era in viaggio con la squadra di basket; non era un bel pensiero, ne risentiva parecchio quando accadeva e lo costrinse a girarsi verso di lui, ma Derek si era sistemato nel posto davanti al suo, ottenendo una visuale in controluce che non gli permetteva di delineare correttamente i lineamenti del suo volto. «Sono una tua certezza, è normale».

Non era sicuro che fosse semplicemente quello. «­Attualmente, sei l’unica. O quantomeno, sei ciò che gli si avvicina di più».

Derek lo fissò con un punto interrogativo, ma non si prodigò a formulare una domanda in proposito. «Anch’io sento la tua mancanza».

Improvvisamente il figlio dello sceriffo credé di essere diventato improvvisamente sordo. «Cavolo, vorrei tanto incontrare il Derek di due anni fa e sbatterglielo in faccia».

Derek quasi non si strozzò con il suo caffè bollente. «Ti avrei già divorato vivo».

Stiles sbuffò profondamente offeso e si riempì con un’enorme forchettata della sua pila di pancake. «Già, a volte sei pronto a farlo anche adesso».

«Allora non dovresti provocarmi» gli fece ben notare, sottolineando l’ovvietà.

«Sourwolf, non sarebbe divertente» Stiles ammiccò impudente del pericolo e Derek era rassegnato, scuotendo il capo e limitandosi a concludere la colazione; con l’umano nessuno poteva mai avere l’ultima parola.

 

«Merda» esclamò lo studente di criminologia in un angolo lontano dal bancone, agitando lo smartphone azzurro che aveva visto giorni migliori e pasticciando con la tastiera touch senza ottenere risultati, ma aggravando la situazione.

«Che succede?» gli chiese Tracy mentre sistemava alcune tazze appena uscite dalla lavapiatti, ancora calde. Quella imprecazione attirò anche l’attenzione del loro cliente più fedele.

Stiles provò a chiudere tutto, ripristinare le applicazioni aperte insieme al motore di ricerca, ma proprio non ne volevano sapere, gli stavano rendendo la vita impossibile. «Non riesco a prenotarmi» sospirò sconfitto, gettando il telefono sulla lastra di legno e necessario di prendere una boccata d’aria per calmarsi. Dopo un respiro o due, gli occhi gli caddero sugli strumenti su cui quel giorno il suo cliente preferito stava utilizzato per studiare, seduto come da prassi su uno degli sgabelli del bancone, nella parte più estrema in cui difficilmente avrebbero potuto disturbarlo, a meno che non si presentasse negli orari di punta; in quei casi si appropriava di un tavolino. «Der, mi presti il tuo iPad?» gli domandò con occhi supplicanti, il labbro inferiore che tremava e la disperazione mista a speranza che prevaricavano. «Devo riuscire a iscrivermi ad un nuovo corso e prenotarmi per una consulenza con un professore».

«Un altro corso?» gli fece eco la creatura della notte, aggrottando le sopracciglia, ma per nulla sorpresa. «Ti ricordi di essere soltanto una matricola da appena tre mesi?» anche se aveva delle riserve, gli passò comunque ciò che aveva richiesto.

Stiles gli regalò il suo sorriso più luminoso e stracolmo di gratitudine, afferrando con cautela la tavoletta elettronica e mettendo in sospensione l’app di lettura che Derek stava utilizzando per mettersi in pari con i suoi studi, aprendo invece il motore di ricerca in cui era salvato il sito internet dell’università. «Inizia ad aprile, tranquillizzati, Sourwolf. Ma è troppo richiesto, non voglio perdere l’occasione» inserì i suoi dati d’accesso e smanettò con le varie icone, cercando quello di cui aveva bisogno. La familiarità che aveva con quell’oggetto era evidente, lo si capiva anche da quante cose di suo interesse fossero salvate al suo interno. Spesso aveva dovuto prenderlo in prestito dal mannaro, decidendo successivamente di concordare un codice comune ad entrambi per sbloccare lo schermo. Inizialmente era stato un po’ mortificante per Stiles, ma come al solito Derek non gli faceva mai pesare niente. Aveva molto senso dopo che gli dormiva con il viso affondato nel petto ogni notte? «Sì» cantò quando la sua impresa sembrò essere portata a termine, controllando tra le e-mail, l’indirizzo incolonnato sotto quello di Derek, le password non salvate per avere ancora una parvenza di privacy per tutti e due. «Grazie, mio grandioso Alpha» proferì con entusiasmo una volta controllata la posta elettronica ed aver visualizzato la certezza ultima, chiudendo tutto e restituendo l’iPad al legittimo proprietario.

Derek roteò gli occhi immune a tutta quella teatralità. «Puoi contenere la sua esagerazione» eppure dalla matricola ottenne il sorriso più caloroso, accompagnato da un cupcake all’Oreo che gli allungò come premio ulteriore, come se al lupo fosse realmente necessario.

«Alpha? Cos’è, un gioco tra voi?» si vide costretta a chiedere Tracy non capendo quasi mai la metà delle loro conversazioni.

Stiles ammiccò spudoratamente e Derek avrebbe preferito uscire da lì prima di sentire un’altra sua scemenza. «Vuol dire che lo seguirei in capo al mondo».

«Non sei bene accetto» rigettò chiaramente il capitano della squadra di basket, controllando l’orario sullo schermo della tavoletta elettronica e spegnendolo successivamente. «Incartalo, invece di perdere tempo» gli indicò con un gesto il dolce che si aveva messo sul piatto, insieme a quello terminato almeno mezzora prima.

Non è vero, mimò con le labbra il figlio dello sceriffo senza emettere suono nella direzione della barista, scatenandole una piccola risata. Si affrettò a prendere una piccola busta per il dolcetto, mentre Derek allungava il telefono per pagare; Stiles non avrebbe dovuto più guardare a quanto corrispondesse l’importo per la sua mancia, ma ogni volta si sorprendeva. Gli aggiunse anche un paio di biscotti glassati mentre era distratto, con l’intento di scalarli dalla sua paga. «Ecco a te, Sourwolf».

Derek afferrò il pacchetto, lo smartphone in tasca e l’iPad a fare quasi da vassoio, finché non fosse arrivato al 1855 Place per prendere il borsone degli allenamenti e raggiungerli. «Ci vediamo a cena?».

Stiles dovette scuotere la testa in diniego, indicando con una mano la ragazza accanto a sé. «Oggi gruppo di studio».

Tracy allungò appena un braccio per identificarsi, con l’espressione colpevole come se l’autrice del misfatto fosse proprio lei e fu attraversata dagli occhi di smeraldo del capitano, quasi prendesse coscienza della sua presenza soltanto in quel momento. Non molto lusinghiero, ma il suo batticuore non voleva sentire ragione.

«Okay» fu tutto quello che il licantropo proferì, inflessibile come sempre, eppure la barista riuscì ad avvertire una nota impercettibile di scontentezza.

Stiles lo salutò con il suo ghigno imperiale, i gomiti sul bancone e cinque dita che sventolavano un ciao ciao mentre la creatura leggendaria si defilava.

«Come fai a resistergli?» domandò stupefatta ed incredula Tracy, lasciandosi scappare un pensiero che aveva sempre avuto in testa da quando li aveva visti interagire la prima volta meno di un mese prima.

Il figlio della massima autorità di Beacon Hills la fissò in un primo momento senza minimamente comprenderla. «Sei convinta non lo trovi attraente?».

In quell’istante la studentessa di criminologia era ancora più stupita, forse si era evidentemente persa qualcosa o aveva frainteso. «Non è così?».

Stiles ridacchiò di cuore, soprattutto per la sua ingenuità. «No. Decisamente non è così da quando avevo quindici anni, forse anche qualcosa in meno» soprattutto se lo si vedeva ogni giorno mezzo nudo.

«Quindici- cosa…» Tracy strabuzzò gli occhi, una nuova cliente entrò per ordinare una fetta di Red Velvet e una spremuta d’arancia. Si concentrò a servirla per non perdere il filo del discorso. «Com’è possibile? Pensavo vi foste conosciuti qui» ma in effetti quello avrebbe spiegato le loro conversazioni, la loro intesa.

La cliente si allontanò soddisfatta, occupando uno dei pochi tavolini liberi e Stiles si dedicò a sparecchiare e pulire la postazione in cui aveva soggiornato il lupo nero per un’intera ora. «Provenivamo dalla stessa piccola città, abbiamo frequentato lo stesso liceo».

Tracy stentava a credere alle sue stesse orecchie, ma perché era così sorpresa? Non aveva mai davvero indagato, nessuno aveva mai nominato la città dell’amato capitano della squadra di basket e non si era curata di scoprire cosa accomunasse davvero quei due. «Vi conoscete da così tanto tempo?».

«Quello è un parolone» ridimensionò il figlio dello sceriffo. «Entrambi eravamo a conoscenza dell’esistenza dell’altro, più o meno».

Non era sicura di seguire il filo del discorso. «Quindi, non stavate insieme nemmeno allora?».

Stiles strabuzzò gli occhi e le pupille furono pizzicate. La fissò come se avesse a che fare con una persona squilibrata. «Figurarsi» gli veniva da ridere al solo pensiero, soprattutto se in mente aveva il Derek di due o tre anni prima. «Perché avremmo dovuto?».

Tracy aveva giusto un paio di argomentazioni in proposito, ma Stiles era troppo sordo per sentirle o semplicemente ignaro. «È tutto qui? Prima vi ignoravate e adesso avete un rapporto platonico?» relazione, avrebbe corretto.

Il ragazzo soppesò il significato di quell’espressione, la corretta collocazione che dipingeva un quadro chiaro. «Se è così che vuoi definirlo».

E in quale altro modo avrebbe dovuto definirlo? «Perché, allora, adesso state sempre insieme?».

Le labbra di Stiles si socchiusero, esitarono e le iridi girarono intorno come a cercare qualcosa, la matassa dei suoi pensieri; Tracy credé di essere stata troppo invasiva. «Le nostre vite si sono intrecciate» non proseguì e non aggiunse nient’altro, rimase soltanto il fiato sospeso, quasi a dover essere completato, ma lei non aveva gli elementi con cui farlo. Lei vedeva soltanto il modo assoluto in cui Stiles e Derek Hale orbitassero l’uno sull’altro, come la Terra e la luna. Ma chi era la luna? Se il fatto che Stiles etichettasse scherzosamente Derek come un lupo acido avesse una qualche valenza, era indubbio che la matricola fosse la luna per il capitano. «Non sapevo nemmeno che Derek fosse qui».

Quella nuova informazione la sorprese, ma aveva senso dopotutto, giusto? Se appena erano consapevoli l’uno dell’altro, perché avrebbero dovuto conoscere i loro spostamenti? «Dove credevi che dovesse essere?».

Uno dei clienti ai tavolini tornò per una nuova dose di caffeina, ordinando anche dei cookies alle nocciole per la sua compagna di studi che si teneva le mani tra i capelli per la disperazione e Stiles lo servì impeccabilmente. «Non ne ho idea, ero contento avesse trovato il modo di andar via» era onesto soltanto in parte.

«Come mai?» la studentessa di criminologia fu stuzzicata da quella nozione disinteressata, le orecchie si fecero più attente. «Situazione difficile in casa?».

Derek una casa non l’aveva più. «Non lo sai» lo sguardo era sorpreso e quello in risposta interrogativo, completamente ignaro. Stiles non l’aveva mai preso in considerazione vista l’enorme ammirazione che la maggior parte del campus provava per il nato lupo, ma stava diventato sempre più evidente che nessuno in quell’ambiente fosse a conoscenza del suo passato. «Forse non è più tra le principali» ragionò tra sé e sé. I risultati sportivi avevano surclassato tutto il resto e l’interesse era soltanto superficiale? Stiles era vistosamente sollevato.

Cos’è che non sapeva? Cosa non era più tra le principali? Le notizie? I risultati su internet? Era già pronta ad estendere una nuova domanda, ma il campanello che annunciava l’arrivo di un nuovo cliente tintinnò e richiese la loro totale attenzione. Qualche secondo dopo, risuonò nuovamente. «Beh, è innegabile che qualcuno non vuole affatto un rapporto platonico» lo derise prontamente mentre Stiles soffocava un’imprecazione alla vista di Heather e Theo una di seguito all’altro, completamente all’oscuro del ruolo che avevano nella vita dello studente di criminologia.

Quando Tracy terminò il turno e ritornò nella sua camera nel dormitorio, fu difficile togliersi le parole di Stiles dalla testa, quel mistero fitto sulla vita del capitano.

Con il telefono digitò le parole Derek Hale, imbattendosi in un eccessivo numero di risultati. Dovette aggiungere ulteriori parole chiave, cambiare più volte abbinamenti e decidere alla fine di includere anche piccola cittadina o piccola città, finché una pagina di cronaca nera spuntò come primo risultato, seguito da altre testate più piccole, ribadendo fosse tuttora un caso irrisolto.

Le venne il magone e le si chiusero le vie aeree quando lesse di un incendio doloso spaventoso che inghiottì undici vite, tra cui alcuni bambini. A sopravvivergli soltanto due membri della famiglia, ufficialmente orfani: Laura e Derek Hale, di venti e quindici anni.

A sovrintendere le indagini vi era lo sceriffo Noah Stilinski.

Ah, era davvero una piccola città. Minuscola.

 

Stiles era stravaccato malamente sul divano con un libro di difficile interpretazione in mano, la stella principale del loro sistema solare era tramontata da ore e le tenebre erano calate inesorabili, insieme al freddo che si intensificava di giorno in giorno, Derek invece era immerso in una ricerca fondamentale che gli richiedeva una quantità di tempo significativa, seduto davanti al tavolo, le dita che scivolavano sulla tastiera del Mac e nell’intero monolocale quel ticchettio era l’unico suono che albergava tra loro.

«Credi che dovrei avvisarlo, mio padre?» domandò la matricola con la mente altrove, evidentemente impossibilitata a concentrarsi sul testo che scorreva da alcuni minuti senza risultato. «Per Natale».

Derek si interruppe, sbirciandolo da sopra il portabile aperto. «Manca ancora un mese».

Tantissimo tempo, eppure centellinato. L’umano sospirò con frustrazione e sensi di colpa.

«Se lo informarsi, cosa credi succederebbe?» gli domandò il licantropo con visione lunga, costringendolo a valutare i vari scenari.

«Verrebbe a prendermi di peso, esattamente come avrebbe voluto fare fin dal primo giorno universitario» sarebbe andata esclusivamente in quel modo se Derek non fosse stato una sorta di peloso e bellissimo angelo custode. Avrebbe anche significato che non si sarebbero mai rincontrati.

Derek non aggiunse nulla e Stiles sospirò amareggiato, socchiudendo il libro. «Sto valutando, vigliaccamente, di aggiornarlo all’ultimo minuto, quando non esisteranno alternative per risolvere la soluzione».

Il mannaro digitò qualcosa sui tasti del portatile, il mouse touch che scorreva tra i documenti di suo interesse. «Se ritieni sia la soluzione migliore».

Lo stava giudicando? Non ne era sicuro, di certo non gli avrebbe fatto cambiare idea. «A quel punto avrà chiara la situazione» ispirò grossolanamente, il peso sul petto che non andava ad attenuarsi. «Tu, invece, che progetti hai?».

«Non ci ho ancora pensato» disse distaccatamente, annotandosi qualcosa su un tomo enorme poggiato alla sua destra.

Le iridi d’ambrosia si posarono sentitamente sul suo interlocutore e il licantropo non aveva molte scuse per ignorarle. «Stai considerando di rimanere con me? Perché rimarrei da solo».

Era un’accusa con della rabbia che faticava a trattenere. «Non ho ancora deciso niente».

Stiles si sciolse dalla sua posizione semisdraiata e si portò in quella da seduta. «Derek, da quanto tempo non vedi Laura?».

«Da quanto tempo non vedi tuo padre?» gli rigirò con prontezza, il tono eloquente così com’erano gli occhi verde brillante.

«Touché» il figlio dello sceriffo si strinse nelle spalle, rimpicciolendosi sotto lo sguardo del lupo. «Ma non devi rimanere soltanto a causa mia».

«Cambieresti i tuoi piani in base ai miei?» gli chiede direttamente, le folte sopracciglia decise.

«No» non avrebbe avuto alcun senso.

«Allora non devi temere le mie decisioni» proferì con forza il capitano della squadra di basket, portando a conclusione la discussione.

Stiles abbattuto si abbandonò pesantemente sullo schienale del divano, prima di alzarsi e raggiungere il mutaforma, prendendo una sedia e sistemandosi proprio davanti a lui, le gambe che toccavano la sua coscia. «Sei sicuro che ti vada bene restare con me?».

Stiles non mollava proprio mai, era una lezione che Derek doveva continuamente imparare. «Quante volte devo ripeterti che non ho preso una decisione in merito?».

«Ma l’hai presa, lo sappiamo entrambi» tergiversare non serviva alla causa. «Quindi, Der, sei certo che rimanere con me sia quello che vuoi?».

«Tu non sai cosa voglio» era una voce lapidaria, ma morbida, un connubio difficile da spiegare, ma entrò dentro ogni vertebra dell’umano.

«Già, è vero» poggiò la testa sconfitto contro la spalla della creatura della notte e le mani all’altezza dello stomaco presero a tremare, ad enfatizzare le sue insicurezze e colpe, i tormenti che non gli davano tregua.

Le dita di Derek con delicatezza lo spostarono nell’incavo della spalla e Stiles sprofondò completamente nel collo, accarezzandolo con il fiato caldo e successivamente con le labbra. «Non mi pento mai del tempo che trascorro con te, Stiles».

Lo studente di criminologia sorrise contro di lui con pienezza, il cuore che accelerava a quella devozione piena di affetto di cui Stiles era l’unico a beneficiare. «Nemmeno io» la bocca scioccò un bacio inavvertibile sull’epidermide, quasi fantasma, qualcosa che poteva non essere mai esistito e le falangi del mannaro si intrecciarono alle ciocche castane in risposta.

Prendendo un respiro pieno, Stiles notò che le mani si erano fermate e che la voragine aveva smesso di risucchiarlo almeno per quell’occasione. Doveva arrendersi all’innegabilità che Derek avesse il dono di calmarlo.

Gli dedicò un sorriso tutto per lui quando si separò dalla nicchia confortevole, incontrando la profondità sviscerante del suo sguardo, talmente stracolmo di qualcosa che Stiles non era ancora in grado di interpretare. Quello non smetteva di avere un effetto corroborante su di sé, soprattutto perché sembravano estendersi per una quantità temporale infinita.

Ma poi i suoi occhi furono catturati da qualcosa di bianco e arrotondato che scendeva giù dalla finestra, seguito da altri batuffoli simili. Si voltò immediatamente e si alzò dalla sedia per aguzzare la vista, avvicinandosi con cautela alla piccola vetrata e sporgendosi da sopra il divano a tre posti. «Sta nevicando» annunciò con tono l’inaspettato, la gioia che sormontava tutta insieme. «Der, è neve».

Così come lo esclamò, al pari di un bambino che vedeva realizzarsi il suo più grande desiderio, Derek lo vide filare via con uno scatto mai visto ed invidiabile, del tutto opposto alla sua incapacità di coordinazione, indossando saltellando sul posto le scarpe e fiondandosi oltre la porta, precipitandosi per le scale a due a due. «Stiles, rallenta» ma con chi parlava? Era un’impresa persa in partenza.

Lo trovò al centro del piazzale, al limite del bordo del marciapiede, le braccia aperte a raccogliere i fiocchi candidi che gli ricadevano addosso e gli rimanevano impigliati. Attorno a loro la gente reagiva in modi differenzi, chi proseguiva ignorando il cambiamento con l’ombrello aperto, chi si rifugiava sotto le tettoie in attesa che la nevicata rallentasse o si arrestasse, qualcuno si fermava ad ammirarla, ma nessuno era così pieno di meraviglia e contentezza come Stiles. E nessuno indossava soltanto una felpa che si andava bagnando ad ogni secondo che trascorreva. «Indossa questi, subito».

Stiles rise con il cuore pieno di gioia, il fiato che diventava visibile per via delle temperature che scendevano oltre lo zero grado, permettendo al mannaro di avvicinarsi per sopperire alle sue sregolatezze. «Sei un’incosciente» lo riproverò Derek, la voce inflessibile, eppure era ben consapevole quanto l’umano fosse completamente sordo a quelle ribeccate.

Gli avvolse intorno al collo la sciarpa rossa, costringendolo ad indossare il giubbotto, chiudendo la cerniera e bloccandola sotto alla fascia di lana colorata. Si adoperò ad annodare la sciarpa rigidamente e a scacciare i confetti bianchi dal volto arrossato di Stiles per via del freddo. Perché si ritrovava ad avere a che fare con un bambino? «Indossa anche questo» gli ordinò senza voler sentire ragioni, alzandogli sulla testa il cappuccio contornato da un bordo di pelliccia finta bianco, nero e grigio. Le gote rosse emergevano vistosamente in mezzo a quel contorno di blu e l’estensione della candidezza del manto innevato, in pendant perfetto con il colore della sciarpa di cui Derek gli aveva fatto dono.

«Dove l’hai trovato? Pensavo di averlo perso» domandò la matricola con stupore evidente, toccando alcune punte del pellicciotto che la incorniciava, così come le giunture dei bottoni che permetteva ai due pezzi di separarsi o unirsi all’occorrenza. «Non credevo nemmeno di averlo portato in casa tua».

«Sono soltanto più bravo di te a trovare le cose» la fece semplice il lupo completo, sistemando meglio il cappuccio sulla testa dell’umano che si arricchiva di acqua cristallizzata.

«Certo» sogghignò con la nozione fondamentale dalla sua parte. «Hai questo» con il polpastrello dell’indice gli premette la punta del naso con il tocco di una piuma.

«Sei la volpe più impulsiva e irresponsabile che abbia mai conosciuto» rivelò Derek qualche secondo dopo, faticando ad accettare che potesse esistere un tale connubio in una mente sempre attiva e guardinga come quella di Stiles.

Il figlio dello sceriffo gli scrostò la neve da uno dei sopraccigli neri, le dita che lo accarezzavano con cura senza essere clementi. «Ne hai conosciute molte?» lo provocò con accuratezza, le iridi d’ambrosia in quelle di smeraldo.

Derek resse lo sguardo, ma non rispose né Stiles si aspettava qualcosa di diverso. «Posso permettermelo se ho l’Alpha migliore del mondo ad occuparsi di me, delle mie mancanze».

«Non sono un Alpha, Stiles» scandì meticolosamente, tentando di farglielo entrare in quella testa diabolica.

«Ah, sei in errore» lo rabbonì il diciannovenne, una falange che si agitava davanti i suoi occhi a negare le sue convinzioni sbagliate. «Devi soltanto arrivarci anche tu, Sourwolf».

«Vuoi saperne più di me su come mi senta?» gli domandò sprezzante e con una nota di critica, le sopracciglia inspessite e giudicanti.

«Ovviamente no» le gote erano più rosse, la pelle diafana sembrava ghiaccio e il fiato si condensava in una nuvola fumosa che toccava il lupo e fili di pelliccia sintetica morbida si muovevano ad ogni parola. «Ma non puoi credere davvero che l’eredità secolare degli Hale, la tua eredità, possa aver commesso un errore simile. Ha scelto Laura e ha scelto te» le dita gelate carezzarono le ciglia del mannaro, le punta lambivano l’epidermide sottile della palpebra superiore. «I tuoi bellissimi occhi sono soltanto un riflesso della tua totalità».

«Questo è un modo molto elaborato di forzare una persona a far quello che tu vorresti» osservò il capitano, ignorando volutamente l’attitudine dell’umano di elogiare il prossimo.

«Ti senti forzato nel dovermi costantemente inseguire? Come in questo caso» elaborò Stiles in un moto di interesse, la gestualità che indicava se stesso e quel giubbotto indossato in una rincorsa, la risposta già contenuta nella domanda. Era minuziosa e studiata, assestata perfettamente.

Il mannaro lo scrutò vigile, in sospensione. «No».

«Vedi?» le labbra dello studente di criminologia si distesero in un sorriso composto di soli denti, la vittoria in tasca. «Non puoi farne a meno».

Derek sospirò internamente esaurito, la testa che scattava verso l’alto alla ricerca di un nuovo respiro da prendere; vincere contro la curva machiavellica della bocca di Stiles era un’impresa titanica che portava alla disfatta. «Vedo soltanto una volpe molto scaltra» ispirando profondamente, la neve gli cadeva addosso, ma con dolcezza si scioglieva appena entrava a contatto con lui, ad evidenziare la differenza netta della sua temperatura corporea rispetto a tutti quelli che li circondavano.

Di sottecchi osservò la matricola mentre tra le falangi sottili e lunghe, che l’avevano toccato pocanzi, si lasciava scivolare i batuffoli di acqua solidificata; li sfiorava con i dorsi e giocava con loro, permettendo a qualcuno di depositarsi sul palmo aperto, studiandoli con vivo interesse. «Non ho mai visto la neve» proferì Stiles, come se in qualche modo sapesse di dover dare delle spiegazioni per il suo entusiasmo fanciullesco. «Non quella reale» sbirciò nella direzione di Derek attendendo qualche domanda, ma lui parlava con l’espressione facciale e con il silenzio, aspettando che fosse lo studente di criminologia a riempirlo. «Non so perché, il Nogitsune me la mostrò. Ma non aveva alcun senso, non ha mai nevicato a Beacon Hills» poi tacque e il dubbio che lo tormentava si palesò completamente. «È reale?».

«Supponi non lo sia?» chiese il lupo completo con moderazione, gli occhi vigili. «Perché?».

Stiles lo guardò smarrito e un fiocco si sciolse sul monte di Venere. «Non l’ho mai vista, non saprei riconoscere le differenze. Non sono capace neanche con ciò che conosco» ammetterlo gli risuonava come una continua sconfitta. «A volte, non so nemmeno se tu sia reale, se è tutto soltanto nella mia testa».

Derek era frastornato dalla rivelazione di Stiles, dal panico che udiva nel sottofondo della sua voce. «Io? Per quale ragione dovrei esserlo?».

Stiles esitò, un nodo di saliva venne ingoiato, gli occhi saettarono da una parte quasi a trovare coraggio o a sottrarsi completamente dal confessare la sua verità. «Perché sei la cosa migliore che mi sia capitata negli ultimi anni».

Derek trattenne il fiato, la sincerità di Stiles lo spiazzò. C’era anche un sorriso triste a sporcargli la bocca e non era difficile comprendere per quale ragione. «Credevo ti fidassi di me».

«È così» le dita si tormentarono tra loro, il disagio e l’affanno sormontarono. «Sono terrorizzato da quanto mi fidi di te, Derek. Ma se poi scoprissi che non c’è nulla di vero? Che la mia testa sta nuovamente giocando con me? Per me è così difficile capire cosa sia reale e cosa non lo sia».

«Non sono nella tua testa» le mani di Derek gli circondarono il viso ghiacciato e Stiles venne avvolto immediatamente dal suo calore, da come fluisse in lui completamente, risollevandogli ogni osso. «Puoi sentirmi. Puoi toccarmi. Puoi parlarmi. Sono reale».

Stiles tremò vistosamente sotto il suo tocco, le iridi di miele si inumidirono e le labbra tormentate dai denti che schiacciavano e si conficcavano nelle pellicine. «Stiles, riesci a sentirmi?» gli domandò il lupo, il pollice che asciugava le lacrime dalle ciglia chiare e la fronte poggiata contro la sua, completamente a contatto.

Era circondato, accerchiato da tutto quel calore corporeo che si insinuava sotto la pelle, divenendo anche il suo. Da tutta l’essenza di Derek, onesta e dedita a quella povera piccola volpe infreddolita ed impaurita quale era. Perché, perché riusciva a vederlo soltanto Derek? «Sì» proferì senza voce, le corde vocali che graffiavano, i suoni gracchianti che riproduceva.

Il lupo lo avvicinò maggiormente a sé e se il suo intento era quello di inglobarlo, Stiles non si sarebbe opposto. «Se hai bisogno di altre prove, di altri fatti, li testeremo tutti, finché non sarai sicuro».

Stiles voleva piangere, versare tutte le sue lacrime che si sarebbero condensate in stille salate, sfogare tutto il malessere che si sovrapponeva strato dopo strato dentro di sé, soffocandolo e che soltanto la cura e l’attenzione di Derek riuscivano a scavare, creando un passaggio che gli permettesse di respirare giorno dopo giorno. «Sì».

Il capitano si allontanò appena, la distanza necessaria che gli permettesse di poterlo guardare meglio nelle gemme caramellate appannate che non lo focalizzavano perfettamente. Gli depositò un bacio caldo su un occhio che si socchiuse al contatto ed un altro al centro della fronte. L’ultimo fu schioccato sulla punta del naso rosso che scatenò ilarità in Stiles, provocandogli una risatina divertita, sollevata e alleggerita.

Ricambiò strusciando il naso contro il suo, sorridendogli con affettuoso diletto. «Der, dovresti farmi un favore» gli disse con sottofondo diabolico, le iridi del nettare degli dei che splendevano mentre si cancellava la patina di acqua salata, separandosi dalle sue mani. «Indossa un cappotto. Congelo soltanto guardandoti».

Tutta la serietà di frazioni di secondi antecedenti era evaporata e Derek roteò gli occhi esasperato da quanto riuscisse a metterlo sotto scacco continuamente, anche nei suoi momenti di difficoltà. «Stai congelando perché hai tutti i vestiti bagnati, sconsiderato come sei».

Il figlio dello sceriffo scosse il capo con dissenso, a sottolineare che in torto fosse proprio lui. «Sono sicuro sia anche colpa tua» ammiccò spudoratamente, tornando la splendente e pericolosa volpe dal manto infuocato. «So che ami questa giacca di pelle, sei incredibilmente sexy, ma forse dovresti essere più discreto. Qualcuno potrebbe farsi sorgere qualche domanda vedendoti con solo questa addosso per tutto l’inverno».

«Vivo qui da due anni, Stiles. Se avessi destato dei sospetti, sarebbe piuttosto inutile» e se ne sarebbe accorto. Non che a Derek importasse molto del parere delle persone.

Sul viso della matricola si dipinse quella curva affascinante che aveva un certo effetto su chi lo guardava. «Avanti, fallo per me. Integriamoci nel mondo reale».

«Cosa non faccio per te» era una domanda retorica sospirata e anche esausta da quell’uragano infiammato che lo trascinava a fondo con sé. «Vuoi restare ancora qui?» gli chiese dopo averlo osservato per un po’ interagire ancora con la neve che non smetteva di cadere dal cielo notturno. Stiles rispose con un chiaro punto interrogativo sorpreso. «Per conoscerla».

Gli occhi ambrati brillarono e la riconoscenza si espanse in ogni cellula. «Sì, grazie».

Derek si limitò ad annuire. «Resta qui» gli disse distrattamente, prima di sparire ed entrare in uno dei negozi sulla strada.

Stiles sbatté le palpebre varie volte, batuffoli impigliati davanti alla sua visuale. Con cautela piroettò su se stesso, allargando le braccia e circondandosi, come se stesse abbracciando la neve stessa. Rise con spensieratezza, anche se non avvertiva più alcuna falange, completamente anestetizzate dal gelo.

«Tieni» gli offrì la creatura della notte quindici minuti dopo, richiamando la sua attenzione e costringendolo a voltarsi.

Derek aveva un bicchiere di carta extralarge per ogni mano, il logo verde di Starbucks che spiccava sul rivestimento bianco che non permetteva di scorgere il contenuto. Non riuscì ad entrarne a conoscenza nemmeno quando gliene depositò uno tra le dita, riscaldandole immediatamente, per via del tappo. «Sei andato dalla concorrenza» lo ribeccò sarcasticamente, ma gli era segretamente grato. «Potrei esserne infelicemente triste. E anche indignato».

«Vacci piano, scotta» lo ignorò il mannaro per niente scalfito, senza dimenticarsi di riprenderlo ed avvisarlo con il tono borioso che lo contraddistingueva.

Stiles innalzò le sopracciglia con sfida, la curva arricciata sulle labbra della volpe giocherellona. Tuttavia ci andò cauto, prese un piccolo sorso dalla cannuccia in cartone e fu investito da un calore piacevole che gli scivolò in gola e in ogni muscolo bisognoso, riscaldando ossa dopo ossa. Sulla lingua vi era impresso il sapore zuccheroso della cioccolata al latte abbinata al caramello dolce. Scostando con un accenno il coperchio, vi vide dei piccoli marshmallow gialli e azzurri che galleggiavano colorati, infondendogli il buonumore.

Se non ci avesse già pensato il cioccolato, quella delicata premura da parte del lupo più scorbutico mai esistito avrebbe sciolto completamente la lastra di ghiaccio che avvolgeva il suo cuore ed i polmoni. Che fosse una cosa voluta o meno, Stiles dubitava che su quel pianeta ci fosse qualcuno che lo viziasse più di Derek Hale. Che ci mettesse un tale impegno che non desse mai l’impressione che fosse qualcosa di studiato a tavolino o estremamente complicato, ma la semplicità più pura.

«Meglio?» domandò la creatura leggendaria al secondo sorso di entrambi, più lungo e goduto, una estemporanea del paradiso in quella nevicata da cui tutti rifuggivano, ma di cui loro si beavano.

«Grazie» si chiese se la cioccolata calda del suo restio meraviglioso Alpha fosse fondente, miscelato all’adorato caramello salato. «È perfetto» tu sei perfetto.

«Don't-don't it feel so good right now?» cantò Stiles a mezza voce, un sorriso morbido tra le labbra mentre assaporava il calore della bevanda, guardando da sotto le ciglia il lupo nero che, circospetto, non gli toglieva gli occhi perforanti di dosso.

Un fiocco di neve birichino e silente si insinuò sotto il tappo sollevato, depositandosi in mezzo ai piccoli cilindri di zucchero azzurri e gialli, dissolvendosi senza essere notato.

 

 

 

 

 

 

Feels so good di Bryn Christopher e Shane Codd è la canzone spesso cantata da Stiles e che probabilmente incontreremo diverse volte tra questi capitoli.

https://open.spotify.com/intl-it/track/4z4AEQps7o1UamAbIxmVqw?si=301a45b939b6480f

La mia riproduzione casuale di Spotify senza vincoli l’ha trovata per me mentre scrivevo i primi capitoli e da lì si è addentrata nella storia, divenendone parte. Cercavo una canzone che potesse incanalare ciò che ricercavo e alla fine è stata lei a trovare me.

Siamo soltanto a metà storia, questi due complicati ragazzi hanno ancora tanto da raccontarci.

A mercoledì,

Antys

   
 
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