Anime & Manga > Il grande sogno di Maya
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Autore: LubaLuft    25/04/2024    1 recensioni
Questa storia originale si incrocia con il primo volume del manga Glass No Kamen, da noi conosciuto come Il Grande Sogno di Maya.
I protagonisti sono inventati da me ma le loro vicende sfioreranno quelle del manga, appena appena, per avere un contesto.
Grazie a chi leggerà!
Dal testo:
"In quel micromondo aperto H24 - nel quale il giorno e la notte non avevano una reale consistenza ontologica se non per via di un orologio appeso al muro - una giovane voce maschile annunciava i numeri estratti al bingo, traducendo in fonemi i capricci della fortuna: ichi … gojūroku … hachi … sanjūyon …
Nanako ascoltava quella voce durante la sua pausa-cena, che durava circa mezz'ora (...) Era cominciata così ed era più forte di lei: quando sentiva quella voce, veniva colta da una sensazione di straniamento: i numeri in sé erano un fatto neutro, una successione anarchica di cifre, significavano solo il proprio valore. Non comunicavano nulla. E allora perché quel desiderio di ascoltarlo tutte le volte?"
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Masumi Hayami, Maya Kitajima, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2 - Fragole sotto la pioggia

 

“Ehi, amico, ma dove lo ha trovato quell’ombrello con le fragole? Al love hotel qui vicino? Carino, chissà chi è la proprietaria … forse è una che si fa scartare piano piano e poi si fa succhiare come una caramella…? “

L’umorismo becero di Mitsuo tutte le volte partoriva una perla, e ormai il filo era bello lungo.

“In realtà è un ombrello di tutti" rispose Jun "di quelli che puoi prendere in prestito alla stazione. Devo riportarlo indietro stasera. Niente di avventuroso.”

Lo scosse per far cadere più gocce d’acqua che poteva e lo appese con cura al portaombrelli in modo da non piegarne le stecche.

Si lasciò sfuggire comunque un sorrisetto ironico all’indirizzo del suo collega. All’hotel in questione in realtà c’era già stato e diverse volte, con una collega, Akemi, che poi si era licenziata. Uscivano insieme, ma lei aveva una famiglia abbastanza soffocante e pochissima privacy, il tutto aggravato da certe mire matrimoniali che suo padre meditava per lei, e allora si vedevano lì durante la pausa o dopo il turno. All’inizio, la cosa aveva quasi un sapore proibito e rendeva tutto più eccitante, poi quell’atmosfera artificiale e anonima lo aveva stancato. A lui l’amore piaceva farlo a casa sua, e con gli orari di lei e i parenti ficcanaso sempre a farsi i fatti suoi era praticamente impossibile starsene tranquilli.

Quando Akemi aveva lasciato il lavoro, da un giorno all’altro, subito dopo si era trasferita a Tokyo, per sfuggire al matrimonio combinato: era chiaro che ci stava già pensando da un pezzo. Non l’aveva più vista né sentita ma aveva saputo da un’amica comune che ora era ai ferri corti con la famiglia, che aveva un fidanzato e finalmente si sentiva libera di fare ciò che voleva.

Ora che ci ripensava: forse a lei non era mai interessato più di tanto cercare le occasioni per stare insieme a lui, si era accontentata di qualche ora di sesso clandestino, così per passare il tempo.

Un po’ come lui, del resto.

Non erano fatti l'uno per l'altra, fine della storia.

Iniziò il suo turno.

Quando aveva detto alla sua maestra delle elementari che da grande voleva lavorare con i numeri, intendeva dire che voleva laurearsi in scienze statistiche e non fare lo speaker part time in una sala bingo. Ma la paga era buona e copriva l’affitto del suo monolocale. In più, lavorava con persone simpatiche e alla mano, Watanabe in primis, un uomo sui trentacinque anni sempre in tiro, taciturno, abbastanza palestrato e ambito fra le colleghe ma che non degnava nessuna di uno sguardo - d’altronde era vietato avere relazioni fra colleghi, anche lui aveva dovuto fare molta attenzione quando si vedeva con Akemi.

Watanabe era un tipo solitario, forse troppo.

Misterioso ma interessante, peccato che ne stesse sempre sulle sue.

L’esatto contrario di Mitsuo, che invece straparlava di sesso a tutte le ore come se non facesse altro dalla mattina alla sera. Per Jun era evidente in lui una certa propensione all'auto celebrazione, che però forse nascondeva una profonda solitudine. Mitsuo era un bravo ragazzo, fanfarone e allegro, anche lui lavorava alle estrazioni, anche lui era solo una voce, ma non mancava di ambizione: scriveva - sceneggiature, testi comici, e il suo sogno era lavorare come autore. Gli sarebbe piaciuto anche presentare un suo monologo tragicomico sul giapponese medio stritolato fra modernità e conservatorismo, che aveva messo in un cassetto.

Erano i due “amici del lavoro” con i quali aveva legato di più e usciva spesso con Mitsuo per una birra. Avevano più o meno la stessa età, mentre con Watanabe si passavano almeno una decina d’anni.

Andava bene così, la laurea era vicina e quel lavoro gli bastava per mantenersi in un ambiente abbastanza piacevole.

Coprì il suo turno serale ma dovette attendere l’arrivo di un collega che era rimasto bloccato nel traffico a causa di un incidente. Pioveva a dirotto e per strada c’era il delirio.

Quasi un’ora di straordinario che non si fece pagare ma che preferì accumulare come permesso.

All’uscita, davanti alla guardiania, si avvicinò al portaombrelli per recuperare quello che aveva preso in prestito e con sua grande sorpresa, trovò un messaggio.

Ha preso per errore il mio ombrello. Può riportarlo per favore al konbini della stazione JR? Grazie

Si fermò un attimo a riflettere: lui era certo di averlo preso dal portaombrelli “pubblico”. Ne era sicuro. Doveva essere stata quella sbadata della proprietaria a metterlo nel posto sbagliato, da qui l’errore.

Dunque era di una cliente del negozio alla stazione?

Che fosse una donna non c’erano dubbi, sia per come era fatto l’ombrello sia per la scrittura, rotonda e armoniosa. Sul foglio, un lieve profumo di pioggia e lavanda.

Ma perché allora non se lo era ripreso e basta?

Le donne!…

Quella sera aveva voglia di fare un giro a Chinatown, pioggia o non pioggia, ed ora a causa di quell’ombrello si trovava obbligato invece a tornare alla stazione!

Poi valutò che quella fosse comunque la cosa più corretta da fare, se non altro la proprietaria glielo aveva lasciato per gentilezza. Glielo aveva proprio prestato. Se non si fosse bagnato uscendo, sarebbe stato solo grazie a lei.

Arrivato in stazione trovò però il negozio vuoto, era quasi mezzanotte. Restava aperto con le sole casse automatiche: fuori, un tipo della sicurezza camminava lento e monitorava la situazione.

Entrò. I due portaombrelli erano vuoti. Lasciò l’ombrellino rosa nel contenitore giusto e se ne andò a prendere il treno. Pioveva a vento, inutile pensare di farsi un giro: tanto valeva andarsene a casa a dormire, così l’indomani avrebbe seguito le lezioni da sveglio e non in stato semicomatoso da notte brava.

Frugò nello zaino, tirò fuori un foglio di carta e scrisse Grazie per avermelo lasciato. Uno sbadato bagnato in meno in giro per Yokohama..

Infilò il foglio sotto una delle stecche dell’ombrello e corse a prendere il treno.

L’indomani, dopo una mattinata in facoltà, si recò al lavoro per il suo turno. Quando arrivò nell’atrio della stazione il negozio era aperto ma al bancone c’era un ragazzo.

Pioveva ancora.

L’ombrello rosa era dove lo aveva lasciato la sera prima. Stavolta anche lui aveva con sé il suo ombrello, per quanto nel portaombrelli pubblico ce ne fossero un paio “orfani” di padrone pronti all’uso.

Tirò dritto e andò al Million. Da statistico, iniziò a pensare a quante probabilità aveva di incontrare la proprietaria di un ombrello, un oggetto fatto apposta per essere dimenticato da qualche parte, scambiato, rubato.

Prima di andare al bingo, aiutò Mitsuo che aveva finito il turno ma che stava scaricando le casse con le provviste del bistrot.

“Ehi Jun, stasera usciamo? Sono riuscito a convincere anche Watanabe!”

“Ma come gli va di uscire con uno studente di statistica e con uno affetto da priapismo come te? Tutti e due sempre a caccia di avventure mentre lui sembra aver raggiunto il nirvana?”

Mitsuo abbassò la voce.

“So che ha divorziato da poco.”

Jun rimase sorpreso. Neanche sapeva che fosse sposato.

“Non mi sembrava uno particolarmente allegro, ma ora che mi dai questa notizia…”

Jun pensò allora che poteva diventare una serata interessante. Watanabe lo incuriosiva parecchio, magari gli avrebbe fatto bene uscire con due ragazzini come loro.

“Ok, ci sto. Alle dieci posso staccare, sono a credito di straordinario.”

“Perfetto… ce ne andiamo a Chinatown!”

Continuava a piovere ma era una pioggia leggera.

Il trio lasciò il Million alle dieci e si incamminò verso la città cinese. Jun e Mitsuo avevano l’ombrello, Watanabe aveva il suo impermeabile con cappuccio. Camminava pensoso con le mani in tasca.

Jun lo guardava di sottecchi. Sposato e divorziato. Un bell’uomo, ancora giovane. Non riusciva a immaginarsi al suo posto, ancora all’università e con la testa calda.

Che cosa gli sarebbe capitato, nel futuro ormai prossimo? Un lavoro e una famiglia come tante? E poi un divorzio, perché no?

Il sabato sera, il quartiere cinese era affollatissimo.

Attraversarono il varco a est, la porta di Choyomon. La struttura era di un blu intenso, incorniciato d’oro, come il lapislazzuli. Oltre il varco, un fiume di persone avanzava lento sulla strada stretta, in un vocìo continuo, allegro.

“Vi porto a mangiare il ramen più buono di Yokohama!...” Dichiarò Mitsuo.

Fu a quel punto che, in lontananza, nella massa grigio scura della folla, Jun vide una macchia rosa shocking agitarsi. Aveva sopra macchie più scure, regolari…a forma di fragola! La macchia dondolava come sospesa su un passo svelto.

Era quell’ombrello! Possibile?

Lo vide sparire dietro un angolo.

“Mitsuo! Dov’è il ristorante?” Chiese un po" bruscamente.

“In fondo a sinistra, dietro l’angolo! Ehi, ma vai di fretta?”

Jun allungò il passo e arrivò al ristorante prima di loro.

C’era una piccola folla radunata all’ingresso che attendeva di entrare, ma l’ombrello rosa era scomparso.

Quando finalmente entrarono, istintivamente si guardò intorno e cercò il portaombrelli e poi si diede dello stupido: ma che gli prendeva?

Perché continuava a pensare a quella faccenda? Era da pazzi …
 

Il locale scelto da Mitsuo si chiamava Manpuku, piccolo, rumoroso e pieno di profumi stuzzicanti.

Furono fatti accomodare a un tavolo da una ragazzina sui tredici anni, che aveva tutta l’aria di avere la testa fra le nuvole perché dopo che aveva preso la loro ordinazione aveva fatto cadere due scodelle colme di zuppa allagando il pavimento.

MAYA!! aveva gridato una donna dal viso esile e arcigno, con una cera tutt’altro che in salute.

La ragazzina aveva sfoderato un disarmante sorriso di scuse.

“Dovrebbero vietarlo, il lavoro minorile.” Sentenziò Mitsuo.

“Magari è la figlia della proprietaria…” rispose Jun.

“Magari non sono fatti nostri…” concluse Watanabe. “Mia figlia compie tredici anni il prossimo anno. Mi basta saperla in camera sua che fa i compiti di scuola…”

Poi piombò nel silenzio, preso da chissà quali altri pensieri.

Il ramen era delizioso. Jun pensò di licenziarsi dal Million e di proporsi come ragazzo delle consegne lì, in cambio di una scodella di zuppa al giorno.

Mangiarono a sazietà e rimasero a lungo seduti al tavolo.

Watanabe a un certo punto sospirò e iniziò a raccontare del suo divorzio, liberamente, lentamente e senza fronzoli.

Lei si era innamorata di un altro uomo, conosciuto durante una trasferta di lavoro. Lui le aveva concesso il divorzio senza battere ciglio. Erano anni che se lo chiedeva, se era ancora innamorata di lui. Sua figlia non ne aveva sofferto particolarmente. Era lui che non si aspettava di rimanere sospeso in un limbo: da una parte sapeva che era meglio così, dall’altra ne soffriva. A peggiorare la situazione, la notizia che la sua ex moglie e sua figlia si sarebbero trasferite negli Stati Uniti, per seguire gli spostamenti del nuovo compagno di lei. A quel punto, Watanabe lasciò cadere l'argomento, ma dopo quel racconto breve e conciso, l'uomo sembrava più sollevato.

Con il caffè, ognuno di loro prese un biscotto della fortuna.

A Mitsuo capitò Al mattino lasciati alle spalle il vecchio giorno

“Il significato è evidente: chiodo scaccia chiodo. Niente complicazioni inutili dopo una notte di sesso, un bacetto e addio.”

A Jun, un più sibillino La pioggia nasconde la verità solo agli occhi distratti.

Watanabe invece mormorò un Dopo il sale più pungente viene lo zucchero più dolce.

Mitsuo si lasciò sfuggire un fischio di apprezzamento.

“Però … una profezia interessante la tua, Watanabe … Bene! Andiamo a ballare?”

“Perché no?” Rispose Jun. “Watanabe? …”

“D’accordo.”

L'uomo accarezzava con le dita il bigliettino che aveva trovato nel suo biscotto. Improvvisamente, sembrò più giovane e disteso.

“La discoteca è in fondo alla strada. La dance cinese mi fa impazzire! E anche le cinesi mi fanno impazzire…”

Mitsuo gongolava mentre faceva loro strada.

 

La sala era grande e con enorme delusione di Mitsuo, la musica non era disco cinese ma una banalissima e fantastica selezione punk-rock.

Si presero un drink al bancone del bar. Jun osservava le ragazze curioso e annoiato allo stesso tempo. Lei poteva essere ovunque. Il suo ombrello rosa lo incuriosiva, chissà chi vi si nascondeva sotto… ma lì non c'era, tanto valeva guardarsi intorno.

Il suo sguardo di ricognizione non sfuggì a Mitsuo.

"Ti vedo sul piede di guerra, amico … di solito tu mi porti fortuna, magari stasera posso ricambiare…"

Fu allora che Jun notò una ragazza dall'aspetto esile che ballava in pista con una bibita in mano. Rideva e ballava allegra.

Era minuta ma ben fatta, con le spalle dritte. Indossava pantaloni scuri e una maglietta aderente color argento.

A Jun venne spontaneo alzarsi e avvicinarsi a bordo pista. Mitsuo si voltò verso Watanabe.

"Vieni anche tu?"

Watanabe scosse la testa. Con le dita e lo sguardo basso sul suo bicchiere seguiva il ritmo. Un pezzo dei Rolling Stones.

Jun si avvicinò alla folla che ballava. Andava incontro a quella ragazza come se a spingerlo fosse una calamita. E iniziò a ballare vicino a lei, alle sue spalle. Mitsuo intanto aveva già attaccato bottone con una tipa alta e con un caschetto corto, i capelli biondi. Le mostrava i suoi passi forti e lei batteva le mani divertita. Accanto a loro, una moretta con una traccia raccolta sulla nuca, doveva essere un’amica della bionda perché appena Mitsuo fece la sua comparsa importuna lei voltò le spalle a entrambi con un sorriso divertito e si diresse verso il bancone.

Jun e la ragazza in argento ballarono uno di fronte all'altra per una mezz'ora, ininterrottamente. Il dee jay aveva messo una selezione da urlo: Clash, Police, Bowie. Il volume era alle stelle. Jun continuava a sentire il potere assurdo di quella calamita e la fissava serio. Non aveva mai ballato un pezzo come Police and Thieves dei Clash con quell'espressione concentrata, e forse neanche lei, che ricambiava il suo sguardo.

La ragazza bionda, che intanto si era allontanata con Mitsuo, tornò in pista si avvicinò con aria divertita. Mitsuo le si prostrò davanti in ginocchio, supplicandola sorridendo ma lei scuoteva la testa indicando l'orologio.

Lo indicava anche alla ragazza in argento, che annuì convinta lanciando a Jun uno sguardo fugace.

Dunque erano amiche e se ne stavano andando via!

Jun allora le afferrò il polso. Lei lo guardò presa alla sprovvista.

Le chiese urlando Come ti chiami?, ma il fracasso era infernale ora, con i Jam a tutto volume.

Lei lo guardò interrogativa. Le afferrò allora una mano e le scrisse sul palmo, con un dito Jun , in hiragana, indicando poi se stesso.

Lei sorrise e fece allora la stessa cosa.

Poi la sua amica la trascinò via. La ragazza in argento fece solo in tempo a voltarsi e a fargli un segno con la mano come per dirgli “ci vediamo!”

Lui annuì, con un sorriso.

Chissà come, chissà dove… ma sapeva che l’avrebbe rivista.


Nanako, si chiamava…


(Continua...)
   
 
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