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Autore: EleAB98    25/04/2024    3 recensioni
Amanda Benassi è appena diventata una scrittrice affermata.
Non è mai stata una ragazza particolarmente estroversa, tantomeno appariscente. Tutto d'un tratto, si ritroverà catapultata in una realtà completamente diversa da quella di un tempo, diventando oggetto delle più svariate attenzioni maschili.
Ma sarà un uomo in particolare a catturare tutta (o quasi) l'attenzione della giovane, stravolgendo a poco a poco la sua esistenza.
Emozioni contrastanti faranno da sfondo a quella vita che, pur avendo sempre sognato, si rivelerà più impegnativa del previsto, mentre le ombre di un passato mai dimenticato la travolgeranno a viva forza, spingendola ad affrontare una verità del tutto sconvolgente.
Amanda sceglierà, prima o poi, di cedere alla forza dei propri sentimenti? Chi farà mai breccia nel suo cuore?
*Opera Registrata su Patamù*
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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CAPITOLO XXXI


 

 

«Allora? Com'è andata ieri sera?»

«Abbastanza bene», rispose Amanda, cercando di non lasciar trapelare al padre quanto fosse felice.

«Be', dovrebbe essere andata benissimo, in realtà», la corresse Federico, «e non abbastanza bene.»

Amanda arricciò il naso. «Perché dici così?»

Federico alzò le spalle e soffocò un altro sorriso. «Perché di là in cucina c'è un bel mazzo di rose rosse con annesso bigliettino. Il tuo caro amico sta facendo le cose in grande», sottolineò, divertito.

Lei spalancò gli occhi. «Che?» Corse subito in cucina e vide che il tavolo era occupato proprio da una decina di rose rosse, protette da un sottile strato di plastica. Amanda le contò una per una e ne inspirò a fondo il piacevole odore: erano dodici. Con il cuore che le martellava forte nel petto, aprì la bustina contenente il bigliettino.
 

Mi piacerebbe tanto regalartene il doppio, un bel giorno. Nel "linguaggio dei fiori", il numero 24 ha un significato molto speciale (anche se lo stesso già mi rappresenta a pieno). Anche il numero 12 non scherzaperò!

Tuo,

Alessandro

 

Amanda provò un groviglio di emozioni che la scombussolò tutta, un sorriso a trentadue denti a illuminarle il viso. Il suo ex non le aveva mai regalato dei fiori, nemmeno a San Valentino. Quel gesto tanto romantico accese in lei un fuoco; un fuoco in cui l'assoluta felicità si mescolava a una passione che la rendeva sempre più cieca, e che cresceva ogni giorno di più. Posò il mazzo di rose e consultò il cellulare: regalare dodici rose rosse non era che un sotteso invito allo stare insieme.

Resta per sempre con me, recitava un sito internet. 

Le ventiquattro rose, invece, portavano con sé un messaggio del tipo: Sei sempre nei pensieri.

Entrambi i messaggi erano stupendi, ed entrambi le suscitarono sensazioni fortissime, che Amanda era certa di non aver mai provato, prima di allora.

La solita voce alle sue spalle la sorprese nel bel mezzo di quell'inattesa esplosione di felicità.

«Per quanto mi riguarda, io sono davvero contento per voi due», sentenziò Federico, accarezzandole appena le spalle ricoperte dal pigiama. «Alessandro mi sembra un ragazzo davvero affidabile.»

«Sì, lui è fantastico. È tutto molto recente, però», gli rispose Amanda, senza che un tenue sorriso l'abbandonasse.

«Ma provate entrambi qualcosa di forte, no?»

Amanda si girò verso di lui. «Lui si è innamorato di me non appena mi ha vista. O quasi.»

«Lo so. Anch'io mi innamorai a prima vista di Valeria.»

«Lo so.»

«Quello che ti posso consigliare è di non aver paura, Amanda. La paura ha il solo scopo di bloccare la tua possibilità di essere felice. Perciò buttati, okay? Vivi le tue emozioni fino in fondo, e non fermarti mai. Lascia al tuo cuore l'opportunità di scoprire cosa desidera davvero. Ascoltalo sempre, perché lui ha sempre tanto da dirti.»

Amanda annuì, sinceramente commossa. «D'accordo, papà. Ci proverò senz'altro.»

Federico sospirò. «Lo so che adesso non c'entra molto quello che sto per dirti, però... stavo pensando che mi piacerebbe tanto vedere com'eri da piccola. Qualche tua foto, niente di più.»

Amanda sorrise. «Anche a me piacerebbe vedere qualche foto tua e... di zio Gianluca.»

«Te le mostrerò volentieri, perché no?»

«E io farò lo stesso. Devo soltanto andare a prendere l'album a casa mia.»

Federico cacciò un altro sospiro, accarezzandole le braccia di tanto in tanto. «Non sai quanto mi dispiace non averti vista crescere. Certo, all'epoca ero giovanissimo, avevo solo ventitré anni, tante speranze in tasca e un futuro tutto da scrivere. E tu, giustamente, potresti anche aver pensato: un ragazzo tanto giovane avrebbe accettato di diventare padre altrettanto presto? Si sarebbe preso cura di me? Magari avrebbe lasciato mia madre al suo destino, e sarebbe sparito. Come fanno tanti ragazzi irresponsabili.»

«In effetti, non ti nascondo di averlo pensato», gli rispose Amanda. «Come faccio a essere sicura che ti saresti preso cura di me? Questa era la domanda più gettonata, nella mia testa.»

Una domanda a cui non sono riuscita a rispondere almeno fino a qualche settimana fa, pensò poi, emozionata e agitata al tempo stesso. Era giunto il momento. Quello che più temeva ma che, per certi versi, anelava da molti giorni.

Federico abbassò il capo, sconfitto. «È vero, non posso – e non potrò mai – provatelo.»

«Forse tu no. Però ci sarebbe una certa persona che potrebbe farlo al posto tuo.»

Amanda lo condusse nella camera degli ospiti, quindi estrasse una lettera da sotto il materasso e, con gli occhi lucidi, gliela porse.

«Questa è la famosa lettera che mamma mi ha lasciato poco prima di morire. Ho trovato il coraggio di leggerla soltanto poche settimane fa. Adesso tocca a te.»

Federico spalancò gli occhi e la bocca, le mani tremanti, che la stringevano appena. «Posso... posso davvero leggerla?»

«Credo sia giusto che tu la legga, sì.»

Padre e figlia si sistemarono in soggiorno, un silenzio tombale ad avvolgere ogni anfratto della casa. Federico accarezzò i contorni di quella lettera più volte, ma senza aprirla. Quando Amanda gli regalò a un sorriso incoraggiante, l'uomo trovò finalmente il coraggio d'immergersi in toto nella lettura.

 

Figlia mia carissima, 

sento forte l'esigenza di scriverti questa lettera perché non credo che mi resti molto da vivere. Le mie condizioni di salute si sono aggravate all'improvviso e, malgrado gli infermieri mi abbiano pregata di avvertirti perché tu possa tornare qui da me, a piangere sul mio capezzale, io mi sono incaponita di brutto, ingiungendo loro di farsi gli affari propri. Come puoi vedere, anche adesso che la "cara signora" sta per venire a prendermi (chissà che "aspetto" avrà?), io sono rimasta la stessa donna testarda, scattosa e orgogliosa di sempre. 

Nessuno, in effetti, è mai riuscito a tenermi testa. 

Nemmeno Francesco, che alla fine ha semplicemente dovuto arrendersi all'evidenza che le mie "gentili" richieste sono in realtà leggi, e che le mie suppliche nascondono, a ben guardare, delle spaventose manie di controllo. Ho soltanto avvertito i miei genitori, di questa particolare fase della mia vita. Poi, non so come, è venuto a saperlo anche Francesco. Che vogliamo farci, le voci corrono... Corrono veloci. Anche più di te, alle volte.

Certo, mentirei a me stessa se non ti dicessi che mi manchi da morire. Sono stata più volte tentata di videochiamarti (proprio io, che con le videochiamate non ci sono mai andata tanto d'accordo!), ma poi mi sono detta che non potevo essere così egoista. Che la mia punizione dovevo scontarla fino in fondo, e con tutto il coraggio di cui fossi stata capace, cosicché io possa, perlomeno, morire in pace. In questo periodo di convalescenza forzata, ho riflettuto davvero molto su me stessa, e su quanti comportamenti sbagliati io abbia adottato durante tutta la mia vita. So benissimo di non essere mai stata la madre perfetta, quel buon esempio a cui qualsiasi figlia vorrebbe (né dovrebbe) ispirarsi. Né tantomeno apparirò tale ai tuoi occhi non appena verrai in possesso di questa lunga lettera.

Non potevo proprio consegnarla a Francesco, e nel corso della lettura scoprirai il perché. D'altra parte, non mi azzarderò nemmeno a consegnarla ai tuoi cari nonni, però. Il destino (solitamente tanto beffardo), in effetti, mi ha da poco suggerito un'altra strada. Una strada che, pur essendo rischiosa, io mi sento comunque di percorrere. E questo perché, nonostante siano passati quasi trent'anni dall'ultima volta che ci siamo visti, io mi fido ciecamente di questa persona.

Ci sono così tante cose che non ti ho detto, figlia mia... Ma non posso ancora farmi inghiottire dai rimorsi di coscienza. Non ora, almeno. Non adesso che il mio cuore è finalmente pronto a rivelarti una verità che, ne sono ben consapevole, ti sconvolgerà la vita. 

Per quanto riguarda la mia malattia, avevo scoperto ormai da un po' di tempo che, molto probabilmente, le fastidiose cure a cui mi stavo sottoponendo da qualche mese non mi sarebbero affatto bastate per starti accanto per un numero di anni sufficienti a vederti realizzata sul fronte professionale e privato. Il mio cuore, purtroppo, è affetto da un male incurabile. Ho pregato i medici di non rivelarti niente, però. Quando non sarò più qui, sarà Francesco a rivelarti tutto... o quasi, certo. Spero davvero che tu e lui, un bel giorno, possiate riavvicinarvi, e che lui ti possa restituire almeno una parte di quell'affetto che tanto ti è mancato in questi anni.

Non sono mai stata una madre modello, questo devo riconoscerlo. Mi sono presa cura di te e, checché tu ne dica, l'ho sempre fatto con amore. Il problema era "soltanto" uno: non mi sentivo per niente degna di avere una figlia come te. Una figlia così piena di vita, così pura, così buona. Così sognatrice. 

Quando io e Francesco ci siamo separati, il castello di carte che tanto avevo faticato a costruirmi si è sgretolato tra le mie mani senza che potessi impedirlo. Mi rifugiavo in relazioni improbabili passando da un letto all'altro perché ero dannatamente infelice. L'insoddisfazione personale e il senso di colpa verso di te, verso Francesco e verso Federico mi stavano consumando, trascinandomi nella disperazione più cupa. Dovevo essere forte, però. Dovevo essere forte per te, e cercare di allontanare il peso di una pesante bugia che è venuta alla luce nel modo più inaspettato.

La mia vita, almeno fino a quando sono rimasta sposata con Francesco, è stata un concentrato di rigore e perfezione. Fin da piccola, sono stata cresciuta coltivando l'ideale di una bambina che doveva seguire, in tutto e per tutto, l'etichetta. Buoni voti a scuola, tutta sorrisi e gentilezza, buone maniere e nessun tipo di lamentela. Mia madre era una donna estremamente pragmatica, e mio padre non era da meno. Erano fieri della figlia che ero, e tutto perché "non ero mai stata come le altre". Io, a detta loro, ero una figlia "speciale".
E per tanti anni l'ho creduto anch'io, sai? Una figlia che non ha mai fatto capricci né creato alcun problema ai suoi genitori non può che vantarsi di un simile "traguardo", no? Una figlia che ha sempre obbedito ai loro ordini senza mai protestare, che li ha sempre aiutati in qualsivoglia faccenda perché se solo si fosse azzardata a rifiutare, be'... sicuramente, se le sarebbe prese in quel posto senza se e senza ma.

Perché non ti ho mai detto tutto questo? 

Be', forse la mia ti sembrerà una frase fatta, ma quando la "Signora con la falce" si sta avvicinando a te, il passo inesorabile, appropriandosi, un pezzetto alla volta, di ogni singola parte di te, non c'è proprio orgoglio che tenga. La tua immagine si sgretola, nuove rughe si aggiungono a quelle già presenti, e tutto quel che ti rimane è soltanto lì, dentro al tuo cuore. Quel cuore che non ha mai avuto il coraggio di parlare, di sfiatarsi più del consentito. Non desideravo la tua pena; non l'avrei mai voluta. Avrei, piuttosto, preferito il tuo disprezzo. Che mi urlassi in piena faccia che la mia vita era stata un fallimento totale... Perché, di fatto, io mi sento proprio una fallita. Una fallita che ora giace su di un letto d'ospedale aspettando, con infinita rassegnazione, che giunga la sua ora.

Francesco, a detta dei miei, era il ragazzo perfetto per me. Molto serio, altrettanto rispettoso, di bell'aspetto e, soprattutto, un onesto lavoratore. Non aveva alle spalle un titolo di studio tanto "importante" ma, sempre a detta loro, era dotato di una certa "classe" (che però non riguardava certo il suo modo di vestire, quanto il suo comportamento irreprensibile), che lo rendeva un tipo interessante e assai desiderabile alla controparte femminile, per quanto si possa definire affascinante uno sbarbatello di vent'anni (se paragonato, magari, a un uomo fatto).
Poi, certamente, io di quello sbarbatello tanto carino, solare ed educato me ne innamorai. Seduta stante. Ci siamo conosciuti al Teatro Alfieri, in una delle tante serate noiose trascorse con i miei "impeccabili" genitori. Capitammo vicini di posto e, tra una breve pausa e l'altra, ci ritrovammo a scambiarci qualche parola per poi dichiararci, a fine serata, completamente presi l'uno dall'altra (galeotta fu l'opera "I Maestri Cantori di Norimberga" del folle Wagner, che è durata la bellezza di ben cinque ore!)

Addirittura! starai pensando adesso, e non mi è difficile immaginare la tua espressione confusa, in questo momento. 

Be', che posso dirti... Io, di Francesco, quasi mi innamorai a prima vista. Per lui fu lo stesso. Da quella sera, cominciammo a uscire quasi tutti i giorni, e mi stupii sul serio che i miei mi permettessero di farlo (sempre a patto che, durante il giorno, mi dedicassi allo studio del pianoforte e all'arte del cucito, oltreché alle consuete pulizie giornaliere). Quel periodo è stato, forse, uno dei più spensierati della mia vita. Ci amavamo alla follia e, sebbene ci conoscessimo da poco tempo, progettavamo già un futuro insieme. Sai, all'epoca credevo che ci si potesse innamorare una e una sola volta, nel corso della vita. Credevo fortemente nel potere del destino, e che lo stesso scegliesse per noi quella persona che riteneva più adatta al nostro modo di essere, di vivere e persino di pensare. Certo, io e lui eravamo veramente tanto diversi, a ben guardare, e lo eravamo per molti aspetti. Io ci tenevo tanto alla mia immagine, al mio aspetto esteriore e a quelle che lui definiva "frivolezze" (su questo, ahimé, ero proprio identica a mia madre), mentre Francesco... be', per lui era di gran lunga più importante l'atteggiamento, nonché il modo con cui si potevano affrontare le difficoltà della vita, che non la semplice apparenza. Ai tempi, io non diedi poi molta importanza alle sue parole, tantomeno ai "noiosi" moniti con cui, di tanto in tanto, mi si rivolgeva. Ero sicura che, nonostante le nostre divergenze, saremmo potuti essere molto felici.

Ma non avevo fatto i conti con il senso del dovere e del sacrificio, e la mia indole egoistica cominciò a spuntare fuori senza che me ne rendessi conto. Mi sono scoperta come una donna fin troppo abituata alle comodità, nonché sin troppo bisognosa di attenzioni. Benché fossi stata educata al rigore, all'assoluta correttezza e alla disciplina, e quindi, almeno sulla carta, con le migliori intenzioni, io non mi ero mai sentita veramente amata, tantomeno sostenuta, dai miei genitori. Quei due mi hanno voluto bene soltanto perché ero "il ritratto della perfezione fatta persona". Soltanto perché io ero esattamente come loro volevano che fossi.

Non commettere mai questo errore, figlia mia. Segui sempre il tuo istinto, e non farti mai – e dico mai! – mettere i piedi in testa. Da nessuno. Altrimenti, anche le persone che ti orbitano intorno finiranno per soffrire insieme a te. In effetti, sono ben consapevole di aver fatto soffrire te e Francesco più di quanto non meritaste. Dopo un paio d'anni di matrimonio, il rapporto tra me e lui si è incrinato a tal punto che quasi non riuscivamo più a parlarci, tantomeno a esprimere i nostri reali sentimenti. Dal punto di vista lavorativo, le cose non andavano affatto bene, ed è stato in quel momento che ho pensato seriamente di iscrivermi all'università. Non avrei mai voluto dire ai miei che ci trovavamo in serie difficoltà, perché il solo pensiero di chiedere loro un aiuto economico mi disgustava. Avevo sposato Francesco perché ne ero molto innamorata, questo era vero, ma più di tutto (e questo lo appurai soltanto qualche anno dopo) lo avevo fatto perché desideravo ardentemente allontanarmi da loro. Di non sottostare più alle loro dipendenze, arrivando a calpestare anche i miei stessi desideri.
Volevo essere una donna libera, orgogliosa, fiera e indipendente.

Eppure, anche con Francesco cominciai a sentirmi in trappola.
Da qualche tempo, lui tornava spesso a casa a tarda ora e non si comportava più come l'uomo affettuoso e scanzonato di cui mi ero tanto innamorata. Certo, la stanchezza accumulata durante il giorno non l'aiutava, e io sapevo che stava facendo tutto il possibile per risalire la china, così cercai di concentrarmi sul come potessi concretamente venirgli incontro. Purtroppo, trovare uno straccio di lavoro si rivelò più complicato del previsto, così decisi una volta per tutte di iscrivermi a Scienze Politiche. Non mi sarei laureata con un colpo di spugna, però avrei potuto occupare il mio tempo studiando, senza pensare troppo all'assenza di Francesco e a tutti i problemi che stavamo attraversando in quel periodo. Nel frattempo, mi accinsi anche a lavorare come cameriera durante i weekend (guadagnavo una miseria, ma era pur sempre qualcosa), con il risultato che, delle volte, io e Francesco non ci vedevamo quasi più. Ci incrociavamo distrattamente in casa qualche volta, ma non ci degnavamo di uno sguardo. Forseeravamo solo troppo esausti, e fin troppo disillusi dalla vita. Lui, d'altra parte, non era nemmeno poi tanto d'accordo sul fatto che mi fossi iscritta all'università, ma io non ce la facevo davvero più a restarmene a casa senza fare niente.

E così, è cominciata la mia avventura di studentessa. Avevo già ventisei anni, eppure, per la prima volta dopo tanto tempo, mi emozionai come una quindicenne al primo appuntamento. A poco a poco, scoprii un mondo totalmente nuovo. Un mondo che mi piaceva da matti. Era come se, in tutti quegli anni, fossi rimasta chiusa in una gabbia senza che nessuno mi avesse dato l'opportunità di vedere la luce del sole. Potevo organizzarmi come meglio credevo e, cosa ancora più bella, nessun professore ti avrebbe mai detto come gestire il tuo tempo, come nessuno studente ti avrebbe mai rotto le scatole sul fatto che si dovesse studiare di volta in volta per non rimanere indietro col programma. L'università fu l'anticamera di quella libertà che mai avrei sospettato di poter assaporare. Peccato che dopo qualche tempo, però, mi sfuggì tutto quanto di mano. La troppa libertà, effettivamente, mi portò ad approfondire il rapporto con un ragazzo di medicina a cui cercai, perlomeno all'inizio, di stare alla larga in tutti i modi, scoraggiando tutti i suoi nobili propositi.

È stato proprio all'università, che ho conosciuto quel Federico (l'uomo di cui ho accennato qualche paragrafo prima).

E adesso? Chi diavolo sarà mai, questo Federico? ti starai chiedendo (anche se, a dire il vero, spero tanto che, quando ti ritroverai a leggere questa lettera, tu abbia già fatto la sua conoscenza).

Be', Federico era un ragazzo davvero brillante, tanto estroverso quanto entusiasta della vita (anche se, a guardarlo bene, di tanto in tanto nei suoi occhi tanto belli vi si scorgeva un'ombra di assoluta malinconia); a tratti impacciato e parecchio – ma parecchio! – romantico. Un uomo d'altri tempi, insomma. Il nostro primo incontro non fu dei più classici. Da quando in qua incontrarsi tra i banchetti di una mensa universitaria può definirsi romantico?

In ogni caso, dopo esserci scontrati per sbaglio con i rispettivi vassoi, lui mormorò un distratto "scusami", e poi, non appena incrociò il mio sguardo, se ne restò imbambolato a guardarmi per almeno trenta secondi, prima di proferire un timido "ciao" che, comunque, mi fece piegare in due dalle risate. Sarà stato per la sua espressione confusa, gli occhi sgranati e la bocca semiaperta, che "ho ben pensato" di mettermi a ridere come una stupida davanti a lui. Mentre me la ridevo, un'altra strana sensazione si era però fatta strada alla bocca dello stomaco e, dopo avergli fatto un breve cenno di saluto, raggiunsi le mie amiche al tavolo, decisa ad archiviare quello stupido episodio.

Peccato che il destino ci mise, ancora una volta, lo zampino. Incontrai di nuovo quel Federico in occasione di un esame particolarmente tosto (e di cui adesso mi sfugge il nome) e, in quel momento, fu come se qualcuno mi avesse dato una coltellata allo stomaco.
Non mi sarei certo aspettata di rivederlo, e lo stesso aveva pensato lui. Ci scambiammo una veloce stretta di mano e ci presentammo. Dopo una mezz'oretta, colta dall'euforia di aver passato l'esame con un signor voto, accettai il suo invito a offrirmi qualcosa al bar per festeggiare l'evento. 

Nel frattempo, avevo provato a chiamare Francesco, benché sapessi che non avrebbe sicuramente fatto i salti di gioia (pensava tuttora che la mia scelta di studiare fosse stata una completa follia). Lui non mi rispose, né tantomeno mi richiamò.
Così, indispettita, passai l'intero pomeriggio con Federico. Non che gli diedi chissà quanta confidenza. A dirla tutta, cercavo sempre di fare la preziosa e di apparire insopportabile, quando mi capitava di approcciarmi a lui, e cercavo altrettanto di fargli capire che non c'era trippa per gatti. Eppure, non ero mai riuscita ad allontanarlo definitivamente, tantomeno volevo che lo facesse. 

Odiavo ammetterlo a me stessa, ma quel Federico stava cominciamo a piacermi sul serio. Davvero troppo. 

Lui, poi, era un tipetto estremamente tenace, persino più di Francesco. Non penso di aver mai conosciuto, al mondo, una persona più ostinata di quel ragazzetto di soli ventitré anni che, con un garbo e una sfacciataggine assoluti, stava facendo una corte spietata a una ragazza che, di anni, ne aveva "già" ventisei (e che per giunta, a sua insaputa, era già sposata).
Se qualcuno lo avesse giudicato solo "dalla copertina", lo avrebbero sicuramente dipinto come un ragazzo introverso, sin troppo riservato e, all'occorrenza, persino freddo. Non erano stati pochi i momenti in cui lo avevo sorpreso ad aggirarsi da solo per le stradine della città universitaria, la sigaretta tra le dita, lo sguardo estremamente pensieroso. Pochissime volte l'avevo visto in compagnia dei suoi colleghi, tantomeno di una ragazza, e altrettante le volte mi ritrovavo a fissarlo con grande curiosità, desiderosa più che mai di entrare nella sua testacosì da conoscere i suoi più intimi pensieri.

Che avesse intenzioni serie, con me, mi fu chiaro sin dal primo giorno. Avevo cercato di convincermi che si trattasse di un semplice capriccio, ma in fondo al cuore sapevo che non era così. E a me, mio malgrado, affascinava parecchio il suo modo di essere.
Quella sorta di ambivalenza che mostrava all'occorrenza e che, devo proprio dirlo, ha quasi rischiato di farmi perdere il senno.

Poi, in un giorno qualunque, arrivò da parte sua la fatidica domanda.

"Forse sei già fidanzata? Non capisco perché ti comporti così con me. Il giorno prima mi saluti e mi travolgi con le tue chiacchiere, mentre il giorno dopo mi eviti come la peste. Come se non esistessi."

Fu in quel preciso istante, che capii di essermi cacciata in un bel guaio. Ero una donna sposata e, per quanto giovane, non potevo certamente fare il cavolo che mi pareva. Francesco mi amava come il primo giorno, di questo ne ero sicura, e io non potevo continuare a comportarmi in quel modo. Sì, tra me e Federico non era successo niente, o almeno... non ancora. Lui non si era mai spinto troppo oltre, con me, malgrado mi avesse chiaramente fatto intendere che non voleva lasciarmi andare, e... e che, in un modo o nell'altro, un bel giorno sarei finita tra le sue braccia. Io, dal canto mio, ci provai con tutte le mie forze, a dimenticarlo. Ovviamente, non ebbi il coraggio di confessargli la verità. Cercai, invece, di ricucire il mio rapporto con Francesco e, almeno per un certo periodo di tempo, le cose tra noi parvero migliorare.

A questo punto della "storia", fu proprio Federico a giocarmi un brutto scherzo. Dopo qualche settimana, tornai all'università e mi scontrai con una realtà che mi sconvolse tutta (e che mi fece parecchio male). Davanti al porticato della mia facoltà, lo vidi baciarsi con un'altra ragazza. Soltanto qualche ora dopo scoprii che, in verità, quel furbacchione si era accordato con una sua collega di università per farmi ingelosire. E, mio malgrado, ci era riuscito alla grande. Quando quella ragazza lo salutò, io gli piombai davanti e dovette sorbirsi un'assurda scenata che però, questa volta, fece ridere lui (e a crepapelle, per giunta). 

Così, al fine di tapparmi la bocca, mi trascinò nell'angoletto più remoto dell'università, mi guardò intensamente e, ormai stufo di sentirmi, mi rifilò un bacio dolce e appassionato insieme. Un bacio che mi lasciò senza fiato, e di cui tuttora ricordo il sapore. Fu in quell'effimero istante, che persi del tutto la testa per lui. Ciononostante, mi premurai di non mostrargli le mie emozioni e, a seguito di quel bacio, cercai di allontanarmi da lui, perché scappare dalla verità mi sembrava l'unica soluzione possibile. Avevo ricambiato il bacio, questo era vero, però non volevo dargliela vinta. O forse, non volevo ammettere a me stessa che mi fossi, irrimediabilmente, innamorata di lui, e che per Francesco non provavo più gli stessi sentimenti di prima.

Come reagì Federico?

Be', lui continuò a cercarmi. Per lui, a quanto pare, non esistevo altri che io. Non si azzardò più a baciarmi contro la mia stessa volontà, anche se il solo ricordo di quanto successo quel giorno riusciva ad annebbiarmi completamente il cervello. Continuava a dirmi che mi avrebbe aspettata, che non si sarebbe mai arreso, con me. Finché, dopo qualche tempo, non capitolai del tutto, e... e non mi resi effettivamente conto che io desideravo averlo accanto, e con tutte le mie forze. Così, a seguito di un pomeriggio particolarmente romantico (o meglio, il romantico era sempre stato lui), finii dritta dritta a casa sua, ritrovandomi a sperimentare una caterva di sensazioni che definire intense sarebbe un eufemismo.

Sarà la nostra prima (e ultima) volta, pensai tra me e me, mentre mi abbandonavo al suo tocco delicato e ai suoi baci tanto inebrianti. Un terribile senso di colpa, però, mi investì con prepotenza la mattina dopo. Avevo appena tradito mio marito (anche se, a ben guardare, l'avevo già ingannato, pur col solo pensiero, tempo prima), e lui non si meritava assolutamente un simile trattamento. In barba alla splendida notte che avevo trascorso con Federico, mi alzai da quel letto e decisi, di punto in bianco, di scrivergli una lettera d'addio, e di sparire per sempre dalla sua vita. Ebbi così tanta paura di affrontare (come accettare) quel forte sentimento che ormai provavo nei suoi confronti, che non ce la feci, quindi pensai che tirarmi indietro fosse la scelta migliore.

Io non potevo certo lasciare Francesco dopo tutti i sacrifici che lui aveva fatto per me. Io non potevo certo divorziare, perché IO ero una moglie e una donna leale, fedele, fiera e... e PERFETTA, perlomeno agli occhi degli altri. Io non potevo certo confidarmi con i miei genitori, né tantomeno gettarli in pasto allo scandalo. Io DOVEVO comportarmi a tutti i costi come si conveniva a "una signora", muovere le "pedine giuste", seguire le solite regole senza mai infrangerle (per quanto una grandissima parte di me volesse ribellarsi a quelle assurde condizioni).

Io non avevo nessun diritto di distruggere chi mi aveva gentilmente offerto un tetto sopra la testa, pur di sloggiare quanto prima da casa mia. Il mio stupidissimo orgoglio – o forse il mio egoismo – prevalse su tutto il resto.

Io non potevo assolutamente accettare quell'imprevisto di nome Federico.

Perché a me gli imprevisti non piacevano. Preferivo di gran lunga vantarmi di avere il controllo di qualsiasi situazione, proprio perché ero sempre stata abituata a controllarmi in tutto. Tenendo a freno persino le mie emozioni.

Per quanto il mio sentimento per Federico fosse forte, io non ero pronta a rinunciare a tutto "soltanto" per lui. Che poi, se per poco mi fossi azzardata a divorziare da Francesco, i miei mi avrebbero senz'altro diseredato. Li conoscevo abbastanza da sapere che non mi avrebbero mai perdonata.
Avrebbero reso la vita impossibile persino a Federico, che avrebbe finito per sentirsi come un animale in gabbia e, magari, avrebbe persino rinunciato al proprio sogno di diventare medico. So che ne sarebbe stato capace, pur di vedermi felice. Ma lui non poteva mollare, perché sentivo che la sua passione per la medicina era quanto di più autentico avessi mai visto riflesso negli occhi di una qualsiasi personaLa stessa identica passione che tu continui a coltivare per la scrittura, lui la coltivava per il suo corso di studi.

Chissà, magari avremmo potuto andarcene da Torino insieme e tu, a quel punto, non avresti mai conosciuto i tuoi amatissimi nonni. Ma, a conti fatti, di almeno una cosa sono contenta. Sono felice di non averli privati di una nipotina tanto dolce come te. Forse non ti meritavano, e forse non ti meritavo nemmeno io, però, malgrado tutto, non sono mai riuscita a voltar loro le spalle. Come vedi, dietro la maschera della donna forte e risoluta si nasconde un'autentica egoista (nonché un'autentica fifona, e della peggior specie!).
Non ho avuto la forza di seguire il mio cuore, di lasciare tutto in nome di un sentimento che, adesso posso ben dirlo, non si è mai davvero spento.

Ho privato Federico di te (e viceversa) per troppi anni, e di questo penso sia davvero inutile che provi a scusarmi. Comprenderò se tu non riuscissi mai a perdonarmi per averti fatto questo, come capirò altrettanto se non ci dovesse riuscirci neanche lui. Non posso pretendere il vostro perdono, né mai lo pretenderò.

Una cosa te la voglio dire, però. Tu sei stata la cosa più bella che mi sia mai capitata nella vita e, anche se non sono quasi mai riuscita a dimostrartelo, ti garantisco che sei stata il frutto di un'amore tanto tormentato quanto travolgente. L'amore più intenso che abbia mai provato nella mia vita. Sei stata il frutto dell'amore tra me e Federico, che, te lo posso giurare, si sarebbe preso cura di te senza battere ciglio, nonostante i suoi ventitré anni. No, lui non mi avrebbe certo abbandonata.

Quando ho scoperto di essere incinta, ero la persona più felice e più triste del mondo. Ero la più triste perché avevo lasciato l'università e, soprattutto, il mio amato Federico, ma al tempo stesso ero la più felice perché sapevo che Francesco sarebbe stato un padre meraviglioso. Io, nonostante tutto, gli volevo ancora un mondo di bene, e a poco a poco mi ero convinta che sarei tornata ad amarlo come prima (magari persino di più). Non che non avessi sospettato che il figlio che aspettavo non potesse essere di Federico, ma dentro di me non volevo accettare una simile eventualità. E invece, quell'unica volta tra me e lui era stata proprio "la volta buona."

Non ho mai avuto il coraggio di verificare se Francesco fosse sul serio tuo padre, e pure in questo caso sono stata una vigliacca. Ho rischiato tanto, lo so. Sicuramente penserai che sono rimasta insieme a Francesco solo per convenienza, dato che poi, per nostra fortuna, lui è riuscito a farsi assumere da una ditta piuttosto importante, evento che ci ha portato a superare di netto la crisi economica. Anche su questo aspetto, non me la sento di contraddirti totalmente. Ho sempre amato circondarmi di quelle comodità e di quel lusso che adesso, invece, trovo tanto futili. Ma a poco a poco, io e Francesco siamo comunque riusciti a ritrovarci davvero, e la notizia della mia gravidanza aveva fatto il resto. Certo, io continuavo a sentirmi indegna di stare con lui e, al tempo stesso, stavo cercando di cancellare dalla mia mente tutti i momenti trascorsi con Federico. Il pensiero di te, alla fine, ha prevalso su tutto il resto. Con Francesco le cose stavano andando per il verso giusto; lui mi faceva stare bene, non ci faceva mancare nulla, e alla fine pensavo di aver superato tutto quanto. Lui non vedeva l'ora di conoscere la sua splendida bambina. Sì, perché lui era convinto che avremmo avuto una femminuccia, e aveva già deciso come ti saresti chiamata. Io lo lasciai fared'altronde, il nome Amanda piaceva moltissimo anche a me.

Nel complesso, i nove anni trascorsi insieme sono stati molto felici. Io avevo imparato a convivere con quel senso di colpa che, di tanto in tanto, mi trafiggeva il petto, e questo perché vedere te e Francesco insieme era quanto di più bello potessi desiderare dalla vita. Tutto il resto, per me, era passato in secondo piano. Non mi costava più comportarmi da buona moglie, tantomeno cercare di crescerti al meglio delle mie possibilità, anche se il mio carattere è comunque sempre stato un po' freddo e non troppo incline alle manifestazioni d'affetto, anche per via dell'educazione ricevuta. È proprio vero che alcune persone, purtroppo, non sanno veramente come si debba amare qualcuno. Perché dispensare baci e abbracci dovrebbe essere un istinto naturale, e invece... questo istinto, a quanto pare, non appartiene proprio a tutti.

Vuoi per il loro vissutovuoi per il carattere introverso che si ritrovano o per mille altre ragioni che forse, almeno in parte, sfuggono alla nostra comprensione. In ogni caso, la nostra famiglia era saldamente unita, nonostante le cavolate che avevo fatto. Ma non potrò mai perdonarmi di averti allontanato da Federico, come non potrò mai perdonarmi il fatto che lui, molto probabilmenteavrà pensato che per me sia stata solo una semplice avventura.

Ma anche se non ho avuto il coraggio di lottare per lui, posso assicurarti che l'ho amato davvero tanto, anche se non gliel'ho mai detto. Anche se ho fatto di tutto per negarlo a me stessa. E una grande parte di me ne è tuttora innamorata. 

Non dimenticherò mai, d'altro canto, il momento in cui Francesco ha scoperto che tu non eri davvero sua figlia. Il suo sguardo, sconvolto e deluso allo stesso tempo, mi rimarrà scolpito nella memoria per sempre; persino dopo la morte. Il momento più infelice della mia vita è cominciato proprio da quel dì. È stato in quel momento, che ho capito di aver fatto un grande errore. Ti avevo già privata di Federico e, adesso, molto probabilmente nemmeno Francesco sarebbe più stato presente nella tua vita. E pensare che, soltanto fino a qualche tempo prima, avevamo persino provato a darti un fratellino o una sorellina.

Non ci saremmo mai riusciti, ma di questo particolare credo sia meglio che tu ne parli con lui. Certo, io non sono poi tanto sicura che lui voglia che si sappia la verità. Ma non appena ho visto Federico, io ho sentito l'esigenza di doverti raccontare tutto, e... e credo proprio che, tra pochissimo tempo, racconterò tutta la verità anche a lui.

Mi sento veramente tanto stanca, ma devo resistere almeno un altro po'. Spero mi perdonerai se non sono riuscita a scriverti a mano questa lunghissima lettera. Ti giuro che ci ho provato, ma non ci sono proprio riuscita. Mi sono fatta portare con urgenza un computer proprio per poterti raccontare tutto quanto avevo da dirti.

Ti chiedo soltanto un'ultima cosa: non te la prendere tanto con Francesco, okay? Lui non ha nessuna colpa, ed è stato comunque un papà meraviglioso, che non ha mai smesso di volerti bene. Te ne vuole ancora, al di  dei legami di sangue. Sono sicura che, un giorno o l'altro, si deciderà a parlarti a cuore aperto.

Ti abbraccio forte, tesoro mio. E ricordati sempre di seguire il tuo cuore, e di amare sempre te stessa. La vita è troppo breve già di suo, e non è giusto condannarsi a un'eterna infelicità, seguendo quelle convenzioni o quegli schemi "prefissati" che hanno il solo scopo di tarparci le ali. Sii sempre fiera della bellissima persona che sei diventata, e nel frattempo, mi raccomando, continua a scrivere!
Io, in ogni caso, leggerò i tuoi capolavori da lassù.

P.S.: Spero tanto che il tuo stage a Parigi stia procedendo nel migliore dei modi, ma dagli ultimi messaggi che ci siamo scambiate, ho ragione di credere che tutto stia andando per il verso giusto. Buona vita, e... "a rivederci presto".

P.P.S.: Ti prego di non rammaricarti, per non essere riuscita a dirmi addio. Ricordati che l'ho voluto io.
 

Sinceramente tua,
Valeria.

 

N.d.A. Scrivere questa lettera mi ha emozionata tantissimo, e non vedevo l'ora di farvela leggere! Un grazie speciale a chi è arrivato fino a qui (lo so che il capitolo è particolarmente lungo, chiedo venia!). 

Un abbraccio,

Eleonora.

   
 
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