Storie originali > Introspettivo
Segui la storia  |       
Autore: Nina Ninetta    26/04/2024    4 recensioni
Anita è una studentessa di 16 anni che vive un profondo disagio sociale e se ne sta fin troppo spesso per conto proprio. Completamente sola, all’inizio del terzo anno, si trasforma nella vittima perfetta di un gruppetto di bulli che la vessa con dispetti e insulti di ogni genere. Il peggiore fra tutti, secondo Anita, è Stefano: un ragazzo scaltro e intelligente che sa usare fin troppo bene le parole, cosa in cui anche lei è brava! Qualsiasi altra persona, al posto di Anita, si sarebbe lasciata avvilire da questa situazione, ma non lei, poiché non si sente affatto sola, c’è il suo migliore amico a darle man forte: ȾhunderWhite! Un ragazzo con cui chatta ormai da tempo e che ha conosciuto in rete, su un sito per giovani scrittori come lo sono loro! Sebbene vivano nella stessa città, Torino, non si sono mai incontrati di persona, fin quando ȾhunderWhite non sente il desiderio di vederla dal vivo...
Questa storia partecipava alla challenge “Gruppo di scrittura!” indetta da Severa Crouch sul forum “Writing Games - Ferisce più la penna” - aggiornamenti ogni 15 giorni.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Ȼapitolo Ⱦredici

 “Ʀidimensionati
 


Una volta Ⱦhunder aveva chiesto a Storm cosa le fosse piaciuto fare a un primo appuntamento. Lei aveva risposto che le sarebbe tanto piaciuto andare al mare.
 
“Il mare?”
 
Aveva chiesto lui, accompagnando la domanda con un’emoticon dall’espressione interdetta.
 
“Sì, al mare”
“E xké?”
“Xké il mare ridimensiona tutto: città, persone, problemi”
“Certo ke 6 strana tu!”

 
Storm aveva fissato lo schermo, senza sapere cosa rispondere a quell’affermazione. Ⱦhunder non poteva sapere che quella mattina a scuola era stata davvero dura. Fabio Morini e Stefano Parisi erano stati più cattivi del solito, meschini era il termine giusto. Durante l’ora di educazione artistica l’intera classe era scesa nel laboratorio per imparare le tecniche pittoriche dei grandi maestri del Settecento. Peccato che Fabio avesse rubato una bottiglia di vernice rossa, mentre Stefano distraeva la giovane insegnante con domande inerenti alla storia dell’arte. Così, quando erano tornati in aula, Fabio non ci aveva pensato due volte e le aveva lanciato la vernice sui jeans, mirando volutamente alle parti intime. Era solo la prima ora, avrebbe dovuto passarne altre quattro con una chiazza rosso sangue proprio tra le gambe, come se avesse il ciclo nei giorni più pieni e si fosse dimenticata di mettere l’assorbente.
 
“Un fiume andrebbe bene?”
 
Aveva proseguito Ⱦhunder e Storm aveva sorriso dall’altra parte dello schermo, rispondendo di no prima di aggiungere:
 
“Il mare è un’altra cosa. Ridimensiona i problemi, li fa sembrare meno gravi”
“Qualcosa non va? Dimmi ki è ke ti fa soffrire e lo vengo a prendere a pugni!”


Storm aveva mentito scrivendo che andava tutto bene.
 
«Ehi, Lentini! Ti sei incantata?»
La voce di Stefano la distolse da quel ricordo. Lui aveva già raggiunto la riva e immerso i piedi nell’acqua, fino alle caviglie.
«È fredda?»
«No.»
«Bugiardo!»
«Provare per credere» le sorrise e forse per la prima volta quel sorriso era genuino, non nascondeva alcun sotterfugio, nessuna trappola per lei.
Anita avanzò, testando la temperatura del mare con le dita del piede destro e dovette ammettere che il compagno di classe aveva ragione: era quasi tiepida. Perfetta! Perciò lo raggiunse sulla riva, dove le onde la bagnarono fino alle caviglie e lei d’istinto si sollevò l’orlo dell’abito alle ginocchia, tenendolo con entrambe le mani. Aveva comprato quel vestito in un negozio del centro città, un pomeriggio soleggiato, insieme a sua madre. Aveva speso una fortuna, era di ottima qualità e di una famosa casa di moda di cui ora non ricordava neanche il nome. Il tessuto di chiffon giallo le ricadeva a balze fino a metà polpaccio, il corpetto non aveva spalline ed era separato dalla gonna a pieghe da un grande fiocco stretto in vita. Le spalle invece erano coperte da un giubbetto di jeans che le aveva prestato sua sorella Alessia.
«È fredda?» Chiese Stefano.
«Mmm… non tanto.»
«Visto?!»
Anita alzò occhietti incuriositi su di lui, rapito intanto dal panorama della costiera, le cui luci si arrampicavano sulle pareti scoscese del promontorio, ricordando tanto un presepe vivente; aveva lo sguardo perso, ma sereno.
Le onde, nel frattempo, continuavano il loro moto infinito, il fruscio che creavano sui sassolini quando si ritiravano era terapeutico. Da lontano, si udiva la canzone di Lucio Dalla: Caruso.
Anita si voltò indietro, osservando verso l’alto il terrazzo con la piscina dove si era affacciata qualche tempo fa. Si chiese quanto fosse passato? Un’ora? Due? Pochi minuti? Aveva completamente perso la cognizione del tempo. Tornò a sbirciare Stefano.
Possibile che fosse davvero Ⱦhunder? Possibile che fosse in riva al mare proprio in sua compagnia? Com’era potuto succedere? E quando sarebbero tornati a casa? Cosa ne sarebbe rimasto dell’esperienza che stavano condividendo? Non voleva tornare a come erano prima, non voleva che lui la chiamasse ancora Sfigatella, voleva potersi fidare di lui, considerarlo un amico o quanto meno non una minaccia costante. Voleva che fosse Ⱦhunder, pur senza esserlo. Un pensiero insensato quest’ultimo, che non significava niente. Eppure, lei capiva benissimo cosa intendesse dire, solo che non riusciva a tradurlo in parole.
«Te voglio bene assaje, ma tanto tanto bene sai, è una catena ormai, che scioglie o’sangue rint’e vene, sai!» Cantò Stefano, tra l’ironico e il serio, scoppiando a ridere subito dopo Anita.
«Wow, che accento!» Lo prese in giro lei.
«Perché? Non paro un napoletano vero?»
«No, non direi!» Ridacchiarono ancora, poi la ragazza fece qualche passo in avanti, facendosi arrivare l’acqua alle ginocchia e arrotolandosi il vestito fino a metà coscia. Era un po’ più fredda adesso, ma non le importava. Scrutava l’immensità e la bellezza del paesaggio che si apriva dinnanzi a lei per imprimerla bene nella memoria. Era giovane, ma sapeva che i momenti di felicità erano solo sprazzi di vita.
«Ehi, non esagerare! Non sai quanto sia profondo!»
Anita Lentini non disse niente. Chiuse gli occhi e respirò a pieni polmoni l’odore buono del mare, quindi riaprì le palpebre e si chinò in avanti sfiorando la superficie dell’acqua con le dita della mano destra, mentre con l’altra teneva ancora su l’abito.
Ah, se avesse potuto avrebbe arrestato il tempo! Restare lì, a mollo, con il dolce brusio delle onde nelle orecchie e le parole della canzone di Lucio Dalla che giungevano da lontano, ma chiare, nitide, forse trasportate dalla brezza. Restare lì, senza doversi più preoccupare di nulla, né dei compiti in classe, né dei compagni che la vessavano con scherzi umilianti. Restare lì, con il suo migliore amico Ⱦhunder a tenerle compagnia.
Ⱦhunder, che era anche Stefano Parisi.
«Hai tolto le storie dal sito» non c’era inclinazione nella voce di Stefano, solo una considerazione che comunque spiazzò la ragazza.
«Avevo paura» ammise, perché dinnanzi al mare le paure si ridimensionano. «Paura che potessi stamparle e farle leggere a scuola.»
“E che gli altri si ritrovassero nei personaggi descritti” pensò, tenendo quella verità per sé. Possibile che Stefano non si fosse mai riconosciuto in quei racconti?
Lui rimase impassibile. Ci aveva pensato a stampare le storie e distribuirle agli altri, a mo’ di volantini, eccome se l’aveva fatto. Si era immaginato dinnanzi ai cancelli dell’istituto, una mattina qualsiasi, lui da un lato e Fabio dall’altro, a offrire a chiunque passasse un capitolo o un pezzo di one-shot. Doveva ringraziare che erano appena cominciate le vacanze estive o l’avrebbe fatto sicuramente. La vendetta era stato un sentimento che lo aveva accompagnato per molte settimane dopo il loro incontro ai lampioni innamorati. E forse, se Storm non avesse tolto i racconti e non ci fosse stato quel weekend a Sorrento, con l’inizio della scuola l’avrebbe fatto comunque. Perché voleva umiliarla, come si era sentito lui quando si era reso conto che per tutti quei mesi altro non aveva fatto che parlare con la Sfigatella della classe. Dio, se lo avesse saputo Fabio che figura c’avrebbe fatto? Anche la sera prima di partire, mentre erano seduti al tavolino di un bar in centro a fumare e bere una birra gelata, con Barbara Scala aggrappata al suo braccio e la testa posata sulla spalla, Fabio l’aveva preso in giro – ovviamente Alessia quella sera non era con loro – raccomandandogli di non innamorarsi di Sfigatella.
«Sai com’è» aveva detto ridendo, «Sorrento, il sole, il mare, voi due da soli…»
«È vero!» era intervenuta Barbie, destandosi di colpo per fissarlo negli occhi (aveva già le lacrime che li inumidivano). «Adesso sono gelosa! Voglio venire pure io!»
Stefano Parisi aveva riso, bevendo un sorso di Heineken direttamente dal collo della bottiglia. Li aveva assicurati che non correva rischi. Piuttosto che innamorarsi di una come la Lentini, avrebbe preso i voti.
E ora? Era cambiato qualcosa?
No, semplicemente erano lontani da casa e poteva rilassarsi un attimo, nessuno lo avrebbe giudicato, nessuno lo conosceva. E se fosse saltato fuori qualcosa (c’era sempre la possibilità che Anita si confidasse con la sorella), avrebbe potuto intraprendere due strade: dire che era ubriaco o dire che erano tutte stronzate!
«L’avrei fatto» ammise all’improvviso a testa china, mentre Anita si voltava a guardarlo. Non c’era biasimo nei suoi occhi.
«Lo so, perciò le ho tolte la sera stessa.»
“Mentre tu correvi a sbaciucchiarti Barbie”, avrebbe voluto aggiungere, ma anche quella considerazione la tenne per sé.
«Non mi hai mai detto» Stefano fece un colpetto di tosse, imbarazzato. «Voglio dire, non hai mai confidato a Ⱦhunder che a scuola… cioè… hai capito no?»
«Che mi bullizzate? No.»
“Bullizzare” Stefano non aveva mai considerato i loro scherzi da quel punto di vista. Per lui erano scherzi e basta, a volte piccati, ma innocenti.
«Perché?» Chiese in ogni caso.
Anita tornò a guardare le luci delle case che si arrampicavano sulle pareti delle montagne, chiedendosi di sfuggita chi le abitasse, se fossero felici oppure no.
«Mi vergognavo.»
Quella risposta fu una specie di pugno nello stomaco per Stefano che per la prima volta, forse, la stava considerando come una persona, con dei sentimenti veri. Possibile che non aveva mai pensato al fatto che potesse soffrirne? Eppure, adesso tra i due il più forte sembrava lei.
«Non hai neanche mai detto che andavi a scuola, se è per questo.» Cercò di sdrammatizzare lui, ma l’intenzione fallì miseramente a causa della risposta onesta di Anita.
«È vero, non l’ho fatto. Potrei dirti che non volevo incontrarti per paura che non volessi più parlarmi perché non ti piacevo. Non in qualità di Stefano Parisi – poiché già non parliamo – ma di Ⱦhunder. In verità, temevo che se ti avessi detto la scuola che frequentavo saresti venuto davanti ai cancelli e avresti scoperto la sfigatella che ero. Che sono.» Abbozzò un sorriso triste, mesto. Si voltò di nuovo indietro. «Che tu e i tuoi compari, vedendolo, mi aveste preso in giro davanti a lui. Non l’avrei sopportato, non questo.»
Stefano Parisi la fissò negli occhi. Come faceva a non piangere? Perché non aveva lacrime che le solcavano il viso? Dannazione, Barbara piangeva per ogni cazzata! Aveva pianto anche la sera prima della partenza per Sorrento, come se avesse dovuto affrontare un viaggio senza ritorno.
Mi dispiace, gli suggeriva la mente. Diglielo, cretino, diglielo che ti dispiace e che quella volta, al parco del Valentino, quando l’hai vista in lacrime con le spalle contro un tronco, quasi quasi volevi tornare indietro per consolarla e invece te ne sei scappato alla festa in sella al tuo motorino, baciandoti la prima ragazza che sapevi non ti avrebbe respinto. Diglielo, che fino a quel momento non ti eri messo con Barbara Scala perché eri innamorato di un’altra che neanche conoscevi, se non attraverso una chat. Diglielo, se hai le palle! Diglielo che ti dispiace! Che in fondo neanche tu sei stato onesto con Storm, dal momento che non le avevi mai riferito che a scuola te la prendevi con una ragazza che è la metà di te, che sei il capo di un branco di lupi e nulla più (che presi singolarmente erano uno più fifone dell’altro). Perché lei, nonostante tutto, a scuola aveva continuato ad andarci, mentre se fosse capitato a lui una cosa del genere, di non essere apprezzato e ammirato dai compagni, come minimo avrebbe cambiato istituto. Ammetti che hai iniziato a prendertela con lei dopo che i tuoi genitori ti hanno riferito quella cosa e che il giorno seguente, a scuola, ti è bruciato il culo quando all’interrogazione congiunta di letteratura italiana ha preso un voto migliore del tuo perché è più brava di te. Diglielo, dannazione! Almeno chiedile scusa per tutti gli scherzi idioti alla quale l’hai costretta. Provaci, che ti costa?
Stefano fece un passo avanti, bagnandosi la piega dei jeans. Aprì la bocca, pronto a sputare fuori qualcosa, qualsiasi cosa che si avvicinasse il più possibile a delle scuse, invece la voce della Dell’Arco irruppe tra i due come il rombo di un aereo che frantuma il muro del suono.
«Siete impazziti o cosa?»
Dietro di lei Elia Morales era più scuro della mezzanotte e i suoi occhietti castani parevano lanciare saette scintillanti, e tutte rivolte a Stefano.
Era nei guai.  

 

>>>
 
  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: Nina Ninetta