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Autore: _Alcor    26/04/2024    4 recensioni
Gli emersi – invasori dimensionali che appaiono all’improvviso e senza apparente regolarità – hanno già devastato una delle province del paese e minacciano ogni giorno di causare nuove morti.
In risposta, l’umanità ha creato le armature d’assalto CHIMERA, l’unica speranza di combattere ad armi pari contro individui che sembrano poter piegare la natura al loro volere con un movimento della mano.
Eppure ci sono forze che vogliono che il testing delle armature venga interrotto e sembrano disposte a tutto: aggressioni, minacce e attentati…
Perché?
{I protagonisti sono basically Kamen Rider | Influenzato dall'esperimento di Milgram, Virtue Last Reward | e tanta altra roba}
Genere: Angst, Mistero, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Chimere'
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I.

[Tae Maeda]





IL GIORNO DELLA PRIMA APPARIZIONE DELLA PARATA DEL FUMO



Atterro sul tetto dell’oratorio del Dimenticato e poggio le mani sulle ginocchia. Lo schermo del casco lampeggia novanta battiti al minuto, una media di dieci in meno rispetto all’ultima volta. Anche la nausea che mi tartassa lo stomaco è sopportabile, mi sto abituando a fare i test di volo.

Prendo un respiro, sa di caldo e aria stantia. L’armatura non lascia passare nemmeno l’odore delle foglie marce che delineano il confine del campo sportivo. Mi sporgo, la rete di cinta è tappezzata di cartelloni con impronte di mani colorate e la scritta L’ESTATE DURA PER SEMPRE.

Le porte dell’oratorio si spalancano. Un’educatrice con il megafono fa un passo di lato, in tempo per non farsi travolgere dall’ondata di ragazzini che si riversa sul prato. Un mare di grida esplode, ci stanno provando gusto a sgolarsi.

Il nome Rowell Allen si accende sotto il numero dei battiti. «Problemi di stomaco di nuovo, Tae?»

«Hm. Pausa breve. Ammiro il paesaggio.»

«Intendi la ragazza?»

Scemo.

I ragazzini si compattano in una formazione a quadrato intorno agli educatori, Megafono alza un fazzoletto rosso che si agita al vento. Erano mesi che non vedevo gruppi così grossi riunirsi, forse si torna un po’ alla normalità.

Allen lampeggia. «Un po’ vorrei vedere la sua espressione se si trovasse un metro e ottanta di metallo che ci prova con lei.»

«Non avete di meglio da fare al centro di comando?» Pizzico la gomma della tuta tra le placche argentate che coprono mano e braccio, piccoli esagoni verde acqua si espandono a macchia d’olio fino alla spalla. Si spengono.

«Sei l’unica che sta facendo testing ora, sei al centro dei miei pensieri.» Un paio di risate sommesse arrivano dall’auricolare, si vede che si stanno annoiando tutti gli operatori se hanno tempo di seguire i nostri discorsi. «Ah, promemoria. Non compiere una rapina con il casco indosso, finiresti per filmare i tuoi crimini.»

«Grazie mille per le sue parole di saggezza, Bussola.»

«È il mio lavoro.» Posso immaginarlo fare un inchino mentre lo dice. «Come lo è ricordarti che hai la visita con Logan tra venti minuti. Cerca di muoverti.»

Oltre la rete del campo sportivo spunta il tetto color ardesia di psicologia digitale, occhio e croce sarò a cinque minuti dalla destinazione. Lancio un’occhiata al parcheggio, un anziano trascina la bicicletta fuori dalla rastrelliera e raggiunge la signora che lo attende all’entrata. Gli orecchini votivi che indossano scintillano di blu sotto il sole del pomeriggio.

Prendo la rincorsa e mi lancio giù dal tetto, le placche sulle caviglie si scaldano. Cado con la leggerezza di una foglia fino a toccare l’asfalto.

Terraferma, mia adorata, mi sei mancata.

«C06, disattivazione.»

La scritta DISENGAGED in verde attraversa il bracciale, con un suono di risucchio l’armatura si sfalda in placche esagonali che scivolano dentro ai contenitori al polso. Della trasformazione rimane solo la familiare sensazione di prurito all’innesto metallico nel petto.

L’aria mi schiaffeggia le guance accaldate, gli odori dell’autunno sono sommersi da quelli di cane e smog. Corro fuori e prendo la via per psicologia digitale, dall’auricolare d’ordinanza arriva la voce di Allen.

«Hai portato con te il pass da tester?»

Tasto la tasca dei jeans, il rettangolino plastificato con la molletta è lì. «Yup?»

«Ne avrai bisogno. Qualcuno ha diffuso che la Kaiser si appoggia all’uni per questo progetto, a quanto pare c’è un gruppetto di protesta davanti ad ogni entrata.»

Favoloso, la gente si sente abbastanza sicura per girare per strada e riunirsi. «Perché ne parli come se fosse negativo?» Comprendo che una protesta sia un fastidio, ma è un’altra conferma che le cose stanno tornando al loro posto.

Allen emette un mormorio esasperato.

Mi fermo davanti alle strisce pedonali, qui sfrecciano come se fossero in una pista da corsa. Mi appunto il pass sul petto. Devo giusto costeggiare il cancello di pietra della facoltà fino all’entrata e sarò arrivata.

Un furgoncino bianco rallenta, gli faccio un cenno di ringraziamento con la mano e riparto. Battiti di mani e piedi svettano sopra i suoni delle macchine. «Tenete i mostri a Marton!» urla un coro. Altri battiti. «Non giocate con le nostre vite!»

«Ah, sono i complottisti…» Arriccio il naso.

Allen mi gracchia all’orecchio: «Già, loro.»

«Tenete i mostri a Marton! Non giocate con le nostre vite!»

Questi geni pensano che la Kaiser, quelli che lavorano giorno e notte per creare misure per difendere i cittadini dagli attacchi degli emersi, si collezioni mostri nei loro edifici per divertimento.

Passo sotto la sbarra bianca e rossa del parcheggio, il coro si ripete. I complottisti sono ammassati intorno alle scale che portano all’entrata dell’edificio scuro, alcuni agitano cartelloni con disegni sgraziati di lucertole sputafiamme solcate da una x rossa. Un cameraman inquadra la scena e punta verso la coppia di guardie di sicurezza all’entrata, manganelli alla cintura e tazzine di plastica alle labbra.

Pausa caffè?

Il coro si ripete, imperterrito.

Allen soffia. «Quanto darei per vedere quella strega di Koller interagire con questi matti.»

Tu sei in prima fila ogni volta che c’è da vedere del drama, vecchia pettegola nel corpo di un venticinquenne. Sistemo il pass e mi avvio verso l’entrata, il meglio che posso fare per loro è dimostrare che noi dipendenti Kaiser siamo gente equilibrata e non interagirci.

«Ti dico,» riprende. «L’altro giorno c’era una riunione tra i coordinatori del progetto, lei è arrivata quaranta minuti dopo l’inizio. Ha spiegato quello che doveva in cinque e poi se n’è andata perché non voglio perdere tempo a fare complimenti fasulli, ihih. Ha riso! Ha riso e nessuno si è lamentato!»

Schiena impettita, sguardo alto, passo accanto al cameraman e salgo le scale a due a due. Il coro ruggisce, sbattono i piedi con più forza al punto che ho il dubbio che le finestre possano tremare e rompersi.

Allen batte le mani. «Koller li blasterebbe senza esitazione.»

O li ignorerebbe, cosa più saggia. La guardia lancia un’occhiata al pass e mi sorride, getta il bicchierino di plastica nel bidone accanto.





Mi stacco dallo schienale del divanetto e schiaccio le mani intrecciate tra le ginocchia, il tepore dei pantaloni della tuta non basta a liberarmi dai tremiti. L’ennesima folata di freddo gonfia la tenda bianca dell’ufficio come il mantello di un supereroe e mi schiaffeggia i capelli sulle guance.

«Tenete i mostri a Marton! Non giocate con le nostre vite!»

Eccoli che ripartono, ma se continuano così domani si alzeranno con un brutto raffreddore e senza voce.

Logan, seduto sul divanetto opposto, continua a scrivere sulla cartelletta appoggiata alle cosce. Ha le palpebre grigie segnate di rughe, degne di qualcuno che non dorme da ere. Batte la penna sul foglio. «Senti che le persone nella tua vita vogliono farti del male.»

No, solo congelarmi. Tengo le labbra premute per non sorridere. «Per niente. Non mi hai già fatto questa domanda in un’altra salsa?»

Logan stende le gambe e getta un’occhiata all’orologio che segna le diciotto, saranno almeno due ore che il colloquio va avanti. Scrocchia le dita. «La scala verifica anche quanto sei sincera nelle tue risposte, e questo significa rifare domande anche se formulate in maniera leggermente diversa.»

«La gente ha davvero bisogno di mentire?»

«Capita, alcune volte è anche inconscio. A nessuno piace sentirsi giudicato.» Poggia la cartelletta sul tavolino, accanto al registratore acceso e il diario in cui ho stilato un rapporto al giorno dall’ultima volta che abbiamo avuto una seduta.

Indico i suoi arnesi del mestiere con il palmo. «Ma devi giudicarmi, è l’intero punto di questo incontro.»

«Sssì. Ma non tutti hanno la tua personalità, ed è il motivo per cui ci impegniamo a evitare che l’elemento umano dia problemi. Abbiamo poche possibilità.» Tamburella le dita sui fogli. «Mi sorprenderei se trovassero altri tester compatibili con il prototipo oltre a voi sette, a pochi piace l’idea di farsi ficcare tecnologia aliena nel petto.»

E tu non lo rendi appetibile.

Sposto la ciocca di capelli ribelle dietro l’orecchio, attenta a non sbattere contro l’auricolare acceso. Questi colloqui dovrebbero essere privati, il fatto che lo tengo acceso in caso di emergenze sarebbe il pretesto migliore per invalidare l’intero dialogo e dover ripartire da zero.

«Detta così, sembro suonata.»

Un paio di colpetti dall’altro lato della linea segnalano che Allen è in ascolto. «Lo sei,» sussurra, mi sforzo di non rabbrividire. Avere quel tono nell’orecchio è una violenza psicologica.

Logan mi rivolge un sorriso. «Diciamo che vedere un’amica coinvolta in qualcosa di simile è poco rassicurante.»

«Ehi, tu fai parte di questo studio. Già solo quello mi rassicura.»

«Quindi se si rivela una fregatura, è colpa mia?»

«Un po’.»

Logan incassa la testa tra le spalle e sospira. «Ha senso. L’innesto va tutto bene?»

Poggio una mano vicino al cuore, la cicatrice lì dove hanno infilato il nucleo di attivazione dell’armatura è così discreta che devo impegnarmi per vederla. «L’ha controllato il dottor Havel l’altro giorno, sono il ritratto della salute.»

«E i sogni sono continuati?»

«Sono rari, sempre lo stesso però… Sono una sorta di fenice appollaiata su un vulcano, visuale molto da fantasy se devo dire.»

Allen mi ride nell’orecchio, assume il tono di un commentatore da stadio. «Descrizione eccellente, posso immaginare di essere lì.»

Alzo gli occhi su Logan che prende appunti. «Approfondisco?»

«Mi faresti un favore.»

«C’era una palla di fuoco in cielo che sapevo con sicurezza non essere il sole, illuminava tutta la regione… ma se mi spingevo oltre la terra la luce diventava sempre più fioca e spariva, fino a lasciarmi su un mare nero. Poi, c’era un paese di mattoni vicino al vulcano… tutte le case avevano finestre molto ampie per far passare la luce. Strade piene di tendoni colorati e, boh?»

«Sono simili ad altri sogni che hai fatto, sono consistenti per ora.» Tira fuori dalla cartelletta un’illustrazione in carboncino: una visuale dal basso di un gigantesco vulcano arricchita di arbusti bassi dalle foglie folte. Sul pendio giace una statua di un guerriero in abiti da monaco, con un braccio spaccato. «Assomiglia a questo?»

La prendo. I dettagli del guerriero, dai capelli riccioluti agli elaborati pendenti negli abiti, sono tali e quali a come li ricordo. «È praticamente uguale, da dove l’hai preso?»

«Mi– mi sono fatto aiutare da un’amica.»

Allen accenna una risata. «Dal tono avrei detto una serpe, altro che amica.»

Mi trattengo dall’alzare gli occhi al cielo. «Questa amica è così brava che penserei che ci è stata in ‘sto posto… aspetta, ti sei fatto commissionare il pezzo?»

Logan si tira indietro, dalla cartelletta spuntano parecchi altri fogli. Saranno almeno una decina di illustrazioni. «No, era un favore. Non posso permettermi di spendere botte da ottanta krone così spesso.»

Il fatto che abbia specificato il prezzo mi fa venire ancora di più il dubbio che se li sia fatti commissionare.

«Per nota.» Allen tossicchia, l’ilarità degli ultimi commenti è evaporata dalla sua voce. «È stato avvistato un emerso, per ora sembra civile quindi ci stanno trattando. Tu e Glenn siete i più vicini, tenetevi pronti nel caso a dover intervenire.»

Una sensazione di vuoto allo stomaco mi coglie alla sprovvista. Oggi è una giornata buona, non possiamo rischiare che la gente rimanga coinvolta in qualche attacco e la paura degli ultimi mesi torni a farsi sentire.

Logan indugia lo sguardo sui suoi appunti ma non pare veramente leggere, la stanchezza deve premergli sulla schiena come un macigno.

Stringo un lembo dei pantaloni. «Avete idea di cosa i sogni potrebbero significare?»

Sussulta come se gli avessi tirato una mazza in testa, si passa una mano tra i capelli scuri. «Gli altri hanno portato qualche teoria al coordinatore, ma non ne abbiamo ancora idea. Potrebbe essere il modo naturale per elaborare gli eventi dell’esperimento.»

Questa è una bugia e lo sa anche lui.

Dalla porta dischiusa passa una sagoma che getta una lama d’ombra nella stanza. Il grattare di una sedia sul pavimento fa sussultare di nuovo Logan che lancia un’occhiata all’uscita, mastica un «come ho fatto a dimen–» Getta la cartelletta sul divano, la biro nera scivola giù e si sfaccia per terra. «Scusami, non so dove ho la testa.»

«Capita a tutti.»

Logan apre la porta e si sporge fuori, fa un cerchio con pollice e indice. «Ben arrivato, Glenn. Vieni dentro.»

La figura mingherlina fa capolino dalla porta, trascinando il borsone da calcio. Ha i capelli rossicci appiccicati alle guance dal sudore e indossa ancora la canotta con lo stemma della scuola superiore cittadina, sarà arrivato di corsa dopo gli allenamenti.

«Giorno,» mormora. «Se non avete finito, aspetto fuori.»

Oscillo il dito a destra e sinistra, non ci scappi bello. «Log mi ha già rapito per un paio d’ore, ora tocca a te. Piuttosto, com’è andata oggi?»

«Giocare con la squadra è bello.» Si passa il palmo sulla guancia per asciugare un paio di goccioline, ha già sedici anni ma per quello che mi riguarda sembra uscito dalle scuole medie con la sua stazza. «È un peccato non poter partecipare al torneo, per ora.»

«Maddai, perché?»

«La scuola pensa che potrei avere un vantaggio ingiusto sugli altri giocatori.» Batte le nocche sul petto, lì dove è stato piantato l’innesto per far funzionare le armature. Peccato che lui è bravo perché s’impegna, non perché qualcosa interferisce con la sua capacità fisica.

Scuoto la testa, che ingiustizia. «Quell’aggeggio serve solo per attivare la CHIMERA.»

Glenn alza le spalle. «Le regole son regole, se vincessimo e qualche genitore insinuasse che è tutto per colpa delle mie prestazioni sarebbe uno schiaffo per tutti.»

E più che altro tu ti sentiresti in colpa.

Se non fosse uno dei pochi compatibili, dubito che qualcuno avrebbe permesso che lui prendesse parte al progetto. Prima la Kaiser riuscirà a capire come rendere le CHIMERA utilizzabili da qualsiasi essere umano, prima potrà tornare a fare il ragazzino.

Logan allunga la mano e arruffa i capelli di Glenn, che rimangono dritti come gli aghi di un porcospino. «Ho del gelato di là, ne volete un po’?»

Glenn fa il segno dell’okay, io scuoto la mano. «Passo, sto congelando.»

«Hai preso freddo?»

Serro le labbra, è colpa mia che non gli ho detto che avevo freddo prima. «Forse un po’, ma sto bene. Posso chiudere i vetri?»

«Fai fai.» Spegne il registratore e sparisce dall’altra parte della porta, vado alla finestra dove una sottile torre di fumo grigia si arriccia oltre i profili dei palazzi e si disperde tra le nubi. Quello non è buono.

«Bussola, c’è qualche problema in corso?»

«L’emerso di prima non è stato aperto al dialogo.» Una imprecazione sottovoce dal ricevitore mi fa drizzare le orecchie, seguita da una serie di squilli uno dopo l’altro. Là al centro di comando sembra tutto impazzito improvvisamente. «I negoziati con la polizia sono appena andati alle ortiche.»

Spalanco la finestra e mi isso sopra. «Partiamo subito.»

  
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