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Autore: LyannaAnomis    26/04/2024    0 recensioni
Ginevra Santoro è molte cose: intelligente, carina, molto ansiosa e un po' tanto depressa. O e anche etero, certo.
O no?
Lidia Fiore è bellissima, colta, decisamente lesbica ma soprattutto è perfetta. O forse...
Quante cose puoi scoprire su te stessa quando stai conoscendo qualcun'altro?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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capitolo 2

2. Back to the light

Era un giorno no.

Ginevra era nel suo letto, avvolta tra le lenzuola che la ricoprivano come un bozzolo protettivo, nonostante il caldo. Le finestre erano chiuse, le tende tirate e Ginevra era immersa nella più completa oscurità. Le lenzuola erano umidicce dal sudore e spiacevoli al tatto, eppure le teneva strette a sé, come se fossero uno scudo contro quello che le stava accadendo.

Si sentiva spenta, scarica, come se tutte le ore della notte precedente non le avesse passate dormendo, ma completamente sveglia a fare il più faticoso dei lavori che le aveva prosciugato le energie.

Si rendeva perfettamente conto che doveva alzarsi e iniziare a prepararsi per andare a lavoro, ma il solo pensiero le faceva venire la nausea. Il pensiero di dover fare colazione le faceva venire la nausea, ma sapeva che avrebbe dovuto mangiare qualcosa per poter prendere le sue medicine.

Sapeva molte cose in quel momento, la cosa più importante era che avrebbe dovuto prevedere questo momento visto i continui pensieri negativi del giorno precedente.

Ciò che non sapeva era il perché.

Sapeva che doveva esserci un motivo, che qualcosa era successo per farla sentire in quel modo, ma per quanto ci provasse non riusciva a capire. Il fatto che il suo cervello sembrasse avvolto nella melassa e fosse totalmente incapace di pensare razionalmente non aiutava.

Avrebbe voluto chiamare la dottoressa Tullio e spiegarle cose le stava succedendo, ma era troppo presto e comunque avrebbe dovuto passare l'intera giornata a lavorare, quindi non aveva materialmente il tempo per farlo.

Alcune lacrime le scesero lungo le guance, lentamente, quasi in segno di sconfitta e fu proprio quello a farle salire un moto di rabbia.

Rabbia verso sé stessa, verso la situazione in cui si trovava e verso l'ingiustizia del mondo che l'aveva afflitta con quella specie di cervello marcio che si ritrovava.

Se nessuno le dava forza, si sarebbe fatta forza da sola.

Proprio in quel momento sentì un leggero bussare, poi la porta si aprì. Il viso di suo fratello fece capolino dalla porta con un'espressione corrucciata e preoccupata.

«Gwynna? Non lavori oggi?» chiese piano, la voce bassa per non disturbare il silenzio che permeava la stanza.

La domanda aleggiò nella stanza per qualche minuto, senza risposta.

Ginevra sapeva che aveva ormai due possibilità: lasciare in sospeso quello che ormai entrambi sapevano stesse accadendo e fare finta che andasse tutto bene o lasciargli sapere la verità.

Quello era Marco, però. Una delle poche persone che il suo cervello accettava come "sicura". Sapeva qual'era la sua scelta.

Un piccolo singhiozzo, a stento trattenuto, ruppe quello che ormai sembrava divenuto un muro insormontabile.

«Cristo, Ginevra» disse Marco richiudendo la porta dietro di sé e con grandi falcate la raggiunse, sedendosi sul bordo del letto, al suo fianco.

Le districò dal lenzuolo liberandole il viso e prese ad accarezzarle piano i capelli, arrotolandosi qualche ciocca intorno al dito. Ginevra singhiozzò più forte e si aggrappò alla sua coscia con forza, come una bambina che si rannicchia sul grembo materno.

«Non lo so» bisbigliò anticipando la domanda del fratello «Non so perché sto così oggi»

Marco sospirò passandosi una mano tra i corti capelli castani e rimase in silenzio per qualche momento, strofinandosi il mento dove cresceva una rada barba. Poi con un gesto brusco le strappò le lenzuola di dosso.

«Forza, vai a prepararti o farai tardi» disse ignorando i deboli lamenti della sorella e afferrandola per un braccio nel tentativo di farla alzare.

«Non ci riesco» gemette Ginevra tentando di lottare debolmente contro di lui, fallendo miseramente. Non poteva vincere contro di lui, era troppo più forte di lei, ma questo non le avrebbe impedito di provarci.

Sembrando seccato da quella stupida scaramuccia Marco si piazzò davanti a lei a gambe larghe e braccia incrociate, sbuffando in un modo esagerato che avrebbe voluto farla sorridere.

Ginevra strinse le labbra e lo imitò alzandosi a sedere e stringendo le braccia al petto in modo protettivo.

Si guardarono in silenzio per un lungo momento prima che Marco sbottò dicendo: «Cosa vuoi fare, marcire in questo letto? Almeno a lavoro potrai distrarti, vedrai che ti sentirai meglio»

Ginevra rimase cocciutamente al proprio posto per qualche altro istante prima di sospirare e scendere dal letto, lentamente, spostando una gamba alla volta, nel tentativo inutile di non far vincere Marco.

Cosa completamente inutile perché negli occhi marroni, così simili a quelli di lei, di Marco si accese subito una scintilla di vittoria, consapevole di esser riuscito a disinnescare la "bomba". Per il momento.

Ginevra non stava ancora bene, non lo sarebbe stata per un po', ma almeno poteva provare a far finta di starci, ora.

Marco si diresse verso la porta, esitò un momento e si girò all'ultimo con un sorrisetto idiota sul viso.

«Bello il pigiama di Naruto, comunque»

«Esci subito dalla mia stanza»





Sciacquare. Strofinare. Risciacquare.

Ginevra si sentiva ancora la mente annebbiata ma i gesti che erano ormai diventati automatici la tenevano ancorata alla realtà.

Erano passate ormai delle ore da quando aveva cominciato a lavorare e oramai aveva perso il conto di quanti ordini aveva preso e quanti bicchieri aveva lavato. Allungò una mano per prendere il prossimo ma incontrò solo aria. Quello che aveva messo a posto era l'ultimo, allora.

Sospirando si passò il dorso della mano sulla fronte e si girò ad affrontare il negozio. Il locale, vuoto in quel momento eccetto per Ginevra ed Elisa, era piccolo ma molto accogliente. C'era un solo tavolino con due poltroncine all'angolo della vetrata vicino l'ingresso e all'interno poteva ospitare solo cinque o sei persone al banco. Le mura erano dipinte di color lavanda e su uno dei muri c'era una collezione di foto dei clienti sorridenti con i loro Bubble Tea in mano.

Per un attimo fu accecata dal sole del mezzogiorno che proveniva dalla grande vetrata frontale e un rapida sbirciata all'orologio del cellulare mostrò che erano arrivate l'una meno venti.

Lo sgabello su cui era seduta Elisa emanò un rumore stridulo raschiando contro il pavimento quando la donna si spostò indietro per alzarsi.

«Ti dispiace se mi vado a prendere qualcosa da mangiare? Appena torno puoi andare a casa» disse a Ginevra con solo una leggera inflessione nel suo perfetto italiano.

Elisa era una donna bassa, magra, dai lunghi capelli corvini raccolti in una treccia e gli occhi scuri incorniciati da un paio di occhiali. Era originaria di Taiwan, ma aveva raccontato a Ginevra di come da piccola era arrivata in Italia e da allora aveva vissuto lì. Aveva adottato Elisa come suo nome italiano, anche se con chi parlava cinese aveva ovviamente mantenuto il suo vero nome.

Era sposata con un uomo Taiwanese, trasferitosi in Italia solo da qualche anno, Diego, che parlava poco l'italiano e per questo si occupava di gestire le merci e di preparare i tè.

Ginevra annuì alla richiesta di Elisa e la donna si sgranchì le braccia verso l'alto prima di aprire la porticina che divideva il bancone dal resto del negozio, ma prima di uscire si girò verso Ginevra.

«Controlla se ci sono tutti gli sciroppi e se...»

«Se nelle vaschette ci sono abbastanza boba?»

Elisa annuì con un sorriso compiaciuto e aggiunse «Cercherò di sbrigarmi» poi uscì dal negozio facendo suonare la campanella posta sopra alla porta che indicava l'arrivo dei clienti.

Ginevra si rimboccò le maniche e iniziò a scuotere i contenitori di sciroppo, cercando di capire se fossero troppo vuoti. Quassi tutti sembravano abbastanza pieni, tranne quelli al gusto mango, litchi e pesca che erano i favoriti. Si annotò mentalmente di andarli a prendere di sotto, nel magazzino, e si diresse verso il bancone dove in esposizione c'erano i vari gusti di bolle e rifornì le vaschette più vuote. Per scrupolo controllò anche le polveri che servivano per creare i tè al latte. Tutto sembrava pronto e al suo posto e Ginevra annuì con un sorriso soddisfatto, lanciò un'occhiata alla strada e quando si assicurò che nessuno sarebbe entrato nell'immediato si diresse nella stanza dietro il negozio. Era un piccolo disimpegno, a destra si trovava il bagno e verso sinistra c'era la scalinata che scendeva verso il magazzino.

Stava per mettere piede sul primo scalino quando sentì il famigliare tintinnio del campanello. Deglutì un'imprecazione, magari era solo Elisa che era tornata prima del previsto, e tornò indietro riaffacciandosi nel negozio; stampandosi sul viso un sorrisetto di cortesia per dare il benvenuto al nuovo arrivato.

La prima cosa che vide furono lunghi capelli di un biondo molto chiaro che coprivano il viso della donna con la testa china sul cellulare che aveva tra le mani.

Ginevra sentì il viso distendersi immediatamente in un vero sorriso e, per la prima volta dal giorno prima, sentì una punta di felicità farsi strada nel petto.

«Buongiorno» sussurrò timida e subito si maledisse per il tono della sua voce. Avrebbe voluto che fosse squillante, per dimostrare che era felice di vederla, elettrizzata anche, non un mormorio appena percettibile.

Lidia alzò subito la testa appena sentì il saluto e sorrise quel suo grande sorriso che le dedicava ogni volta. Che dedicava a tutti, probabilmente. Ma Ginevra si sentì comunque abbagliata da calore che emanava, come se stesse nuovamente guardando il sole.

Per Ginevra, Lidia era bellissima. Non solo per Ginevra, probabilmente, considerate le forme delicate del viso, i grandi occhi castani segnati dall'eyeliner e le labbra sottili velate sempre da del rossetto rosa.

Aveva un viso bellissimo e supponeva che anche il corpo lo fosse, almeno lei invidiava come fosse magra, con gambe lunghe e, da donna poteva ammetterlo almeno a se stessa, un gran bel sedere.

Soprattutto quando indossava i jeans aderenti.

Ginevra si rese conto di fissarla in modo vagamente inquietante e si costrinse a ritornare alla realtà; fermandosi dal scuotere la testa per liberare la mente dai pensieri per non sembrare matta, visto che nessuna delle due aveva detto qualcosa per intimare quella reazione.

Lidia socchiuse le labbra per parlare ma il suo cellulare prese a squillare e alzò una mano in segno di scusa mentre rispondeva.

Ginevra la osservò e si sentì meglio quando Lidia iniziò a fare smorfie esagerate e a lanciarle occhiate imploranti mentre parlava, in un tentativo di renderla partecipe di una telefonata che sembrava essere ridicola.

Non doveva essersi accorta di come l'aveva squadrata prima, fortunatamente, ma si chiese per quanto ancora sarebbe riuscita a evitare di essere scoperta.

Non era la prima volta che le succedeva di perdersi nel guardarla.

E si sentiva dannatamente in colpa ogni volta, era ovviamente gelosa di Lidia, di come fosse bella, magra, di come si teneva in forma e fosse attraente.

Ma Lidia non era stata altro che gentile con lei, sin dalla prima volta che era venuta al negozio. Era divertente, spiritosa e probabilmente la miglior cliente che Ginevra aveva servito.

E lei la trattava come se fosse un pezzo di carne al macello, invece di qualcuno che le faceva sempre tornare il buon umore.

Per un momento tutti i brutti pensieri che era riuscita ad allontanare grazie al lavoro, Marco aveva avuto ragione, ritornarono in piena forza facendola sentire la persona peggiore del mondo.

«Bella maglietta, padawan» ridacchiò Lidia rimettendo in tasca il cellulare.

Ginevra sbatté le palpebre un paio di volte e abbassò lo sguardo sulla sua maglietta, sorridendo nervosamente e arrossendo. Quel giorno indossava una maglietta che aveva comprato da poco, era semplicemente una t-shirt grigia con su scritto Star Wars in blu, niente di troppo appariscente come altre magliette che aveva.

Di solito non metteva niente che apparteneva a un fandom a lavoro, si vergognava e aveva paura che qualcuno la giudicasse per i suoi gusti, ma quella mattina aveva preso i primi indumenti puliti che le erano capitati.

«Non sapevo che ti piacesse Star Wars, sorella» continuò divertita Lidia con un ghigno infilando i quaderni che aveva in mano nella grossa borsa che le pendeva da un braccio.

Non la stava giudicando, si disse Ginevra impallidendo, non è da Lidia.

Non lo era? Era solo una cliente del negozio, non la conosceva, infondo. Doveva cambiare argomento.

«Cosa ti preparo oggi?» chiese con voce tremante e gli occhi che le bruciavano.

Si sentiva umiliata ma non si sarebbe messa a piangere, non davanti a lei.

«Il solito. Ma va tutto bene?» sembrava preoccupata ora, i grandi occhi marroni sembravano improvvisamente tristi.

«Taro e tapioca, giusto? Caldo o freddo?» professionale, ecco come doveva essere Ginevra.

«Freddo. Senti se ho detto qualcosa che ti ha offeso...»

Ginevra batté lo scontrino e si girò di spalle per iniziare a preparare il tè. Si rendeva conto che molto probabilmente stava esagerando e che Lidia non aveva detto niente se non notare la sua maglia, ma a lei Lidia era sempre piaciuta e il pensiero di essere presa in giro proprio da lei la faceva stare male.

Si prese il suo tempo nel preparare la bevando, mescolando con cura prima di aggiungere il ghiaccio e mettere il bicchiere nello shaker. Versò le perle di tapioca nel bicchierone di plastica e ci versò in fine il tè prima di sigillarlo. Trasse un respiro profondo prima di girarsi verso Lidia, che nel frattempo non aveva più aperto bocca, e porgerle il suo bubble tea.

Lidia aveva un'espressione corrucciata sul viso e si mordeva il labbro inferiore con forza, quasi a sangue.

Ginevra rimase atterrita a quella vista e appoggiò il tè sul bancone prima di farlo cadere, la mani che le tremavano. Era stata colpa sua, aveva reagito male e ora Lidia probabilmente si dava la colpa per qualcosa che non aveva fatto.

«Mi dispiace» sussurrò Ginevra riprendendo il tè e passandolo a Lidia.

La donna sobbalzò come se non avesse fatto caso che Ginevra le si era parata davanti e alzò la testa di scatto sembrando sbalordita per un momento.

Si ricompose subito, però, e accennò un sorriso mentre prendeva il suo tè e faceva qualche passo indietro.

«Anche a me piace Star Wars» disse con voce più normale di quello che Ginevra si sarebbe aspettata considerato ciò a cui aveva assistito «Volevo solo... È una bella maglietta»

Ginevra arrossì profondamente, vergognandosi come non aveva mai fatto prima. Aveva frainteso tutto, nel modo peggiore, e aveva fatto sentire male qualcun'altro nel mentre.

Si era sempre ripromessa di non ferire mai nessuno, non importa quanto orribilmente si sentiva.

«Hai visto Ahsoka?» disse di getto, come se stesse vomitando parole più che parlando.

Per un attimo pensò che Lidia se ne sarebbe andata senza degnarla dii un altro sguardo, e cazzo se non se lo sarebbe meritato. Lidia però indugiò per qualche momento, stringendo tra le mani il suo bicchiere e guardandola titubante per qualche secondo.

«Quando ho saputo che c'era Hayden Christensen, sono stata costretta. Non potevo non vedere Skycoso e Furbetta di nuovo insieme» Lidia sembrava più rilassata e fece qualche passo verso Ginevra sorridendo in modo più naturale.

Ginevra annuì con trasporto, senza fingere, perché anche lei era stata eccitata per lo stesso motivo. Rifletté su cosa dire dopo, sia perché puntava ancora a farsi perdonare sia perché era la prima conversazione seria che avevano e voleva sapere di più su Lidia.

«Hai visto Kenobi?» chiese Lidia piano, come se stesse pensando a qualcosa oltre la domanda.

«Non ancora, non ho avuto tempo e ci sono così tante cose da vedere»

Lidia annuì un paio di volte, come per farsi forza, e prese un respiro profondo prima di dire: «Neanche io... Cioè anche io, voglio dire.... Ti va di...» sembrava tremasse e Ginevra fece per uscire dal bancone e andare da lei, chiederle se voleva un po' d'acqua, quando all'improvviso tutto si fermò.

Lidia fece un ultimo respiro profondo, poi il suo corpo sembrò rilassarsi di colpo e fece un sorriso malizioso, gli occhi divertiti.

«Ti va di guardarlo insieme? Magari quando esci dal lavoro?»

Ginevra rimase a bocca aperta, senza parole, senza capire. Poi qualcosa si accese in lei e per la prima volta dopo tanto tempo si sentì coraggiosa.

«Mi piacerebbe» rispose in un tono di voce più sicuro di quanto si sarebbe aspettata da sé stessa.

«Fantastico! Dimmi il tuo numero, così possiamo scriverci quando siamo libere!»

«Ok»

«Ok!» ridacchiò Lidia riprendendo in mano il suo cellulare.

Anche Ginevra ridacchiò, quasi su di giri per tutto ciò che era accaduto in così breve tempo. Si sentiva elettrizzata, aveva avuto una ricaduta ma era riuscita a riprendere il controllo, forse, ad avere una nuova amica.

Sperava che le sue dottoresse sarebbero stata fiere di lei, quando glielo avrebbe detto.



   
 
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