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Autore: Cj Spencer    28/04/2024    1 recensioni
La battaglia di Mistvale è vinta.
L'invasione è scongiurata.
Ma questo è solo il primo atto. Daemon sa di non poter aspettare troppo tempo. Perché mentre loro esitano il nemico si riorganizza, e un nuovo attacco potrebbe avvenire in qualunque momento.
E' giunto il momento di mandare un segnale forte e chiaro a tutta Erthea: chi minaccia lo Stato Libero non resterà impunito.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“La storia è un cumulo di bugie

su cui ci si è messi d’accordo.”

CAPITOLO 5

INTO THE WILD

 

 

Il tempo di coprire l’ingresso alla grotta con delle ramaglie e delle fronde, e Daemon era di nuovo in mezzo alla foresta.

Qualcuno avrebbe considerato imprudente andarsene a spasso tra gli alberi con un gruppo di Macaire inferociti alle costole, ma se non era occupato a fare da balia ad un ciccione rumoroso Daemon sapeva come rendersi invisibile.

Dopo aver sistemato una semplice trappola al lazo e inciso il tronco di un albero, lasciando una borraccia a raccogliere la linfa che gocciolava fuori da una cannula, il giovane prese a raccogliere meticolosamente erbe, fiori e foglie, infilando tutto quello che gli serviva nella bisaccia alla cintura.

«Ecco, questo è l’ultimo.» disse cogliendo alcuni fiori di edera bianca.

Nel frattempo la borraccia aveva accumulato alcuni centimetri di liquido, e proprio mentre la recuperava Daemon percepì poco lontano il rumore della trappola che scattava; raggiuntala, trovò ad attenderlo una bella lepre grassa, rimasta bloccata per una zampa.

«Scusa piccola. Niente di personale.»

Era già pronto a vibrare il colpo di grazia, quando un flebile odore gli scivolò strisciante tra le narici, facendo scattare un allarme nel suo cervello.

«Non ci credo.» disse a denti stretti, girandosi alle proprie spalle. «Non può averlo fatto davvero.»

Doveva tornare. Subito. Immediatamente.

Girati gli occhi alla sua preda si apprestò a lasciarla andare, ma prima di farlo volle farle una piccola incisione sull’orecchio, che subito tamponò per evitare la fuoriuscita di sangue.

«Spero solo che funzioni.» disse vedendola scappare via verso fondovalle.

Tornato sui propri passi, corse a perdifiato lungo il crinale in direzione del rifugio, mentre quell’odore pungente si faceva sempre più forte.

La barriera di frasche e rami era ancora al suo posto, e da dietro di essa una nuvoletta grigia si alzava placidamente verso l’alto, disperdendo tutto attorno puzza di fumo.

«Per tutti gli dei!»

Il professore credeva accendendo un fuoco di fare cosa gradita al suo guardiano facendogli trovare un giaciglio caldo al suo ritorno; invece, lo vide piombare su di lui come un demonio, rosso di rabbia, che pareva volesse saltargli addosso per strozzarlo.

«Che state facendo! Spegnetelo subito!»

«Cosa!? Ma io…»

Ma Daemon non fece neanche a tempo a scalciarci sopra una generosa dose di terra prima che i suoi sensi di cacciatore lo spingessero a girarsi preoccupato verso l’uscita.

«Troppo tardi…» disse digrignando i denti, e senza indugi scagliò una torcia contro le ramaglie creando un muro di fuoco.

Giusto in tempo, perché nel giro di pochi secondi si iniziarono ad udire schiamazzi e grida infervorate, accompagnate da evidenti tentativi da parte di figure indistinte di aprirsi una via tra le fiamme.

Solo allora Hinkel capì la portata della sciocchezza che aveva fatto.

«Il fumo…»

«Esattamente. Tra quello e l’odore, mi sorprende che non vi abbiano trovato prima.»

«Volete dire che… siamo in trappola?»

Daemon guardò in basso, pensieroso.

«Forse no. Venite.»

Al che il giovane condusse il suo protetto in profondità nella grotta, fino ad una grossa voragine che si apriva nel pavimento, e dal quale giungeva fragoroso quell’incessante sciabordio.

Il professore quasi vomitò provando a sbirciare oltre il bordo, riuscendo a malapena a distinguere l’acqua più in basso.

«Non starete pensando di…»

«Voi non soffrite di vertigini vero?»

«Ecco… veramente…»

Un tomahawk gli mancò l’orecchio per pochi centimetri, ma per sua fortuna Daemon ebbe il tempo di girarsi e fulminare alla gola con una singola freccia il garuda spiumato che gli stava correndo contro.

«Scegliete! Possiamo tentare la sorte nel fiume o consegnare il nostro scalpo ai Macaire!»

«Beh, se la mettete così…»

In realtà al professore servirono tre tentativi per convincersi a saltare, cosa che fece solo dopo aver trovato la forza di chiudere gli occhi e lasciarsi cadere.

Daemon aspettò di vederlo piombare nel fiume prima di prepararsi a saltare a sua volta, ma prima che potesse riuscirci Mytra gli piombò addosso come una furia, la sua bella pelliccia castano chiara annerita e bruciacchiata in più punti.

«Che cosa volete da quell’uomo?» provò a chiedere sfoderando il pugnale. «Che ha fatto per meritarsi un simile odio?»

La leonessa non rispose, ma anzi tentò di attaccare di nuovo. Prima che la cosa andasse troppo per le lunghe assumendo oltretutto contorni molto pericolosi, Daemon pensò bene di battere in ritirata.

«Scusa, ma ora non ho proprio tempo da dedicarti!» disse scagliando a terra una piccola sfera d’argilla riempita con una mistura di fosforo, polvere ferrosa e pietra focaia.

Mytra venne letteralmente travolta da un’esplosione luminosa che quasi le fece sanguinare gli occhi, ancora provati dal peperoncino di poco prima, e per la seconda volta quando fu in grado di vedere di nuovo il suo avversario era scomparso nel nulla.

«Andate pure, maledetti!» gridò infuriata all’indirizzo della voragine. «Se non vi uccide il fiume, ci penserà lui!»

 

In quel fiume Daemon ci aveva pescato un paio di volte, ma non ci aveva mai nuotato. Nonostante ciò, non ricordava di averlo mai visto così impetuoso come quella volta.

Sballottato come una bambola a destra e a sinistra, cercava furiosamente di rimanere a galla e di non andarsi a sfracellare contro qualcuna delle rocce che affioravano qua e là da oltre la superficie.

Nel mentre, guardava in ogni direzione alla ricerca del professore, e per ogni secondo che passava si convinceva di averlo praticamente costretto a suicidarsi; perché se lui stava facendo tutta quella fatica, come era possibile che un cinquantenne con problemi di linea e le gambe a grissino potesse cavarsela?

In pochi minuti il torrente sbucò all’esterno, immergendosi nel fitto degli alberi, ma ogni tentativo di aggrapparsi a qualche ramo o roccia risultò inutile.

Poi, quando stava quasi per cedere alla fatica, qualcosa lo afferrò per la collottola.

«Vi ho preso!» esclamò il professore, appollaiato in equilibrio su un tronco caduto che si protendeva da una sponda all’altra.

Quindi, con una forza insospettabile, Hinkel riuscì a sollevare Daemon fuori dall’acqua, permettendogli di raggiungere finalmente a riva.

«Temevo di dovervi ripescare dal fondo.» ansimò il ragazzo. «E invece siete stato voi a ripescare me.»

«Per fortuna la buonanima di mio padre ci teneva che imparassi a nuotare.»

Entrambi quindi si guardarono attorno, tentando di capire dove potessero essere finiti.

«Voi avete idea di dove siamo?»

«Fuori dalla portata dei Macaire, e questo è già un progresso. Ora però dobbiamo trovare al più presto un nuovo rifugio.»

«Un rifugio? Perdonatemi, ma date le circostanze non sarebbe meglio approfittarne per allontanarsi il più possibile da quegli esagitati?»

«Niente affatto. Per prima cosa tra poco sarà notte, e fradici come siamo non sopravvivremmo mai all’addiaccio. E in secondo luogo, voi avete ancora il sarpide in circolo, che presto o tardi vi ucciderà se non facciamo qualcosa.»

Il giovane cacciatore puntò quindi lo sguardo verso l’alto, imitato dal professore; nuvole nere come la notte avanzavano a grandi passi scendendo dalle montagne, preannunciate da folate di vento che fecero tremare entrambi di freddo.

«Quel temporale sarà qui in pochi minuti. Se non saremo al più presto al chiuso, nessuno dei due vedrà la prossima alba.»

 

Daemon non scherzava.

Prima ancora che il sole fosse tramontato, un temporale come pochi se ne vedevano da quelle parti in estate si abbatté furioso sulla foresta, scaricando cateratte d’acqua che tramutarono in pochi minuti i sentieri in torrenti.

Fortunatamente, poco distante si trovava un’altra grotta, composta da una sola, enorme camera a volta, ma con un’entrata così stretta da passare completamente inosservata.

Una volta dentro e murato l’ingresso, Daemon accese rapidamente un fuoco, cosicché potessero entrambi riscaldarsi e asciugarsi i vestiti.

«Per fortuna gli ingredienti sono ancora utilizzabili.» commentò triturando tutte le erbe, le radici e i fiori che aveva raccolto in un mortaio di fortuna.

Mentre finiva il proprio lavoro, il giovane passò a Hinkel la sua borraccia invitandolo a berne il contenuto; il professore obbedì, assaggiando un liquido talmente dolce da risultare quasi imbevibile.

«Che cos’è?»

«Linfa d’acero. Terrà alto lo zucchero nel sangue, almeno fino a quando non farà effetto questo impiastro.»

Il preparato in questione, una volta finito, prese l’aspetto di una melma scura dall’aria molto poco invitante, che Daemon avvolse attorno all’unico pezzo di carne secca rimastogli, per poi offrirlo al suo protetto.

«È amaro come poche altre cose al mondo, ma mangiatelo tutto.»

Hinkel obbedì, constatando che non si trattava affatto di un’esagerazione; il sapore forte della carne a malapena rendeva il tutto tollerabile, tanto che il professore esitò a lungo prima di decidersi finalmente ad ingoiare.

«Suppongo che fosse una sorta di antidoto.» disse tracannando la poca linfa rimasta, nel tentativo di togliersi di bocca quell’orribile sapore.

«Come ho già detto il sarpide uccide in maniera quasi istantanea, ma viene anche espulso molto velocemente qualora non riesca a fare effetto. Questo impiastro impedirà al corpo di assorbire il veleno, inoltre velocizzerà l’espulsione. Fossi in voi mi preparerei ad una notte piuttosto movimentata.»

«Bontà divina, la possibilità di uscire vivo da questa avventura fuori dal mondo vale di sicuro qualche corsa al gabinetto.»

Quanto a Daemon, anche lui sentiva il bisogno di riempirsi lo stomaco, e non avendo più carne secca dovette arrangiarsi con quello che c’era; fu così che il professore lo vide acchiappare un paio di grossi ramarri e mangiarseli abbrustoliti, accompagnandoli con un infuso di erbe selvatiche per rendere il sapore un po’ più sopportabile.

«Scusate la franchezza, ma sembrate molto atipico, anche per un cacciatore abituato a vivere in queste terre così selvagge.»

«Lo prenderò come un complimento.»

«Ma lo è. Ho avuto molte guide nel corso dei miei viaggi, ma nessuna di loro aveva una conoscenza del territorio pari alla vostra. Inoltre dimostrate competenze che esulano da quelle di un comune cacciatore. Erboristeria, primo soccorso, persino qualche nozione di alchimia. Dovete aver avuto un grande maestro.»

«In realtà sono autodidatta, se escludiamo le poche cose che mi hanno insegnato a scuola.»

L’atmosfera si era decisamente rasserenata, tanto che al professore venne quasi da ridere nel momento in cui iniziò a sentire alcuni inquietanti movimenti di stomaco.

«Ora scusatemi, ma credo che farò la prima di quelle corse al gabinetto di cui parlavate. Spero solo che ci sia un posticino appartato in questa grotta.»

 

La pioggia continuò a cadere impetuosa per tutta la notte, fermandosi e lasciando il posto al sereno solo poco prima dell’alba.

Al sorgere del sole, la foresta era traboccante di rugiada, e un fortissimo ma piacevole odore di muschio riempiva ogni cosa; il terreno aveva già assorbito buona parte dell’acqua piovuta per ore, diventando scuro e pesante.

«Il villaggio di Nevria è ad una decina di miglia a est.» disse Daemon mentre seguitavano a camminare tra gli alberi. «Di questo passo, saremo lì prima del tramonto.»

«Per fortuna, quei Macaire così ostinati sembrano essersi finalmente arresi.»

Anche Daemon si era accorto della cosa, ma a differenza del suo protetto non riusciva a sentirsi del tutto tranquillo.

«Che succede?» esclamò il professore quando Daemon, bloccatosi, gli fece segno di fare altrettanto. «Altri Macaire?»

In effetti d’un tratto si erano uditi dei rumori di qualcuno in avvicinamento, e Hinkel prese a girarsi nervosamente in ogni direzione, mettendo davanti a sé il grosso bastone che aveva rimediato lungo il cammino.

«Ero certo che avresti capito.»

«Felice di constatare che alle mie lezioni sulla dispersione di tracce tu non abbia dormito.» disse Drufo saltando giù da un ramo «Però potevi anche inventarti qualcosa di meglio. Sai quanta fatica ho fatto per seguire i segni lasciati da quella lepre, e quindi anche i tuoi?»

«Ho dovuto pensare in fretta. Per fortuna posso contare sul migliore cacciatore sulla piazza.»

Passato il momento delle presentazioni, venne quello di tornare alle cose serie.

«Hai trovato segni dei Macaire?»

«Vi hanno seguiti per un po’ dopo che siete usciti dal fiume, ma poi si sono fermati.»

«Me ne sono accorto. Effettivamente è piuttosto strano.»

«Strano!?» disse un incredulo e preoccupato Drufo. «Davvero non ti sei accorto di niente?»

«Di che stai parlando?»

«Ritiro quello che ho detto circa il tuo addestramento.»

Drufo condusse quindi Daemon e il professore in un anfratto poco distante, dove i due si ritrovarono di colpo a tu per tu con uno scenario a dir poco macabro: il terreno, coperto di aghi di pino e foglie morte, era letteralmente disseminato di prede, alcune mangiucchiate altre quasi completamente scarnificate, così tante che neanche il più ingordo dei leoni sarebbe stato capace di mangiarle tutte.

«Per la veste di Zion.» esclamò Hinkel

Di fronte a quello spettacolo Daemon rimase sconvolto, domandandosi come avesse fatto a non notare le altre tracce in cui dovevano essersi sicuramente imbattuti.

«Ma questo è un basilisco.» disse il professore apprestandosi ad un mucchietto di resti completamente triturati. «Le sue ossa sono tra le più resistenti dell’intero mondo animale, eppure sono state quasi sgretolate.»

«C’è una sola bestia capace di fare una cosa del genere.» bisbigliò Daemon.

Poi, come se qualcosa lo avesse improvvisamente scosso, il cacciatore si girò alle proprie spalle, con tutti i sensi protesi e il pugno stretto attorno all’arco.

«L’avete sentito anche voi?»

«Che succede?» chiese Jacob, che ovviamente non aveva il loro sesto senso

«È qui. Ci ha fiutati.»

«E presto ci sarà addosso.» decretò funereo Drufo.

Capendo di chi e cosa si stava parlando, il professore si sentì gelare il sangue.

«Forse, dovremmo scappare finché possiamo.»

«Impossibile. Se corriamo o gli diamo le spalle, ci salta addosso e ci dilania.»

«E comunque.» disse Daemon. «Non possiamo permettergli di avvicinarsi troppo al villaggio, o sarà una strage.»

«E allora… che cosa facciamo?»

«L’unica cosa possibile. Combattiamo.»

Lavorando insieme, Daemon e Drufo usarono rami, tronchi e pietre per trasformare quella piccola porzione di foresta in una stanza degli orrori, con buche piene di pali, trappole a pressione e altre diavolerie simili; in ultimo, accesero tutto intorno un gran numero di fuochi, immediatamente coperti di foglie umide, riempiendo in questo modo l’aria di un fumo acre e denso.

«Siete sicuri che servirà a qualcosa?» domandò Hinkel di fronte a quest’ultima trovata. «A quanto ne so, il fiuto dei tarkana non è così scadente da farsi ingannare da questo fetore.»

«Non è il suo naso che vogliamo colpire, ma i suoi occhi.» disse Drufo «I tarkana hanno un fiuto e un udito eccezionali, ma una pessima vista. Oltretutto i loro occhi sono molto sensibili. Il fumo li irriterà, così gli confonderemo le idee.»

Un ruggito improvviso e spaventoso interruppe ogni discorso, spingendo tutti a girarsi in una stessa direzione.

«Arriva!»

Un attimo dopo gli alberi sembrarono come cedere il passo a quella poderosa creatura, che apparve dal nulla sopraggiungendo a grandi balzi e fermandosi proprio davanti ai tre compagni.

Anche se tarkana era il loro nome ufficiale, il nome con il quale erano maggiormente noti era quello di orsi corazzati, benché a parte una vaga somiglianza non avessero nulla in comune con detti animali.

«Avanti bestiaccia! Vieni a prenderci se ne sei capace!»

 

Borg aveva un diavolo per pelo mentre, nell’area di carico e scarico del magazzino, constatava l’ennesima flessione settimanale negli introiti.

«E questo cosa sarebbe?» sbraitò vedendo che il carro appena arrivato era mezzo vuoto. «Con questa roba non ci copro neanche i costi di trasporto!»

«Mi dispiace, signore. Ma quel tarkana si aggira ancora lungo i sentieri a ovest. Siamo costretti a passare dalle strade più battute. E i controlli, i dazi, le tangenti…»

Il maiale allora esplose.

«Il tarkana, il tarkana! Ogni volta tirate fuori questo tarkana! E che sarà mai? Forse se avessi delle vere guardie invece che dei debosciati che rubano lo stipendio, questo problema sarebbe già stato risolto!»

Rust cercava di far finta che il suo capo non ce l’avesse anche con lui stando due passi indietro, e per questo fu il primo ad accorgersi dell’arrivo di un ospite inatteso e non particolarmente gradito.

«Che ci fai qui? Il capo non è dell’umore migliore.»

Daemon non rispose continuando a camminare, e allora il coboldo gli mandò incontro due dei suoi uomini che il ragazzo, benché visibilmente malandato e appesantito da una grossa sacca, mandò al tappeto con pochi colpi.

«Adesso mi sono stufato di te, moccioso! Vieni qua che ti cambio i connotati!»

Rust gli si lanciò addosso brandendo il suo guanto artigliato, e attirando così sulla zuffa l’attenzione di tutti i presenti. Ma il suo avversario non batté ciglio, e schivati i suoi attacchi replicò con un singolo potente colpo di taglio dietro il collo che lo spedì dritto nel mondo dei sogni.

«Se volevi un appuntamento, bastava chiederlo. Ho sempre tempo per il mio investimento a lungo termine preferito.»

«Non lavoro più per te, o te ne sei dimenticato?»

«Sarà. Allora? Cosa posso fare per te?»

«Ho passato gli ultimi due giorni a correre in giro per tutta la foresta inseguito da un gruppo di Macaire inferociti, ansiosi di fare la pelle ad un vecchio professore. Non so cosa volessero o perché ce l’avessero con lui, ma so per certo chi li ha mandati. Tu.»

«Cosa te lo fa pensare?» chiese Borg facendo spallucce

«Perché sei l’unico con le conoscenze necessarie ad entrare in contatto con loro, e lo sappiamo entrambi. Più di una volta ti sei servito di loro per fargli svolgere lavori sporchi.»

«Interessante osservazione. C’è solo un problema. Che motivo potrei avere avuto? Ti sembro forse il tipo che si dannerebbe tanto per un qualunque professoruncolo umano?»

«Certo che no. È ovvio che anche tu sei stato assoldato da qualcuno. E ora mi dirai di chi si tratta.»

Lo sguardo arcigno che Borg assunse per un istante, nascondendolo subito dietro il suo saccente sorriso, rivelò senza alcun dubbio che Daemon ci aveva visto giusto.

«Anche ammesso che tu possa aver ragione, dovresti conoscermi. Lo sai che io non vengo mai meno ad un affare, a prescindere da chi sia il cliente.»

I due si fissarono dritti negl’occhi, mentre attorno a loro la tensione si tagliava col coltello.

«Stiamo negoziando?» sibilò Daemon

«Tu che cosa dici?»

Passarono altri interminabili istanti, fino a che il giovane non gettò a terra il contenuto della propria sacca, dinnanzi al quale persino Borg restò senza parole.

«Questo credo che basti.»

Dinnanzi a loro non c’era solo la risoluzione di tanti problemi che a Borg stavano facendo ormai perdere il sonno, ma anche il genere di trofeo di caccia che ogni nobile di Erthea avrebbe pagato oro per avere.

«Figlio di… Ma come hai fatto?»

«Allora? Lo facciamo questo accordo?»

 

Come era stato informato del ritorno del professor Hinkel, il Sindaco Luparl si precipitò di corsa nella sua stanza alla locanda, trovando inaspettatamente due miliziani a sorvegliare la porta.

«Che significa?» chiese. «Perché siete qui?»

«Ordine del comandante Beek

Colpito, ma non più di tanto, il sindaco si fece forte della sua autorità e ottenne di essere lasciato entrare.

«Professore.» disse, trovando l’erudito intento a rendersi nuovamente presentabile con un cambio d’abito. «Siano ringraziati gli dei, per fortuna state bene.»

«E lo devo tutto alla mia guida, signor sindaco. Se non fosse stato per lui, a quest’ora il mio scalpo farebbe mostra di sé sulla lancia di qualcuno di quei mostri.»

«I Macaire sono un problema da anni in questa regione, ma non avevano mai assalito qualcuno in questo modo, con il chiaro intento di uccidere.»

«Fossero stati solo i Macaire. Per poco non rischiavo di diventare la cena di un tarkana. Ma quel cacciatore e il suo servo sono stati a dir poco strepitosi. Ma visto che quel satiro non era il mio servo, appena mi ha visto tornare insieme a lui quel vostro comandante di milizia ha pensato che fosse una buona idea farmi chiudere qui dentro, guardato a vista dai suoi gorilla.»

«Vogliate perdonarlo, il Comandante Beek alle volte è fin troppo zelante nel suo lavoro. Comunque, in realtà mi erano giunte voci circa dei movimenti strani tra i Macaire, ma prima che potessi avvisarvi eravate già partiti. E poi…»

Il sindaco abbassò il capo, come mortificato.

«E poi cosa? Sapete qualcosa che dovrei sapere anch’io?»

«No, è solo che… ecco, non mi piace accusare ingiustamente, però…»

«Visto e considerato che stavo quasi per lasciarci le penne, credo di essermi guadagnato il diritto di sapere.»

«Il fatto è che ho ricevuto dei rapporti abbastanza strani dai doganieri sul ponte. Voci di individui sospetti che negli scorsi giorni avrebbero passato il confine con salvacondotti rilasciati dallo Stato di Elordia

Sentendo quel nome il professore si accigliò.

«Benwood. Avrei dovuto immaginarlo. Ha sempre osteggiato il Presidente, fin da prima della sua elezione. Avrà pensato di colpire me per fare un danno a lui.»

«Forse è un bene che abbiate quelle guardie fuori dalla porta. Chissà cos’altro potrebbero tentare quegli agenti nemici ora che il loro piano è fallito. Ad ogni modo, mi assicurerò che possiate rientrare nell’Unione in tutta sicurezza.»

Un bussare alla porta mise entrambi in allerta, ma la comparsa di Daemon, seppur visibilmente provato dalle fatiche degli ultimi giorni, li rasserenò.

«Daemon.» esclamò il sindaco. «Di sicuro sarai stato meglio, ma nonostante tutto sono felice di rivederti vivo.»

«Mi associo all’amico sindaco. Sembrate davvero un fantasma.»

Il giovane si guardò un momento attorno, senza proferire parola.

«Professore, il padrone della locanda vi ha fatto preparare la cena.» disse con sguardo severo e voce calma. «Le guardie vi scorteranno al piano di sotto.»

«Ma, veramente, io non avrei neanche tutta questa fame.»

«Vi prego. Io e il sindaco dobbiamo parlare in privato.»

Di fronte a quegli occhi e a quel tono di voce il professore si sentì di nuovo uno scolaretto irrispettoso, e come tale in silenzio obbedì lasciando la stanza.

«Date le circostanze, sono felice di averti scelto per questo incarico. E ho sentito che hai anche eliminato quel tarkana. Davvero notevole.»

«Potete anche smetterla con la commedia, signor sindaco. Borg ha già vuotato il sacco.»

Sulla faccia del sindaco si intravide un sussulto, ma la sua espressione calma e controllata non parve risentirne.

«Posso sapere di cosa stai parlando?»

«Del fatto che tramite Borg vi siete servito dei Macaire perché uccidessero il professore, dicendo loro che si trattava di un famoso schiavista dell’Unione. Proprio il genere di persona che i Macaire sono più che felici di uccidere.»

«Dimentichi che sono stato proprio io a chiederti di proteggere il professore. Perché avrei dovuto affidargli una scorta se avessi tentato di ucciderlo?»

«Perché nessuno potesse accusarvi di non aver preso tutte le precauzioni necessarie a tutelare la sua incolumità. Come avete detto voi, la mia reputazione mi precede in questa provincia. Ovvio che vi aspettavate che ci lasciassi la pelle anch’io, così da non avere testimoni scomodi. Ed effettivamente un paio di volte ci sono andato vicino, il che capirete non mi mette di buonumore.»

In quel momento la porta si aprì di nuovo e le due guardie di poco prima si ripresentarono nella stanza, con Beek al seguito.

«Avrete molto da spiegare Signor Sindaco, e per il vostro bene spero che abbiate una buona risposta per le accuse del moccioso.»

«Io non le chiamerei neanche accuse, sono solo un mucchio di fandonie. Tanto per cominciare, perché avrei dovuto fare una cosa del genere? Mi ero assunto personalmente l’incarico di garantire l’incolumità del professore, quindi sarei stato il primo a dover rispondere della sua morte.»

«I Macaire sono conosciuti e temuti anche nell’Unione. Se fosse emerso che l’omicidio era opera loro, non avreste avuto problemi a trovare un modo per discolparvi.»

Quindi venne il momento dell’accusa peggiore.

«Quanto al perché, è presto detto. Mi è bastato fare qualche domanda in giro. Voi oggi in pubblico criticate apertamente la dottrina reunionista, ma in verità voi stesso da giovane avete fatto parte di una società segreta che perseguiva questo scopo. I Cacciatori dell’Ovest. Il vostro motto era Una volta era, e sarà per sempre

«Lo è ancora.» replicò il sindaco, stavolta con malcelato astio. «E anche se fossi un reunionista? La nostra guerra era contro l’Impero, non contro l’Unione. Anzi, tutti sanno che l’Unione versava fondi considerevoli ai gruppi reunionisti per provocare disordini nei territori di confine. Che motivo avrei avuto di attentare alla vita di un illustre cittadino di una nazione che ci era amica?»

«Per lo stesso motivo per cui vi siete sempre battuti. La riunificazione di Eirinn e la sua liberazione dall’Impero. I reunionisti più fanatici credono di poter riportare Eirinn ad essere una nazione indipendente, ma voi non siete così ingenuo. Sapete benissimo che allo stato delle cose l’Impero non si può sconfiggere, per quanto indebolito e decadente possa essere. D’altro canto però, una Eirinn riunificata che divenisse un membro dell’Unione avrebbe sicuramente maggiore libertà di quanta possa mai sperare di averne adesso.»

«Volevate sfruttare la tensione provocata dalla morte di una persona molto cara al Presidente per provocare una nuova guerra, giusto?» intervenne Beek

«Anche se il clima di guerra fredda tra l’Impero e l’Unione è ormai passato l’inimicizia è ancora molto forte lungo il confine.» continuò Daemon. «E con l’Impero che ha dismesso o riassegnato buona parte delle sue legioni, confidavate che a qualche fanatico sarebbe bastato un pretesto per provocare un nuovo conflitto. D’altronde è fatto risaputo che l’Unione aspira da sempre ad annettersi questa regione.»

Luparl ostentava sicurezza, ma i muscoli tirati del viso e la fronte imperlata di sudore tradivano il suo nervosismo.

«Siete solo un povero ingenuo. Non avete ancora capito che all’Unione non importa nulla dell’Oriente? Tutto quello che vogliono è mettere le mani sull’Occidente e sulle sue miniere. Se il vostro piano per chissà quale motivo fosse riuscito, avreste ottenuto solo di dividere Eirinn ancora di più.»

Finalmente, il sindaco si degnò di alzare gli occhi, fissando i suoi due accusatori con fare calmo e padrone di sé.

«Tutto molto affascinante, signor Haselworth. C’è solo un piccolo problema. Anche se avessi fatto quello di cui mi accusate, non vedo alcuna prova a mio carico. A mio carico ci sono solo la parola di un maiale e le farneticazioni di bifolco. Io non confesserò niente.»

Era vero. Il sindaco Luparl era la persona più rispettata e apprezzata di Dundee, in buoni rapporti non solo con le autorità locali ma persino col governatore.

«In realtà.» disse Daemon come mortificato, cambiando nel mentre completamente espressione. «Io speravo che lo faceste. A questo punto, sarebbe la vostra unica speranza.»

«Come?»

«Per quanto questo piano avesse scarse possibilità di riuscire, è chiaro che non potete averlo organizzato da solo. Altri vi avranno aiutato, sia qui che nell’Unione. Se accettaste di collaborare nello svelare i nomi dei cospiratori, con la reputazione che avete potreste appellarvi al governatore per ottenere clemenza. I Macaire invece non saranno altrettanto generosi. Sono sicuro che mentre parliamo Borg vi sta già vendendo a loro per proteggersi. E considerando che per salvare il professore ho dovuto uccidere alcuni di loro, non credo vi perdoneranno per averli manipolati in questo modo.»

Ogni parola di Daemon era come un chiodo sulla bara, e per quando il giovane ebbe finito di parlare la maschera del sindaco si era ormai sgretolata.

Sul tavolo della stanza il professore aveva lasciato un affilato tagliacarte.

Luparl lo afferrò, puntandolo minacciosamente verso il ragazzo e i tre soldati, che subito a loro volta misero mano alle armi.

«Non fate idiozie Signor Sindaco.» gli intimò Beek. «È finita.»

«Non è finita per niente. Una volta era, e sarà per sempre!» e detto questo si tagliò la gola.

 

«Non dico di condividere ciò che il Sindaco Luparl ha fatto, ma non me la sento di giudicarlo. A modo suo, voleva solo il meglio per la sua patria.»

«Suona strano detto da voi, professore. Le sue macchinazioni vi sono quasi costate la vita.»

«Mi chiedo se sapendo cosa era destinato a succedere di lì a breve avrebbe comunque scelto di portare avanti il suo piano. Lui voleva un’Eirinn libera dall’Impero, ed è ciò che tu, ragazzo mio, alla fine hai ottenuto.»

Il professore sorrise: «Quando ci siamo lasciati ho detto che vedevo in te qualcosa di grande, ragazzo mio. Ma mai mi sarei aspettato di vederti arrivare così lontano.»

«Il fato ha voluto così.»

«A proposito, poi cos’è successo ai Macaire? Spero che da allora abbiate fatto pace.»

«Sono rimasti coinvolti in una faccenda delicata. Brutta storia. Forse un giorno ve ne parlerò.»

Dopo aver svuotato piacevolmente una seconda tazza di infuso, venne per il professore il momento di congedarsi.

«È stato un piacere rivederti. Immagino però che avrai ben altro da fare che perdere tempo con un vecchio fossile come me. Mi ha fatto piacere rivederti, e ti auguro ogni bene. Spero veramente che la tua impresa si concluda per il meglio. Questo mondo ha bisogno del cambiamento che vuoi portare.»

Daemon esitò un momento, fermando il professore quando questi era già sul punto di lasciare la tenda.

«Aspettate. In realtà c’è una cosa che vorrei chiedervi.»

«Ovvero?»

«Come avete detto voi, sto cercando di costruire qualcosa di buono da tutto questo. E ho avuto modo di sperimentare e apprezzare le vostre sterminate conoscenze. Immagino che siate molto ferrato anche negli studi storici e culturali.»

«Non mi considero un luminare, ma me la cavo.»

«Il fatto è che sia la nostra patria che questa nazione abbondano di antiche rovine, e ad oggi noi conosciamo ancora molto poco della storia antica di questo mondo. Pensavo potesse essere una buona idea mettere insieme una squadra di dotti studiosi che possano sollevare il velo sui molti misteri che ancora circondano il passato di Erthea, e sarei onorato se voi decideste di farne parte.»

«Io!?» rispose il professore tornando a sedersi «Dici sul serio?»

«Credo che Erthea abbia trascurato anche troppo a lungo la propria eredità. C’è così tanto che possiamo imparare dal nostro passato. Non posso promettervi grossi stanziamenti come quelli a cui sarete abituato all’università di Mickarn, ma vi garantirei assoluta libertà investigativa. Basterebbe che vi faceste carico di scavare, indagare e catalogare ogni rovina o reperto in cui doveste imbattervi.»

Come se stesse cercando di prendere il professore per la gola Daemon gli versò una nuova tazza di infuso.

«Mi piacerebbe anche istituire una scuola superiore nello Stato Libero. Solo perché ora siamo in guerra non significa che dobbiamo trascurare le giovani generazioni. Ci sono tanti ragazzi volenterosi che potrebbero dare il loro contributo al benessere della nostra patria, se solo potessero contare su di una buona formazione. Se ve la sentite, potreste assumere la direzione della scuola e aiutarmi a reperire altri docenti.»

Daemon conosceva il professore abbastanza bene da sapere quanto le situazioni un po’ complicate e che richiedevano capacità di adattamento lo attirassero.

«Tu lo sai immagino che il Circolo non vede di buon occhio chi conduce ricerche storiche senza la loro autorizzazione.»

«Noi siamo una nazione scomunicata. Del giudizio e delle disposizioni del Conclave non può importarcene di meno. E poi se non mi sbaglio voi non vi siete mai fatto troppi problemi nello sfidare l’autorità di quegli zeloti.»

Era come se i due navigassero sulla stessa lunghezza d’onda, intendendosi alla perfezione.

«Forse è davvero giunto per me il momento di appendere gli stivali al chiodo e concedere a queste vecchie ossa un po’ di meritato riposo. In fin dei conti un po’ mi mancava l’ambiente accademico, e l’idea di formare così tante promettenti giovani menti non mi dispiace.»

«Vi ringrazio, professore.»

«Ma ad una condizione.»

«Dite pure.»

«Ci sono tante cose che non vanno nel nostro mondo, e se con il mio lavoro potrò aiutarti a migliorarle sarò ben felice di aiutarti. Ma devi promettermi che tutto questo non resterà solo un bel sogno. Dovrai impegnarti con tutto te stesso a creare questo mondo nuovo e migliore di cui mi stai parlando.»

«Avete la mia parola.»

«In questo caso, sarà un piacere lavorare con te.»

 

   
 
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