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Autore: LubaLuft    30/04/2024    1 recensioni
Questa BokuAka è lo spin off di "Di gatti, dinosauri e chiari di luna" ma può essere letta anche da sola.
Dal testo:
"Accade allora qualcosa che ha sempre a che fare con gli eventi che si sommano casualmente e si attestano poi come fatti.
È un fatto che nella carrozza dopo la sua, verso la coda del treno, ci sia Kōtaro Bokuto, con la sua tuta dei MSBY Jackals, che dorme occupando quasi due posti. Keiji si ferma reggendosi con una mano al poggiatesta del sedile di fronte e resta in muta contemplazione di ciò che ha davanti.
Kōtaro è immenso. Una gamba allungata sotto il tavolino, l’altra piegata e aperta, a mostrare l’interno della coscia, tesa e muscolosa. Le spalle sono rilassate, larghe. Accoglienti.
La testa è reclinata verso il finestrino, dalle orecchie scende il filo degli auricolari. Le braccia, massicce, sono incrociate sul petto.
Quando dorme è serio. Solenne, quasi (..) Keiji osserva ora le sue mani. Quante volte hanno salvato Kōtaro? Quante volte gli hanno alzato un punto, scatenando felicità, godimento, esaltazione laddove solo poco prima c’era stato smarrimento, difficoltà, estraniamento? Quante volte gli ha gridato 'tua, Bokuto-san!'
E perché ora è così difficile svegliarlo? ..."
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Keiji Akaashi, Koutaro Bokuto
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 3 - Cielo coperto

 

Keiji si scalda le mani sulla tazza e il cuore sulla voce di Kōtaro. Per le prime, sa che quello del freddo alle estremità delle dita è un effetto del farmaco che ha preso, per il secondo sa che il ghiaccio che tintinna nella sua cassa toracica è duro da sciogliere ma nonostante questo sa anche che non può evitare di protendersi verso quel calore irresistibile, umano e animale allo stesso tempo, un calore che conosce benissimo e che gli ha reso quasi impossibile il suo secondo anno di liceo: l’anno della consapevolezza, del cuore sotto un costante e ossessivo controllo, del sapersi diverso e innamorato.

È in quel momento esatto che Midori gli manca come l’aria perché finalmente è pronto a dirlo a qualcuno, è pronto a rendere reale e incontestabile il fatto che il suo cuore sanguina piano per Kōtaro Bokuto, talmente piano che così com’è, l’emorragia potrebbe durare per tutta la vita ma se scioglie troppo ghiaccio, la portata sicuramente aumenterà. È anche per questo che si è allontanato per anni da quel ragazzone che fa tremare le pareti della palestra e della sua anima.

Gli chiede comunque di parlargli, si lascia avvolgere dalle sue parole, dai suoi discorsi pieni di subordinate di primo, secondo e terzo grado, che non sembrano trovare mai un punto. Si lascia inondare di ricordi, incontra nuovamente se stesso, il Keiji Akaashi di dieci anni prima che aveva, come unico problema, quello di non saper come gestire i suoi sentimenti e i suoi desideri -  un suo alter ego a cui ora vorrebbe solo stringere la mano per salutarlo come si deve, come un fratello maggiore che già ha visto il peggio della vita. Ed è di Midori che vorrebbe parlare con Kōtaro, vorrebbe guardare a quel fatto con i suoi occhi, per capire se c’è un modo per sopportarlo meglio. 

Tutto questo, tuttavia, non esce minimamente dalla sua bocca. Le mascelle sono serrate, la lingua è immobile, i denti sono una gabbia. Forse, però, qualcosa trapela perché Kōtaro adesso non parla più ma lascia che le sue mani calino sul legno del tavolo, aperte, bellissime. 

Le tazze tremano, qualcuno si gira a guardarlo.

 “Keiji-san… che cos’hai?” 

La domanda è semplice e diretta ed è anche impossibile rispondere.

Sono quasi le tre. Keiji sente che lo zigomo ricomincia a pulsare. Deve andare o morirà a quel tavolino. Deve dormire, deve sognare qualcosa che non lo porti ossessivamente alla ricerca di nuove, impossibili calligrafie sulla strada che ha inghiottito sua sorella.

Deve spegnere cuore e cervello, scendere da quel treno.

Si alza, anche se vorrebbe restare inchiodato alla sedia.

“Bokuto-san… è molto tardi e io devo tornare a casa.”

Anche Kōtaro si alza.

“Ti accompagno? Sei certo di stare bene? Sono un po’ preoccupato…”

“Accompagnami al parcheggio dei taxi. Basterà un po’ di aria fresca adesso e una buona dormita stanotte. Devo riposare perché fra due giorni sono di nuovo di partenza.”

“Parti… già?”

“Sì. Sto lavorando a Morioka. La mia casa editrice ha una sede distaccata.” 

Una specie di ripostiglio dove correggere bozze e sistemare refusi. Un posto più tranquillo - così ha deciso la commissione medica aziendale - ma non glielo dice, anche perché lo sguardo deluso di Kōtaro in quel momento gli stimola una tale ondata di serotonina che ingolfa i suoi centri nervosi sovrastimolati dall’infiammazione.

“Keiji…” 

Ancora una volta il suo nome! 

“Posso, chiamarti, domani…? Magari, se ti senti meglio ci vediamo. Ti va?” 

“Sì”

“Ma non ho più il tuo numero…”

“Lo so. È che…”

Keiji abbassa la testa e si vergogna del ghosting che ha inflitto a tante persone. 

“Non importa. Avrai avuto le tue buone ragioni per sparire e io non provo rancore… però… ecco… potresti decidere di non sparire più?”

“Mi dispiace… Kōtaro. Mi dispiace essere sparito.”

Lui spalanca gli occhi. “Dai, non parliamone più! Ci sentiamo

domani.” 

Dopo essersi scambiati i cellulari, si salutano al posteggio dei taxi. 

In macchina, Keiji si lascia finalmente andare e piange silenzioso mentre la sua anima accartocciata piano piano si stira al pensiero di Kōtaro che lo chiamerà l’indomani, che tutto sembra essere ricominciato esattamente dal punto in cui aveva tagliato i ponti. 

Che il Keiji Akaashi di dieci anni prima, che voleva salutare, lo aspetta ancora.

Quando scende dall’auto, osserva il cielo. Un’ombra lattiginosa lo ha invaso, e una lama di vento insistente scuote alberi e foglie. L’aria è elettrica e  la pioggia arriverà sicuramente prima.

L’emicrania del resto non sbaglia mai, semmai rifà i propri calcoli incessantemente.

Akaashi decide di non voler più calcolare nulla.


____


 

L’indomani, dopo una notte particolarmente agitata, Kōtaro si sveglia allo squillo del cellulare sul comodino.

È Tetsurō, che dice di cose che deve raccontargli.

Kōtaro non è mai stato possessivo con il suo Bro-Scopamico e, dopo aver ritrovato Keiji per un caso assolutamente fortuito, men che mai si sente di fargli pesare il fatto che la sera prima lo abbia lasciato da solo, eppure si diverte a piagnucolare per finta  di tristezze e abbandoni e lo fa con le grandi doti attoriali di cui è famoso in campo.

Intanto, in boxer e maglietta, scalzo e con in capelli che sembrano saltati in aria sopra una mina,  si prepara una scodella di latte e cereali e racconta al Bro di Keiji e della strana impressione che gli ha fatto, risucchiando rumorosamente un primo cucchiaio di sbobba. 

E poi rischia di strozzarsi quando Tetsurō, dal nulla, gli dice Bro. Keiji è sempre stato innamorato di te. Sei un caso disperato…

Con Tetsurō normalmente non parla d’amore, gli vuole un bene dell’anima e ci fa occasionalmente sesso, ma l’amore semplicemente… non saprebbe come rappresentarselo né come discuterne.

Non crede di essersi mai innamorato in vita sua e se prima di scoprire le gioie del sesso occasionale con il centrale del Nekoma aveva frequentato qualche ragazzina delle medie o al liceo, paccandoci a tempo perso, non ha mai pensato a un altro essere vivente come possibile oggetto di una devozione maggiore. Unica. Esclusiva.

È in dubbio se scaricare addosso al Bro altre domande, ma lui ora farfuglia di dinosauri e allora taglia corto. 

Anche perché è il suo cervello che è in corto.

Si infila nella doccia e se chiude gli occhi vede quelli di Keiji. 

Innamorato di lui? Impossibile, sono anni che non si vedono, la parola sempre non ha forse bisogno di appigli concreti? E poi Keiji non ha mai detto, fatto nulla per…

Sì, è sempre stato gentile, però. 
È sempre stato accanto a lui.
Lo ha sempre aiutato nei momenti difficili. 
Gli ha messo felpe sulle spalle e sciarpe attorno al collo. 
Non gli ha fatto prendere né troppo freddo né troppo caldo. 
Ha smesso di alzargli la palla quando andava in burnout.
Ha ricominciato ad alzargliela al momento giusto, un momento che sapeva riconoscere solo lui.
Gli ha sempre aperto una via sotto rete.
Ha tirato fuori il massimo da lui.
Perché ha sempre creduto in lui.
Perché Keiji è… Keiji.

 

Kōtaro non si accorge nemmeno di aver chiuso il rubinetto della doccia. Resta immobile a sgocciolare acqua dai capelli ingombranti. Sente di nuovo la volgare pompa che batte forte e si fa strada in lui un pensiero fragile, talmente fragile che ha paura di frantumarlo se muove la testa. Un pensiero che è una sottile… speranza

Non ha mai avuto pensieri del genere per nessuno e la cosa lo conforta perché non ha esperienza né di successi né di fallimenti.

Non sa individuare neanche un pretesto in particolare perché ne ha troppi fra cui scegliere. Troppi sguardi blu, troppi sorrisi, troppi gesti delicati e discreti - è incredibile!! Ha trovato la parola giusta al primo colpo! - troppi consigli dati con voce calma e rassicurante. 

E poi: la festa del diploma, i suoi occhi blu che brillavano come biglie lucide, le sue parole ridotte a zero, il suo no fermo e risoluto quando gli aveva proposto di riaccompagnarlo a casa. Lo sguardo sorpreso e grato quando gli aveva regalato la sua maglia numero 4.

Kōtaro è ancora in accappatoio, sdraiato sul letto. Non riesce a fare nulla di pratico perché ha le mani occupate a frugare nel passato.

Recupera gli ultimi momenti in cui lo ha avuto accanto, non riesce a capire come siano diventati poi attimi tutti virtuali, foto, chiamate al volo fra impegni di chissà quale importanza. 

Non capisce perché quegli attimi si siano fatti sempre più rari, non capisce perché si siano allontanati.

Non capisce perché abbia permesso che lui si allontanasse.

Non capisci un cazzo, Bro è il mantra di Tetsurō che ormai suona quasi come buongiorno o buonasera nelle sue orecchie. 

Ebbene sì, probabilmente non capisce davvero un cazzo che non sia come fare una caterva di punti o sistemarsi quei capelli assurdi.
Deve parlare di nuovo con il suo Bro.

Si affaccia alla finestra della sua camera da letto. Il cielo è grigio e fermo ma non sembra voglia piovere. La giornata però è brutta e mette a rischio qualsiasi idea da proporre a Keiji.

Prende il cellulare e lo chiama, al diavolo.

“Bokuto-san…”

La voce dall’altra parte è bassa e forse ancora sofferente.

“Oh scusa… ti ho svegliato? Scusa!”

“No, no, ero già sveglio da un po’…”

“Come ti senti?”

“Meglio, grazie. Stavo lavorando.”

“Ah, Scusa!”

“Bokuto-san…”

Ma Kōtaro è un torrente, si sente una merda. Non lo ha più cercato per anni. Non ha fatto neanche lui un piccolo passo ed è sempre stato lui, dei due, quello ad avere il passo più lungo. Poteva cercarlo, poteva trovarlo. Il minimo che ora possa fare è scusarsi. Non lo ha fatto ieri sera, lo fa in questo momento.

“Scusami… scusami, Keiji!Scusami…”

Keiji resta in silenzio. Poi risponde. Deve aver capito, forse. 

No, ha capito sicuramente, perché lui capisce tutto.

“Non devi scusarti. Davvero… invece, come stai tu?”

Kōtaro è infreddolito. I piedi, soprattutto, che sono ancora umidi.

“Non lo so. Mi sento strano, forse è questo tempaccio.”

“Tu sei sempre stato sensibile al maltempo, in effetti. Ma per te è un fatto di… umore. Io invece sto male per gli sbalzi di pressione atmosferica.”

“Stai male anche ora?”

“No… però già ieri sera sapevo che fra oggi e domani sarebbe piovuto…”

“Hey, ma chi sei, il dio della pioggia?”

“Più o meno.”

La voce di Keiji è un sorriso invisibile, un sussurro caldo,  che lo asciuga all’istante.

“Quando riparti?”

“Domani mattina.”

“Ti va se oggi ci vediamo?”

Un rombo. Poi un altro. Sono ancora leggeri, piccoli avvisi di quanto si verificherà presto.

“Mi piacerebbe molto. Ma con questo brutto tempo…”

Kōtaro pensa e poi dice, senza tentennare. Organizza e risolve.
 

Vede in lontananza un letto a castello e loro due che si passano la palla, nella piccola stanza dell’Accademia.
Vede manga sul pavimento, blocchetti con gli schemi a rete, vede i suoi calzini appallottolati e quelli invece ordinati di Akaashi Keiji.
Vede la sua giacca spiegazzata appesa alla sbarra del letto e quella di Keiji appesa alla gruccia.
Vuole esattamente quello.

Chiude gli occhi e stringe i pugni.

“Vieni a cena da me, ti fermi a dormire e domattina riparti da qui.”

Keiji respira piano. Non risponde subito e Kōtaro pensa di aver fatto un passo troppo lungo. Ma poi lui risponde:

“Hai per caso un letto a castello, Bokuto-san?”

“No!... però ho un divano letto spaziale!”

“Allora mi adatterò.”

   
 
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