Piccola one-shot sulla mamma di
Jacob. Su si lei non si sa molto, solo dell'incidente e della bara
chiusa con i chiodi.
E qui nasce la mia storia. In un pomeriggio noioso, con un Jacob
Black troppo triste e un ricordo troppo vivo nel cuore.
Ormai
il cuscino ha preso la forma del
viso, addattandosi ai suoi lineamenti.
Jacob Black stringe la mano a pugno,
con il fiato caldo che soffia sul suo braccio. E' triste, triste,
triste. Fottutamente triste. Gira la testa, cercando di pensare senza
mal di testa, e agita il piede sul fondo del letto, perdendosi nei
ricordi.
Quando era più piccolo la mamma
aveva portato a casa una casetta di un film di Harry Potter. Si
ricordava benissimo che a un certo punto, un vecchio mago barbuto di
cui non ricordava il nome, aveva detto “La
felicità si può
trovare anche negli attimi più tenebrosi... se solo qualcuno
si ricorda di accendere la luce”, e la madre aveva sospirato
dicendo “Parole sante, parole sante”. Poi l'aveva
guardato e
aveva sorriso. Quattro mesi dopo era morta.
Ricorda benissimo quel momento. Era
seduto sul tappeto di casa sua, con un giornale di macchine in mano,
e la TV accesa, sintonizzata sulla soap-opera che puntualmente, ogni
sera alle sette e trenta, Rachel e Rebecca seguivano con una tale
dedizione che a lui appariva ridicola. Suo padre era poco lontano da
loro, seduto al tavolo con il giornale in mano, quando il telefono
era squillato. Jacob era saltato in piedi, strillando
“Rispondo
io!” e si era precipitato alla parete, per prendere la
cornetta.
“Pronto?”,
aveva detto con la sua
vocina allegra, forse già troppo sviluppata per un bambino
di
otto anni. Per qualche istante dall'altra parte venne il silenzio,
poi una voce roca aveva sussurrato, in modo tanto angosciato da
fargli venire i brividi sulla pelle:
“Jake?”.
“Si?”. Il bambino non riusciva a
decifrare quella voce, e si girò interrogativo verso Billy,
che stava ancora leggendo il giornale.
“Sono.. sono Charlie Swan, il papà
di Bella..”.
Jacob sorrise. Che bello, magari aveva
chiamato per dire che passava a trovarlo con la figlia. Charlie
continuò:
“C'è.. c'è papà?”.
“Si, vuoi che te lo passo?”. Come
era triste il papà di Bella – non potè
fare a meno di
pensare -, e chissà come mai. Ma non se ne
preoccupò
più di tanto, e senza aspettare la risposta di Charlie, si
voltò verso il padre, porgendogli il telefono. Billy si
alzò,
e afferrò la cornetta.
“Pronto?”.
Jacob rimase sotto di lui, a fissarlo.
Sentì il mormorio dall'altra parte del telefono, e il padre
assunse uno strano cipiglio.
“Dimmi Charlie”. Per qualche
istante non sentì niente, poi di nuovo il mormorio. Billy
fissò Jacob, e annuì, con una strana luce negli
occhi.
“Vai avanti..”. Jacob era
abbastanza confuso. Non capiva tutto questa mistero e questa
preoccupazione. Ma non importava, se ne sarebbe occupato dopo, a fine
telefonata. Si diresse di nuovo verso il divano, per vedere se nella
soap-opera Tracy aveva lasciato Mark, ma un gemito soffocato lo fece
fermare a metà strada. Si girò spaventato, appena
in
tempo per vedere il padre gemere, e aggrapparsi al tavolo, inarcando
la schiena. Le iridi erano spalancate, e gli occhi tremendamente
vuoti. Lasciò cadere il telefono per terra, con ancora il
mormorio di Charlie che continuava a parlare, mentre gemeva senza
sosta. Anche Rachel e Rebecca se ne accorsero, e si alzarono,
spaventate.
“Papà? Papà?”.
Rebecca si avvicinò tremante, mentre Rachel rimase immobile,
vicino a Jacob.
L'uomo si girò a fissarla,
ancora tremante, e le strinse il braccio.
“Papà che succede?”,
sussurrò Rebecca con gli occhi lucidi. Jacob strinse le
mani.
Magari era successa una cosa brutta alla figlia di Charlie, ecco
perchè suo papà era così spaventato.
Per circa
un minuto Billy non fu in grado di parlare, poi si avvicinò
a
Rebecca, e, con una voce da far accapponare la pelle a chiunque la
ascoltasse, sussurrò:
“La mamma è morta.”.
Per
trenta secondi nessuno si mosse,
poi Jacob si alzò, divincolandosi dalle braccia di Rachel, e
si sedette sul divano, lo sguardo perso. Serrò la mascella,
e
respirò tremante. Mamma è morta. Non ci
sarà
più.
Due giorni dopo ci fu il funerale.
Piangevano tutti, stretti attorno alla sua bara, chiusa con i chiodi.
Rachel e Rebecca singhiozzavano, abbracciate al papà. Jacob
no. Lui stava fermo, e fissava davanti a se, senza dire o fare
niente.
Erano
passati otto anni. Quasi metà
della sua vita passata senza l'affetto di una madre. Fissa
l'orologio, contastando che erano le sette e diciotto. Fra dodici
minuti, nove anni prima, inziava la soap-opera preferita delle sue
sorelle, e, circa dieci minuti dopo l'inizio il telefono squillava, e
un dispiaciuto Charlie Swan annunciava che la polizia aveva trovato
il corpo della mamma, sdraiato sull'asfalto.
E ora, Jacob Black, sente di avere
bisogno di una madre. Di una mamma che gli da il bacio prima che esca
di casa, che gli dica di stare attento, che gli cucini la cena.
Vorrebbe quella donna che non ha più, che gli manca. Si
ricorda il suo odore, che spesso sentiva sul suo pigiamino, quando si
addormentava abbracciato a lei. La sua voce, quando giocavano a
nascondino, e lei faceva finta di non vederlo raggomitolato dietro la
poltrona. Tutte le volte che tornava a casa e portava un film nuovo,
e quando lui aveva confidato alla mamma che le piaceva una sua
compagna di classe, e lei gli aveva detto ridendo “Oh, Jake,
non
iniziare già a quest'età.. Quando sarai
adolescente di
ragazze che ti vorranno ne avrai a file, tanto diventarai
bello..”,
e poi lo aveva abbracciato.
No mamma, mi dispiace. Non è
andata così. La ragazza che mi piace sta per sposarsi, e non
vuole me.
E poi, Jacob Black, stressato, stanco e triste come mai in vita sua, scoppia a piangere.