Storie originali > Thriller
Segui la storia  |       
Autore: Irina_89    22/09/2009    1 recensioni
Tolse il cuscino dal suo viso e lo riportò sulla poltrona, coprendolo leggermente con un altro.
Osservò, poi, il corpo scomposto dell’uomo che giaceva senza vita sul letto e si avvicinò nuovamente a lui. Lo scoprì dalle coperte, gli sistemò le gambe in posizione più naturale e rilassata, lo ricoprì e gli posò le mani lungo i fianchi, mentre il debole ma continuo suono prodotto dalle macchine che rilevavano l’assenza del battito cardiaco, lo accompagnava.
Poi uscì, chiudendosi la porta alle spalle.
“Addio, signor Rosenbaum.”
Genere: Thriller, Suspence, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Nuova pagina 1

“Ripensandoci, però, potevamo andare anche in un pub.” Commentò Beatrice, posando la sua borsa a terra.

“No,” fece il ragazzo, facendo altrettanto. “È meglio così.” E si sedette sul letto, guardando la sua compagna aprire la finestra della stanza per illuminarla. Gesto pressoché inutile, visto il cielo plumbeo che c’era fuori.

“Perché?” chiese lei, sedendosi sul letto a sua volta, la schiena appoggiata al muro. Con un movimento di piedi si tolse le scarpe, che lasciò cadere sonoramente per terra e rannicchiò le gambe sopra il copriletto.

“Menomale che hai aperto la finestra, eh?” scherzò Jake.

Beatrice prese il cuscino dal suo letto e glielo tirò.

“Senti, se conosci così bene l’italiano, allora conoscerai anche questo gesto.” Ed alzò il dito medio della mano.

“Fine come al solito.” Roteò gli occhi.

“A proposito: perché parli così bene l’italiano?”

“Mio padre mi ha fatto studiare sei lingue diverse alla perfezione da quando ero piccolo – sai, il cervello dei bambini piccoli è capace di imparare le lingue straniere molto più facilmente di come potrebbe fare un adulto con tutta la sua forza di volontà. Ne conosco, poi, altre due perché volevo studiarle io.”

Bea provò la sensazione di sentire la sua mandibola toccare terra.

“Dai,” si ricompose la ragazza. “Raccontami i tuoi motivi. Almeno non ho il tempo di sentirmi inferiore a te.”

Il ragazzo ridacchiò, per poi stravaccarsi sul letto. Infine sospirò.

“Sinceramente, avrei preferito non parlarne con nessuno.”

“E allora perché con me lo fai?”

“Te l’ho detto, perché mi piace la tua compagnia.” Le sorrise. “Diciamo che sei una delle poche persone che apprezzo.”

“Wow, sono commossa.” E si portò una mano sul viso, fingendosi emozionata.

Lui soffiò una risata.

“Anche per questo.”

“Anche per questo, cosa?” fece la ragazza, non capendo il flusso di pensieri che lo stava attraversando.

“Anche questo.” Ripeté lui, portando il suo sguardo sul soffitto bianco della camera. “Il fatto che tu non sia come gli altri. Anche se fingo di non guardare, non vuol dire che non veda. Lo so che mi evitano. Credono tutti che sia un poco di buono – soprattutto dopo che è successo quello scontro con quei ragazzi finlandesi. Mentre le ragazze non fanno altro che chiedermi il numero di cellulare.”

“Eh, immagino sia dura…” commentò ironica.

“Non molto, in realtà. Un tempo mi piaceva. Sai, i ragazzi non ti calcolano – se non i tuoi amici – e le ragazze non ti lasciano mai in pace.” disse, quasi nostalgico. “Un tempo non mi facevo scrupoli a fare come mi pare. Approfittavo delle ragazze e praticamente avevo tutto ciò che volevo.”

“Perché, ora?” si incuriosì lei, a sentire quei ragionamenti.

“Ora non posso.” Rispose semplicemente. “Sono successe troppe cose. Cose che non avrebbero dovuto succedere. E che, succedendo, hanno segnato una svolta nella mia vita.”

“Cose di che genere?”

“Mio padre è stato ucciso.”

Beatrice sgranò gli occhi e trattenne il fiato.

“Cosa?” farfugliò con voce flebile.

“Sì, hai capito bene.” Si voltò verso di lei, guardandola serio. Quegli occhi verdi luminosi erano diventati cupi. “L’hanno ucciso.” Tornò a fissare il soffitto. “Ecco perché sono qui. I collaboratori di mio padre hanno ritenuto opportuno mandarmi via perché temono che anche io possa essere in pericolo.”

“Tu? In pericolo? E perché?” Beatrice era ancora scossa. Non sapeva come reagire ad una notizia del genere. Jacob doveva essere il solito ragazzo viziato, che non gli importa di niente e di nessuno; ora, invece, lo stava scoprendo per ciò che era veramente. Alle sue spalle c’era una storia che nemmeno aveva mai pensato potesse succedere.

“Perché ora che mio padre è morto, io sono l’erede di tutto il suo patrimonio.”

Beatrice lo guardava con occhi sofferenti e crucciati.

“Ehi!” si alzò di scatto il ragazzo. “Io ti ho raccontato tutto perché ti ritenevo diversa. Non voglio che tu possa provare pietà per me.”

“Oh, scusa…” abbassò la testa.

“Ora capisci perché non volevo parlare con nessuno? Se avessi stretto amicizia con qualcuno, sarebbero sorte domande su famiglia, amici…”

“Potevi inventarti una bugia.”

“No, ho preferito eliminare queste situazioni alla radice.”

“Ah…”

“Bè, sì,” sospirò. “Forse è un tantino egocentrico da parte mia…”

Beatrice annuì, facendo ridere il ragazzo.

“Vedi, alla fine ho fatto bene a parlarne con te.”

La ragazza alzò gli occhi su di lui, che la stava fissando.

“Tu – a parte prima – non stai nemmeno trattenendo le tue battute, i tuoi commenti ironici…”

“Penso che più che un pregio, questo sia un difetto, sai?”

“Non per me. E non in questo caso.”

La ragazza sorrise, ricevendo il sorriso di Jake in cambio.

“Sei ancora arrabbiata con me?”

Lei negò.

“Sicura? Ti ho – parole tue – preso per il culo e anche fatto perdere una lezione.”

Bea alzò le spalle, noncurante. “Diciamo che questa chiacchierata ne è valsa la pena.”

“E tu?” chiese Jake, sedendosi sul letto.

“Io cosa?”

“Perché sei qui?” spiegò.

“Bè, per studiare l’inglese, no?” rispose perplessa. “Di solito un erasmus si fa per questo.”

“Sei sola?”

“Dipende da cosa intendi per sola. Se ti riferisci al fatto che non conosco altri italiani qui, sì sono sola. Ma ho conosciuto molti altri amici. Tutti stranieri e per questo molto apprezzati.”

“Apprezzi più la loro nazionalità che la loro compagnia?”

“E chi l’ha detto, questo?” ribatté stizzita. “Ho solo detto che mi piace fare amicizie con persone straniere. Non sapendo altre lingue, l’inglese è l’unica che posso parlare, e di conseguenza miglioro.”

“Capisco.” Fece lui. “È stata una tua decisione, venire qui?”

“Bè, sì e no.” Storse il naso la ragazza, guardando altrove.

“Perché?”

“Perché ti interessa?” domandò sospetta.

“Per fare un fifty-fifty.”

“Ok.” Sospirò. “Ho scelto io di venire qui, ma più che altro è stato una conseguenza estrema ad una situazione che mi sono lasciata alle spalle.”

Jake alzò un sopracciglio interrogativo.

“Stavo con un ragazzo.” Confessò. “Poi ci siamo lasciati – non mi dilungherò inutilmente sui particolari – e io decisi di venire qui, almeno il tempo e la lontananza avrebbero potuto fare il loro corso.”

“Se non fosse successo ciò che è successo, saresti venuta lo stesso?” chiese, stendendosi sul letto, senza, però, distogliere lo sguardo da lei.

“Bè, è tutto un forse. Ciò che è successo è successo. È un po’ inutile chiedersi cosa si sarebbe fatto in un’alternativa. Cioè, ormai è passato. Bisogna affrontare la realtà che ci siamo costruiti. Dobbiamo imparare dalle nostre azioni ed esserne responsabili.”

“Sono d’accordo, ma non è ciò che ti ho chiesto.” Puntualizzò.

Lei sorrise triste.

“No. Non sarei venuta.”

“Perché?”

“Come perché?” ripeté la ragazza con aria scandalizzata.

Jake la guardò come un bambino potrebbe guardare un adulto che fa un discorso troppo complicato. Nei suoi occhi c’era innocenza.

“Io non lascerei mai il ragazzo che mi piace.” Rispose, quindi, in un sussurro imbarazzato.

Lui sorrise.

“Quindi sei una romanticona.” La fissò sornione.

Beatrice si guardò intorno. Poi adocchiò il letto del ragazzo.

“Mi passi il cuscino, per piacere?” chiese.

Jake glielo tirò senza pensarci due volte. Lei l’afferrò al volo e glielo ritirò con forza, colpendolo sul viso.

“Ahia!” si lamentò lui, portandosi le mani sul naso.

“E dai, è solo un cuscino!” lo canzonò lei.

Lui la guardò minaccioso, alzando quel nobile dito come aveva fatto lei prima.

“Sì, ma mi hai preso con la zip.”

 

***

 

Passarono così altre tre giorni. Era strano ora fare la strada insieme a lui sentendolo rispondere alle domane, parlando tranquillamente. Avevano stretto un’amicizia che sembrava quasi invidiabile agli occhi degli altri – soprattutto delle ragazze, che non nascondevano lo sguardo truce rivolto a Beatrice.

Ovviamente a lei non gliele importava niente.

Era contenta di essere riuscita a costruire un rapporto con lui e con la fatica che aveva fatto, nemmeno le guardava, quelle ragazze.

L’aveva imparato a conoscere: Jacob infatti si rivelò presto un ragazzo dalle buone maniere – anche se continuava ad essere un ragazzino certe volte viziato – e con una buona cultura. E lei aveva imparato molte cose da lui, come ad esempio la vera musica che ascoltava sempre lui con quel suo inseparabile i-Pod.

E proprio mentre i due ragazzi stavano affrontando una discussione sui loro generi musicali – sui quali praticamente sempre si trovavano in disaccordo –, il telefono squillò.

“Vado io.” Fece Beatrice, alzandosi dal letto, soddisfatta che la questione musica-rumore fosse cessata così.

Si avvicinò alla scrivania e si portò il telefono allo’orecchio, premendo il tasto verde per accettare la chiamata.

“Pronto?”

“Signorina Orsini?” la voce delicata che proveniva dall’altra parte dell’apparecchio era ovvia. Era la direttrice del dormitorio.

“Sì, posso esserle utile?” chiese. Era strano che la direttrice chiamasse, soprattutto perché non ne vedeva l’apparente motivo.

“Jacob Rosenbaum è lì con lei?”

La ragazza si girò verso di lui, che la guardò interrogativo. Beatrice, quindi, indicò il telefono e il ragazzo, pronunciando il nome della direttrice con il labiale.

Lui alzò un sopracciglio. Perché lo cercava?

Jake allungò una mano verso la sua compagna di stanza che si avvicinò a lui.

“Si, c’è. Glielo passo.”

“Grazie.”

Il ragazzo si portò il telefono all’orecchio.

“Pronto?”

Bea rimase a guardare la scena.

Il viso di Jake si trasformò da sorpreso a cupo. Aggrottò la fronte e iniziò a guardarsi la mano libera.

Sembrava una cosa molto importante, quindi la ragazza si allontanò da lui e si sedette sul suo letto, prendendo un libro tra le mani e fingendo di leggere, mentre la sua curiosità la forzava a tentare di capire le parole di quella misteriosa telefonata.

“No, non è andata così.” Mormorò sommessamente il ragazzo, sospirando quasi con rassegnazione, mentre stringeva la mano a pugno.

Aggiunse poi qualcosa che Beatrice non riuscì a sentire. Non era buona educazione ascoltare le chiamate private degli altri, lei lo sapeva, ma non poteva farne a meno. Jacob sembrava sempre più teso e nervoso. Sembrava stesse tentando di mantenere il controllo, sforzandosi notevolmente. Aveva la mandibola palesemente contratta, e così anche i muscoli del collo.

“Va bene. Se lei lo ritiene più giusto, lo faccia pure.” Disse infine, chiudendo gli occhi e respirando profondamente.

Passarono altri attimi di silenzio, ma Jake non cambiava espressione. Sembrava quasi stesse sudando freddo. Come se avesse paura. I suoi occhi erano concentrati nel vuoto davanti a lui.

Bea si sentì subito preoccupata. Cosa stava succedendo?

Il ragazzo deglutì. “D’accordo. Domani.” E chiuse la chiamata.

Buttò il telefono sul letto accanto a sé e tirò la testa indietro, appoggiandola al muro. Si passò le mani sul viso e fece qualche respiro profondo, quasi stesse cercando di calmarsi.

Bea lo guardò senza capire, con il libro ancora inutilmente aperto sulle gambe.

Quando il ragazzo finalmente si riprese e si guardò intorno, lei fece sì che i loro sguardi si incrociassero.

“Ehi…” fece Beatrice.

“No. Non è nulla di grave.” Abbozzò ad un sorriso. Ma non era lo stesso sorriso. Quello era falso, tirato. Era un sorriso che non aveva niente di sincero. Sembrava quasi coraggioso, ma celava dietro chissà quale mistero.

“Sicuro.” Si informò lei cautamente.

“Sì.” Sospirò. “Sono appena stato informato che domani dovrò tornare a casa.”

“Come?” mormorò lei. Ormai ci aveva fatto l’abitudine ad averlo nella stanza, a sentirlo brontolare sulla maggior parte delle cose che lei faceva e che Jake non andavano bene, a vederlo assorto nei suoi pensieri, seduto sul muretto della finestra con la sua vera musica nelle orecchie…

“Sì, il mio tempo qua è finito.” Ed afferrò il suo i-Pod. Si mise le cuffie nelle orecchie e si sdraiò sul letto, voltando le spalle alla ragazza.

Beatrice rimase interdetta sul letto. Avrebbe voluto ribattere, ma non sapeva cosa dire. Si vedeva che c’era qualcosa di più.

Improvvisamente si ricordò di ciò che le aveva raccontato il ragazzo tempo prima, riguardo la sua famiglia e tutto quello che gli era accaduto. Si domandò subito se fosse una cosa legata a quella faccenda, ma non ebbe il coraggio di domandarglielo. Dopotutto, non erano affari suoi. Ed era anche una questione delicata. In effetti, la loro confidenza non era ancora arrivata a dei livelli per cui lei poteva permettersi di essere troppo sfacciata nei suoi confronti.

Sospirò, quindi, tristemente e si concentrò sul suo libro.

Magari, se gli avesse lasciato del tempo, poi sarebbe stato lui, che di sua iniziativa, le avrebbe spiegato cosa veramente era successo.

__________________________________

E dopo un tempo infinito, rieccomi ad aggiornare questa storia. La storia, finalmente, sta entrando sempre più nel vivo della vicenda (che chissà se arriverà mai alla conclusione).

Al prossimo capitolo! (Spero di pubblicarlo prima della fine del mondo U.U)

Irina

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Thriller / Vai alla pagina dell'autore: Irina_89