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Autore: Tsukuyomi    24/09/2009    2 recensioni
Immedesimarsi nella mente di qualcuno che non rispecchia lontanamente il proprio modo di pensare o essere è difficile, e immaginare di essere qualcun altro in situazioni in cui non ci si troverebbe mai, neanche essendo immortali, lo è ancora di più. Spero di riuscire nell'intento. Ovviamente è tutto raccontato in prima persona. Sono indecisa sul rating, butto giù un arancione, ma se non vi sembra adatto fatemelo sapere e lo cambierò in rosso. Spero gradiate e sono bene accette critiche e commenti.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti
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Nella mente di...un cecchino Sono su questo tetto da trentasei ore.
E da trentasei ore stringo compulsivamente a me il mio fucile, una stupenda arma russa che a distanza di anni dalla sua creazione vanta ancora il più alto tasso di precisione, dovuto soprattutto al metodo di ricarica. Spero di essere preciso quanto la mia arma. Spero di essere tempestivo come il cane che batte sul bossolo per espellere il proiettile a velocità incredibile, con un’irruenza che non lascia scampo.
Ho sete, ma ho con me una discreta quantità d’acqua.
Sono seduto sulla custodia della mia arma e mi sembra di sentirla vibrare. Ogni volta che, guardando nell’ottica, scorgo una persona mi prende una sensazione di paura e sgomento. Dovrò ammazzare.
Che vigliaccheria. Uccidere una persona da lontano, senza guardarla negli occhi…che disonore.
Sono un cecchino e sono il soldato più disprezzato.
Durante la guerra la mia è una continua corsa contro il tempo. Non devo farmi acchiappare dalle truppe nemiche o rischio il linciaggio nel migliore dei casi. Appena sparo devo smontare il fucile, nasconderlo e darmi alla fuga, sperando di non essere preso e sperando che il mio fedele, metallico compagno non venga trovato. Non è facile procurarsi un’altra arma come questa, precisa e puntuale come questo gioiello sovietico.

Sono ore che guardo autisticamente nel particolare reticolo dell’ottica di precisione: aspetto di vedervi il viso del mio obiettivo. Un uomo senza nome, solo un numero.
Prima o poi uscirà da quel palazzo. Prima o poi lo guarderò da lontano negli occhi e premerò il grilletto.
A giudicare dalla distanza a cui mi trovo dal mio obiettivo dovrò mirare almeno un centimetro e mezzo più su della sua testa, considerando quello che vedo attraverso il blocco di mira. In termini più reali si tratta di mirare a qualcosa dietro il bersaglio di almeno due metri. C’è un po’ di vento, non fortissimo.
Ma quest’alito, sulla lunga distanza, mi impone di deviare il fuoco almeno ad un metro dall’obiettivo.
Non sarà facile prenderlo in mezzo agli occhi, ma devo riuscirci. Non posso rischiare che sopravviva al colpo e non posso permettermi di sbagliare. Nella mia carriera di tiratore poche volte ho mancato il bersaglio e a distanze maggiori.
Sono considerato il migliore del mio battaglione e uno dei migliori del reggimento. Non sono infallibile e non sono sicuramente il miglior tiratore scelto del mondo, ma non sono da buttare via.
I muscoli cominciano a tremare sempre di più, sono stanco. E’ da trentasei ore che mantengo le stesse posizioni e, ironia della sorte, le posizioni più scomode sono quelle che alla fine permettono di ottenere il risultato migliore. Mi serve una sigaretta, la nicotina fermerà i tremori. Non è ancora giunto il momento di riempirmi di diazepamina, gli spasmi muscolari non sono ancora così violenti da obbligarmi a prenderla e inoltre, il mio obiettivo non metterà il naso fuori di casa per un altro po’ di tempo.

Si sta annuvolando. E’ una fortuna non dover fare anche i conti con il sole negli occhi. E’ una distrazione che può costare cara. Spero solo che non inizi a piovere, vorrei evitare di bagnarmi come un pulcino e oltretutto la pioggia abbasserebbe pericolosamente la visibilità e la gittata del proiettile.
Ma nel caso che l’acqua inizi a scrosciare, sarebbe utile che siano presenti tuoni e fulmini. In questo modo il saettare della luce renderà meno visibile l’esplosione del colpo e il tuonare del fucile potrà essere facilmente scambiato per il suo corrispettivo naturale. Ovviamente il diversivo avrà successo solamente se l’osservatore sarà inesperto. Diversamente sarò individuato con facilità e dovrò fuggire, il più velocemente possibile.

Meglio la pioggia al vento. Il vento è subdolo, cambia direzione ad ogni istante, non è mai costante come sembra all’apparenza.
Non è facile la mia vita. Non è facile il mio mestiere.
Nel migliore dei casi trascorro le giornate al poligono di tiro. Nel peggiore dei casi mi accingo a far saltare la testa a qualche sventurato che ha azzardato troppo o che semplicemente è capitato nell’esercito sbagliato. Sbagliato rispetto al mio. Grazie alla guerra ho imparato una cosa, nessuno ha mai ragione, esattamente come nessuno ha mai torto. Si tratta di svolgere il proprio lavoro e mi piace il modo in cui svolgo il mio. Ci tengo a fare un buon lavoro.
Non ho mai ucciso persone che non fossero soldati o politici. I politici che dichiarano guerra devono essere considerati soldati e per coerenza dovrebbero stare in prima linea assieme a noi.

Si è appena aperta una finestra. E’ il caso che ora prenda la mia pastiglia magica, in questo modo non avrò spasmi muscolari, con la mano ferma posso addirittura fare miracoli.
Un uomo mette fuori la testa e si guarda intorno. Non è il mio obiettivo. Non mi interessa. Potrei sparare, almeno per passare il tempo. Indossa una divisa, quindi è un mio pari. Anche lui è pagato per uccidere. Ma se esplodessi questo colpo dovrei cercare un’altra postazione. E dovrei cambiare anche zona. Appena si ha la certezza della presenza di un cecchino si batte la zona per scovarlo. Le ricerche durano giorni, vengono posizionate sentinelle in tutti i possibili punti di tiro e quindi nessuno di questi palazzi semi crollati sarebbe lasciato ulteriormente a se stesso. Sarebbe difficile nascondere il fucile in modo che non venga trovato, quasi impossibile oserei dire, e non potrei portarlo con me nella fuga a causa del suo peso. Mi rallenterebbe rendendomi facile preda di altri tiratori e anche di soldati di fanteria. Certo, sarebbe un peccato imperdonabile abbandonare un “compagno”, ma la mia vita conta di più, almeno per me. Per gli altri resto un numero nelle liste. Spero di restare sempre in quella dei superstiti/veterani. Non vorrei mai figurare tra le righe di quei lunghi stralci dove compaiono i nomi e i numeri di matricola di chi non ce l’ha fatta. Non è vero che non vorrei, non voglio e basta.

L’uomo con la divisa, un tenente.
Esce dalla casa con fare circospetto. Continua a guardarsi intorno. Ti leverei i gradi. Non meriti di essere un tenente. Non puoi guardarti attorno in quel modo dando per scontata l’assenza di un cecchino. O forse è la tua prima guerra? Ironico e buffo. Ho davanti agli occhi un tenente appena uscito dalla scuola per ufficiali. Sì, non c’è dubbio, è la tua prima battaglia. E’ la prima volta che metti a repentaglio la tua vita e lo fai nel modo più ingenuo e stupido che esista. Ma sei fortunato, il mio colpo non è per te. Non sarà la tua testa ad aprirsi.
Fa cenno a qualcuno che si trova dentro l’abitazione, un cenno di via libera. Oh quanto ti sbagli, amico mio. Neanche riesci ad immaginartelo.

Eccolo. Ecco il mio bersaglio. Stenta ad uscire, ha paura. Ma riesco a vedergli i piedi. Sono passati quasi dieci minuti e i tremori si affievoliscono fino a svanire. Non devo sbagliare.
Devo appellarmi a tutte le divinità protettrici dei cecchini e sperare che la fortuna non mi volti le spalle. Ma perché la fortuna dev’essere un parametro così importante e così incalcolabile? Non devo pensarci ora. Devo concentrarmi e rendere il mio respiro il più regolare possibile. Il fucile si sposta ogni volta che inspiro ed espiro. Dovrò trattenere il fiato per prendere accuratamente la mira e premere il grilletto. E devo riuscire a concentrare tutte queste azioni in meno di un secondo. Che corsa contro il tempo.
Esce. Il volto di un uomo terrorizzato. Quasi mi spiace fargli saltare in aria quella maschera di paura.
Ragionando come uomo mi fa pena, ragionando come soldato mi è indifferente, è solo un nome in un dossier al quale a me non è permesso accedere.

Dentro. Fuori. Dentro. Fuori.
Sento solo il rumore dei miei respiri e il vago suono quasi scricchiolante dei polmoni che si dilatano. Prendo la mira. Devo sparare prima che inizi a camminare. Devo sparare prima che si muova.

Dentro. Fuori.
Lo vedo. Il centro del reticolo di mira è esattamente ad un centimetro e mezzo sopra alla sua testa, il vento sembra essersi placato.  Mi separano da lui solamente cinquecento metri, e il proiettile uscirà dalla canna ruotando ad una velocità di ottocento metri al secondo. Le probabilità che si sposti in quel brevissimo lasso di tempo (che per me è infinito) sono prossime allo zero. Non sbaglierò il colpo e andrò dritto a bersaglio.
Trattengo il respiro e guardo nell’ottica. Riesco a mettere a fuoco con facilità. Nell’attimo fugace in cui premo il grilletto chiudo l’occhio esterno all’ottica, solo per sincerarmi della perfezione della mira.
Non posso sbagliare.
Il rendez-vous è tra quattro giorni a trentotto chilometri da qui. Potrò prendermela con calma.
E’ giunto il momento e tiro a me il grilletto, senza curarmi della resistenza che oppone al mio tocco.
Da questo istante all’istante in cui il suo corpo cadrà all’indietro il tempo smetterà di scorrere. Sembra ridicolo, eppure è così. Continuo a guardare. Devo avere la certezza di non aver sbagliato, di non mancare il bersaglio.
Accade l’impensabile.
Mentre continuo a trattenere il respiro, incapace di lasciarmi andare alla calma, succede quello che mai avrei creduto possibile.
Si sposta.
Inclina la testa di lato per guardare una puttana che probabilmente andava a scambiare il suo corpo per un po’ cibo. Schiva il proiettile. Ma proprio ora dovevi passare?
Il colpo gli sfiora l’orecchio.
No! Merda! Merda! Merda!

Devo scappare. Il tenente sbarbatello si getta sul mio obiettivo facendogli scudo col suo. Era davvero importante. Era davvero da far fuori. Si precipitano decine di soldati, decine di sentinelle che cominciano a correre verso di me. Ci metteranno un po’ a coprire i metri che ci separano, ma io non posso e non devo perdere tempo. Abbandono il fucile e mi fiondo giù per le scale, devo uscire da qui e allontanarmi il prima possibile. Lotto contro le mie stesse gambe, anchilosate per il troppo stare seduto, e cerco di correre il più velocemente possibile.
Maledizione!
Non doveva succedere. Doveva morire.
Appena fuori dal palazzo sento un proiettile sibilare accanto alla mia testa, deve aver sentito lo stesso suono che sento io ora. Continuo nella mia folle corsa, devo solo mettermi in salvo.

Missione fallita.

   
 
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