Parte IV - Inconsistency//Prison
Tifa deglutì, battendo le palpebre velocemente.
Sperò solo che il rumore rimbombante che proveniva dal suo
stomaco vuoto non fosse abbastanza forte perché altri tranne
lei potessero sentirlo.
Rufus ShinRa era seduto all'altra estremità del tavolo, i
gomiti puntati sul legno e le dita che si intrecciavano fra loro a far
da sostegno al suo mento appuntito. La guardava con la testa
leggermente inclinata, come in una sorta di paziente attesa.
Troppo paziente. Tifa deglutì ancora, mentre sentiva la
salivazione aumentarle in bocca.
Per quanto si sforzasse di tenere il mento alto ed un'espressione del
tutto immobile, l'odore speziato del cibo le solleticava il naso in
maniera insostenibile. Non aveva il coraggio di abbassare lo sguardo,
perché aveva l'impressione che sarebbe bastato quello - il
semplice contatto visivo con il piatto che fumava davanti a lei - a
farle perdere completamente il controllo.
Era una prova di resistenza. Certo, non mangiava da quasi due
settimane, o forse di più. Aveva bevuto, ma era riuscita a
resistere fino a quel momento...non avrebbe ceduto proprio adesso.
Anche se quella carne sembrava così maledettamente
gustosa...
Rufus sospirò, modificando l'intreccio che univa le sue
dita, poi tornò a fissarla con quel suo sguardo
insopportabile. La sua attesa era diventata trepidante.
« Mangia.» ordinò, con voce piatta.
In risposta, Tifa si limitò a serrare con più
forza le labbra.
Cercava in tutti i modi di resistere, tenendo le mani sul grembo, sotto
il tavolo, decisa a non mostrare a nessuno che stava stropicciando fra
le dita la stoffa del vestito. Era un modo per distrarsi, anche se il
tintinnio metallico delle manette che cozzavano fra loro le ricordava
immediatamente che era ancora prigioniera.
E che era una prigioniera che veniva trattata come una maledetta principessa.
L'espressione tranquilla di Rufus non subì un solo
cambiamento:
« Ho detto di mangiare.» ripeté, lo
sguardo che diventava ancora più penetrante. I suoi occhi
azzurri erano spaventosi. Tifa aveva l'impressione che potesse
trafiggerla con lame di ghiaccio solo guardandola.
O magari poteva costringerla ad obbedirgli con un solo battito di
ciglia, facendole credere di non aver mai desiderato fare altro fin da
quando era nata.
Lo odi, Tifa. Odi lui e tutto ciò che rappresenta.
Doveva ricordarsi di ripeterselo, ogni volta che lo guardava. Lei lo odiava.
Quegli occhi minacciavano di farla diventare completamente pazza.
« No.» scosse violentemente il capo ed alcune
ciocche scure le ricaddero armoniosamente sul petto. Per un attimo il
profumo di vaniglia dei suoi capelli le obnubilò l'olfatto,
ma non seppe dire quale dei due odori fosse più sgradevole:
quello del cibo che non avrebbe mangiato, o
quello del bagnoschiuma con cui era stata lavata da quelle donne di cui
non conosceva il nome e ricordava a malapena il volto.
Il principe della ShinRa sospirò ancora, questa volta
sembrava stanco:
« Qual è esattamente il particolare che non ti
è chiaro, signorina Lockheart?» le mani si
divisero e si poggiarono elegantemente sul tavolo, l'una sull'altra
« Ho il compito di assicurarmi che tu sopravviva.
E se non mangi morirai. Cosa dovrei fare?» scosse il capo;
una ciocca di capelli biondi gli scivolò sulla fronte,
sfuggendo alla sua impeccabile acconciatura impomatata. Tifa non aveva
mai sopportato quel genere di cose, il modo affettato con cui quegli
untuosi uomini d'affari si tiravano indietro i capelli solo per
sembrare più affidabili. Eppure c'era qualcosa di diverso,
qualcosa che non le dava affatto fastidio nel modo in cui quei capelli
biondi carezzavano il collo di quell'uomo e nobilitavano il suo volto.
Tifa ricambiò lo sguardo, per quanto odiasse guardarlo negli
occhi. Sapeva che almeno il proprio cipiglio era rimasto lo stesso,
anche se le guance le si erano fatte leggermente più
incavate. Sapeva di aver stampata in volto solo cinica ostinazione.
« ...devo imboccarti?» il tono con cui Rufus le
pose quella domanda la fece quasi arrossire. Sembrava pronto a farlo
davvero, se si fosse rivelato necessario.
« Ti morderei.» si affrettò a dire con
rabbia, cercando di convincersi che l'idea di farsi imboccare come una
bambina dalle mani di quell'uomo disgustoso non
fosse affatto invitante. Eppure quella carne era così...
Era una situazione insopportabile che si ripeteva ormai da
più di sette giorni. Il principe non mangiava mai con lei,
si limitava a guardarla mentre se ne stava immobile sulla sedia,
ammanettata, aspettando che cedesse ed afferrasse le posate d'argento.
Tifa ancora non riusciva a capacitarsi di tutte le assurdità
che si stavano susseguendo così rapidamente in quelle lunghe
e sofferte settimane. Non capiva perché ogni mattina,
svegliandosi fra le lenzuola vaporose di quel letto fin troppo grande,
non trovasse altri abiti da indossare se non quei vestiti lunghi ed
attillati che le mettevano in risalto le forme, lasciandole scoperte le
spalle. Non capiva perché venisse trattata con tanto
riguardo, perché sembrava che tutti si sforzassero di
compiacerla o di renderle il soggiorno più piacevole, a
cominciare dalle donne che le facevano trovare la vasca ricolma di
acqua e di schiuma alla mattina presto e poche ore prima del tramonto,
o che si offrivano di dipingerle le unghie e di truccarle gli occhi, di
pettinarle i capelli fino a farli rilucere.
Tutto ciò la irritava; odiava il frusciare dei lembi di
quegli abiti che le sfioravano le caviglie, odiava svegliarsi la
mattina e ricordarsi di aver dormito nel letto di una regina, con le
mani immobilizzate dalle manette. Odiava guardarsi allo specchio e
vedere le labbra rosse, le guance un po' smunte rese più
vivaci da un lieve rosa artificiale, gli orecchini di brillanti che le
ricadevano sul collo rifrangendo la luce ovunque intorno a lei.
E odiava il modo in cui Rufus la guardava. La
costanza e l'impegno eccessivo con cui inspiegabilmente si assicurava
che lei non morisse. Le sembrava così assurdo che lui stesse
facendo tutto ciò solo per preservarla...per essere certo
che suo padre potesse riceverla viva.
Non era sicura che l'attuale situazione fosse preferibile a quei giorni
trascorsi nella cella di Midgar. Almeno lì la trattavano
com'era giusto che fosse, la ignoravano, non si preoccupavano dei
graffi sulla sua pelle chiara o dei vestiti sudici.
Gli occhi le si ridussero in fessure mentre continuava - provava - a
sfidare il suo improbabile e raffinato carceriere.
Era una criminale. Aveva violato la legge in qualsiasi modo possibile:
perché quell'uomo cercava si trasformarla nella fanciulla
imprigionata nella torre più alta del castello?
La cella...la fame...la morte. Era quello che
meritava. A che scopo rinchiuderla in una prigione di velluto?
Tirò su con il naso mentre lo guardava sollevarsi dalla sua
sedia, lasciando scivolare le mani grandi sul legno levigato e
soffocando un gemito di insoddisfazione.
« Vorrà dire che ti lascerò
sola.» annunciò in un soffio, con una sorta di
pacato rimpianto a velargli la voce « Pensi di riuscire a
buttar giù anche un solo boccone? Forse il fatto che io sia
qui ti mette in...» fece una pausa
«...soggezione?»
Per fortuna le guance di Tifa erano già rosse per il trucco.
Ma il sangue le era salito al volto per la rabbia, ne era certa. Per lo
sdegno. Tutta quella gentilezza era insolita.
« Non toccherò niente lo stesso.»
Gli angoli della bocca di Rufus si incurvarono appena verso l'alto. I
suoi sorrisi erano rari e non duravano più di qualche
istante, ma ogni volta che le labbra scoprivano appena i denti bianchi,
disegnando sul suo volto di marmo una dolce linea obliqua, Tifa si
dimenticava per un attimo di respirare.
I suoi sorrisi la uccidevano. Erano indecifrabili, seducenti, perfetti.
Irresistibili.
Cercò disperatamente le giuste parole per insultarlo ancora,
per convincerlo definitivamente ad andare via. Distraiti,
Tifa Lockheart, pensò, mentre stropicciava con
più forza la stoffa plissettata dell'abito bianco. Ignoralo.
Se non lo avesse fatto, probabilmente sarebbe caduta definitivamente
vittima del suo maledetto sorriso.
« Non è mia intenzione turbarti più del
necessario.» l'altro la zittì con voce vellutata,
senza farle neppure aprir bocca « Tornerò fra
qualche ora, rischio di ritardare alla riunione.» diresse
svogliatamente un dito verso di lei mentre le voltava le spalle
« Non uscirai di qui fino a quando quel piatto non
sarà vuoto.»
Fu colta dall'impulso incontrollato di alzarsi dalla sedia e corrergli
incontro, forse per prenderlo alle spalle e fuggire dalla porta aperta.
Tuttavia rimase immobile dov'era, seguendolo con gli occhi mentre le
ampie porte si chiudevano dietro di lui, anche se l'odore della carne
le faceva girare la testa.
Un'interferenza fastidiosa le faceva cambiare idea ogni volta che
pensava ardentemente di deturpargli il viso a suon di pugni.
Rimase in silenzio per qualche minuto, decisa a non farsi tentare dalla
stanza vuota. Non gli avrebbe dato la soddisfazione di trovare quel
piatto vuoto. Rufus ShinRa non aveva ancora capito di che pasta era
fatta.
Continuava fermamente a crederci mentre senza neppure pensarci lasciava
che le sue mani scivolassero sulla forchetta e sul coltello d'argento,
carezzandoli.
...quella carne era davvero buona come sembrava. O forse era la fame a
farla sembrare la cosa più deliziosa che avesse mai...
« Finalmente.» una voce le fece sollevare lo
sguardo di scatto, allarmandola.
Non lo aveva visto entrare, non aveva sentito un solo rumore, eppure lui
era di nuovo lì, seduto su di una sedia, questa
volta molto più vicino a lei. Si teneva il mento con una
mano, la guardava con gli occhi azzurri seminascosti dalle ciglia
lunghe e folte, un leggero ghigno divertito a increspargli le labbra.
« Continua pure.» le concesse facendole un rapido
cenno del capo, quando si accorse che si era bruscamente interrotta,
« E' bello constatare quanto fossi effettivamente affamata,
sai?» il sorriso maligno si fece più ampio e
soddisfatto « Pensavo che davvero avresti resistito fino a
morire.»
Tifa sentì un improvviso bisogno di rimettere, ma non
poté fare altro che mandare giù frettolosamente
la forchettata di carote che si era poco prima messa in bocca. Le
posate tremarono nelle sue mani ammanettate, collidendo e tintinnando
appena contro il bordo del piatto.
Quel uomo era così. Sotto quella maschera di affascinante
uomo d'affari, si celava un mostro. Un mostro che le avrebbe affondato
gli artigli nella carne per farla gridare di vergogna e dolore fino a
che non le fosse rimasto fiato nei polmoni. Un mostro dagli occhi
azzurri e la bocca invitante che la spingeva sull'orlo della perdizione
ad ogni sguardo.
Si trattenne dallo sputargli in faccia.
« Dov'è finita la tua riunione urgente, signor
ShinRa?» ringhiò, lasciando ricadere la forchetta
ed il coltello nel piatto ormai vuoto. Alla fine Rufus aveva ottenuto
ciò che voleva e lei non se n'era neppure accorta. Il morso
della fame si era leggermente attenuato, ma anche adesso sentiva che lo
stomaco ne pretendeva ancora.
Gli occhi chiari dell'altro si fecero di colpo ingenui:
« Mi perdoneranno un ritardo, non credi?»
Tifa digrignò i denti:
« Tutti i maledetti ShinRa se la prendono comoda con i
ritardi, non credi?»
Rufus ci mise qualche istante ad afferrare a cosa si riferisse, poi si
passò una mano sul volto, fermandola sulla bocca come a
voler nascondere qualcosa.
« Il ritardo di mio padre è eclatante. Hai davvero
ragione.» mormorò, soprappensiero, dopo qualche
istante d'esitazione « Ma almeno tu sopravvivrai ancora
qualche giorno.» Lei avrebbe voluto semplicemente sollevare
il coltello a usarlo come un pugnale.
Poi lui allungò una mano in un gesto quasi casuale. La prima
reazione di Tifa fu quella di ritrarsi, ma poi lasciò che
quelle dita lunghe le sfiorassero la guancia. Batté le
palpebre più volte. Non sapeva come e perché non
riuscisse a muoversi.
Il pollice di Rufus seguì lentamente la linea dolce del suo
zigomo, poi scese a toccarle l'angolo della bocca. Tifa si
sforzò di tendere le labbra, ma sembrava che delle spesse
catene le avvolgessero tutto il corpo, non solo i polsi.
« Dovevi essere davvero affamata, Tifa.» le
pulì delicatamente la pelle, sporcandosi i polpastrelli di
farina. La polverina bianca che ricopriva quel pane fresco che lei
aveva mandato giù senza neppure sentirne il sapore. Tifa si
chiese se quel bastardo fosse mai uscito davvero dalla stanza...e se
l'avesse osservata fin dall'inizio, per il semplice gusto di assaporare
quella prima vittoria.
« Non è servito imboccarti, dopotutto.»
il suo tono era basso, quasi intristito.
Quando quelle dita la lasciarono, Tifa si sentì di colpo
più leggera. Le catene si erano dissolte.
Non smise di fissare le pieghe brusche che faceva assumere al vestito
mentre lo stringeva nei pugni. Quell'abito così ridicolo ed
elegante che lui la obbligava a indossare.
Fece finta di non vederlo mentre la salutava e scompariva nuovamente
fuori dalla stanza. Si alzò in piedi di scatto, rossa di
vergogna, oltraggiata e sconfitta, furente di rabbia. Evitò
di incontrare gli occhi di tutti quegli inservienti apparsi dal nulla
che si proponevano di accompagnarla nella sua stanza.
Ci si chiuse da sola, girando la chiave nella toppa. Un altro
privilegio offerto a quella principessa prigioniera. Peccato che Rufus
fosse l'unico ad avere una chiave identica alla sua.
Si sfilò il vestito bianco dalla testa, gettandolo sul
pavimento e calpesatandolo a piedi nudi. Senza curarsi di mettersi
addosso qualsiasi altra cosa, afferrò le lenzuola fresche
del letto e le tirò via con un solo strappo deciso. Le
lasciò ricadere assieme ai cuscini, poi si
trascinò fino al piccolo bagno privato, ignorando le
mattonelle gelide che le ferivano le piante dei piedi.
Si chinò sul lavandino, aprendo il getto d'acqua e
mettendovi sotto le mani a coppa. Si lavò la faccia con
furia, strofinando forte. Ignorò il trucco che lentamente le
si scioglieva dalle labbra e dagli occhi, disegnandole delle cupe
lacrime nere lungo le guance.
Non voleva che la puzza del Mako contaminasse anche lei. Non voleva.
Non voleva avere addosso quell'odore stomachevole.
Poi, guardandosi allo specchio, si accorse di ogni cosa. Ogni
particolare andò al suo posto in quell'intricato maledetto
quadro di incongruente prigionia.
Quanto ancora doveva aspettare, prima che potesse andarsene da
lì? Prima che potesse togliersi le manette, anche solo per
trasferirsi alla Prigione del Deserto?
Continuando a quel modo, Rufus non avrebbe smesso di guardarla, di
contemplare la sua opera.
La
stava lentamente trasformando nella sua personale, bellissima bambola
di porcellana.