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Autore: Mex    26/09/2009    3 recensioni
“Mi sta dicendo che finalmente è riuscito a trovare Atlantide?” il professor Sorni si tolse gli occhiali ed iniziò a ripulirli di nuovo, per la terza volta, lo faceva sempre quando era nervoso. I suoi occhietti miopi si puntarono in quelli del giovane dottor Daniel Jackson.
Genere: Romantico, Azione, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo Personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Eccoci qua. Un nuovo capitolo fresco di giornata. Spero di aver reso le immagini che avevo nella testa e che erano molto precise (se avessi avuto il dono di essere un’artista ve le avrei disegnate).
L’idea è presa dalla prima puntata del telefilm ma lo svolgimento è interamente uscito dalla mia testolina.
Fatemi sapere com’è andata. Godetevi il capitolo. Il capitolo è stato modificato poichè alcune parole erano saltate (incompetenza tecnica dell'autrice)




VI capitolo: Overflow  

Stava facendo scorrere la mano lungo la parete di uno dei corridoi principali. Il passaggio era ancora semibuio ma poteva sentire sotto le dita che la parete aveva dei rilievi. Se avesse avuto più luce avrebbe volentieri osservato con più attenzione. Ecco una variante rispetto al classico schema delle città degli Antichi, nelle quale i muri erano completamente spogli. Si era fermata ad osservare strizzando gli occhi un ornamento che sembrava più grande degli altri, quando con la coda dell’occhio vide un’ombra dietro di lei. Si girò di scatto e vide una vetrata enorme completamente appannata. Si avvicinò con cautela. Forse non era stata una buona idea allontanarsi da sola. La vetrata ricurva occupava tutta la parete di fronte a lei. Alta più di quattro metri e di forma concava, in un giorno di sole sarebbe stata un ottimo punto luce. Ma in quel momento non fu certo un raggio di sole quello che si proiettò sul pavimento decorato con motivi geometrici. Tutt’altro, un’ombra gigantesca investì la giovane Satriani. Con cautela si avvicinò e tirò su la manica della divisa per pulire il vetro. Iniziò con un cerchio piccolo che man mano andò ad allargare.
Non riusciva a capire cosa avesse di fronte. Si muoveva, non riusciva a distinguerlo bene. Quando pulì una zona grande quanto il suo busto, riuscì a capire definitivamente cosa avesse davanti. Il terrore la prese, mozzandole il respiro. Uno squalo, ma non uno squalo qualsiasi, si stava avvicinando a gran velocità verso di lei. Era talmente grande che avrebbe potuto mangiarsela senza neanche farla a pezzi, ma lo avrebbe fatto lo stesso solo per mettere alla prova quei denti che sembravano essere ognuno un suo braccio, e ne aveva tanti, lei li poteva vedere mentre quell’essere orrendo si stava avvicinando per porre una fine tanto ingloriosa alla sua avventura.
Già vedeva piangere i suoi genitori mentre l’ufficiale comunicava loro: “Mi dispiace signori Satriani, ma vostra figlia è stata usata come stuzzicadenti da uno squalo nato a Cernobyl, cresciuto nell’atollo di Mururoa e stabilitosi nella zona 51”. Questo sarebbe avvenuto molto presto dal momento che il mostro si stava avvicinando sempre di più. La ragazza arretrò fino a trovasi con le spalle contro la parete. Ormai non aveva più scampo.
Venti metri, sarebbe morta subito? Quindici, no prima sarebbe affogata perché l’essere avrebbe frantumato il vetro. Dieci, vicino, sempre più vicino, oddio le era addosso, eccolo! “Ahhhhhhhhhhhh” il suo grido acuto attraversò i corridoi vuoti, mentre lei si chiudeva a palla in un’istintiva mossa di auto-conservazione. A peggiorare le cose la colse un’altra fitta alla testa, bel modo di passare a miglior vita! Ma l’impatto non avvenne. “Alice, sono qua. Che è successo?” Il Maggiore Sheppard la fece raddrizzare e le sollevò il viso per vederlo pallido, gelato e sudaticcio per lo spavento “Cosa è successo, cos’hai … cazzo!” fece uno scatto indietro stringendo la ragazza a sé per proteggerla, alzando al contempo il P90. Anche lui si era accorto del loro vicino. “Tranquilla … a quanto pare siamo sott’acqua. Abbiamo un campo di forza che ci protegge. Questo … coso deve essere stato attirato dalla luce” Alice si riprese e si vergognò profondamente. Era ovvio che lo squalo non sarebbe potuto passare, altrimenti la città non sarebbe durata tanto! O da brava scema pensava che un misero vetro avrebbe potuto reggere la pressione di un oceano?! Stupida! Fece un passo indietro e mise più distanza tra loro due: “Scusami, Maggiore. Ti ho fatto correre qui per niente e ti ho spaventato” “Siamo qui per questo. E poi il Generale mi ha detto di avere un occhio di riguardo per te. Se ti accade qualcosa mi licenzia in tronco e mi manda sotto i ponti. Parole sue, non mi sto inventando niente” Lei fece un sorriso incerto “Cercherò di non allarmare più nessuno, allora” “Alice puoi venire un attimo alla sala di imbarco, per piacere” La voce della Dottoressa Weir si fece sentire forte al suo auricolare “Arrivo subito, Dottoressa”
Quando lei e Sheppard arrivarono trovarono tutti riuniti intorno ad un fascio luminoso che partiva dal centro esatto della stanza. Elizabeth si voltò verso di lei “Ti abbiamo sentita urlare, tutto apposto?” Alice arrossì ancora della sua codardia “Sì, grazie. Problemi con un pesce troppo affamato e curioso. Allora, immagino sia per questo che mi abbia chiamato- vedendo il cenno affermativo, proseguì- è un trasmettitore. Serve a lasciare dei messaggi. Per attivarlo basta possedere il gene e dire attivazione in Antico, naturalmente. Posso?” “Certo, fa pure” Alice si avvicinò un po’ di più al fascio di luce e pronunciò ad alta voce la parola “Yestei” La colonna di luce si contorse, si restrinse e si allargò fino a prendere la forma di un uomo. “Un Antico?” Fu la domanda che le arrivò da dietro. Lei annuì continuando ad osservare l’uomo con un sentimento simile alla melanconia. Per certi versi gli Antichi ormai erano come se fossero anche in piccola parte la sua razza.
L’uomo iniziò a parlare e fu come se una cascata fosse lì vicino. La lingua era bellissima, melodiosa, trillante, favolosa. Per certi versi assomigliava al latino, ma Alice lo sapeva bene, la grammatica non aveva nulla a che fare. Era molto più complicata.
“Si può sapere cosa sta dicendo?” Il Colonnello Sumner interrogò Alice che ascoltava accigliata e con la mascella contratta la proiezione olografica di un uomo morto da millenni. La Weir lo fermò:“Aspetti che finisca, poi ci riferirà tutto”. Il discorso continuò per un altro paio di minuti. La registrazione (se così la potevano chiamare) indicava la sala, il soffitto e lo stargate, poi la figura fece un inchino e sparì. Elizabeth e il Colonnello si avvicinarono. “Ebbene?” dissero in coro. La ragazza sollevò gli occhi verso di loro e fece un sorriso tirato “Siamo nei guai. Dottor McKay, il nostro reattore al Naquadah potrebbe alimentare una cupola come quella che al momento c’è sopra la città?” Rodney scostò il Colonnello bruscamente “Assolutamente no. Neanche per un paio secondi, perché? Oh no! Aspetta ho capito, non lo voglio sentire …” e si mise le mani sulle orecchie, disperato. Sumner riprese la sua posizione: “Cosa? Che succede?” Alice si mise una mano sulla bocca mentre rifletteva sul da farsi, senza ascoltare il militare. Si poteva …  “Satriani!” La ragazza si riprese: “Quella era la proiezione olografica dell’Arconte della città. Aveva programmato la proiezione in modo da attivarsi quando anche l’ultimo dei tre ZPM si sarebbe esaurito. Lo scudo che una volta copriva tutta la città e adesso solo questa parte, ha esaurito tutta l‘energia e noi adesso gli abbiamo dato il colpo di grazia riattivando la città” Rodney si fece pallido “Lo sapevo che non saremmo dovuti venire. Vedi cosa succede a stare a sentire una ragazzina ed una pazza. Ah, ma Sam mi avrà sulla coscienza. Lei e il suo andrà tutto bene. La sopporto solo perché ha un‘ attrazione per me se no …” “La pianti McKay!” Finalmente Sumner riuscì a porre fine a quello sproloquio. Duecento persone, a quel punto, chiesero agitate spiegazioni in una dozzina di lingue diverse, ma fu la voce della Dottoressa a superare le altre “Calma. Spiegatemi cosa sta succedendo” Rodney le spiegò in un atteggiamento tra lo disperato e l’arrogante (lui era l’unico sulla faccia della terra a riuscire a conciliare le due cose) “La bambina ci ha appena annunciato una morte orribile! Quando lo scudo cederà tonnellate di acqua si riverseranno sulla nostra testa. E le garantisco che non servirà a molto saper nuotare. Perché lo scudo cederà, vero Satriani?” Lei scosse la testa “No. Ha già iniziato a farlo da quando siamo entrati. I vetri si sono appannati per l‘umidità- sporse le mani- e adesso piove. Non sentite? Ci devono essere delle valvole e dei “buchi” nello scudo che man mano si allargano che permettono all’acqua di entrare in modo che non pesi troppo sulla struttura, una volta esaurito lo ZPM. Immagino che sia un espediente per conservare la città anche se sommersa. In fondo all‘oceano, sì. Ma integra.” Piccole gocce iniziarono a cadere su di loro, mentre rivoli d’acqua scendevano lungo la parete andando ad allargare le pozze che già si erano formate sul pavimento “Non c’è energia per aprire un passaggio con lo stargate? Possiamo usare il nostro reattore. Qualsiasi pianeta va bene” Alice dovette scuotere nuovamente la testa “No. La città è in allarme. I suoi sensori hanno registrato sia l‘aumento della pressione che la sottigliezza dello scudo. Non permetterà che lo stargate si apra in queste condizioni rischiando di far passare l’acqua su un altro pianeta. Sono le forme di sicurezza degli Antichi. Nel giro di trenta minuti, al massimo, tutta la città sarà piena e lo scudo cederà del tutto” Elizabeth cercò ancora di mantenere la calma: “Nessuno ha un’idea. McKay, Zelenka, pensate a qualcosa!” Rodney e la sua controparte ceca iniziarono a confabulare tra di loro aiutati da tutta la loro equipe.
La leggera pioggerella intanto si era trasformata in una pioggia scrosciante. Dovettero alzare la voce perché lo scroscio era diventato fortissimo. Dai piani alti scendevano fiumi d’acqua che andavano ad alzare il livello nella sala. Ormai i piedi e metà polpacci erano coperti e tutti erano zuppi. Nessuno più riuscì a frenare i brividi che li scuoteva, i denti battevano e i vestiti si facevano sempre più pesanti. Intorno ad Alice ed ai due fisici il cerchio di voci aumentava sempre di più, confondendoli e mettendoli sottopressione “Potremmo uscire!” “La temperatura dell’acqua e soprattutto la pressione ci ucciderebbe prima di morire affogati” “Rafforziamo lo scudo con il reattore e limitiamolo a questa zona. Poi apriamo un passaggio e andiamo via” “L’energia non sarebbe sufficiente neanche per fare una piccola sfera per contenerci tutti” “È una città degli Antichi. Ci saranno delle navette da usare e da qualche parte dovrà esserci terra ferma” “Sì, le navette dovrebbero esserci, ma anche mettendo che le si sappia usare e che ci sia energia sufficiente per lanciarle, la città non consentirebbe all‘attracco di aprirsi per farci passare. Non in queste condizioni” Il panico iniziava a investirla, valutava tutte le possibilità mentalmente e poi le scartava una ad una. Un militare che non aveva ben capito come si chiamasse, Chernov, Charpov, qualcosa del genere, protestò vivamente con il suo pesante accento russo: “E allora che facciamo? Rimaniamo qui seduti a non fare niente?!”
Rimanere seduti e aspettare di morire, sedersi ed aspettare, una sedia … “Sì!” Tutti rimasero sbalorditi “Cosa?!” Alice ebbe un‘idea fulminante “Dottor McKay il reattore potrebbe alimentare la sedia?” “Ch … - Rodney si illuminò- certamente, basta collegarlo con…” “Questo lo so. Voglio sapere solo se con l’acqua non salterà tutto.” “No, dovrebbero resistere. I cavi sono rivestiti con un materiale speciale. Ed il reattore dovrebbe funzionare anche sott‘acqua, almeno spero.” “Scusate, che succede?” Elizabeth finalmente riuscì ad ottenere l’attenzione dei due “Dottoressa, possiamo far risalire la città usando la sedia, come è stata fatta scendere. Mi serve solamente il reattore e qualcuno con il gene a darmi una mano. Con un’energia così scarsa la concentrazione di gene deve essere maggiore.” Sheppard si fece avanti “Vengo io con te. Converrà togliersi un po’ si roba. Congeleremo ma non andremo affondo” Alice non perse tempo, senza neanche badare alla procedura si mise subito al lavoro“Perfetto. Maggiore, prendi il reattore. Voi salite ai piani superiori. Lì dovreste resistere un po’ di più. Noi scendiamo dove c’è la sedia” e spiegò loro che i sotterranei, in caso di attacco, erano i più sicuri. Per questo il centro nevralgico sia della difesa che della gestione della città era posizionato lì.
Si tolsero gli zaini, i giubbotti antiproiettili, le giacche, gli anfibi, le calze e naturalmente il P90 del Maggiore e il cappello di Alice. Tennero lo stretto necessario. Affidarono il tutto a Beckett e Rodney “Sheppard, Satriani dove state andando?! Non sappiamo assolutamente cosa ci sia là sotto, non è stato ancora messo in sicurezza.” Sheppard non diede il tempo ad Alice di rispondere, ma, mentre insieme sollevavano la cassa metallica che conteneva la fonte della loro salvezza, gli disse: “Colonnello, signore. Con tutto il rispetto. Se vuole, poi, potrà farci processare, rimproverare, scrivere una nota di demerito, degradare, persino frustare. Faccia pure. Almeno saremo vivi per affrontarlo, forse. Adesso ci lasci andare.” Fece segno ad Alice di afferrare la maniglia e si avviarono.
Raggiungere il nucleo della città non fu affatto facile. L’acqua ostacolava il passo essendo ormai arrivata a metà coscia per Alice, al di sopra del ginocchio per Sheppard. Le mani bagnate e intirizzite non facevano presa, i piedi ghiacciati protestavano ad ogni passo. “Se ne usciamo vivi, Maggiore, mi faccio una doccia bollente che duri minimo mezza giornata” “Temo che prima dovremo vedercela con il Colonnello. Vedrai, se le segnerà tutte”
Nei corridoi almeno non pioveva, ma le “correnti” di acqua in movimento, che li prendevano da dietro alle ginocchia, li scaraventava in avanti, facendo perdere loro l’equilibrio. “Ci vorrà ancora tanto?” La voce affannata di Sheppard la raggiunse mentre anche lei cercava di centellinare le forze che le rimanevano, energie che, poteva giuraci, erano assai inferiori di quelle del militare ben addestrato. “No, è dietro quella porta, alla fine del corridoio. Prega che si apra senza dare problemi, Maggiore” La raggiunsero, passò davanti la mano e … come prevedibile non si aprì.
“Diavolo! Appoggiati alla parete e sistema il reattore. La devo aprire manualmente. Il pannello è al livello del pavimento. Mi devi tenere ferma mentre lo faccio o l’acqua mi porterà via.” Sheppard annuì. Posizionò la cassa a terra, tra sé e la parete. L’acqua intanto gli arrivava a metà avambraccio, perciò, quando Alice si immerse, dovette aiutarla poggiandole sopra un piede, premendo quel tanto che bastava per non farla muovere ma non troppo per impedirle di risalire. Nel frattempo cercava di aggrapparsi alla parete per non essere portato via a sua volta. Alice localizzò immediatamente il pannello. Tentò di tirarlo con le mani, ma questo era incastrato e le sue dita gelate non facevano presa. Così risalì tutta tremante ed intirizzita. Balbettando riuscì a fasi capire “Maggiore, devo prendere in prestito il tuo coltello” Lo trovò, lo tolse dalla guaina e tornò sott’acqua con un “Grazie” “Alice, sbrigati. L’acqua mi arriva sotto le ascelle ormai!” un pollice sollevato spuntò. Con l’ausilio del coltello fu facile togliere il pannello, e spostare i cristalli azzurri che controllavano la porta fu questione di qualche secondo. I pannelli si aprirono e ci fu un piccolo risucchio che li trascinò, quasi, dentro la stanza, anch’essa purtroppo allagata. La sala della sedia era un grande uovo il cui centro era una piattaforma, alla quale si accedeva tramite una passerella. Ricordava moltissimo la stanza di Cerebro, nei fumetti degli X-Men, solo molto più piccola.
Collegare il reattore con i pannelli giusti non richiese più di cinque minuti. L’unico problema fu che lo dovettero fare tuffandosi nello spazio di circa quattro metri tra il pavimento e la piattaforma, che si era trasformato in una splendida piscina coperta.
Alice schiacciò il pulsante di avvio e vedendo che la testa di Sheppard che riemergeva dopo aver eseguito le sue ultime istruzioni gli disse: “Maggiore, adesso siediti e fammi posto. Appena ti sarai sistemato , inizia subito a far risalire la città e dai l’ordine che una volta in superficie le valvole di sfogo si aprano. Sperando di non togliere troppa energia allo scudo”
Quando la sedia si reclinò indietro l’acqua li coprì. Dovevano concentrarsi.  La testa le scoppiava e dovevano lottare per rimanere attaccati alla postazione. I protocolli da superare erano molti, ma era come se lavorassero all’unisono, velocemente. Effetto della sedia che essendo collegata a due persone diverse, in qualche modo doveva metterle insieme in un contatto subcosciente, in modo tale che ne risultasse uno solo. Perciò il cervello di Sheppard prese automaticamente le informazioni che gli servivano per compiere la sua parte di lavoro da quello di Alice. Quando sentirono un forte scossone poterono lasciarsi andare e raggiungere la superficie. Il processo di risalita era iniziato.
Appena in tempo visto che il fiato stava venendo loro a mancare.
Lo spazio era veramente esiguo. L’acqua aveva invaso quasi tutta la stanza e con le teste riuscivano a toccare il soffitto della camera. Mandavano giù moltissima acqua e i muscoli erano sempre meno elastici ed i movimenti che li tenevano a galla erano sempre più rigidi. Alice era quasi allo stremo delle forze. Faticava a tenere gli occhi aperti, adesso aveva compiuto la missione e l’adrenalina l’aveva abbandonata “Ho sonno. E non riesco a rilassare i muscoli” Sheppard si avvicinò e le mise un braccio intorno alle spalle ed una mano sotto il mento per tenerle la testa sollevata “Devi restare sveglia. È l’ipotermia. Manca poco. Non mollare adesso. Ricordi? Hai promesso di non farmi licenziare. Non te lo perdonerei mai” Alice annuì in maniera appena percettibile “Gli altri dovrebbero farcela. Sono sicura di sì- Sheppard sentì che il corpo della ragazza si era fatto più pesante e dovette tenerla con più forza. La voce di lei si faceva sempre più flebile- Sono tanto stanca.” “Alice … Alice. Continua a parlare … Alice!” Lei non gli rispose più.
Tenere a galla entrambi impegnò tutte le sue ultime energie. Anche lui iniziava a sentire i primi sintomi dell’ipotermia. Scarsa lucidità, un appesantimento di tutte le membra e sonno. Ma doveva resistere, ancora poco e ci sarebbero riusciti, ne era sicuro. Non poteva finire per nessuno dei due. Dopo tutto quello che aveva passato, morire affogato ad un passo dalla salvezza sarebbe stato ridicolo. La missione era appena iniziata e volevano entrambi scoprire una nuova galassia … erano troppo giovani per morire … non sarebbe finita così … l’acqua li sommerse riempiendo tutta la stanza.










Ringraziamenti:

-Borboletta: Ti ringrazio tantissimo. Purtroppo devo ammettere che la battuta del caffè non è mia, ma riciclata, anche se sono perfettamente d’accordo. Spero che ti abbia accontentato e che sia entrata abbastanza nel vivo. Ancora mille grazie.

-Najara: Il pezzo dedicato a te era dovuto. Hai commentato fin dall’inizio e non mi è costato nessuna fatica, anzi solo piacere. Ti ringrazio anche per la precisazione assolutamente giusta. Avevo già pubblicato da un paio giorni quando durante una delle mie insonnie mi è venuta in mente la cavolata che ho scritto. Il giorno dopo ho letto il tuo commento. Chiedo scusa, l’unica spiegazione (un po’ all’acqua di rose) che ho è che ero presa dalla scena senza pensare allo stargate. Imperdonabile!
Se capiterà ancora sarò felicissima se me lo farai sapere, in modo tale da evitare tutto questo nei capitoli futuri. Ti sono debitrice.

-Per tutti coloro che seguono e leggono la storia: Un arrivederci al prossimo capitolo che verrà scritto il prima possibile, giuro. Scrivete un commentino … altrimenti l’importante è che vi sia piaciuta la storia fin qui. Quindi a presto…
  
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