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Autore: Yuri_e_Momoka    26/09/2009    9 recensioni
La sfortuna di Fay, nota a tutto il popolo di Clow, non era finita lì: quando era appena una bambina, infatti, un malvagio stregone, apparso da un misterioso squarcio nello spazio, le aveva lanciato contro una maledizione che recitava: Sarai costretta a restare al servizio della Strega finché non avrai trovato l’uomo-solo-per-te.
[assolutamente KuroFay]
Genere: Romantico, Commedia, Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Era la fine di una normale serata all’insegna dell’alcool (la cosiddetta “Serata a tema Yuko”). Yuri e Momo stavano tornando a casa quando, in preda ad una visione mistica che solo la birra è in grado di dare,in collaborazione con due cervelli bacati e ben pochi neuroni , è apparsa l’idea di Fay-Cenerentola.

Tutto il resto è stato abbastanza automatico, facilitato soprattutto dai vapori etilici e da una crepes alla nutella.

Momo: “Ovviamente Kurogane sarà il principe!”

Yuri: “E Yuko la matrigna!!”

Momo: “Il re? Clow?”

Yuri: “No, lui non c’è mai. Meglio Ashura.”

Momo: “Giusto… e Sakura? Ce la vedo troppo come fatina! Almeno finalmente si rende utile e fa qualcosa!”

Yuri: “Assolutamente sì! E Shaoran dove lo mettiamo?”

Momo: “Eh, avrei in mente una serie di posti non molto carini ma non mi sembra il caso…”

Yuri: “Nella storia rimane solo il posto della sorellastra…”

Momo: “E come facciamo con la carrozza?”

Yuri: “Intendi quel mezzo di trasporto tondo e comico di cui tutti si domandano l’utilità?”

Momo: “…… Mokona.”

In ogni caso mi duole ammettere che il seguente delirio è opera mia…

E mi duole anche ammettere che l’ho terminato in questo momento, ore 2.31.

Perciò domando perdono.

 

Un po’ di disclaimers, valà… I personaggi qui citati sono di proprietà delle CLAMP e tutti i diritti sono loro, anche se credo che vi rinuncerebbero volentieri se leggessero come sono state ridotte le loro creature.

Le somiglianze di questa fanfiction con quella di Lovva_Chan  non sono assolutamente volute, si tratta di un semplice caso. Avete già letto come sia nata questa storia e, purtroppo (?), a quel tempo non leggevamo ancora fanfiction.

 

Yuri

 

 

Cinderella in CLAMPland

 

C’era una volta, in un regno lontano chiamato Clow, una povera ragazza di nome Cenerentola, anche se, da qualche tempo, la gente del luogo aveva iniziato a chiamarla semplicemente Fay. Questo soprannome era dovuto agli ordini che le venivano continuamente impartiti, come: “Fay la cena! Fay il bucato! Fay la spesa!” ecc…

La povera Fay era sempre costretta a sottostare a imposizioni, in quanto orfana di madre da quando era appena nata. Anche suo padre l’aveva lasciata da poco, abbandonandola alle “cure” della sua nuova moglie. La matrigna di Fay si chiamava Yuko, altrimenti nota come “la Strega” a causa del suo vizio di impartire ordini a destra e a manca e di pretendere un risarcimento per ogni particella d’ossigeno che veniva respirata o anche solo ammirata all’interno della sua casa.

Fay aveva inoltre tre sorellastre: Shaoran, Maru e Moro, che la soggiogavano quasi al pari di Yuko.

La sfortuna di Fay, nota a tutto il popolo di Clow, non era finita lì: quando era appena una bambina, infatti, un malvagio stregone, apparso da un misterioso squarcio nello spazio, le aveva lanciato contro una maledizione che recitava: Sarai costretta a restare al servizio della Strega finché non avrai trovato l’uomo-solo-per-te.

Fay non aveva ben capito a cosa si riferisse il malvagio stregone con le basette, ma comunque non aveva mai avuto modo di scoprirlo, essendo costantemente sotto la sorveglianza della matrigna.

Questa giustificava la sua supremazia imposta dicendo che nulla viene  dato gratuitamente. Fay non sapeva a cosa si riferisse, dato che non aveva mai chiesto nulla alla Strega – e mai avrebbe osato farlo.

Un giorno, di ritorno da una delle tante commissioni impossibili affidatele dalla matrigna, era intenta a sbucciare 5 chili di mele – sapete quanto sia difficile scovare delle mele in una terra desertica come Clow?! – sospirando mestamente.

Era giunta alla fine del suo ingrato compito, aveva ancora in mano l’ultima mela, quando questa le sfuggì alla presa tramutandosi in una nuvola di fumo e vapore che si condensarono davanti a lei, sparendo un istante dopo per lasciare, al loro posto, una giovane ragazza. Portava un caschetto castano chiaro e spettinato, un vestitino rosa con delle candide ali sulla schiena e uno strano scettro che a Fay ricordava tanto uno di quegli uccelli esotici che aveva visto nei libri di Yuko.

“Chi sei?” chiese Fay non troppo sorpresa, essendo abituata ad eventi di quel tipo a casa della Strega.

“Sono la fatina delle mele!” rispose la ragazza dagli allegri occhioni verdi. “Appaio ogni volta che qualcuno riesce a sbucciare una mela intera senza interrompersi. Sono qui per realizzare un tuo desiderio.”

Al che Fay si illuminò. “Potresti dirmi chi è l’uomo-solo-per-me?”

La fatina assunse un’espressione dispiaciuta. “Purtroppo questo è un desiderio che va oltre i miei poteri. Sei vincolata da una maledizione troppo potente. Tutto ciò che posso fare è metterti sulla via che conduce da lui, ma dovrai essere tu a capire chi sia veramente.”

Non si può dire che Fay fosse del tutto contenta, ma dopo anni di soprusi quella, infondo, era una buona notizia.

“Stasera si terrà un ballo al castello di Ashura-ou” continuò la fatina, “al quale parteciperanno tutti i giovani del regno, compreso Kurogane-ouji. Il mio consiglio è di andare a quel ballo.”

Fay si agitò. “Non posso assolutamente! La matrigna mi ha dato un sacco di cose da fare, devo giocare con Maru e Moro e devo ancora spolverare la collezione di piume della sorellastra Shaoran. Se non le sistemo come vuole lei, ha detto che mi caverà un occhio.” E si portò preoccupata la mano al volto.

“Non temere per questo. L’Hitsuzen – per una volta – è dalla tua parte. A momenti giungerà una persona che potrà prendere il tuo posto.”

Non trascorsero nemmeno pochi istanti che qualcuno entrò dalla porta annunciandosi. Era Watanuki, il lattaio.

“Signor lattaio!” esordì Fay lanciandosi su di lui e prendendogli le mani tra le sue. “La prego, rimanga qui a sbrigare qualche faccenda al posto mio, solo per stasera!”

Forse fu a causa dell’Hitsuzen o forse dell’animo nobile di Watanuki o, più verosimilmente, della galassia che splendeva negli occhi sbarluccicosi della tenera – ed estremamente uke – Fay, in ogni caso, dopo qualche reticenza poco convincente, il lattaio accettò.

“Ma ho tempo solo fino a mezzanotte. Dopo dovrò andare a fare una commissione speciale al Drugstore assieme a Domeki-kun.”

A quel punto, sopraggiunsero due nuovi problemi.

Primo, Fay non aveva sicuramente nessun abito adatto, possedendo solo il sobrio vestito sgualcito e rosicchiato che indossava sotto al grembiulino bianco che non si era mai liberato dalle macchie si soia. L’unica cosa ancora più certa era che mai e poi mai ne avrebbe preso “in prestito” uno dalla Strega.

Secondo, il castello si trovava molto lontano, impossibile da raggiungere a piedi entro sera.

La fatina mise fine anche a questi dilemmi. Da non si sa dove estrasse una carta che aveva disegnato uno splendido abito. Batté il suo scettro su di essa e, tra un’esplosione di luci e strani simboli, il vestito si materializzò direttamente addosso a  Fay. Era azzurro, come i suoi occhi, vaporoso, stretto in vita e abbellito con piccole perle candide e fiocchetti. Per completare l’abbigliamento, ai piedi di Fay apparve un paio di scarpe di cristallo.

“Per finire, sarà Mokona a trasportarti fino al castello.” E sulla mano della fatina comparve un esserino bianco che a Fay ricordava inevitabilmente – no, hitsuzenabilmente – le polpettine che la Strega la costringeva sempre a cucinare.

Dopo aver salutato tutti i presenti con un sonoro “Puuuh!”, Mokona si ingrandì  fino ad occupare quasi tutta la stanza.

Tra le grida angosciate di Watanuki, Mokona invitò Fay ad entrare nella sua grande bocca, dopodiché sparirono.

Il lattaio stava ancora tentando di tenere a bada la tachicardia che lo stava stroncando quando una sinistra voce provenne da una stanza della casa.

“Cenerentola! Arrivano o no il sakè e gli stuzzichini?!”

E a seguire un ancora più inquietante: “Giochiamo… giochiamo… insieme!”

E ancora un morboso: “Recupererò tutte le piume! Ad ogni costo!”

“Sarà meglio che vada” salutò la fatina e scomparve a sua volta tra i vani richiami di Watanuki.

 

Nel frattempo, a palazzo, Ashura-ou tentava di comprendere i misteri della mente del suo unico, ribelle figlio.

“Kurogane, non riesco proprio a capire come mai tu non sia interessato a trovarti una moglie degna.”

Il principe, vestito di nero, rivolse uno sguardo altero al re dai suoi due metri e trentacinque di altezza.

“Che seccatura, padre. Ciò che realmente desidero è ben diverso.”

I suoi occhi infuocati non lasciarono spazio ad altre indagini, ma solo al profondo, sofferente sospiro di Ashura-ou.

“Al ballo di stasera si presenteranno tutte le ragazze celibi del regno” proseguì il re, “spero che avrai modo di cambiare idea”.

 

Quando Fay giunse a palazzo provò subito un grande senso di smarrimento e disagio, un po’ come quando ci si reca in comune per rinnovare la carta d’identità e ci si trova di fronte a cinque porte tutte uguali che non recano alcun cartello e che conducono a luoghi sconosciuti che solo dopo tanto vagabondare si rivelano assolutamente sconfinati e straripanti di persone ridotte a semi automi che rimangono ipnotizzati da una voce cantilenante che annuncia numeri e lettere incomprensibili a orecchio umano mentre si cerca di decifrare ciò che l’enorme tabellone in stile “Big brother is watching you” tenta di dirti da tre ore esponendo simboli alfanumerici colorati che non corrispondono a ciò che hai sul foglietto che un’inquietante guardiana ti ha mandato a prelevare da una macchinetta semi invisibile proprio dietro alla porta numero due che tu credevi essere la numero uno che in realtà conduce all’ufficio assistenza per cui ti sei messo in coda immaginando che fosse lo sportello per il rinnovo dal quale ti hanno mandato a sedere per due ore e tre quarti per poi chiamarti dall’asettico altoparlante e svelarti infine l’antico arcano: la carta d’identità vale per altri cinque anni.

Sì, proprio quella sensazione.

Non aveva mai partecipato ad un evento come un ballo e mai avrebbe immaginato di potervi prendere parte, un giorno.

C’erano moltissimi giovani eleganti e dal portamento fiero. Al centro del grande salone abbellito da alte colonne di cristallo grezzo, in fondo al quale svettavano due troni di uguali fattezze, stava una ragazza dai lunghi capelli neri e dal viso gentile che conversava amabilmente con colui che Fay riconobbe essere Kurogane-ouji.

Fu qualcosa di improvviso e inaspettato, una sensazione che la povera sguattera non aveva mai provato prima. La vista del principe ebbe su di lei l’effetto di una fresca brezza estiva che la fece sentire, per la prima volta in vita sua, esattamente nel luogo più adatto per beneficiarne. Oppure, per spiegarla più semplicemente, fu una sensazione simile a quando si aspetta un treno in una fresca giornata d’agosto al cospetto di 45 piacevolissimi gradi che ti gridano in faccia la loro più totale supremazia e la tua più misera sconfitta di fronte ai ritardi che aumentano allegramente sul tabellone luminoso che si accende soltanto quando il treno in questione è infine arrivato dopo un insignificante ritardo di 260 minuti e tu cerchi ancora di recuperare la tua unica moneta avidamente inghiottita dal distributore che avrebbe dovuto dispensarti la bottiglia d’acqua che ti avrebbe permesso di arrivare vivo a destinazione proprio quando quasi per miracolo senti un fischio assordante e vedi un incoraggiante treno sgangherato che si avvicina al tuo binario e tu lo attendi consapevole che non riuscirai mai a trovare un posto e che soprattutto dovrai correre con le valigie perché mai e poi mai la porta della seconda classe si degnerà di fermarsi al tuo cospetto e invece mentre ancora inveisci contro un dannato Hitsuzen il treno si ferma e la porta della carrozza della seconda classe si apre dinanzi alla tua faccia sgomenta invitandoti ad entrare nel magico regno dell’aria condizionata.

Sì, proprio quella sensazione.

Eppure, come avrebbe potuto una ragazza come Fay suscitare l’aria condizionata l’attenzione del principe?

Di nuovo, l’Hitsuzen ci mise lo zampino – o la zampaccia melmosa. Proprio in quel momento, Kurogane-ouji si voltò verso di lei e rimase a fissarla con i suoi occhi incatenanti e un’espressione severa – ma terribilmente affascinante!

Il principe avanzò verso di lei, abbandonando senza spiegazioni la ragazza dai capelli neri. Fay avrebbe voluto andarsene, improvvisamente assalita da un’inspiegabile vergogna… beh in realtà si potrebbe spiegare…, ma quegli occhi ardenti la bloccavano lì dove si trovava.

Senza dire una parola, il principe le porse la mano e Fay, trascinata da quell’impeto, iniziò a ballare, pur non sapendo come fare.

“Non ti ho mai vista prima, a palazzo” disse il principe con voce profonda. “Qual è il tuo nome?”.

Fay non era certa di essere ancora in grado di parlare in maniera sensata. “Mi chiamo Cenerentola… ma tutti mi chiamano Fay. Lavoro… per la Str… cioè, per la matrigna Yuko…”

Kurogane, sentendo quel nome, cambiò improvvisamente espressione. “Lavori per la Strega?” ripeté incredulo. “Ti devo assolutamente conoscere!”

Dei rintocchi lontani infransero l’atmosfera e Fay dovette tornare dolorosamente alla realtà.

“È mezzanotte! Devo correre a casa!”

Abbandonò il salone senza aggiungere altro, incurante dei richiami del principe che pretendeva spiegazioni.

Fay si accorse troppo tardi di aver perso una scarpa durante la sua corsa giù per l’interminabile scalinata.

Kurogane la raccolse e la esaminò attentamente.

“Un piede insolitamente grande per essere quello di una ragazza. Grazie a questa non faticherò a ritrovarla.”

 

La ragazza correva per le vie della città, abbandonate per il ben più invitante ballo, quando la sua andatura zoppicante, causata dall’avere un tacco sì e uno no, si interruppe bruscamente nel momento in cui l’incantesimo della fatina terminò, riportando Fay al suo aspetto originario… con in più i suoi vecchi vestiti addosso.

Era in procinto di aprire la porta di casa quando questa sembrò leggerle nel pensiero e pensò di risparmiarle il disturbo, spalancandosele in piena faccia.

Prima di toccare terra, a Fay sembrò di scorgere il volto sconvolto del lattaio che solo in quel momento si accorse di lei.

“Oh, sei tornata finalmente! Me ne vado, non sopporterò di sottostare un secondo di più agli ordini di quella megera!”

Non aveva fatto nemmeno in tempo a togliersi grembiule e cuffietta che Yuko apparve come evocata sulla soglia, con un sensuale e sadico sorriso sulle labbra scure.

“Eh no, non funziona così. Le cose rotte vanno ripagate. Hai distrutto la mia bellissima pipa e non ti lascerò andare finché non mi avrai risarcito.”

Di nuovo, la scena terminò con la disperazione di Watanuki.

 

Kurogane-ouji si godeva la brezza notturna, dopo il lungo ballo, sulla terrazza della sua camera. Tra i torrioni del castello spiccava una falce di luna, troppo grande e troppo sottile per non essere stata disegnata da qualcuno che il principe inspiegabilmente immaginò essere un gruppo di sadiche infoiate.

Dopo essersi scrollato di dosso con un potente brivido quell’inquietante visione, ritornò alla sua riflessione.

Ciò che nessuno conosceva era il desiderio segreto di Kurogane: impadronirsi del famoso quanto ambito tesoro della Strega, ovvero una riserva a vita di sakè sopraffino, che ella custodiva gelosamente.

Nessuno era mai stato in grado di introdursi in casa della Strega, che si diceva trovarsi in un’altra dimensione, proprio per proteggere il suo inestimabile tesoro. Ma, a quanto sembrava, quella ragazza bionda e dall’aria un po’ svampita vi aveva accesso senza problemi.

Il principe decise dunque di sfruttare la povera Fay per raggiungere i suoi scopi.

 

Come uniti da un invisibile filo rosso, i pensieri di Fay si collegarono a quelli di Kurogane-ouji. La ragazza, coricata rigorosamente prona sul letto, tra le coperte disordinate, non riusciva a prendere sonno. Era come se la sua mente fosse indissolubilmente legata a quella del principe, incapace di pensare a qualcosa che non fosse lui, incapace di chiudere gli occhi e non vederlo, incapace di aprire gli occhi e non desiderare di richiuderli per poterlo vedere.

Che sentimento complicato, l’amore.

Che sentimento puro, l’amore.

Che sentimento abilmente costruito, abbellito, celebrato e crudelmente, inspiegabilmente, bastardamente falciato da coloro che disegnano le lune grandi e sottili attraversate da petali di ciliegio.

E così, navigando tra quella burrasca di pensieri che irrimediabilmente la confondevano, Fay si scoprì ad arrossire con gli occhi lucidi semi nascosti dalla frangia dorata e scompigliata, pronunciando due semplici parole: “Kuro… sama”.

 

Per la terza volta bussò alla porta.

Finalmente qualcuno si degnò di aprire e due bambine apparvero dall’oscurità della casa causando a Kurogane-ouji un brivido di puro terrore che gli risalì serpeggiando lungo la spina dorsale.

Quella coi lunghi, lunghi, lunghissimi capelli azzurri raccolti in code ebbe la cortesia di domandare chi fosse l’ospite, mentre quella dai capelli rosa si limitava a misurare idealmente il principe alzando la manina scheletrica fin dove riusciva ad arrivare – nemmeno alla metà del petto di Kurogane.

Il principe, di cattivo umore, un po’ per via dell’ora mattutina, un po’ perché solitamente la sua cattiva fama lo precedeva, si presentò in maniera non molto educata – appunto.

“Sono qui per ritrovare la proprietaria di questa scarpa, per cui, se ci sono in casa ragazze in età da marito, si facciano avanti e la provino.”

In realtà al principe sarebbe bastato ricordarsi un minimo l’aspetto di Fay, dato che non erano molte le persone a Clow con capelli dorati e occhi azzurrissimi, ma la verità era che Kurogane aveva già la mente annebbiata al pensiero della quantità di sakè che avrebbe potuto degustare da lì in poi.

Terminate le spiegazioni, poiché le bambine non diedero il benché minimo segno di aver compreso ciò che il principe avesse detto – ma, anzi, se ne andarono saltellando mano nella mano, sbaciucchiandosi e rotolandosi – intervenne quella che, a prima vista, sembrava una creatura più intelligente.

“Entrate pure, Kurogane-ouji” lo invitò una ragazza dallo sguardo leggermente ossessivo e dalle lunghe trecce castane, troppo spesse e rigide per sembrare vere.

“La padrona di casa in questo momento è assente, ma se lo desiderate potete far provare la scarpa a noi” concluse la ragazza castana.

Desideroso di porre fine a quella sfilata di sbandati il prima possibile, Kurogane non sollevò obiezioni.

Ovviamente la scarpa era troppo grande per i piedi delle bambine inquietanti e anche per quello della ragazza con le finte trecce, sebbene la misura vi si avvicinasse di più.

Deluso per vero sprecato tutto quel tempo, il principe chiese: “Non ci sono altre donne in questa casa?”.

“No” replicò prontamente la ragazza e lo fissò per qualche istante con sguardo vacuo. “Però c’è lei” e indicò la porta dietro di sé che emise un gemito di sorpresa.

Dopo aver appurato che non fosse stata la porta a parlare, Kurogane si accorse con immenso stupore – o meglio, con il massimo stupore che lui riusciva ad esprimere, ovvero quello di un personaggio clampiano che vede sfumare in pochi attimi tutti il senso della sua vita – che dietro la porta stava nascosta una ragazza magra, fin troppo femminile per essere una ragazza, con i capelli biondi e gli occhi azzurri.

Con un invito che non ammetteva rifiuti, la fece sedere sulla sedia di fronte a sé e le mise al piede la scarpa di cristallo.

Kurogane non poteva credere ai suoi occhi, e questa volta con GRANDE stupore – ovvero quello che dimostra un personaggio clampiano quando, alla fine di una serie, scopre di essere ancora in vita e con ancora qualche speranza di condurre un’esistenza pseudo normale – si rese conto che la scarpa avvolgeva alla perfezione il piccolo grande piede della bionda.

“Allora tu sei la ragazza del ballo!” esclamò Kurogane, evitando di pronunciare il nome che aveva rimosso un istante e ventotto microsecondi dopo averla conosciuta.

Fay non riusciva a spiccicare una parola per l’emozione, e anche perché fino a un attimo prima si stava imbottendo di burro d’arachidi, di cui andava estremamente ghiotta.

Il principe non voleva sprecare altro tempo. Prese la bionda per mano, causandole un principio di infarto, e le si avvicinò.

“Conducimi subito al tesoro della Strega.”

Fay era troppo inebetita dall’amore per rendersi conto dello sfruttamento e del maschilismo che si annidavano dietro a quella frase e rispose, con aria serafica: “Il tesoro? Intendi forse la riserva a vita di sakè sopraffino?”

Kurogane annuì, troppo emozionato e troppo impaziente per perdere tempo in inutili parole.

“Beh, devi sapere che tra una spolveratina a l’altra… l’ho bevuto tutto.”

“…”

Questa volta sarebbe davvero troppo difficile spiegare lo stato d’animo di Kurogane con una semplice metafora…

Ma si può fare un tentativo!

Avete presente la sensazione che si prova quando si attende con somma impazienza e fiducia la conclusione di una storia che all’inizio prometteva uno svolgimento piacevole e divertente orientato verso un finale forse un po’ scontato ma di per sé accettabile e tutto sommato educativo durante il quale la personalità di certi personaggi viene costruita talmente bene da darti l’impressione che siano davvero i tuoi modelli e che finalmente tu abbia trovato un modo per passare le tue serate a base di birra con l’unica amica che ti sopporta recitando a manetta stupide battutine divertenti che vi fanno sentire parte integrante del mondo anche se in realtà ve ne state del tutto allontanando ma in fin dei conti va bene così perché tutto ciò di cui avete bisogno nella vita è una storia in cui i personaggi che vi piacciono e che magari sono stati sfortunati alla fine ottengono il riscatto che meritano e un piccolo spicchio di felicità che li vedrà concludere le loro vecchie vite assieme e in armonia in un mondo che magari non sia imploso su se stesso e poi invece tutto questo si trasforma in un regno dell’orrore, del sangue e all’insegna dell’automutilazione che ti fa domandare perché mai hai pensato solo lontanamente di poter assistere a un semplice lieto fine che non veda per forza la morte del 98% dei personaggi tra i quali il 100% di quelli che volevi che vivessero mentre le tue speranze evaporano di fronte all’ennesima dimostrazione di quanto possa essere crudele la vita in Giappone per aver generato quattro menti come quelle che disegnano le lune grandi e sottili attraversate da petali di ciliegio e perché no anche da qualche pipistrello assassino.

Sì, proprio quella sensazione.

Ma Fay si rese subito conto del baratro di disperazione in cui era precipitato il principe e, a differenza di qualcun altro, decise di fare qualcosa di utile per tentare, almeno, di risollevarlo dall’abisso e dall’orlo sempre più prossimo del suicidio. Così gli porse la sua piccola e candida mano attendendo che sollevasse gli occhi su di lei e quando i loro sguardi si furono incontrati in un’apoteosi di fuoco e ghiaccio, alba e tramonto, inferno e paradiso, lampone e puffo, disse in un sospiro: “Kuro-ouji…Sei sicuro di non preferire me al tesoro? Perché, sai… credo di aver trovato l’uomo-solo-per-me”.

Kurogane rimase immobile, muto, con una faccia che imitava perfettamente quella di un pesce morto. Dapprima fissò incredulo Fay, ma quando vide che questi non accennava ad abbassare lo sguardo, ma anzi, si protendeva sempre più alla ricerca di una risposta in quegli occhi di rubino, la soluzione a tutti i problemi gli piovve addosso di colpo e in quel momento si ritrovò a chiedersi cosa mai avesse cercato fino a quel momento. Aveva dato la caccia a un fantomatico tesoro di sakè quando invece qualcosa di più buono, gustoso e assuefacente si trovava proprio lì. Il suo alcool personale.

Non ci fu bisogno di parole. La maledizione di Fay si spezzò nel momento in cui, persi l’uno negli occhi dell’altra, la stanza si riempì di strani simboli che parevano lettere indecifrabili azzurre e viola che presero a vorticare raccogliendosi attorno a Fay e infine avvolgendolo in un tripudio di luci e tonalità cangianti. Quando la stanza tornò al suo consueto aspetto, al posto di Fay c’era… Fay.

 

“Kuro-ouji! Fay-hime!” ripetevano in coro Maru e Moro fornendo la perfetta e stupenda imitazione di un disco rotto. Fortunatamente i loro deliri erano coperti dal frastuono della folla che acclamava i novelli sposi in uscita dal palazzo reale.

Tra coloro che assistevano, c’era anche la Strega.

“Matrigna Yuko” le domandò la fatina delle mele, apparendo magicamente alla sua destra, senza comunque distogliere gli spettatori da quello spettacolo felice. “Ho agito come avete richiesto?”

“Proprio così, fatina. Sei stata davvero brava.”

Facendosi largo tra un uomo più simile a una montagna e una calca di vecchiette infervorate, Watanuki emerse dalla marea umana tenendo sollevate sulla testa tre casse di mele e reggendo in mano e sulle spalle pacchi e sacchetti di varie misure, contenenti assolutamente inutili ma assolutamente costosi oggetti di antiquariato.

“Come sarebbe a dire?!” ansimò, sputacchiando delle piume di pavone che gli si erano infilate in bocca evadendo dal sacchetto più grande.

“Non esistono coincidenze, caro Watanuki-kun” iniziò a spiegare Yuko con quel sorriso tipico di quando si preparava a fare qualcosa di molto, molto bastardo. “Tutto questo era inevitabile per consentire l’avverarsi di un evento fondamentale.”

Watanuki non poté fare a meno di gettare un’occhiata agli sposini che si scambiavano sorrisi lascivi, ansiosi di ritirarsi a fare ciò che dovevano fare al fine di aumentare esponenzialmente il numero di fangirl.

“Quindi tutto questo è servito a farli mettere insieme?” chiese con la serietà di chi è appena venuto a conoscenza di una grande verità esistenziale.

“Ma sei pazzo? Cosa mi interessa di quei due? Non lo capisci? Fay non mi ubbidiva, si rifiutava di prepararmi il sushi e si scolava tutto il mio alcool! Come puoi pretendere che me la tenessi in casa come sguattera?! No no, tu sei molto meglio!” E proruppe in una fragorosa risata, lasciando Watanuki e la sua dignità a seppellirsi sotto ai pacchi.

D’un tratto, Yuko tornò seria, senza mai staccare gli occhi dai due principi che si avviavano ormai verso la Moko-carrozza.

“Eppure, il mondo non si riduce solo a questo. Forse loro non hanno ancora capito che…”

 

To be continued

   
 
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