Non
so come mi sia uscita. So solo che quando l'ispirazione arriva
c'è poco da fare. O scrivi, o la ignori. Io ho scritto.
Spero non faccia troppo schifo.
E' su una delle mie coppie preferite, su due persone che secondo me
sono nate per stare assieme.
Questo che ho scritto è il loro tentativo di tornare a
vivere. Di salvare un'amore che sembrava perduto. Buona lettura :).
Ultima cosa... Non dovrei aggiornare troppo lentamente.. :)
“Tu
lo sai vero che ti amavo?”
“Si. Lo so”.
Si avvicinò alla porta con un
sospiro, la valigia in mano. La fissai, cercando di trovare qualcosa
di più grosso nei suoi occhi, oltre alla stanchezza che
c'era
dentro. Alzai un braccio e mi avvicinai.
“Non te ne andare, Adrienne. Non
farlo”.
“Billie...” il suo sussurro si
spezzò sulle ultime due lettere del mio nome. Sapevo che
stava
per piangere. Strinsi il suo corpo tra le mie braccia, in un gemito
disperato. Appoggiai la testa sulla sua spalla e serrai gli occhi per
non farli diventare lucidi.
Dopo pochi istante lei sciolse la mia
presa e si allontanò.
“Buona notte. Ti chiamo uno di questi
giorni”.
Mi appoggiai allo stipite della porta e
fissai la sua figura allontanarsi lungo il vialetto. Un colpo al
cuore. Due. Tre. Coltellate sempre più dolorose mi bucavano
il
cuore. Cuore spezzato non era affatto una metafora.
Mi chiusi la porta alle spalle nel
momento in cui lei uscì dal cancello.
Lasciai cedere le ginocchia e sedetti
contro la testata del divano. Arrivare alla tasca dei pantaloni della
mia tuta mi sembrò un impresa. Tirai fuori il pacchetto da
venti comprato il pomeriggio stesso e presi una sigaretta. Cominciai
ad aspirare, tiro dopo tiro, mentre le mie certezze andavano sempre
più frantumandosi. Sentivo pezzi della mia vita cadere
lentamente per terra, portandosi con se un tassello di me stesso. La
vera disperazione arrivò quando alzando la testa incontrai
gli
occhi di Jacob in una foto sulla mensola. Eravamo noi quattro, io e
Adrienne abbracciati, lei con gli occhiali scuri, io che ridevo con i
capelli tutti spettinati, Joey sotto di me che serrava le palpebre e
tirava fuori la lingua, Jacob davanti a tutti che fissava
l'obbiettivo con i suoi occhi enormi, così dolci e
innocenti.
Lasciai cadere il mio corpo di lato, sopra la cenere e feci
strisciare la mano davanti a me, senza una ragione apparente. Fissare
le mie dita pallide mi dava una sensazione di disillusione. Di fine.
Continuai a muovere le dita così per un tempo
indefinito, pensando a cosa avevo sbagliato, a come era cominciato
tutto. Non lo sapevo. Sapevo solo che una mattina mi ero svegliato, e
tutto aveva cominciato lentamente a cambiare. Non ci guardavamo
più
negli occhi parlando, le nostre chiacchere erano banali, le risate
c'erano solo in presenza dei bambini, i baci un abitudine, i
“Ti
amo” scomparsi.
E questa volta non avevo nessuno con
cui prendermela. Non centravano né i tour, né i
Green
Day, né la mia fama, né niente. Solo ed
esclusivamente
colpa nostra.
“Non ci amiamo più”. Altra
coltellata. I ricordi.
Quella mattina, mentre lei puliva e io
la guardavo. Si era girata, e avevamo iniziato a litigare, senza
nemmeno un perchè. E poi quella frase, fredda, dura, cruda.
Uscita fuori come niente. L'imroponibile verità.
Mi ero chiuso in camera, con tanti
fogli e la chitarra. Avevo scritto, suonato, cantato. Poi lei era
entrata e mi aveva guardato.
“E' pronto pranzo”.
Da lì la fine. Anche i bambini
se n'erano accorti. Eravamo due estranei. Non sapevamo più
chi
fosse l'altro.
Il freddo del pavimento stava
diventando scomodo. Mi alzai con l'aiuto di una mano e facendo uno
sforzo immenso salii le scale. Aprii la porta della camera da letto e
caddi totalmente di peso sul materasso. L'unica cosa che
riuscii a fare dopo che il mio corpo si stabilizzò sulle
coperte fu portare la schermata del cellulare davanti ai miei
occhi. Il sorriso di Joey e Jacob mi fece commuovere.
Joey e Jacob erano con Adrienne.
“Meglio se li tengo per un po' con
me”. Aveva detto così.
Chiusi gli occhi con ancora i miei
figli che mi sorridevano. Poi, minuto dopo minuti, sprofondai nel
sonno.