4.
Il Coyote fu in grado di eseguire un'attivazione
dei motori e raggiungere una velocità di fattore 1,5
molto prima di quello che aveva pensato e senza
effettuare tutte le riparazioni. Era più robusto
di quanto aveva immaginato.
Quando vide la ben nota sagoma della Terra,
una palla blu e ocra striata di bianche nuvole
sfilacciate e tagliata in due grandi fette dal
buio terminatore della notte, si sentì molto
meglio. Individuare Apollo e contattare Controllo
fu rinfrescante come una bibita ghiacciata, anche
se l'operatore le verbalizzò d'essere al di fuori
dei margini di errore consentiti per la rotta
scelta. Miki, preoccupata dalla nave che non aveva
smesso di tallonarla, fu quasi tentata di
spiattellare tutto già a Controllo, ma confrontati
i parametri di volo del Coyote una volta
nella giusta rotta con quelli della nave
inseguitrice dovette rassegnarsi al fatto che
non aveva motivi nemmeno per un banale reclamo.
Approdò al molo esterno 87 infierendo così un
altro duro colpo alle sue finanze. Se da un lato
fu felice di vedere GeoCredit confermarle
l'agognato accesso al suo conto corrente senza
battere ciglio, fu meno contenta di vedere il
saldo finale dopo aver pagato in anticipo i
quindici giorni di ormeggio necessari alla
revisione completa da parte della squadra
tecnica. Fu ancora meno contenta quando si
rese conto che per liberarsi di Ilah doveva
comprare o noleggiare una tuta da vuoto. Essendo
ormeggiata all'estremità più lontana della
struttura semichiusa del molo 87, per sbarcare
era indispensabile la gabbia motrice che non
era certo pressurizzata. L'alternativa era una
passeggiata nel vuoto che richiedeva
un'autorizzazione apposita da richiedere in
anticipo a Controllo, una tuta da vuoto
attrezzata per attività EVA e un addestramento
specifico. L'autorizzazione avrebbe potuto
ottenerla, avere la tuta da vuoto EVA era solo
una questione di soldi, ma Ilah non era certo
in grado di affrontare una passeggiata spaziale
senza aver fatto l'indispensabile addestramento.
Miki tornò con una ingombrante valigia rigida
dalle chiusure metalliche contenente la tuta da
vuoto noleggiata per Ilah. Non cera certo il
modello migliore, ma era costata poco. Scegliendola
aveva pensato che se Ilah fosse stata impegnata
a battere i denti per il freddo forse sarebbe
stata un po' zitta.
- Ilah! Vieni a metterti la tua tuta che sbarchiamo! -
la chiamò ad alta voce non appena l'armadio robot
le ebbe tolto il casco.
Gioca a farsi attendere, pensò. In piedi nell'angusto
locale compreso tra il corridoio spinale e la
camera di equilibrio, non aveva ricevuto risposta
alcuna. Per comodità non si era tolta la tuta che
però ora cominciava a farla soffrire. L'equipaggiamento
EVA era pesante e la tuta corazzata la rendeva
goffa: non riusciva a compiere i gesti più semplici
come raccogliere da terra la valigia rigida con la
tuta a noleggio per aprirla e cominciare a
caricarla. Finalmente la ragazza si fece vedere:
camminando tranquillamente con le mani in tasca e
uno sguardo in cui si poteva leggere placida
curiosità.
- Dai che ho già prenotato la gabbia motrice!
Seguendo le indicazioni di Miki, Ilah entrò non
senza fatica nella sottile tuta da vuoto e riempì
il serbatoio di ossigeno. L'operazione richiese molto
tempo poiché Ilah volle fare di testa sua: non le
andava l'idea di doversi togliere giacca e stivali
per entrare nella tuta, ma alla fine dovette
arrendersi.
- Ho freddo! - disse quando le chiese di provare la radio.
- Mi hai ascoltata? Ti ho appena spiegato come funziona
la radio!
- Massì, massì... ho capito... io parlo e tu mi senti.
- Non toccare niente, mi raccomando – si mise in
posizione e l'armadio robot le calò il casco sulla
testa. I giunti magnetici si attivarono e il casco
divenne tutt'uno col resto della tuta.
- Sei pronta? - guardò in direzione di Ilah. Il
casco le si era già appannato. Le ho detto cento
volte di respirare normalmente, pensò. Era un po'
preoccupata: se Ilah avesse avuto una crisi di
panico da vuoto, sarebbero stati guai.
- Certo!
- Allora andiamo: la gabbia motrice dovrebbe
essere arrivata, ormai.
Miki azionò i comandi della pesante porta
della camera di equilibrio e quella si fece
da parte obbediente. Le luci si spensero e
quelle della camera, interamente verniciata
di bianco, passarono al rosso. Sigillata la
camera stagna, dette il via alla procedura. La
gravità artificiale fu spenta e tutta l'aria
pompata via. Quando l'indicatore “atmosfera zero”
si accese, poté aprire l'altra porta corazzata,
la prima difesa tra loro e lo spazio vuoto. La
radio le rimandò un suono che non interpretò
correttamente subito. Era Ilah che trasaliva.
La gabbia motrice era lì davanti che
aspettava. Attraverso di essa si potevano
vedere le esili strutture del molo e poi il
vuoto. Poi dall'orizzonte di metallo speciale
sorse velocemente la Terra. Le si strinse il
cuore: era uno spettacolo splendido e pauroso.
Un piccolo balzo di tre, forse quattro metri e
sarebbero state a bordo della gabbia sospesa nel
nulla.
- Miki... noi siamo amiche, vero? - Ilah era tesa,
spaventata. Era evidente. Le aveva offerto di
legarsi l'una all'altra se aveva paura di saltare
da sola, ma lei aveva orgogliosamente rifiutato.
- Certo – mentì – ora fai quello che ti dico. Una
sola piccola spinta. Spingi piano, O.K.? Guarda
me.
Spinse piano con la punta degli scarponi e si librò
nel vuoto. Come in un filmato al rallentatore
attraversò la distanza fra la soglia del Coyote
e la gabbia motrice. Afferrato uno dei sostegni
presenti all'interno della gabbia stessa, arrestò
il suo moto. Come da manuale, si disse Miki soddisfatta.
A Ilah non andò altrettanto bene. Spinse troppo forte
e in modo disomogeneo. Entrò in rotazione e Miki ebbe
un momento di vera paura quando si trovò a dover fermare
quel volo impazzito con la ragazzina che le straziava le
orecchie strillando nella radio come se la stessero
torturando. Fu solo per un caso che nessuno si fece
male. Il salto per scendere lo fecero legate insieme
e Ilah, che non vedeva nulla poiché aveva la visiera
completamente appannata, non fiatò nemmeno quando Miki
la interrogò per sapere se aveva la nausea.
- Bella impresa, complimenti – Miki pagò in anticipo
il parcheggio e la manutenzione della propria tuta,
scegliendo tra le opzioni anche il lavaggio della parte
esterna. Il meccanismo a carosello si mise in moto e,
prelevata la pesante e ingombrante tuta EVA grazie a un
apposito modulo adattabile, la pose sulla rastrelliera
del trasportatore che l'avrebbe smistata. Sarebbe stata
ricaricata, lavata, controllata e immagazzinata al sicuro
fino al suo ritorno lì alla struttura di accoglienza del
molo 87.
- Mi hai detto un milione di volte di non vomitare
nella tuta.
- Certo, se non vuoi morire soffocata. Ma questo
non vuol dire che devi vomitare addosso a me.
- Non ne potevo più. Appena mi hai tolto il casco...
- Potevi almeno girarti!
- Non ci ho pensato! - Ilah aveva rapidamente
alzato il tono della voce, come se non fosse stata
colpa sua se aveva avuto mal di spazio. Vide che
aveva ripreso colore in faccia e che era vitale
come al solito. Quasi la preferiva smorta, col viso
cinereo e gli occhi socchiusi, come l'aveva vista
un attimo prima che rimettesse.
- Bah... è nata su una stazione spaziale e soffre
il mal di spazio – si lamentò sedendosi su una panca
dello spogliatoio confinante con l'accettazione del
rimessaggio delle tute. Estrasse dalla sua sacca da
astronauta un paio di scarpette morbide.
- Io non soffro il mal di spazio! In assenza di
gravità me la cavo bene quanto te, forse anche di
più.
- E infatti hai vomitato – la rimbeccò. Era stato
imbarazzante: testimone della disavventura appena
toccatale, il personale dell'amministrazione portuale
di servizio al molo 87. Il Coyote era l'unica
nave attraccata a quella struttura e quindi l'attenzione
era tutta per le due giovani astronaute.
- Tu non hai mai vomitato scommetto, eh? - l'apostrofò
Ilah con le mani sui fianchi esili. Contrasse i muscoli
del ventre lasciati scoperti dalla nera maglietta corta.
- Naturalmente no – il tono ovvio della risposta non
piacque affatto a Ilah che sbuffò.
- Ah, certo! Piuttosto che ammettere che hai vomitato
anche tu ingoieresti un ragno vivo. Dimenticavo che sei
la signorina Razzomissile, l'astronauta perfetta che non
sbaglia mai!
Senti da che pulpito giunge la predica, pensò. Ma
Ilah non aveva ancora finito di sbottare. Era evidente
che l'essere stata male le dava un gran fastidio. Se
aveva capito bene che tipo era, a darle ancora più
fastidio era stata l'impossibilità di nascondere il
malessere.
- Sentiamo, su che stazione bisogna nascere per
non soffrire il mal di spazio? O è una virtù genetica
a distinguere i veri astronauti che non vomitano
mai?
- Veramente io sono nata sulla Terra – Miki le
sorrise, contenta d'aver messo a segno un altro
punto così facilmente. Si alzò dalla panca rinunciando
a togliersi la tuta integrale imbottita che aveva
indossato sotto lo scafandro EVA. Desiderava andarsene
da lì il prima possibile: sentiva i sorrisetti dei
dipendenti dell'amministrazione portuale appiccicati
dietro la schiena e, ben sapendo che si trattava solo
di una sua sensazione, sentiva l'odore del vomito di
Ilah nelle narici. Voleva lavarsi. Si incamminò verso
l'uscita dopo aver buttato dietro la schiena il proprio
sacco da viaggio.
- Sei nata sul pianeta? Ecco perché sei così tozza.
- Tozza? Cosa intendi dire? - si era prontamente
voltata verso la ragazzina. Quella la guardò strafottente
e poi mimò con le braccia una persona corpulenta.
- Tozza. Cammini come se tu pesassi mille chili. Sei
tozza, si vede.
Se la tramortisco con la sacca da viaggio poi la posso
pestare con calma, rifletté. Ma lasciò correre: era
tanto presuntuosa che non avrebbe nemmeno capito il
perché del pestaggio.
Abbandonarono la zona del porto commerciale grazie
a un ascensore sorvegliato dai militari. Le strutture
portuali commerciali e private erano tutte nel primo
settore e lì la criminalità raggiungeva picchi
sbalorditivi. Miki lo sapeva, ma vedere attraverso
i pannelli trasparenti della tromba dell'ascensore
magnetico le ampie zone buie, i cumuli di rifiuti,
le ombre che si muovevano indifferenti in mezzo al
degrado aveva sempre un effetto deprimente sul suo
stato d'animo. Non riusciva ad abituarsi a quel
degrado e temeva che non ci avrebbe mai fatto
l'abitudine. Tutt'altra cosa era lo spazioporto
vero e proprio: collegato ai settori abitativi in
mille modi, era lo splendente centro della vita
spaziale di Apollo. Tutte le compagnie di volo
avevano uno scalo in uno degli hangar dello
spazioporto, a cui le navi accedevano esclusivamente
dall'estremità della stazione. I collegamenti
con le altre stazioni, i voli di linea, le
astronavi più belle e prestigiose: attraccavano
tutti lì.
L'ascensore non fermava ai settori due e tre per
il semplice motivo che non poteva farlo. Quelle
fermate non erano nemmeno mai state progettate. L'ascensore
era di recente costruzione e la sua struttura
di acciaio plastico e crilex portante stonava
fortemente con i settori che attraversava
ronzando a circa cinquanta chilometri l'ora. Settori
vecchi di cento anni e più che mostravano
i segni del degrado e della scarsa manutenzione
soprattutto sulle facciate degli edifici. Ma
quando scendendo alla prima fermata, nel quarto
settore, si trovò a passare tra due guardie
private armate come in guerra, Miki si chiese
se le fosse sfuggito qualcosa negli ultimi
tempi.
- Apollo, eccoci... - disse Ilah grattandosi
distrattamente un ginocchio ossuto.
Intorno a loro brulicava l'attività di una delle
numerose piazze pedonali del quarto settore:
rumorosi nastri trasportatori carichi di gente,
negozi, bancarelle, totem informativi, strutture
di servizio, bar... il solito caos, pensò. Lontano,
sopra le loro teste, sorretto dai torreggianti,
claustrofobici edifici con decine e decine di
piani stratificati gli uni sugli altri, celato
dietro grappoli di lampade ambientali accese al
massimo, si intuiva l'intricato soffitto che
costituiva a sua volta il pavimento del quinto
settore.
- Mai stata qui prima? - l'interesse di Miki era
stato istintivo. In realtà non era affatto sua
intenzione informarsi a riguardo e si pentì
immediatamente di aver posto la domanda.
- Sì, tempo fa. I miei erano di Apollo.
- Erano? - la curiosità era subito divenuta più
forte di lei.
- Sì, certo. La mia madre genetica ha sempre
vissuto su Apollo con mio padre, che ora si è
trasferito su Prometeo. È da là che sono partita.
- Scappata...
Ilah la guardò stringendo a fessura i suoi occhi
leggermente obliqui. Per la prima volta vide
affiorare l'adulto che si stava formando dentro
quella ragazzina impertinente.
- E va bene: scappata. E allora? - il tono era
quello di una sfida, provocatorio.
- Non ti agitare: anch'io sono scappata da casa,
anche se non ci crederai.
- Non ti è certo mancata la roba da mangiare, però...
Caricò il destro come per colpirla in viso, ma Ilah
era balzata con agilità al di fuori della sua
portata. La derideva facendole delle boccacce.
- Per dimostrarti che non ti porto rancore anche
se tu mi tratti male – iniziò Miki dandosi un tono
di superiorità anche se desiderava davvero darle
un ceffone – prima di separarci ti offro qualcosa.
Indicò alla ragazzina un venditore ambulante che
sul suo trabiccolo un po' malandato ma agghindato
con moltissimi ninnoli di plastica colorata, in vendita
anche quelli, offriva cibo cotto al momento a poco
prezzo. Ilah scelse per sé la busta più grande e se la
fece riempire al massimo di alghe fritte, bianche e
croccanti. Miki scelse invece le polpette di soia,
caldissime e profumate per via dell'abbondante pepe
nero che il vecchio alla guida del trabiccolo vi
macinò sopra.
Si incamminarono verso l'unica panchina libera ai margini
della piazza, in una posizione anche troppo defilata. Era
infatti quasi nascosta dietro un ingombrante totem
informativo spento e assediata dai rifiuti che traboccavano
da un contenitore rotto lì vicino. Nessuno lo svuotava
da tempo ma apparentemente la panchina era abbastanza
pulita da sedersi senza preoccupazioni.
- Andrai a stare dalla tua madre biologica?
Fu l'espressione allarmata di Ilah a rispondere nel
mentre che lei inghiottiva il boccone che le riempiva
la bocca oltre misura. A giudicare dalla voracità con
cui divorava la sua frittura sembrava che non mangiasse
nulla da tre giorni.
- Masseifuori? È da lei che scappo!
- Allora non ho capito – ammise Miki confusa. Ilah
sospirò come se stesse attingendo profondamente a
una fonte di pazienza.
- Dunque... la mia madre genetica aveva voglia
di una figlia ma non potendo averne lei stessa
ha fatto ricorso a un utero in affitto. Ma siccome
la bacucca c'è rimasta di vecchiaia praticamente
subito, quella biologica ha fatto richiesta di
affidamento. Dato che mio padre aveva intenzione
di sposarsela fin dall'inizio, quella biologica,
essendo io ancora minorenne... ecco fatto. Affidamento
concesso in men che non si dica. Chiaro ora?
A Miki quella storia sembrava un po' troppo
semplificata. Ma comprendeva ora lo spirito
ribelle di Ilah: il nucleo famigliare come
punto di riferimento era insostituibile e lei
se l'era visto cambiare probabilmente proprio
nel momento della sua vita in cui più aveva
bisogno di riferimenti.
- Quindi cosa farai?
- Boh... forse cercherò un passaggio verso Prometeo
per andare a vedere dove ha vissuto mia nonna. Ti
ho mai parlato di mia nonna? Era una tipa mitica,
strafiga, supertostissima davvero... una come te
se la sarebbe mangiata a colazione.
L'aveva bombardata di informazioni riguardo la
sua “mitica” nonna per tutta la durata delle
riparazioni a bordo del Coyote. Tra un
litigio e l'altro Ilah adorava parlarle di sua
nonna: la descriveva come una specie di eroe
della Resistenza. A sentire la nipote, la Battaglia
di Prometeo l'aveva vinta lei da sola.
- Quella con la cresta gialla? - finse interesse. Sapeva
perfettamente di chi stava parlando la ragazzina:
l'aveva imparato in fretta.
- E il ciuffo lunghissimo... le arrivava fino
alle ginocchia, sai? Dalla fronte, così – Ilah
mimò con le mani il ciuffo penzolante davanti al
viso – ho pensato di farmelo crescere anche io
un ciuffo lunghissimo e di tingerlo di giallo
come lei, ma poi non l'ho fatto perché ho pensato
di non esserne degna. Io non avrei potuto mai
nemmeno allacciare gli anfibi di mia nonna! E
poi mi piacciono troppo i dread!
Ilah appallottolò il cartoccio vuoto e lo lanciò
incurante in direzione del bidone traboccante. Nel
farlo ostentò una disinvoltura che fece avvampare
Miki di vergogna. Anche lei aveva finito le sue
polpette ma si era guardata bene dal lasciare
rifiuti in giro: quel posto faceva già abbastanza
schifo senza che una mocciosa maleducata
intervenisse col suo bisunto contributo. Stava
per rimproverarla quando li vide sedersi. Uno
al suo fianco e uno al fianco di Ilah, due
indesiderate parentesi che all'improvviso le
imprigionavano su quella panchina.
Sorridevano di sbieco: quello a fianco di Ilah,
che poteva vedere meglio, aveva il viso a macchie
rosse, scavato dall'acne e ulteriormente
sfigurato da un piercing al sopracciglio
sinistro. Capelli corti e occhi chiari, mobili
e lucidi sotto le spesse sopracciglia interamente
tatuate con un motivo intricato stonavano col
naso butterato e storto. Lo vide alzare un lembo
della giacca con una mano mentre metteva
l'altra sullo schienale della panchina dietro
Ilah, con fare quasi affettuoso. Sotto l'ascella
era visibile il calcio di un'arma che sporgeva
dalla fondina. Non ci fu bisogno che anche il
compare le mostrasse d'essere armato: glielo
lesse in faccia fin troppo bene. Alto, rasato
e con un anello di prezioso oro giallo al lobo
sinistro. Era così vicino a lei da poter
sentire l'odore cattivo del suo alito. Voltò
il viso dall'altra parte, verso Ilah e verso
l'altro ceffo.
- Complimenti per il trucchetto su La Tana...
ci sai fare al timone... ma stavolta non c'è il
tuo amico pancione ad aiutarti a scappare.
Quello dal viso butterato aveva parlato con
una voce insolitamente gentile, sorridendo. Le
mani erano brutte, scabre e coperte di cicatrici;
avevano le nocche schiacciate e la pelle del
dorso si squamava. Un picchiatore.
- Visto che avete finito di mangiare, ora
ci alziamo tutti insieme e ci seguite. C'è una
persona che vuole vedervi.
Miki guardò prima Ilah che impallidita fissava
qualcosa davanti a sé, poi l'uomo sfigurato
dall'acne. Deglutì con difficoltà un groppo di
paura e trovò il coraggio di rispondergli:
dopotutto non pareva intenzionato a far loro
del male.
- E chi sarebbe?
- La conosci molto bene visto che hai un conto
aperto molto, molto grosso con lei...
Sentì una vampata di rabbia rovente accecarle
gli occhi e toglierle per un momento il lume
della ragione. Poteva essere sua madre. Lo era,
anzi. Poteva starne certa. Evidentemente non
aveva ancora digerito il fatto che si fosse
appropriata dei conti che lei stessa aveva aperto
a suo nome. Non aveva considerato come un
risarcimento la pur non trascurabile somma
che le aveva gettato davanti ai piedi con
disprezzo l'ultima volta che era stata da lei,
sulla Terra. Anzi: se conosceva quella megera,
era stata proprio quel gesto la goccia che fa
traboccare il vaso.
- Forza – disse l'uomo butterato accennando ad
alzarsi dalla panchina.
Fu un attimo: nonostante la stesse guardando
proprio in quel momento, ebbe la sensazione di
aver solo intuito il gesto di Ilah. Un attimo
prima la sua mano sinistra era posata sul ginocchio
che spuntava dalle calze a rete rotte. Un attimo
dopo era scattata fulminea percorrendo un arco
diretto verso la faccia dell'uomo che si era ritratto
di scatto portandosi le mani al viso. Poi Ilah era
saltata in piedi mentre l'uomo gridava di dolore
sputando insulti e bestemmie. Dolore vero, sincero.
Reagì con ritardo: come imbambolata Miki guardò Ilah
allontanarsi correndo e quando cercò di raggiungerla
qualcosa la afferrò per il polso destro emettendo un
grugnito e stringendo forte. Era in piedi ma per
quanto tirasse, l'altro uomo era più forte e non
riusciva a liberare il braccio. Dette ancora due
strattoni ma non ci fu nulla da fare: era
prigioniera. Fece appena in tempo a vedere partire
un violento scapaccione e cercò di evitarlo, ma
quello la colse sulla nuca facendole molto male
ugualmente, come se l'uomo alto e rasato avesse
le mani di metallo. L'uomo butterato invece si
contorceva sulla panchina e Miki notò che
cominciava a perdere sangue dal viso. Ne perdeva
molto: sgocciolava a terra mentre la mano che
premeva la ferita si arrossava di rigagnoli
scuri.
Ilah piombò su di lei inaspettata. Strinse le
sue mani intorno a quella che la teneva prigioniera
per il polso e la vide chiaramente conficcare le
unghie affusolate nella carne dell'uomo che lanciò
un urlo di dolore. La mano si aprì immediatamente
e Miki fu libera. Ilah scattò così velocemente che
guadagnò molto terreno, ma correva in modo forsennato,
in apnea, e presto la raggiunse.
- Separiamoci! - ansimava anche lei col fiatone per
la corsa e per lo spavento.
- Col cazzo! - Ilah aveva il fiato tra i denti
e presto sarebbe crollata. Miki vide che i nastri
pedonali non erano così lontani e li indicò. Deviarono
subito e si tuffarono sui trasportatori con tanto
impeto che Ilah inciampò e cadde travolgendo una
persona. La aiutò a rialzarsi e corsero lungo il
nastro, spingendo e sgomitando gli altri passeggeri
che lo affollavano, sommando la loro velocità a
quella del mezzo meccanico, ignorando le vivaci
proteste.