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Autore: Mannu    04/10/2009    1 recensioni
Miki è costretta su una stazione spaziale clandestina, La Tana, da un debito che non può pagare. Ilah è obbligata ad abbandonare il suo rifugio su La Tana a causa di un debito che non può pagare. Si può pensare a un accordo?
Nota: Il personaggio di Ilah non è completamente mio ma è stato realizzato in stretta collaborazione con Cassiana. Molte parti di questo racconto sono il frutto del suo lavoro. A Cassiana vanno tutti i miei più sentiti ringraziamenti per le idee, la pazienza e il lavoro fatto. A Cassiana va anche la metà dei complimenti (e delle critiche) che questa storiella dovesse ricevere.
Addendum: il titolo era "Miki & Ilah" ed è stato modificato successivamente in "Ogni debito... è un debito". Di nuovo... grazie a Cassiana! Un altro debito!
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ferraglia spaziale'
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Ogni debito... è un debito - 4
4.

Il Coyote fu in grado di eseguire un'attivazione dei motori e raggiungere una velocità di fattore 1,5 molto prima di quello che aveva pensato e senza effettuare tutte le riparazioni. Era più robusto di quanto aveva immaginato.
Quando vide la ben nota sagoma della Terra, una palla blu e ocra striata di bianche nuvole sfilacciate e tagliata in due grandi fette dal buio terminatore della notte, si sentì molto meglio. Individuare Apollo e contattare Controllo fu rinfrescante come una bibita ghiacciata, anche se l'operatore le verbalizzò d'essere al di fuori dei margini di errore consentiti per la rotta scelta. Miki, preoccupata dalla nave che non aveva smesso di tallonarla, fu quasi tentata di spiattellare tutto già a Controllo, ma confrontati i parametri di volo del Coyote una volta nella giusta rotta con quelli della nave inseguitrice dovette rassegnarsi al fatto che non aveva motivi nemmeno per un banale reclamo. Approdò al molo esterno 87 infierendo così un altro duro colpo alle sue finanze. Se da un lato fu felice di vedere GeoCredit confermarle l'agognato accesso al suo conto corrente senza battere ciglio, fu meno contenta di vedere il saldo finale dopo aver pagato in anticipo i quindici giorni di ormeggio necessari alla revisione completa da parte della squadra tecnica. Fu ancora meno contenta quando si rese conto che per liberarsi di Ilah doveva comprare o noleggiare una tuta da vuoto. Essendo ormeggiata all'estremità più lontana della struttura semichiusa del molo 87, per sbarcare era indispensabile la gabbia motrice che non era certo pressurizzata. L'alternativa era una passeggiata nel vuoto che richiedeva un'autorizzazione apposita da richiedere in anticipo a Controllo, una tuta da vuoto attrezzata per attività EVA e un addestramento specifico. L'autorizzazione avrebbe potuto ottenerla, avere la tuta da vuoto EVA era solo una questione di soldi, ma Ilah non era certo in grado di affrontare una passeggiata spaziale senza aver fatto l'indispensabile addestramento.
Miki tornò con una ingombrante valigia rigida dalle chiusure metalliche contenente la tuta da vuoto noleggiata per Ilah. Non cera certo il modello migliore, ma era costata poco. Scegliendola aveva pensato che se Ilah fosse stata impegnata a battere i denti per il freddo forse sarebbe stata un po' zitta.
- Ilah! Vieni a metterti la tua tuta che sbarchiamo! - la chiamò ad alta voce non appena l'armadio robot le ebbe tolto il casco.
Gioca a farsi attendere, pensò. In piedi nell'angusto locale compreso tra il corridoio spinale e la camera di equilibrio, non aveva ricevuto risposta alcuna. Per comodità non si era tolta la tuta che però ora cominciava a farla soffrire. L'equipaggiamento EVA era pesante e la tuta corazzata la rendeva goffa: non riusciva a compiere i gesti più semplici come raccogliere da terra la valigia rigida con la tuta a noleggio per aprirla e cominciare a caricarla. Finalmente la ragazza si fece vedere: camminando tranquillamente con le mani in tasca e uno sguardo in cui si poteva leggere placida curiosità.
- Dai che ho già prenotato la gabbia motrice!
Seguendo le indicazioni di Miki, Ilah entrò non senza fatica nella sottile tuta da vuoto e riempì il serbatoio di ossigeno. L'operazione richiese molto tempo poiché Ilah volle fare di testa sua: non le andava l'idea di doversi togliere giacca e stivali per entrare nella tuta, ma alla fine dovette arrendersi.
- Ho freddo! - disse quando le chiese di provare la radio.
- Mi hai ascoltata? Ti ho appena spiegato come funziona la radio!
- Massì, massì... ho capito... io parlo e tu mi senti.
- Non toccare niente, mi raccomando – si mise in posizione e l'armadio robot le calò il casco sulla testa. I giunti magnetici si attivarono e il casco divenne tutt'uno col resto della tuta.
- Sei pronta? - guardò in direzione di Ilah. Il casco le si era già appannato. Le ho detto cento volte di respirare normalmente, pensò. Era un po' preoccupata: se Ilah avesse avuto una crisi di panico da vuoto, sarebbero stati guai.
- Certo!
- Allora andiamo: la gabbia motrice dovrebbe essere arrivata, ormai.
Miki azionò i comandi della pesante porta della camera di equilibrio e quella si fece da parte obbediente. Le luci si spensero e quelle della camera, interamente verniciata di bianco, passarono al rosso. Sigillata la camera stagna, dette il via alla procedura. La gravità artificiale fu spenta e tutta l'aria pompata via. Quando l'indicatore “atmosfera zero” si accese, poté aprire l'altra porta corazzata, la prima difesa tra loro e lo spazio vuoto. La radio le rimandò un suono che non interpretò correttamente subito. Era Ilah che trasaliva.
La gabbia motrice era lì davanti che aspettava. Attraverso di essa si potevano vedere le esili strutture del molo e poi il vuoto. Poi dall'orizzonte di metallo speciale sorse velocemente la Terra. Le si strinse il cuore: era uno spettacolo splendido e pauroso.
Un piccolo balzo di tre, forse quattro metri e sarebbero state a bordo della gabbia sospesa nel nulla.
- Miki... noi siamo amiche, vero? - Ilah era tesa, spaventata. Era evidente. Le aveva offerto di legarsi l'una all'altra se aveva paura di saltare da sola, ma lei aveva orgogliosamente rifiutato.
- Certo – mentì – ora fai quello che ti dico. Una sola piccola spinta. Spingi piano, O.K.? Guarda me.
Spinse piano con la punta degli scarponi e si librò nel vuoto. Come in un filmato al rallentatore attraversò la distanza fra la soglia del Coyote e la gabbia motrice. Afferrato uno dei sostegni presenti all'interno della gabbia stessa, arrestò il suo moto. Come da manuale, si disse Miki soddisfatta.
A Ilah non andò altrettanto bene. Spinse troppo forte e in modo disomogeneo. Entrò in rotazione e Miki ebbe un momento di vera paura quando si trovò a dover fermare quel volo impazzito con la ragazzina che le straziava le orecchie strillando nella radio come se la stessero torturando. Fu solo per un caso che nessuno si fece male. Il salto per scendere lo fecero legate insieme e Ilah, che non vedeva nulla poiché aveva la visiera completamente appannata, non fiatò nemmeno quando Miki la interrogò per sapere se aveva la nausea.

- Bella impresa, complimenti – Miki pagò in anticipo il parcheggio e la manutenzione della propria tuta, scegliendo tra le opzioni anche il lavaggio della parte esterna. Il meccanismo a carosello si mise in moto e, prelevata la pesante e ingombrante tuta EVA grazie a un apposito modulo adattabile, la pose sulla rastrelliera del trasportatore che l'avrebbe smistata. Sarebbe stata ricaricata, lavata, controllata e immagazzinata al sicuro fino al suo ritorno lì alla struttura di accoglienza del molo 87.
- Mi hai detto un milione di volte di non vomitare nella tuta.
- Certo, se non vuoi morire soffocata. Ma questo non vuol dire che devi vomitare addosso a me.
- Non ne potevo più. Appena mi hai tolto il casco...
- Potevi almeno girarti!
- Non ci ho pensato! - Ilah aveva rapidamente alzato il tono della voce, come se non fosse stata colpa sua se aveva avuto mal di spazio. Vide che aveva ripreso colore in faccia e che era vitale come al solito. Quasi la preferiva smorta, col viso cinereo e gli occhi socchiusi, come l'aveva vista un attimo prima che rimettesse.
- Bah... è nata su una stazione spaziale e soffre il mal di spazio – si lamentò sedendosi su una panca dello spogliatoio confinante con l'accettazione del rimessaggio delle tute. Estrasse dalla sua sacca da astronauta un paio di scarpette morbide.
- Io non soffro il mal di spazio! In assenza di gravità me la cavo bene quanto te, forse anche di più.
- E infatti hai vomitato – la rimbeccò. Era stato imbarazzante: testimone della disavventura appena toccatale, il personale dell'amministrazione portuale di servizio al molo 87. Il Coyote era l'unica nave attraccata a quella struttura e quindi l'attenzione era tutta per le due giovani astronaute.
- Tu non hai mai vomitato scommetto, eh? - l'apostrofò Ilah con le mani sui fianchi esili. Contrasse i muscoli del ventre lasciati scoperti dalla nera maglietta corta.
- Naturalmente no – il tono ovvio della risposta non piacque affatto a Ilah che sbuffò.
- Ah, certo! Piuttosto che ammettere che hai vomitato anche tu ingoieresti un ragno vivo. Dimenticavo che sei la signorina Razzomissile, l'astronauta perfetta che non sbaglia mai!
Senti da che pulpito giunge la predica, pensò. Ma Ilah non aveva ancora finito di sbottare. Era evidente che l'essere stata male le dava un gran fastidio. Se aveva capito bene che tipo era, a darle ancora più fastidio era stata l'impossibilità di nascondere il malessere.
- Sentiamo, su che stazione bisogna nascere per non soffrire il mal di spazio? O è una virtù genetica a distinguere i veri astronauti che non vomitano mai?
- Veramente io sono nata sulla Terra – Miki le sorrise, contenta d'aver messo a segno un altro punto così facilmente. Si alzò dalla panca rinunciando a togliersi la tuta integrale imbottita che aveva indossato sotto lo scafandro EVA. Desiderava andarsene da lì il prima possibile: sentiva i sorrisetti dei dipendenti dell'amministrazione portuale appiccicati dietro la schiena e, ben sapendo che si trattava solo di una sua sensazione, sentiva l'odore del vomito di Ilah nelle narici. Voleva lavarsi. Si incamminò verso l'uscita dopo aver buttato dietro la schiena il proprio sacco da viaggio.
- Sei nata sul pianeta? Ecco perché sei così tozza.
- Tozza? Cosa intendi dire? - si era prontamente voltata verso la ragazzina. Quella la guardò strafottente e poi mimò con le braccia una persona corpulenta.
- Tozza. Cammini come se tu pesassi mille chili. Sei tozza, si vede.
Se la tramortisco con la sacca da viaggio poi la posso pestare con calma, rifletté. Ma lasciò correre: era tanto presuntuosa che non avrebbe nemmeno capito il perché del pestaggio.
Abbandonarono la zona del porto commerciale grazie a un ascensore sorvegliato dai militari. Le strutture portuali commerciali e private erano tutte nel primo settore e lì la criminalità raggiungeva picchi sbalorditivi. Miki lo sapeva, ma vedere attraverso i pannelli trasparenti della tromba dell'ascensore magnetico le ampie zone buie, i cumuli di rifiuti, le ombre che si muovevano indifferenti in mezzo al degrado aveva sempre un effetto deprimente sul suo stato d'animo. Non riusciva ad abituarsi a quel degrado e temeva che non ci avrebbe mai fatto l'abitudine. Tutt'altra cosa era lo spazioporto vero e proprio: collegato ai settori abitativi in mille modi, era lo splendente centro della vita spaziale di Apollo. Tutte le compagnie di volo avevano uno scalo in uno degli hangar dello spazioporto, a cui le navi accedevano esclusivamente dall'estremità della stazione. I collegamenti con le altre stazioni, i voli di linea, le astronavi più belle e prestigiose: attraccavano tutti lì.
L'ascensore non fermava ai settori due e tre per il semplice motivo che non poteva farlo. Quelle fermate non erano nemmeno mai state progettate. L'ascensore era di recente costruzione e la sua struttura di acciaio plastico e crilex portante stonava fortemente con i settori che attraversava ronzando a circa cinquanta chilometri l'ora. Settori vecchi di cento anni e più che mostravano i segni del degrado e della scarsa manutenzione soprattutto sulle facciate degli edifici. Ma quando scendendo alla prima fermata, nel quarto settore, si trovò a passare tra due guardie private armate come in guerra, Miki si chiese se le fosse sfuggito qualcosa negli ultimi tempi.
- Apollo, eccoci... - disse Ilah grattandosi distrattamente un ginocchio ossuto.
Intorno a loro brulicava l'attività di una delle numerose piazze pedonali del quarto settore: rumorosi nastri trasportatori carichi di gente, negozi, bancarelle, totem informativi, strutture di servizio, bar... il solito caos, pensò. Lontano, sopra le loro teste, sorretto dai torreggianti, claustrofobici edifici con decine e decine di piani stratificati gli uni sugli altri, celato dietro grappoli di lampade ambientali accese al massimo, si intuiva l'intricato soffitto che costituiva a sua volta il pavimento del quinto settore.
- Mai stata qui prima? - l'interesse di Miki era stato istintivo. In realtà non era affatto sua intenzione informarsi a riguardo e si pentì immediatamente di aver posto la domanda.
- Sì, tempo fa. I miei erano di Apollo.
- Erano? - la curiosità era subito divenuta più forte di lei.
- Sì, certo. La mia madre genetica ha sempre vissuto su Apollo con mio padre, che ora si è trasferito su Prometeo. È da là che sono partita.
- Scappata...
Ilah la guardò stringendo a fessura i suoi occhi leggermente obliqui. Per la prima volta vide affiorare l'adulto che si stava formando dentro quella ragazzina impertinente.
- E va bene: scappata. E allora? - il tono era quello di una sfida, provocatorio.
- Non ti agitare: anch'io sono scappata da casa, anche se non ci crederai.
- Non ti è certo mancata la roba da mangiare, però...
Caricò il destro come per colpirla in viso, ma Ilah era balzata con agilità al di fuori della sua portata. La derideva facendole delle boccacce.
- Per dimostrarti che non ti porto rancore anche se tu mi tratti male – iniziò Miki dandosi un tono di superiorità anche se desiderava davvero darle un ceffone – prima di separarci ti offro qualcosa.
Indicò alla ragazzina un venditore ambulante che sul suo trabiccolo un po' malandato ma agghindato con moltissimi ninnoli di plastica colorata, in vendita anche quelli, offriva cibo cotto al momento a poco prezzo. Ilah scelse per sé la busta più grande e se la fece riempire al massimo di alghe fritte, bianche e croccanti. Miki scelse invece le polpette di soia, caldissime e profumate per via dell'abbondante pepe nero che il vecchio alla guida del trabiccolo vi macinò sopra.
Si incamminarono verso l'unica panchina libera ai margini della piazza, in una posizione anche troppo defilata. Era infatti quasi nascosta dietro un ingombrante totem informativo spento e assediata dai rifiuti che traboccavano da un contenitore rotto lì vicino. Nessuno lo svuotava da tempo ma apparentemente la panchina era abbastanza pulita da sedersi senza preoccupazioni.
- Andrai a stare dalla tua madre biologica?
Fu l'espressione allarmata di Ilah a rispondere nel mentre che lei inghiottiva il boccone che le riempiva la bocca oltre misura. A giudicare dalla voracità con cui divorava la sua frittura sembrava che non mangiasse nulla da tre giorni.
- Masseifuori? È da lei che scappo!
- Allora non ho capito – ammise Miki confusa. Ilah sospirò come se stesse attingendo profondamente a una fonte di pazienza.
- Dunque... la mia madre genetica aveva voglia di una figlia ma non potendo averne lei stessa ha fatto ricorso a un utero in affitto. Ma siccome la bacucca c'è rimasta di vecchiaia praticamente subito, quella biologica ha fatto richiesta di affidamento. Dato che mio padre aveva intenzione di sposarsela fin dall'inizio, quella biologica, essendo io ancora minorenne... ecco fatto. Affidamento concesso in men che non si dica. Chiaro ora?
A Miki quella storia sembrava un po' troppo semplificata. Ma comprendeva ora lo spirito ribelle di Ilah: il nucleo famigliare come punto di riferimento era insostituibile e lei se l'era visto cambiare probabilmente proprio nel momento della sua vita in cui più aveva bisogno di riferimenti.
- Quindi cosa farai?
- Boh... forse cercherò un passaggio verso Prometeo per andare a vedere dove ha vissuto mia nonna. Ti ho mai parlato di mia nonna? Era una tipa mitica, strafiga, supertostissima davvero... una come te se la sarebbe mangiata a colazione.
L'aveva bombardata di informazioni riguardo la sua “mitica” nonna per tutta la durata delle riparazioni a bordo del Coyote. Tra un litigio e l'altro Ilah adorava parlarle di sua nonna: la descriveva come una specie di eroe della Resistenza. A sentire la nipote, la Battaglia di Prometeo l'aveva vinta lei da sola.
- Quella con la cresta gialla? - finse interesse. Sapeva perfettamente di chi stava parlando la ragazzina: l'aveva imparato in fretta.
- E il ciuffo lunghissimo... le arrivava fino alle ginocchia, sai? Dalla fronte, così – Ilah mimò con le mani il ciuffo penzolante davanti al viso – ho pensato di farmelo crescere anche io un ciuffo lunghissimo e di tingerlo di giallo come lei, ma poi non l'ho fatto perché ho pensato di non esserne degna. Io non avrei potuto mai nemmeno allacciare gli anfibi di mia nonna! E poi mi piacciono troppo i dread!
Ilah appallottolò il cartoccio vuoto e lo lanciò incurante in direzione del bidone traboccante. Nel farlo ostentò una disinvoltura che fece avvampare Miki di vergogna. Anche lei aveva finito le sue polpette ma si era guardata bene dal lasciare rifiuti in giro: quel posto faceva già abbastanza schifo senza che una mocciosa maleducata intervenisse col suo bisunto contributo. Stava per rimproverarla quando li vide sedersi. Uno al suo fianco e uno al fianco di Ilah, due indesiderate parentesi che all'improvviso le imprigionavano su quella panchina.
Sorridevano di sbieco: quello a fianco di Ilah, che poteva vedere meglio, aveva il viso a macchie rosse, scavato dall'acne e ulteriormente sfigurato da un piercing al sopracciglio sinistro. Capelli corti e occhi chiari, mobili e lucidi sotto le spesse sopracciglia interamente tatuate con un motivo intricato stonavano col naso butterato e storto. Lo vide alzare un lembo della giacca con una mano mentre metteva l'altra sullo schienale della panchina dietro Ilah, con fare quasi affettuoso. Sotto l'ascella era visibile il calcio di un'arma che sporgeva dalla fondina. Non ci fu bisogno che anche il compare le mostrasse d'essere armato: glielo lesse in faccia fin troppo bene. Alto, rasato e con un anello di prezioso oro giallo al lobo sinistro. Era così vicino a lei da poter sentire l'odore cattivo del suo alito. Voltò il viso dall'altra parte, verso Ilah e verso l'altro ceffo.
- Complimenti per il trucchetto su La Tana... ci sai fare al timone... ma stavolta non c'è il tuo amico pancione ad aiutarti a scappare.
Quello dal viso butterato aveva parlato con una voce insolitamente gentile, sorridendo. Le mani erano brutte, scabre e coperte di cicatrici; avevano le nocche schiacciate e la pelle del dorso si squamava. Un picchiatore.
- Visto che avete finito di mangiare, ora ci alziamo tutti insieme e ci seguite. C'è una persona che vuole vedervi.
Miki guardò prima Ilah che impallidita fissava qualcosa davanti a sé, poi l'uomo sfigurato dall'acne. Deglutì con difficoltà un groppo di paura e trovò il coraggio di rispondergli: dopotutto non pareva intenzionato a far loro del male.
- E chi sarebbe?
- La conosci molto bene visto che hai un conto aperto molto, molto grosso con lei...
Sentì una vampata di rabbia rovente accecarle gli occhi e toglierle per un momento il lume della ragione. Poteva essere sua madre. Lo era, anzi. Poteva starne certa. Evidentemente non aveva ancora digerito il fatto che si fosse appropriata dei conti che lei stessa aveva aperto a suo nome. Non aveva considerato come un risarcimento la pur non trascurabile somma che le aveva gettato davanti ai piedi con disprezzo l'ultima volta che era stata da lei, sulla Terra. Anzi: se conosceva quella megera, era stata proprio quel gesto la goccia che fa traboccare il vaso.
- Forza – disse l'uomo butterato accennando ad alzarsi dalla panchina.
Fu un attimo: nonostante la stesse guardando proprio in quel momento, ebbe la sensazione di aver solo intuito il gesto di Ilah. Un attimo prima la sua mano sinistra era posata sul ginocchio che spuntava dalle calze a rete rotte. Un attimo dopo era scattata fulminea percorrendo un arco diretto verso la faccia dell'uomo che si era ritratto di scatto portandosi le mani al viso. Poi Ilah era saltata in piedi mentre l'uomo gridava di dolore sputando insulti e bestemmie. Dolore vero, sincero.
Reagì con ritardo: come imbambolata Miki guardò Ilah allontanarsi correndo e quando cercò di raggiungerla qualcosa la afferrò per il polso destro emettendo un grugnito e stringendo forte. Era in piedi ma per quanto tirasse, l'altro uomo era più forte e non riusciva a liberare il braccio. Dette ancora due strattoni ma non ci fu nulla da fare: era prigioniera. Fece appena in tempo a vedere partire un violento scapaccione e cercò di evitarlo, ma quello la colse sulla nuca facendole molto male ugualmente, come se l'uomo alto e rasato avesse le mani di metallo. L'uomo butterato invece si contorceva sulla panchina e Miki notò che cominciava a perdere sangue dal viso. Ne perdeva molto: sgocciolava a terra mentre la mano che premeva la ferita si arrossava di rigagnoli scuri.
Ilah piombò su di lei inaspettata. Strinse le sue mani intorno a quella che la teneva prigioniera per il polso e la vide chiaramente conficcare le unghie affusolate nella carne dell'uomo che lanciò un urlo di dolore. La mano si aprì immediatamente e Miki fu libera. Ilah scattò così velocemente che guadagnò molto terreno, ma correva in modo forsennato, in apnea, e presto la raggiunse.
- Separiamoci! - ansimava anche lei col fiatone per la corsa e per lo spavento.
- Col cazzo! - Ilah aveva il fiato tra i denti e presto sarebbe crollata. Miki vide che i nastri pedonali non erano così lontani e li indicò. Deviarono subito e si tuffarono sui trasportatori con tanto impeto che Ilah inciampò e cadde travolgendo una persona. La aiutò a rialzarsi e corsero lungo il nastro, spingendo e sgomitando gli altri passeggeri che lo affollavano, sommando la loro velocità a quella del mezzo meccanico, ignorando le vivaci proteste.
   
 
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