Lunedì
Le leggere scarpe di tela che Miyon indossava facevano un leggerissimo rumore sulle scale marmoree
del liceo Sasaki, mentre lei le saliva per raggiungere il secondo piano, dove
si trovava la sua aula, con una mano appoggiata al corrimano in ferro battuto.
Il sole che penetrava dalle grandi finestre dava all’interno della scuola
un’idea di tranquillità e di pulizia, ancora più accentuata dai muri bianchi e
immacolati. I raggi solari che scendevano come cascate d’oro sulle scale formavano allegri ghirigori che davano un’idea di
gioia a quella scuola troppo seriosa. Difatti, dopo il suono della prima
campana, non si era sentito più un solo suono lungo tutti
i corridoio, a parte un leggero ticchettio delle scarpe.
«Che lusso…» fu il commento, fischiettante, di Yami.
«Capirai…» rispose invece Miyon, abituata da tre
anni a tutto questo. «Non mi sembra niente di eccezionale»
«Sarà perché a
scuola del mio partner ormai ci sono più murales che muri» scherzò lui.
«Ma cos’è?» rise lei. «Il Bronx?»
«Minaguchi, vieni, presto!»
La ragazza dalle trecce d’oro, sua compagna di casa, di classe e di basket, la
chiamò dal piano. Miyon percorse in fretta gli ultimi scalini che le mancavano
e la raggiunse.
«Che succede?»
«E’ tornato!» rispose l’altra ragazza, dai corti
capelli neri, che teneva le mani appiccicate ai vetri di una delle grandi finestre
del corridoio e guardava il giardino sottostante in preda a
una gioia euforica.
«Davvero?» Anche Miyon si avvicinò, anche se non si
appoggiò alla finestra, guardando di sotto. «Ma i
lavori nell’aula multimediale non erano conclusi?»
«Pare che ci sia stato un furto…» commentò la
bionda. «Meglio per noi, però, così possiamo vederlo ancora!»
«Sempre casini….» brontolò lei. «Poveri i nostri pc…»
Finalmente si decise a guardare di sotto, al ragazzo bruno che, sceso dalla
limousine, attraversava con passo il viale d’entrata, affiancato da alberi di
pesco. «Certo che è proprio figo…»
Anche Yami, incuriosito, apparve
silenziosamente dietro di lei per sbirciare. Il ragazzo alzò leggermente i suoi
occhi azzurri, permettendo loro di ammirarli, anche se involontariamente,
quindi proseguì il suo cammino sicuro fino all’entrata, agitando la sua lunga
giacca blu.
«Fine dello spettacolo…» commentò la bionda
accarezzandosi una treccia. «Noi andiamo in classe»
«Arrivo subito…» mormorò leggermente Miyon, mentre
le due ragazze si allontanavano. Era rimasta ferma ad osservare il viale ghiaioso
con i suoi occhi viola.
«Stai
scherzando, vero?»
La figura di Yami apparve più sconvolta che mai. «Non ti piacerà davvero… Seto Kaiba?!»
Miyon gli scoccò un’occhiata seccata, quindi si
allontanò dalla finestra e iniziò ad avviarsi per il corridoio verso la sua
aula, l’ultima in fondo. «Si, mi piace» rispose infine. «Lo trovo figo»
«Figo?» Gli occhi viola di Yuugi si
dilatarono in un’espressione di estrema incredulità. «Ma… Ma ci hai mai
parlato? Guarda che io lo conosco, ha un pessimo carattere!»
«No, non ci ho mai parlato» ammise tranquilla lei. «E
quanto al pessimo carattere, lo so. Ci hanno provato due mie compagne, con
scarsi risultati»
Il fatto che altre ragazze lo trovassero
interessante non sconvolgeva Yami come il fatto che Miyon lo trovasse così.
Credeva che lei fosse diversa! «E nonostante tutto, ti piace sempre?»
«Guarda che non me lo devo mica sposare!» sbuffò
lei. «Anche se, visto che è ricco e pure bello, non sarebbe nemmeno un cattivo
partito…»
«Ma ti sposeresti per così poco?!» Lui continuava a chiedersi
per quale ragione se la prendesse così tanto. Non erano affari suoi, d’altronde.
«Secondo me, sei solo geloso»
commentò Miyon fermandosi e guardandolo sorridendo. «Scommetto che nessuna
ragazza è mai venuta a dirti che sei figo…»
«Ti sbagli!» confutò lui, offeso. «E visto che ti
piace tanto, non preoccuparti. Ci penso io a presentarti» E l’occhio
luminoso di Ra brillò sulla fronte di Miyon.
Mentre Seto Kaiba attraversava il
corridoio del primo piano, la valigia di lavoro stretta fra le lunghe dita,
osservava appese al muro le foto degli studenti che maggiormente si erano
distinti, sia per voti scolastici che per risultati in altri campi, come lo
sportivo. Se si fosse iscritto a questa scuola, come gli era
stato consigliato, probabilmente anche la sua foto sarebbe stata appesa tra
tutti quei volti opachi e sorridenti. Lui, tuttavia, preferiva il liceo
pubblico. Almeno, non aveva problemi a superare gli esami nonostante le
numerose assenze che doveva fare a causa del suo
lavoro.
«Kaiba!» lo chiamò una voce. Una
bella ragazza dai lunghi capelli neri e biondi, tanto numerose erano le sue
meche, gli venne incontro dalla scalinata in fondo, lasciando che la corsa le
alzasse la gonna a pieghe blu dell’uniforme scolastica, mostrando maggiormente
le sue lunghe gambe affusolate. E questa chi è…? Si
domandò lui. Possibile che in quella scuola non passasse giorni senza che
nessuna ragazzina gli venisse a fare il filo? Che
strazio…
Miyon si sentiva strana. Osservò a lungo, molto a lungo,
i palmi delle sue mani. Erano trasparenti, molto più simili alla figura di Yami
quando le compariva dinnanzi. Si voltò e deglutì: il suo corpo, in quel
momento, stava parlando con Seto Kaiba! Ma se lei appariva sotto forma di
spirito, significava che in realtà… «Yami! Cosa stai
facendo?!»
«Sono Miyon Minaguchi,
piacere» disse Yami nel corpo della ragazza. «Dato che sei ricco e come ragazzo
non sei nemmeno tanto male, mi sposeresti?»
Se prima l’espressione di Kaiba
era una specie di disgusto, come quando si guarda un cibo che non si mangerebbe
nemmeno con la forza, adesso si trasformò in una sorta di stupore. Dopo pochi
secondi, tuttavia, lui ritrasformò il suo volto in una maschera di serietà e si
allontanò per il corridoio, superandola e lasciandola indietro.
«Che. Cosa.
Hai. Detto?!» La vera Miyon, riprendendo il possesso del suo corpo, si lasciò
cadere sulle ginocchia, il cuore che le batteva all’impazzata e le labbra rosse
dall’imbarazzo.
«Ho ripetuto
solo ciò che pensavi…»
rispose Yami con un’espressione innocentina stampata
sul viso, anche se piuttosto soddisfatta. «Visto,
che cafone? Non ti ha nemmeno degnato di risposta…»
Miyon si voltò velocemente a fissarlo con occhi
ardenti di rabbia repressa. Con un rapido battere di ciglia cancellò quel
fuoco, si alzò, risistemandosi la cartella sulla spalla, e si avviò per il
corridoio.
«Sei… per caso arrabbiata?» domandò lui preoccupato.
«Ho forse ragione di esserlo?» rispose lei con
un’altra domanda, in tono freddo e lapidario.
«L’ho fatto per
il tuo bene»
cercò di difendersi Yami. «Kaiba non è il
bravo ragazzo che sembra. Io lo so bene. Lo sai che ha cercato di uccidermi?
Più di una volta. Ha persino organizzato una specie di RPG vivente, chiamato Death-T, con dei sicari professionisti»
Miyon si fermò. «Non dire cose che
non pensi» Il suo tono non era arrabbiato, né ironico. Era serio e
malinconico.
«Eh?»
«Non so perché, ma sento che c’è un filo che lega tu
e lui» continuò lei. «Per questo non vuoi che io lo conosca»
«Veramente…» Yami si stropicciò
leggermente le dita.
«Lasciamo perdere» Miyon scosse i lunghi capelli.
«Tanto, io non sono il tuo partner, perciò non ho alcun bisogno di sapere
queste cose» Yami avrebbe voluto risponderle che non era così, ma non ne ebbe il coraggio. Non poteva coinvolgere anche lei in
quella che probabilmente sarebbe stata una battaglia. La battaglia per
ritrovare la sua memoria. Le stava causando fin troppi danni.
«Dai, Miyon, parlami!» cercò ancora di convincerla Yami. «Non lo faccio più, promesso» Sembrava
simile ad un bambino che cerca di evitare una punizione, che probabilmente sua
madre gli infliggerà comunque, perché le promesse dei
bambini sono le promesse dei marinai.
La ragazza si appoggiò al muro,
accanto alla porta azzurrina della sua classe, la terza della sezione A. per la
prima volta nella sua carriera scolastica, era arrivata in ritardo alla
lezione. Inutile dire di chi fosse la colpa, ovviamente.
Lo sapevano benissimo tutti e due.
«Insomma, se
c’è qualcosa che posso fare per farmi perdonare, dimmelo»
«Una cosa c’è» Miyon sospirò. «Puoi morire»
«Temo che non
sia possibile…»
commentò Yami con espressione seccata. «D’accordo,
ho esagerato, ma con Kaiba non ha perso niente!»
Lei ormai non lo ascoltava più. Sembrava interessata
ai fili grigi della corrente che attraversavano
l’angolo tra il soffitto e il muro.
«Okay, okay» provò ancora lui. «In fondo, Kaiba non è male. Mi ha anche
aiutato in parecchie occasioni» La sbirciò per vedere se lo ascoltava, ma
il suo sguardo era ancora alzato e concentrato sui fili. «E’ il mio rivale da sempre a M&W. Sai
cos’è, vero? Il gioco di carte. È’ veramente forte, anche se io sono più
bravo. Mi piace combattere contro di lui» ammise infine. «Forse ero un po’ geloso, ma quando tornerò
nel corpo del mio partner sistemerò tutto, contenta? Mi stai ascoltando?» Le passò
una mano trasparente davanti agli occhi. Non vi fu nessuna reazione.
«Teorema di Lagrange.
Presa una funzione f(x) continua in un intervallo chiuso e limitato
[a;b] e derivabile in un intervallo aperto (a;b)…»
stava mormorando leggermente lei, le labbra semichiuse e gli occhi viola quasi
rivolti a guardare dentro di sé.
«Sta ripassando
la lezione…»
Allora Yami sospirò e si appoggiò al
muro accanto a lei, cercando di ascoltare quello che diceva, sebbene non
capisse il significato di quelle strane formule. Forse le aveva fatto perdere una lezione importante. Capì che il motivo per cui gli piaceva infastidirla anche a scuola era dovuto
al fatto che lei fosse una secchiona, al contrario del suo partner che era
arrivato fra gli ultimi agli esami. Eppure, se a
scuola otteneva dei risultati alti, probabilmente erano frutto di grandi sforzi
e rinunce. Si pentì di averle causato ulteriori
problemi e decise che in futuro avrebbe rimediato.
***
Yami, seduto comodamente su
una panca appoggiata al muro della palestra, accavallò lentamente le gambe,
mentre teneva lo sguardo fisso sul campo da gioco. Le pupille dei suoi occhi
seguivano freneticamente quella palla gommosa che rimbalzava sul parquet lucido
facendo quasi rimbalzare il pavimento, mentre passava velocemente tra le mani
delle varie giocatrici. La sua attenzione si concentrò poi su Miyon, quando le
arrivò la palla. Lei fece un breve salto, spargendo attorno
leggere lacrime di sudore, fingendo di tirare, quindi passò velocemente
ad una sua compagna libera, la quale segnò altri due punti per la loro squadra.
«Vai così!» fece il tifo Yami. Miyon non gli rispose. Evidentemente non lo
aveva ancora perdonato, nonostante fosse ormai pomeriggio inoltrato e le lunghe
ore passate in tranquillità, senza che lui la disturbasse, avrebbero
dovuto farle sbollire la rabbia. Yami si crogiolò nell’idea che Miyon,
semplicemente, ritenesse quella partita di allenamento
del suo club di basket importante come una partita ufficiale e, per questo
motivo, non poteva permettersi di deconcentrarsi anche solo a fargli un cenno
di assenso.
«Uff…» sospirò leggermente lui,
appoggiandosi alla parete. Vedendo quelle ragazze, gli veniva un desiderio
forte di giocare con loro. Desiderio ovviamente irrealizzabile, vista la sua
attuale condizione. Peccato che nel liceo del suo partner non
ci fosse un club maschile di basket. Aveva appena scoperto che quello
sport gli piaceva e avrebbe voluto giocarci, prima o poi.
Tornò a guardare Miyon, la quale era ferma in mezzo all’area, le ginocchia
leggermente piegate e il busto proteso in avanti, i capelli biondi liberatesi dalla coda posati leggermente sulle sue guance.
«Difesa» annunciò,
contemporaneamente a tutte le sue compagne, mentre le ragazze dell’altra
squadra avanzavano dalla metà campo. Miyon si diresse velocemente verso la numero 8, quella che in quel momento palleggiava la
palla proteggendola con il suo corpo. Questa, invece di passare o di cercare di
liberarsi della marcatura di Miyon, avanzò decisa
verso l’area, anche grazie alla sua corporatura robusta. Miyon non si scostò
dalla sua traiettoria e, mentre la numero 8 passava verso canestro, si pose in
mezzo senza paura, con le braccia alzate, finendo per essere travolta e gettata
bruscamente a terra.
«Tutto ok?»
le domandò la ragazza dalle trecce dorate, che indossava il numero 12 ed era in
squadra con lei in quel momento.
«Si…» Yami, arrabbiato, prese
subito il controllo del suo corpo. «Adesso vedrai» disse rivolto
alla numero 8, la quale non sembrava pentita. «Il mio gioco delle
tenebre…» Come si permetteva quella di esagerare così tanto in un gioco tranquillo
com’era il basket? Stranamente, Miyon non intervenne per riprendere il
controllo. Non vide nemmeno la sua figura apparire accanto a lui. Le gocce di
sudore che scendevano dalla fronte, appiccicando le ciocche nere e bionde alle
tempie, e il vestito bianco con il numero 11 rosso totalmente bagnato gli
fecero capire che era troppo stanca per opporsi. In
fondo, si stava allenando già da un’ora e mezza.
«Minaguchi»
chiamò un’altra compagna di squadra, vedendola ferma in mezzo all’aria, quasi.
«C’è la rimessa»
«Rimessa?» Yami si voltò in
tempo per afferrare la palla che gli veniva lanciata. «Ora che faccio?» Si era gettato a capofitto nel gioco come faceva
sempre per difendere il suo partner, dimenticandosi totalmente del fatto che le
regole di un gioco olimpionico sono un poco più complicate di quelle di un
gioco di carte. Preoccupato dall’avvicinarsi di un’avversaria, fece
istintivamente un passo indietro.
«Passi!» L’allenatore, che in
quel momento aveva le veci di arbitro, fischiò,
agitando il cappello rosso con la visiera. «Minaguchi,
cosa combini? Adesso cammini senza palleggiare?»
«Oh, giusto» mormorò Yami.
«Nel basket si deve palleggiare» Intanto, mentre pensava a queste cose, il
gioco era ripreso anche senza di lui.
«Svegliati, Minaguchi!» lo chiamavano le sue compagne, già schierate in
difesa.
«Vengo» si riscosse lui,
anche se non sapeva bene quello che stava accadendo. Vedendo tuttavia il numero
8 nuovamente con la palla in mano, le corse incontro e, pur di sottrargliela,
le balzò quasi addosso, facendo cadere entrambi a terra, con un tonfo che
risuonò lungo tutte le pareti bianche della palestra e che fece tremare le
sottili vetrate delle alte finestre dalle quali penetrava una fioca luce
pomeridiana.
«Fallo!» ruggì l’allenatore.
«Della numero 11!»
Dopo altri tre falli,
numerose palle che riceveva fra le mani e che gli venivano
sottratte non appena provava ad accennare un palleggio, che non sarebbe
riuscito a fare comunque, e un paio di tentati tiri a canestro, miseramente
falliti senza nemmeno toccare il ferro, Yami dovette arrendersi all’evidenza.
Senza un poco di allenamento, nemmeno il re dei giochi
poteva fare molto. In sostanza, a basket faceva veramente pietà. Affranto, si
ritirò nella sua stanza dell’anima.
«Minaguchi…»
L’allenatore, prima paonazzo per la rabbia, le si avvicinò,
cercando di dimostrarsi più comprensivo, mentre si massaggiava la sottile barba
nera. «C’è… Qualcosa che non va?»
«Qualcuno» pensò Miyon,
ritornata in possesso del suo corpo, ma si trattenne dal dirlo. «In effetti, ho
un po’ di mal di testa…»
«Vai pure a cambiarti, allora»
le suggerì lui, visto che in campo non riusciva a
combinare molto, anche se per un semplice dolore al capo.
In circostanze normali, lei
si sarebbe opposta, ma in quella situazione le sembrò l’opzione
migliore. Salutò le compagne e si diresse verso gli spogliatoi, lasciando che
il rumore delle sue scarpe da ginnastica sul parquet venisse
coperto dai palleggi che erano già ripresi.
«Miyon…»
Lei si tolse il laccio che
legava i suoi lunghi capelli, lasciandoli svolazzare come le chiome degli
alberi al vento, e entrò nello spogliatoio spingendo
la porta con un calcio. Si tolse velocemente la maglietta zuppa di sudore e i
corti pantaloncini bianchi, gettandoli alla rinfusa dentro la sacca blu di
ginnastica.
«Miyon…»
Infilò nella sacca anche le
scarpe da ginnastica, senza preoccuparsi di separarle dai vestiti. Non si
asciugò nemmeno il sudore dal corpo e dal viso prima
di infilarsi la camicia bianca della divisa. Senza preoccuparsi di aver allacciato
tutti i bottoni, indossò la gonna, cercando contemporaneamente di mettersi le
sue scarpe in vernice nera sui calzini banchi e sudati.
«Miyon…»
Gettò scompostamente sopra la
camicia il gilè blu come la gonna, lasciandolo sbottonato con una sorta di veloce
noncuranza, quindi afferrò la sacca e la borsa di scuola, e uscì velocemente
dallo spogliatoio senza preoccuparsi di mettersele in spalla.
«A basket sono un disastro» ammise Yami.
«E’ ovvio che tu non sia
capace» Miyon si fermò lungo il vialetto fiorito che collegava la scuola alla
palestra, ancora leggermente illuminato dal sole che tendeva a calare in
lontananza, verso occidente. Prese fiato. «Ci vuole molto allenamento e una
buona conoscenza delle regole»
«Lezione ricevuta» sorrise lui. Finalmente gli aveva
nuovamente rivolto la parola. «Non
avrei dovuto immischiarmi. Solo che… Che quella… Insomma, non potevo sopportare
che ti avesse buttata a terra così!»
«Il basket non è uno sport da
bambole» scosse la testa Miyon. «E guarda che le avevano fischiato
fallo di sfondamento, per questo la palla era andata alla mia squadra»
«Oh…»
Ecco cosa succedeva quando si ignoravano le regole
basilari. «Volevo aiutarti e invece ho
combinato solo guai» Si morse un
labbro. «Non volevo farti fare una brutta
figura con il coach»
«Non fa niente…» replicò lei
tranquilla. Smise di guardare la sua figura trasparente, proiezione virtuale
della sua mente, e tornò ad avviarsi verso la scuola.
«Allora, perché sei ancora arrabbiata?» chiese Yami accelerando il
passo fino a raggiungerla. «E’
per quello che è successo oggi con Kaiba? Ascoltam-»
Miyon lo fissò duramente. «Cosa vuoi che me ne importi di ciò che pensa di me Seto
Kaiba!» esclamò, mentre le guance le diventavano ancora più rosse a causa della
fatica e dell’affannamento. «Non sa nulla di me! Ciò che importa alla fine sono solo i risultati. Su quelli si basa la gente, non sulle
prime opinioni» Certo, era una tesi discutibile, ma in quel momento Yami non
era pronto ad una discussione filosofica sul qualunquismo dei popoli. Ciò che
voleva era un armistizio.
«Ma allora…?»
«Quello che
mi fa uscire di senno…» Miyon parlò lentamente per non rischiare di formulare
un discorso insensato a causa dell’ira. «E’ che tu ti appropri della
mia vita senza problemi! Come osi?!»
«C-che intendi…?» Yami non capiva. Temeva solo
di aver compromesso ancora di più la situazione, con il suo atteggiamento, che
sfiorava l’insensibilità.
«La mia vita è solo mia»
disse ancora lei. «Ti avrei prestato il mio corpo senza problemi, a patto che tu
me lo avessi chiesto. Invece no! Lo hai preso come se
fosse stato tuo diritto farlo! Non hai mai pensato che la tua situazione non ti
autorizza ad essere talmente compatito da fare ciò che
vuoi?»
Mentre parlava, Yami spalancava
lentamente gli occhi, come se vedesse per la prima volta. Non aveva davvero
capito nulla di lei. Anche con il suo partner si era
comportato alla stessa maniera. Credeva di agire per il meglio, ma adesso
qualcuno gli stava dimostrando che forse non sempre il mondo girava nella sua stessa
direzione. «Scu-scusami…»
Lentamente, per quanto possibile, la abbracciò.
«No…» A questo punto, Miyon
scosse la testa e si allontanò da lui, strofinandosi gli occhi con il palmo
della mano. «Ho reagito male io…»
«Ne avevi diritto» annuì convinto lui.
«Vedi, oggi avevo una lezione importante nell’ora che mi hai fatto
perdere» mormorò debolmente lei, finendo per farlo sentire ancora più in colpa.
«Io ho un sogno» Scosse leggermente i capelli lisci e bagnati, osservando in
lontananza il cielo che si scuriva. «Voglio diventare ingegnere elettronico.
Per questo ammiro Kaiba, dato che è già programmatore da studente liceale» Le
tracce di tristezza nella sua voce iniziarono lentamente a svanire. «Non è
facile, però voglio riuscirci assolutamente. Ogni trimestre, ci sottopongono a
delle prove di esame e ai migliori viene data una
borsa di studio» Sospirò. «Se riesco ad ottenerle
tutte, potrò andare all’università. Ne ho una anche questo giovedì, di
matematica, e avevo bisogno della lezione di oggi per
ripassare le ultime cose»
«Sono un imbecille» disse Yami, facendola ridere leggermente. «Okay, fai il test. Poi partiamo
immediatamente per l’Egitto, così mi levo prima dalle scatole»
«No» rispose lei brusca.
«Perché no?»
Lo guardò sorridendo, anche
se le ciglia somigliavano più agli steli dei fiori con la rugiada mattutina.
«Non posso andare in Egitto, perché non ho i soldi per pagarmi l’aereo»
sussurrò come il lamento di un coniglio ferito. «Non posso lavorare per pagarmi
la retta, o sarei subito espulsa, così i miei ne devono sopportare tutto il
peso, anche se sono solo due semplici impiegati» Sospirò. «La Sasaki è cara, ma è il miglior liceo di Domino» Si strofinò
ancora gli occhi, cancellando le lacrime. «Dovrò sopportarti ancora per un po’»
«Amen»
sorrise Yami dandole una leggera pacca sulla spalla. «Coraggio, futuro ingegnere elettronico, torniamo a casa. Direi che hai
bisogno di un bagno»
«Il solito maniaco…» commentò
lei. «Se puzzo, è per colpa tua che mi hai fatto uscire in fretta dalla
palestra»
«Lo sapevo…» disse lui alzando le spalle. «Tra un po’ finirai per incolparmi pure del fatto che ti vengono le
mestruazioni»
«Yami!» avvampò lei. Poi,
entrambi scoppiarono a ridere.
Grazie a Lory e Ivy per la
recensione, spero che continuerete a seguire la storia ^^