Monologo di un pazzo molto lucido
In realtà (ma che significato ha questa parola viola?), io penso che il mondo sia un’immensa landa deserta dove il miasma della morte supera il profumo di incenso, di fiori e di mare che cerca di coprire questo lezzo.
Una distesa sporca che gli alberi verdeggianti e i prati colorati non riescono ad abbellire.
Dove uomini e donne si suicidano con un coccio di plastica spuntato: non credetemi pazzo per queste parole, è la verità. Ma la verità che cos’è? E’ una parola che tengo ripiegata in una tasca della giacca, per non disturbare. Ogni tanto la tiro fuori e la osservo, stando attento che nessuno mi stia guardando. Poi velocemente la rimetto in tasca, e ripiego me stesso in quella tasca della giacca. Attento a non disturbare il Fuoco Inchiostrato, che brucia animali piangenti.
Perché in questo inferno terreno anche i fiori piangono…
E se ancora pensate che Dio vi salverà vi sbagliate: Dio non può e non deve tirarci fuori dal nostro personale inferno.
Se abbiamo creato un luogo dove ad ogni passo rischiamo di cadere, non è colpa sua.
Se viviamo in un luogo dove la felicità è stata bandita da chi dice di amarci, non è colpa sua.
Ascoltate questa natura artificiale…
Ascoltate questo cuore stanco che è morto due giorni dopo oggi e quattro prima di ieri…
E forse…
Clic, clic.
Goccia di rugiada
nell’alba pura.
… forse vivere
non sarà così difficile.
Bum, bum.
Vuoto riecheggiare
del mio cuore
nella vana notte.
Infondo, qual’è la difficoltà
insita nel peccaminoso atto
della vita?
Riecheggia l’urlo della madre
senza figlio
e del marito senza moglie.
A loro, questa seconda possibilità
non è stata concessa.
Universo di carta,
realtà irreale,
pensi che io mi faccia ingannare?
So che il vero padrone
del destino sei tu.
Io eseguo, mio signore.
Ma un giorno
con una spada amaranto
squarcerò
quel che rimane
di questo pettine
d’argento
e sarò libero.
Libero.
Libero.
Ma io saprò usare
questa libertà
che tanto bramo
e tanto temo?
La libertà è la peggiore delle schiavitù. La morte, a confronto, è un volo mattutino di campane tintinnanti.
Io l’ho incontrata diverse volte. La morte, intendo. L’ho trovata una gradevole signora di mezz’età vestita di un abito di seta cinese ormai quasi scomparsa per il travaglio degli anni trascorsi a lottare contro Sorella Vita. E’ una donna truccata finemente senza occhi. E’ garbata, dolce, distinta, insensibile, vendicativa, malvagia. E’ figlia di un urlo di dolore e di un uomo mai nato. Appena nata, esisteva già da secoli. Sapeva tutto del nulla. Ne conosceva i minimi dettagli: li insegnava ai centauri, alle orchidee e alle rane di stagno.
Ogni tanto, ma solo quando aveva voglia, scriveva. Solo in un caso scriveva e, ripeto, uno soltanto: lei scriveva quando scopriva che qualche vivente viveva.
Allora Fratello Invisibile se ne andava a ballare sulle punte dei piedi che non aveva, tenendo nei capelli che non possedeva una rosa nera sbocciata molto tempo prima.
E, ogni tanto, un petalo che non c’era cadeva.