5.
Non fu possibile fermarsi nemmeno per prendere fiato. Il
tipo alto e rasato era saltato sul nastro. Se ne accorsero
subito perché non esitava a scaraventare giù quelli che
non si spostavano abbastanza in fretta. Anche se non si
fossero accorte delle grida e delle proteste della gente,
avrebbero sentito il fastidioso clacson bitonale. Si
trovavano su Apollo, non su La Tana: qualcuno aveva
attivato un segnale d'allarme e prima o poi sarebbe
intervenuta la polizia.
Correva lungo il nastro cercando ora di dare meno
fastidio possibile, con una mano trascinando Ilah
che non aveva più fiato per correre, con l'altra la
propria sacca da viaggio. Era stata già tentata di
abbandonare entrambe, ma aveva resistito. Il loro
inseguitore era più veloce e presto le avrebbe
raggiunte se non avessero fatto qualcosa. Il nastro
trasportatore si biforcava e senza nemmeno dare uno
sguardo alla segnaletica saltò per cambiare
direzione. La manovra non le aiutò di certo a
seminare l'uomo che era deciso a raggiungerle
poiché quello le aveva viste cambiare direzione
con largo anticipo. Voltandosi per un istante vide
che si teneva la mano ferita dalle unghie di Ilah.
Il nastro stava passando ora tra due sponde alte
e trasparenti che attirarono la sua attenzione. Gradualmente
le sponde si incurvarono sopra la sua testa fino
a chiudersi in un tunnel. Guardando attraverso il
tubo rinforzato da traverse si rese conto che
stavano superando l'ingresso alla zona dello
spazioporto. Questa era separata dal resto della
stazione da alcune decine di metri di buio
punteggiato dalle luci degli altri tunnel e dei
sistemi di servizio. Aveva letto che quella zona
era fisicamente separata dal resto della stazione,
ma vederlo coi propri occhi faceva un altro
effetto.
Ma non ebbe il tempo di contemplare oltre il
panorama. Avvicinandosi allo spazioporto presto
avrebbe avuto altro a cui pensare: servizi di
sicurezza, agenzie private al soldo delle compagnie
di volo, poliziotti. Nessuno di quelli faceva troppe
distinzioni tra inseguitori e inseguiti, né erano
famosi per la loro delicatezza.
Continuò a trascinarsi dietro Ilah facendo in modo
che il loro determinato inseguitore non riuscisse
ad accorciare le distanze troppo in fretta. Il
tunnel trasparente circondato dalle lontane luci
puntiformi e dagli ondeggianti fari orientabili dei
sistemi di sorveglianza automatici lasciò presto
il posto alle strutture periferiche dello
spazioporto. Banchine di sosta, locali pubblici,
attività commerciali, strade carrabili: una piccola
città nella città. Apparentemente non c'era alcuna
differenza col settore abitativo appena
abbandonato. Saltarono più in fretta che poterono
su un segmento di nastro a velocità inferiore e da
lì alla banchina di attesa, dove c'era molta gente
che attendeva di salire. Chiedendo scusa quasi
sottovoce Miki, accaldata e sudata per la corsa,
cercò immediatamente l'uscita sgusciando tra
bagagli e schiene altrui, incassando spallate e
qualche protesta quando dovette spingere qualcuno
che tardava a spostarsi. Si complimentò con se
stessa per il tempismo con cui riuscì a saltare
il piede di un tizio che cercò vendetta per uno
spintone tentando di sgambettarla come se niente
fosse.
Una volta in strada le cose peggiorarono: non
c'era più molta folla a proteggerle e si trovò a
dover prendere in fretta una decisione
importante. Dove nascondersi? Forse la sua
incertezza fu percepita da Ilah che la
strattonò. Senza nemmeno pensare cominciò a
seguirla finché dopo poco si infilò in un affollato
e puzzolente locale che offriva collegamenti
alla Rete a pagamento. L'interno di quel posto,
aperto direttamente sulla strada, sembrava fatto
apposta per nascondersi: i terminali erano
incastrati dentro alti totem cilindrici alcuni
con pannelli piatti, altri con grandi schermi
olografici. C'era molta gente che si affollava
intorno ai terminali dei giochi di ruolo e ciò
diede loro un vantaggio. Si complimentò con
Ilah per la bella scelta: in pochi passi avevano
abbandonato la strada e potevano cercare di
nascondersi in quel posto rumoroso e
frequentatissimo. Poteva anche sperare di passare
inosservata: davanti alle postazioni dei giochi
di ruolo c'erano parecchi giocatori che,
appassionati dal cosplay, vestivano nei modi
più stravaganti e sfoggiavano le stesse
originali, colorate e vaporose pettinature
dei loro idoli virtuali.
Appena si furono riprese dalla corsa Ilah si
avvicinò a uno dei terminali più costosi e
complessi in fondo al locale. Vi girarono intorno
in modo da ripararsi dalla vista di chiunque dalla
strada avesse guardato dentro. Un commesso in
divisa fu subito da loro.
- Posso aiutarvi? - chiese l'uomo, sorridendo
cortesemente ma sospettoso.
- Supporta i protocolli H3C3, C4 e le connessioni
senza cavo? - chiese Ilah tutto d'un fiato indicando
il terminale di ultima generazione. Miki riconobbe
l'H3C4, il protocollo di comunicazione tra velivoli:
abbonarsi per rendere il Coyote in grado di usare
altre navi come relais per le telecomunicazioni le
era costato una follia. Aveva poi scoperto con
dispiacere che moltissimi capitani non consentivano
l'uso della propria nave come relais per motivi di
sicurezza.
- Certo – rispose il commesso, stupito per la domanda
tecnica. Forse aveva pensato d'avere di fronte una
ragazzina sprovveduta che voleva solo giocare
on-line. Ilah invece lo investì con una raffica
di domande riguardo l'hardware e il software del
terminale, che prometteva di essere configurato
davvero bene. La tariffa richiesta per il suo
utilizzo pareva giustificata.
- Occhei, il terminale può andare. Ho un'interfaccia
a piastre Sumo-Hagawara con adattatore Bolonov a
banda larga: è un problema se la uso?
Il commesso sgranò gli occhi sorpreso, poi sfiorò
l'interfaccia olografica del terminale. Apparve
un modulo da compilare.
- È necessario prima riempire questo.
Dette un'occhiata alle prime righe: era scritto
nel gergo degli avvocati, nella contorta lingua
della legge, ma appariva chiaro che si trattava di
una autocertificazione che sollevava da ogni
responsabilità il gestore per qualsiasi cosa sarebbe
successa durante e dopo il collegamento. Ilah
estrasse da una tasca della sua giacca militare
il proprio badge identificativo e lo dette in pasto
al terminale che lo usò per riempire il modulo. La
ragazzina dai capelli viola lo firmò distrattamente,
in fretta.
- Dai, adesso sbloccamelo che mi serve – disse
rivolta all'uomo.
- Questa classe di terminali richiede il pagamento
anticipato.
Vide Ilah voltarsi verso di lei con una silenziosa
domanda negli occhi chiarissimi e un poco obliqui. Estratta
una card al portatore bagnata di sudore per essere
stata a contatto con la pelle, la consegnò al commesso,
seccata. Questi dopo averla svuotata del denaro attivò
il terminale usando il complesso telecomando che portava
al braccio. Ilah si era già attaccata le piastre ai
lati della nuca e stava armeggiando col Bolonov per
collegarsi al terminale.
- Cosa stai facendo?
- Me ne vado da qui.
- Aspetta, cambio la domanda. Cos'hai intenzione di
fare con quel...
Sullo schermo olografico apparvero i siti di alcune
agenzie di notizie in tempo reale. Miki non capiva
cosa Ilah stesse cercando nelle notizie del giorno.
- Prova a guardare fuori e dimmi se vedi qualche
compagnia di volo che ti piace – Ilah sembrava decisa,
qualsiasi cosa stesse facendo.
- Vuoi dirmi cosa stai facendo?
Miki le afferrò una spalla e la costrinse a girare
la testa verso di lei. Le palpebre erano abbassate
e gli occhi mostravano solo una falce del bianco
della sclera: Ilah era già dentro il cyberspazio,
in profondità.
- Dimmi se vedi qualche compagnia di volo qua fuori –
la sua voce pareva quella di una sonnambula. Era
impegnata a fare chissà cosa. Anche se la conosceva
poco, era certa che si trattasse di qualcosa di
illegale.
Guardinga si avvicinò all'uscita. La respirazione era
ritornata normale ma temeva che il calore che si
sentiva in corpo fosse evidente anche a chi la
guardava. Sentiva l'impellente bisogno di lavarsi
dalla testa ai piedi. Senza uscire in strada gettò
uno sguardo nei dintorni e notò immediatamente l'agenzia
della Leo Space. Subito dopo ebbe un tuffo al cuore:
l'uomo alto e rasato. Era lì, di spalle, a meno di venti
metri da lei. Stava fasciandosi la mano ferita con
un fazzoletto già chiazzato di rosso mentre parlava
con altre due persone. Nessuno di quelli era il ceffo
con la faccia scavata dall'acne. Cercando di non
muoversi troppo in fretta e di non tradire la paura
che le aveva subito riempito di spine le budella e
reso molli le gambe, tornò da Ilah.
- Leo Space... e sbrigati, perché sono in tre adesso
e sono già qua fuori – le sussurrò da dietro le
spalle. Sullo schermo del terminale ancora siti di
notizie on-line e gli orari delle partenze da
Apollo.
- Leo Space, sono d'accordo – Ilah era in piena trance
da cyberspazio e parlava come nel sonno, masticando
le sillabe. Miki la giudicò una irresponsabile. In un
posto così affollato lei non avrebbe indossato nemmeno
un auricolare. Essere alleggerite da qualche ladruncolo
era possibile anche lì in qualsiasi momento e la
deprivazione sensoriale, inevitabile per chi col
cervello cablato usava i propri impianti per collegarsi,
era un invito irresistibile per un gran numero di
delinquenti, borsaioli e pervertiti di ogni tipo. Si
iniziava con un collegamento al cyberspazio in un
locale apparentemente tranquillo e si finiva col
riaprire gli occhi nude, abbandonate chissà dove,
con buchi di aghi nel braccio e nemmeno uno
schifoso ricordo da provare a dimenticare.
- Gradirei sapere cosa stai facendo – le chiese
seccata, tenendo d'occhio con ansia la grande
entrata del locale. Ma non ottenne risposta. Dopo
un lunghissimo minuto vide la ragazza rilassarsi
all'improvviso con un profondo sospiro. Poté quasi
vedere la tensione della cavalcata nel cyberspazio
sciogliersi e fluire via dal suo corpo come se
fosse liquida. Ilah si tolse le piastre appiccicate
alla pelle nuda del cranio dove era visibile un
tatuaggio che scendeva lungo il collo e si nascondeva
sotto la giacca. Come se nulla fosse arrotolò i
fili delle piastre e si cacciò tutto in una tasca
sul petto.
- Stammi bene a sentire – le disse con voce insolitamente
ferma. Si era già completamente ripresa dalla trance
e la cosa fece avvampare Miki di invidia, com'era già
successo. Gli occhi di Ilah erano ora duri e freddi,
capaci di gelarla dal di dentro.
“Non so se te ne frega qualcosa, ma io qui non ci
voglio più stare. Sono su Apollo da meno di un'ora e
già non ne posso più. Non voglio passare la mia vita
a scappare per colpa tua. Quindi stai bene attenta:
me ne vado. Ho un posto sul primo shuttle in partenza,
chiudono l'imbarco fra diciotto minuti. Non ho
nemmeno capito dove va, non mi interessa. Quella è
gente pericolosa e io sto morendo di paura. Se vuoi
c'è un posto anche per te. Vuoi venire?”
- E dove? - chiese Miki, rimandando a dopo l'argomento
sollevato da Ilah. Nemmeno a lei piaceva scappare e
da un po' di tempo a quella parte non faceva altro
che fuggire da qualcuno.
- Cos'è una piattaforma di carico di tipo “doppio-v”? -
Miki sgranò gli occhi a quelle parole.
- Occazzo, un vettore verticale atmosferico... i doppio-v
fanno la spola con la Terra, sono dei cargo senza
equipaggio!
- Vieni, non abbiamo tempo – Ilah si lanciò
verso l'uscita.
- Ci sono quelli là fuori! - protestò spaventata
sibilando tra i denti per non farsi sentire da tutta
quella gente lì intorno, ma Ilah non si fermò. Non
poteva fare altro che lasciarla andare o correrle
dietro. Sbuffò seccata e, certa di stare scappando
da un guaio infilandosi in un guaio più grosso,
rincorse Ilah.
- Ci hanno viste – disse la ragazzina dopo aver
percorso meno di un centinaio di metri per strada.
- Chissà come hanno fatto – commentò acida Miki
guardando la chioma viola adorna di perline
tintinnanti della ragazzina alta ed esile.
La folla davanti a loro si aprì all'improvviso
per far passare una pattuglia di poliziotti in
divisa. Erano in quattro e camminavano affiancati
con passo spedito: il tonfa in pugno, l'elmetto e
giubbotto anti-sommossa. Sentì le budella sciogliersi:
stavano cercando qualcuno e se erano state segnalate
sarebbero cominciati i guai veri. Ma i poliziotti non
dettero segno di interessarsi minimamente a loro e
passarono oltre. Con suo grande disappunto non fermarono
nemmeno i tre inseguitori, diverse decine di metri più
indietro.
Cercando di non farsi notare le due fuggitive mantennero
un'andatura la più elevata possibile. Raggiunsero la
zona degli imbarchi grazie a un nastro pedonale
riuscendo a mantenere costante la distanza dagli
inseguitori, ma quando quelli si resero conto di
ciò che stavano per fare, ruppero ogni indugio e
cominciarono a rincorrerle.
Miki si vide perduta e toccò il gomito di Ilah
per indurla a correre via insieme a lei. Ma Ilah
scattò davanti a lei grazie alle sue lunghe gambe
e le gridò con tono urgente:
- Corri che lo perdiamo!
La vide puntare dritta verso i due agenti privati
in divisa fermi all'ingresso di una zona riservata
dell'enorme ambiente antistante i cancelli di imbarco.
- Da che parte il numero venti? - chiese loro
trafelata. Una delle guardie indicò con un braccio e
Ilah scattò in quella direzione. Miki lasciò un
frettoloso ringraziamento agli agenti congratulandosi
mentalmente con Ilah per come stava recitando la parte
della viaggiatrice in ritardo. Corsero a perdifiato
lungo l'infinita serie di cancelli di imbarco finché
non riconobbe i colori della Leo Space. Seguì Ilah che
era l'unica a conoscere i dettagli dell'imbarco. Passarono
tra altre due guardie armate al cancello venti e si
precipitarono all'accettazione.
- Vandervelden! - esclamò agitando il proprio badge
alla svogliata hostess in divisa, ancora lontana. Le parve
chiaro che la donna era seccata perché erano giunte appena
in tempo costringendola a riprendere il lavoro che considerava
già finito. Quella fece cenno alle guardie di lasciarle
passare entrambe.
- Ancora tecnici? Ma cosa sta succedendo su quella
povera piattaforma?
- Un vero casino – rispose prontamente Ilah mentre ancora
una volta cercava di domare il fiato grosso – speriamo di
rimetterlo a posto in fretta.
Vide con terrore che la hostess stava leggendo col terminale
il badge di Ilah. I dati sarebbero stati registrati e
qualunque pirata informatico da strapazzo avrebbe potuto
bucare i server della Leo Space, nota per essere una
compagnia di volo economica, per sapere dov'erano andate.
- I suoi documenti, prego – le disse l'attempata hostess,
indispettita. Con un po' di imbarazzo Miki estrasse il suo
badge, lo asciugò sulla manica della tuta e trattenne il
fiato per tutto il tempo che quello rimase sotto l'esame
della hostess.
- Appena in tempo – commentò acida la donna della Leo Space
restituendo entrambi i badge e spegnendo le luci della
postazione. Il cancello d'imbarco era da quel momento
ufficialmente chiuso.
- Salve! - salutò lei e seguì Ilah che già si era avviata
lungo il corridoio che portava allo shuttle.
- Tecnici? Che cosa cazzo hai combinato?
- Ho salvato il tuo culone – le rispose quella. I loro
inseguitori le avevano raggiunte al cancello d'imbarco
durante il check-in ma le due guardie private della Leo
Space li avevano mantenuti lontani.
- C'è qualcosa che devo sapere? - cercò di essere più
sarcastica possibile. Detestava non avere la situazione
sotto controllo.
- Per ottenere questo passaggio siamo temporaneamente
diventate Helen e Beatrix Vandervelden, due sorelline
tecnici informatici di livello tre. Io sono Helen.
- Sorelle? - si meravigliò Miki. Le possibilità che loro
due fossero due tecnici di pari livello erano già abbastanza
basse. Meno ancora che potessero essere sorelle.
- Con un minuto e mezzo di incursione, è già qualcosa che
abbiamo aspettato così poco per salire su uno shuttle –
ribatté Ilah – O forse preferivi stare a dare spiegazioni
a quelli là?
Dovette riconoscere che stavolta la mocciosa aveva ragione.