6.
Trascorse tutto il breve viaggio con l'angoscia
di essere smascherata, mentre Ilah dormicchiava
nel sedile accanto. Le aveva afferrato un braccio
e le aveva posato sulla spalla la testa adorna dei
suoi lunghi dread viola tintinnanti per le
perline. Aveva pensato con fastidio che la ragazzina
fosse abituata a dormire con l'orsetto di pezza. Però
la lasciò fare, vinta da un insolito sentimento di
tenerezza.
A gettare Miki nell'ombra dell'angoscia era stata la
scoperta che lei e Ilah erano le uniche due
passeggere. Non c'erano nemmeno hostess a bordo:
solo loro due e i piloti. Era un banale volo di
collegamento e probabilmente a bordo dello shuttle,
che sacrificava molto lo spazio per i passeggeri a
favore della stiva di carico, c'era solo merce.
Uno dei piloti, un tipo magro e slanciato, dai
rassicuranti capelli grigi e con le complesse mostrine
che ne certificavano l'anzianità di servizio, era
venuto a trovare le uniche due viaggiatrici. Aveva
sostenuto la conversazione come meglio aveva potuto,
ma parlando sottovoce era riuscita a indurre l'uomo
a porre presto termine alla sua visita di cortesia
per non rischiare di svegliare la “sorellina”. Congratulandosi
con se stessa per la facilità con cui riusciva
a inventare menzogne, si disse decisa a cantarne
quattro a quella smorfiosa che dormiva placidamente
appoggiata alla sua spalla. Ma non ebbe il coraggio
di svegliarla fino alla fine del viaggio, quando lo
shuttle ebbe attraccato.
- Siamo già arrivati? - sbadigliò maleducatamente,
senza curarsi di mettere la mano davanti alla bocca
e deformando le parole.
Una volta scese dallo shuttle poterono ammirare il
piccolo ma efficiente hangar della piattaforma
orbitante. Sporgendosi oltre un parapetto esile
poterono notare come l'hangar fosse aperto sul fondo,
sotto i loro piedi. Da quel grande varco presumibilmente
era entrato lo shuttle da cui erano appena sbarcate:
era di certo mantenuto sigillato da un campo di forza
perfettamente trasparente. Il blu e il bianco del
pianeta in rotazione riempivano totalmente l'apertura
e la tridimensionalità di quella vista provocò le
vertigini anche a Miki, che pure era certificata per
l'attività EVA e abituata a vedere il pianeta dal
vivo.
- Cos'è quello? - Ilah si strinse a Miki indicando
una angolosa, meccanica sagoma di un cupo colore bruno,
decorata da bande diagonali gialle e nere che si
muoveva silenziosamente sotto il ventre
dell'astronave. Le spiegò che la stiva dello shuttle
veniva scaricata da un trasportatore che era in grado
di agganciare i diversi container e portarli allo
smistamento della stazione. Lei stessa aveva visto
meccanismi del genere in azione in diversi ormeggi
commerciali qua e là in tutte le stazioni. Quello
era piccolo, ma faceva il suo lavoro bene e in
fretta.
- Cosa dobbiamo fare ora? - La passerella che portava
allo shuttle era già stata ritirata e quindi non
potevano certo tornare indietro da lì. Erano rimaste
sole sulla banchina. Lo fece notare a Ilah, che rimase
un po' pensierosa.
- Dobbiamo tornare indietro.
- Brava, signorina Vandervelden – la attaccò con
tono acido – e come conti di farlo? - mosse la mano
sinistra in un gesto ampio che comprese il molo deserto,
lo shuttle già sigillato ermeticamente, il vicino
portello stagno che portava probabilmente agli ambienti
interni della piattaforma. Poi si gettò la sacca
dietro la schiena, intenzionata a muoversi. Ma Ilah
la anticipò.
- Cominciamo a toglierci da qui che ho freddo.
Si avvicinarono al portello stagno chiuso e ne
comandarono l'apertura mediante l'apposito pannello. La
malandata porta si aprì con un poco rassicurante
raschiare metallico e si richiuse autonomamente alle
loro spalle. Percorso un breve corridoio che evidentemente
nessuno si curava di pulire, si trovarono in un atrio
altrettanto desolato. Intorno a un grande foro nel
pavimento cinto da un parapetto c'erano vecchie sedie
di plastica dall'accattivante profilo anatomico,
ma molto impolverate. C'erano segni del passaggio
di esseri umani piuttosto maleducati, passaggio
avvenuto in un tempo tanto remoto da giustificare
la mummificazione di alcuni avanzi di cibo abbandonati
qua e là. Una cornice di bande diagonali gialle e
nere contrassegnava l'elevatore che portava al livello
inferiore, simile a quello dove si trovavano in quel
momento. L'unico segno di vita era il grande pannello
degli arrivi e delle partenze.
- Cos'è? - chiese Ilah indicandolo, curiosa.
- Il conto alla rovescia. Il “vettore verticale” è
il doppio-v: a fianco il tempo che manca alla sua
partenza. L'altro è uno shuttle in arrivo.
Proprio mentre Miki stava parlando, il conto alla
rovescia a fianco fianco dell'ID dello shuttle scomparve
per far posto all'indicazione “in arrivo”.
- Che culo – disse Ilah contenta – possiamo chiedere
se ci danno un passaggio per tornare indietro.
- Aspetta – disse Miki tetra, attirata dall'ID della
nave in arrivo – Quell'identificativo non mi è nuovo.
- Hey, ora che mi ci fai pensare non c'erano altri
voli programmati per oggi verso questa stazione.
- Sicura?
- No. Ma mi pare che fosse così – Ilah si strinse
nelle spalle, dando poco peso alla cosa.
- Ti pare, eh? Non sei tu quella col cervello cablato? Come
fai a non ricordarti queste cose?
Quella reagì al tono indispettito di Miki alzando la
voce, irritata.
- Credi sia facile cavalcare la Rete? Un giorno ti
porto a fare un giro nel cyberspazio e quando avrò
finito con te non ti ricorderai bene nemmeno il tuo
nome. Magari riesco anche a farti dimagrire!
- Ti riuscirà molto difficile strapazzarmi dopo che
io avrò strapazzato te! - ribatté aspramente, tendendo
istintivamente tutti i muscoli del corpo come se
la ragazzina rappresentasse una minaccia fisica
immediata.
- Seee, come no! Toccami, sfiorami solo con un dito
e vedi che cosa faccio al tuo bel visino, carina!
Ilah alzò la destra con le dita ben stese a raggiera. Le
sue unghie affusolate parvero insolitamente lunghe
e la sua attenzione fu immediatamente catturata.
- Che cazzo hai fatto alle mani? - il tono era
accusatorio. Era impossibile per lei non litigare
con quella insolente ragazzina. Per tutta risposta
quella abbassò immediatamente la mano e si voltò
per allontanarsi, implicitamente ammettendo che
aveva qualcosa da nascondere.
- Ti ho fatto una domanda!
- Sono tutti cazzi miei – fu la sgarbata risposta. La
raggiunse con tre lunghi passi e le si piazzò
davanti. Aveva una voglia matta di afferrarle un
polso e di torcerglielo fino a farle sputare la verità,
ma se i suoi sospetti erano fondati, era la cosa più
sbagliata da fare. Anche se quell'antipatica spilungona
tutta pelle e ossa non aveva certo forza sufficiente
nelle braccia per opporsi.
- Ti sei fatta innestare unghie artificiali, eh? -
le era bastato sommare l'accaduto su Apollo a quel
piccolo episodio.
Ilah sfuggì lo sguardo inquisitore di Miki che con
le mani sui fianchi e l'espressione dura e severa
sul volto incorniciato dalla massa di riccioli scuri
sembrava un leone dalla criniera nera.
- E anche se fosse?
- Cosa aspettavi a dirmelo? - cercava di non darlo a
vedere, ma aveva paura. Quali altre sorprese le
riservava quella giovane scapestrata?
- Dirti cosa? Chettenefrega dei miei innesti? - la
giovane era ancora aggressiva, ma l'aveva messa alle
corde. Almeno così credeva.
- Mi piacerebbe sapere se sono in compagnia di una che
può tagliare una gola senza usare coltelli.
- Che cosa ti cambia? A me piacerebbe sapere se scopi
solo da sdraiata o anche in piedi. Che fai, me lo
dici?
L'arroganza di Ilah, come l'estensione dell'universo,
non pareva conoscere limiti.
- Non è la stessa cosa! Quelli sì che sono fatti miei! -
protestò Miki. Ilah sciolse le braccia che teneva
strettamente incrociate sul petto e mostrò le lunghe
unghie nere, opache. Proprio mentre le osservava
attenta, quella estrasse le unghie artificiali di
pollice, indice e medio di ciascuna mano.
- Ecco fatto, contenta? Sei più tranquilla ora? -
gridò la giovane. No: Miki non era affatto più
tranquilla sapendo che quella viziata aveva unghie
artificiali retrattili lunghe un centimetro e più,
affilatissime.
- Ecco come hai fatto a sfigurare quel tipo...
- Se l'è cercata.
La difesa di Ilah non stava in piedi. La ragazzina era
armata e pericolosa: non solo aveva il cervello cablato
e possedeva una più che buona abilità di hacker, ma aveva
le dita armate di piccoli rasoi con i quali avrebbe
potuto fare davvero male.
- Ricordati di tenere quelle zampe lontane da me –
le ingiunse Miki, che non sapeva più che dire. Era
spaventata, preoccupata, imbarazzata.
- Dormi tranquilla, carina: non ti faccio niente. A
parte salvarti il culo a ripetizione, non ti ho mai
fatto niente di niente.
Si morse la lingua. Senti chi è che salva il culo
di chi, si disse. Proponendosi di scaricare la
presuntuosa bambinetta prodigio alla prima occasione,
stava per rispondere a tono quando un cupo rimbombo
metallico le circondò, rimbalzando tutto intorno nel
grande ambiente in cui si trovavano.
- Cos'è stato? - Miki si sentì forte. Ilah era dotata,
carina, perfino armata ma si spaventava con facilità. Al
rumore degli ormeggi che a poche decine di metri di
distanza da loro si erano agganciati allo scafo
degli ultimi arrivati, era sbiancata di paura.
- Hanno ormeggiato – disse cupa.
- Chi?
- Loro – indicò il grande schermo del terminale
che fungeva da tabellone degli arrivi e delle
partenze. Di fianco all'ID sospetto ora lampeggiava
la scritta “molo 2”.
- Sai chi sono?
- Credo che siano ancora quelli che ci stanno
pedinando. Gli amici di quello che hai sfregiato,
quelli che ci hanno seguite fino al cancello
d'imbarco della Leo Space. Gli stessi che ci pedinano
dall'orbita di Urano. Da prima ancora che io ti
incontrassi, anzi. Sono tenaci, eh?
- Occazzo, no! Non si può scappare da qui,
stavolta. Ma per quale motivo ce l'hanno con noi?
- Ce l'hanno con me – confessò Miki a denti stretti –
Mia madre è un'usuraia. Ricca, potente. Diciamo che
lei crede che io le debba dei soldi.
- E io che mi lamento di mia mamma... - commentò
Ilah, sorpresa.
Stringendo i denti per la rabbia di dover ricominciare
a scappare, Miki si guardò intorno per cercare di
capire quali fossero le vie d'uscita da quella
situazione.
- Se riuscissimo a parlare con quelli dello shuttle e
a farci tornare a bordo, loro non potrebbero
raggiungerci... - si voltò verso Ilah, ma non c'era
più. La trovò inginocchiata sotto il tabellone: aveva
già staccato un riquadro del rivestimento della parete
a filo del pavimento e aveva estratto dei cavi sporchi
e aggrovigliati dall'interno del pannello.
- Che cazzo stai facendo? - le chiese più sgarbatamente
del necessario.
- Quanto tempo abbiamo prima che quelli sbarchino?
- Meno di dieci minuti, il tempo di terminare l'attracco
e agganciare la passerella. Qualcosa di più se
devono equilibrare, ma non farci affidamento.
Tirando i cavi sudici Ilah mise a nudo diversi
connettori. Riconobbe dei cavi dati, probabilmente il
sistema informatico che collegava il pannello degli
arrivi e delle partenze a qualche unità di elaborazione
centralizzata. Immaginò che stesse per compiere l'ennesima
incursione illegale nei sistemi di qualcun altro. In cuor
suo sperava che qualsiasi cosa avesse in mente, la
portasse a buon fine in fretta.
Ilah staccò una spina e la collegò al suo Bolonov. In
fretta e furia si applicò le piastre e bestemmiò
quando una di queste le cadde staccandosi dalla pelle
tatuata della nuca. Evidentemente le piastre avevano
bisogno di un po' di gel superconduttore che fungeva
anche da adesivo. Accese l'adattatore Bolonov e il
volto le si contorse brevemente in una smorfia
sofferente. Miki giudicò che forse era entrata
troppo in fretta. Sempre in ginocchio, curva sul
pannello aperto che rigurgitava i cavi aggrovigliati,
rimase immobile e in silenzio per un tempo che le
parve lunghissimo. All'improvviso esplose in una
risata di gioia quasi isterica, che scemò presto
lasciandole una smorfia soddisfatta sul viso. Poi
finalmente si staccò le piastre con un profondo
sospiro.
- Cazzo! C'è stato qualcuno di molto, molto figo
in questo sistema. Mi pare di riconoscere un certo
stile, ma non ne sono sicura. Spero che non se la
prenda se ho usato qualcuna delle sue scorciatoie. Lo
sapevi che questa piattaforma orbitante è in rete
con il pianeta?
- No. Ha importanza?
- Ho dato una sbirciatina. La rete planetaria è
piccola a confronto di quella delle stazioni, ma
molto interessante – stava arrotolando i cavi del
Bolonov intorno alle piastre, come suo solito. Un
giorno o l'altro quei sottili conduttori si
sarebbero rotti per via della negligenza con
cui erano sempre stati trattati. Ma il pensiero
attraversò solo per un istante la mente di
Miki. Aveva ben altri problemi ora che
l'affidabilità dell'interfaccia della
smorfiosetta.
- Andiamo – disse alzandosi dalla posizione
accucciata. Sentì entrambe le ginocchia della
ragazzina scrocchiare rumorosamente.
- Andiamo dove? - volle sapere, dubbiosa. Odiava
le bambine saccenti e in quel momento Ilah si
stava comportando come tale. Chissà cos'ha visto
nella rete di questo posto, si chiese.
- Ho scaricato un po' di roba nei due giga che
ho in testa. Così non mi rompi più le palle dicendo
che dimentico le cose. La mappa di questo posto, per
cominciare. Non ci sono molti posti dove andare, ma
possiamo andare dappertutto: ho i codici di tutte
le porte.
Si avvicinarono all'elevatore che le portò dolcemente
al piano inferiore. Miki guardò con sospetto e paura
la porta che conduceva al molo, in fondo a un breve
corridoio malandato. Dietro quella porta c'era lo
shuttle dei loro inseguitori, ne era certa. Gli
sgherri di sua madre dovevano aver ricevuto la
promessa di una buona paga per essere così
insistenti.
La porta di uscita dall'atrio era sbloccata e la
serratura illuminata di verde si accese di rosso
dopo che Ilah ebbe usato il codice di chiusura,
ponendo così tra loro e gli ostinati inseguitori
il primo consistente ostacolo.
- Hey, voi! Cosa state combinando?
L'uomo veniva loro incontro con fare aggressivo
provenendo dalla parte opposta del corridoio senza
altre uscite in cui si trovavano in quel momento.
- Ispezione, Garrison. Vediamo di sistemare i
casini di questa stazione cominciando a eliminare
gli incompetenti, che ne dice?
Ilah aveva sfoderato una grinta invidiabile. L'uomo,
alto tanto quanto lei, sembrò farsi immediatamente
piccino e cauto. Evidentemente nei due giga dentro
la testa di Ilah c'era anche qualcosa d'altro oltre
la mappa del posto. Infatti travolse l'uomo non
solo declinandogli la falsa identità rubata (non
aveva dubbi: quella smorfiosa aveva un concetto
molto relativo di proprietà privata, riservatezza
e via dicendo), ma anche snocciolandogli rapidamente
la situazione. Lo convinse a retrocedere con una
raffica di domande, richieste di ottemperare il
regolamento, obbligandolo a eseguire diverse
procedure. Sconfitto, l'impiegato di terzo
livello Maudi Garrison si ritirò rapidamente. Sperò
per andare a fare tutto ciò che Ilah gli
aveva ordinato. Probabilmente non l'avrebbero
più visto.
- Di qua – decisa l'alta ragazzina imboccò la
prima porta a destra nell'ambiente circolare
lindo e pulito che si aprì davanti a loro una
volta giunte al termine del corridoio. Da una
di quelle porte era giunto Garrison, impossibile
per lei dire quale. Tutte le serrature erano
verdi.
Si tuffarono in un altro corridoio, analogo
al primo ma più lungo. Su di questo si aprivano
porte e grandi pannelli di crilex, finestre
che davano su uffici vuoti o con un solo impiegato
sperduto fra diversi terminali spenti, chino
sul proprio lavoro. Ilah raggiunse un piccolo
ascensore, tanto minuscolo da non avere cabina
né porte ed entrambe si fecero portare da esso
al livello inferiore. Qui non c'erano uffici ma
solo porte chiuse e il corridoio era scarsamente
illuminato, segno che forse si trattava di
locali di servizio scarsamente utilizzati. Ilah
percorse tutto il corridoio senza fretta. Giunte
in fondo sentirono il piccolo ascensore animarsi,
risalire al livello superiore e portare giù due
uomini.
- Eccole! - tutto sommato non è così facile
intimidire l'impiegato di terzo livello Garrison,
si disse Miki vedendolo correre verso di loro
accompagnato da un uomo in divisa. Armato.
- Ilah... - si limitò a esprimere l'urgenza del
momento col tono della voce e appoggiò una mano
sulla schiena della ragazzina, come per spingerla
per farla camminare più velocemente.
- Merda... ho visto, ho visto!
Tamburellò con le sue unghie nere sulla tastiera
simbolica della porta che si opponeva loro, e la
serratura si illuminò di verde. Batté il pugno
sul pulsante di apertura fatto a fungo e la porta
si spostò di lato. Con altrettanta rapidità,
varcata la soglia Ilah la chiuse digitando un
nuovo codice di blocco. Miki poteva sentire le
unghie artificiali battere freneticamente sulla
plastica dei tasti.
- Dai, di qua!
Il locale reagì alla loro presenza accendendo
le luci, lunghi tubi azzurri e sfarfallanti. Scaffali,
scaffali ovunque. Alcuni del tutto vuoti lasciavano
vedere altri scaffali. Un magazzino di discrete
dimensioni. Un magazzino con due entrate: la
seconda serratura si arrese sotto le svelte dita
lunghe e affusolate di Ilah e poterono accedere
a un altro corridoio. Voltarono a destra e
proseguirono correndo senza incontrare nessuno. Poi
la giovane scelse una porta che Miki riconobbe. Era
la stessa categoria di porte che venivano usate
sulle astronavi, specialmente nei corridoi
spinali piuttosto lunghi: una paratia stagna.
Una camera d'equilibrio. Fu quella la prima cosa
che pensò vedendo l'ambiente in cui era capitata. Fu
pervasa da un sottile terrore: era possibile togliere
l'atmosfera da quel locale e non c'era in vista nemmeno
la più semplice delle tute da vuoto. La serratura
della porta di fronte, che conduceva chissà dove,
era illuminata di verde. Si precipitò ad aprirla:
nessuna camera di equilibrio poteva essere aperta
sul vuoto, nessuna camera di equilibrio poteva
essere decompressa se una delle due porte era
aperta. Apparve un sudicio portello ermetico, scuro,
incrostato fino all'inverosimile di sporcizia
grumosa che veniva via sbriciolandosi.
- Bleah! Perché non c'è il pulsante di apertura?
- Perché è il portello esterno di qualcosa.
- Questo dovrebbe essere l'accesso alla stiva
del doppio-v, stando alla mappa.
- Ecco spiegato il portello. Questo è lo scafo
esterno del doppio-v. A forza di fare dentro e
fuori dall'atmosfera, è normale che si ricopra
di schifezza. Probabilmente è lo scudo termico
che bruciando si sbriciola e si appiccica
dappertutto.
- Che bello essere amica di un'astronauta –
Ilah la prese in giro ma senza troppa
convinzione.
Visto che Miki non reagiva, la informò che
dalla parte opposta del corridoio c'erano,
secondo la mappa, un mucchio di locali dove
era possibile incontrare un sacco di gente. Tutti
quanti informati della presenza di due
intruse sulla piattaforma orbitante,
presumibilmente. Inoltre non aveva i codici
per bloccare l'apertura della camera di
equilibrio, che evidentemente rispondeva a
un sistema di sicurezza indipendente.
- Hai ragione. Cazzo, non mi piace per niente ma
non abbiamo scelta. Dobbiamo nasconderci qui dentro
almeno per un po'. Per fortuna i doppio-v sono tutti
vecchi rottami. Guarda questo portello: ha ancora
l'apertura manuale dall'esterno.
Miki indicò una massiccia leva a stento
distinguibile dagli altri dettagli del portello
esterno, reso di colore uniforme dalla sporcizia
grumosa bruciata. Lasciò cadere la propria sacca
da viaggio e studiò il meccanismo. Sbloccata una
sicura manuale, la pesante leva sarebbe stata
libera di muoversi e, una volta tirata verso
l'esterno, il portello si sarebbe aperto. Sperò
che le incrostazioni non avessero saldato il
portello allo scafo: era chiaro che da lì non
passava nessuno da parecchio tempo. Rassegnata
a sporcarsi le mani, con un po' di fatica riuscì
a liberare la sicura dal luridume e a sbloccarla. Ma
al primo tentativo la leva di apertura manuale
resistette. Sembrava tutt'uno col metallo del
portello: completamente immobile.
- Beh? - Ilah l'apostrofò impaziente.
- Vuoi provare tu? O hai paura di sporcarti
le manine? - le mostrò i palmi già anneriti. Quella
strinse i denti e sorprendentemente afferrò la
massiccia impugnatura della leva. Ma non ottenne
alcun risultato se non quello di sporcarsi i
palmi di nerofumo.
- È bloccata! Come cazzo facciamo adesso a...
Se ne accorsero immediatamente. Poi i loro piedi
si staccarono dal pavimento poco a poco. Prive
di peso, cominciarono a galleggiare nella
camera d'equilibrio, impotenti.
- Hanno tolto la gravità artificiale! - esclamò
Ilah.
- Sanno dove siamo – la voce mesta di Miki fece
da doloroso contrappunto a quella stridente
della ragazzina.
- Adesso sì che siamo fottute – Ilah si aggrappò
a una sporgenza nel soffitto, il telaio di una
lampada. Miki si spinse con le mani verso il
portello del doppio-v e si aggrappò all'impugnatura
della grande leva metallica completamente
immobilizzata dal disuso.
- Forse ci hanno fatto un favore...
Si afferrò alla leva con entrambe le mani e, con
la lentezza esasperante di chi sa come muoversi in
assenza di peso, fece forza con le braccia fino a
quando poté puntare entrambi i piedi sul metallo
del portello, esattamente nella migliore posizione
per poter agire sulla leva come se stesse sollevando
un manubrio in palestra.
- Bella mossa! - sorrise Ilah, ma senza riuscire
a nascondere l'ansia che le incrinava la voce. Da
un momento all'altro una qualsiasi delle porte alle
loro spalle avrebbe potuto aprirsi e sarebbe stata
la fine della loro fuga.
Miki afferrò meglio che poté la leva e usando
braccia e gambe, cominciò a tirare. Tirò aumentando
gradualmente la forza: se le mani avessero perso la
presa, la spinta delle sue gambe muscolose l'avrebbe
pericolosamente proiettata attraverso il corridoio e
difficilmente avrebbe potuto interrompere il suo volo
in assenza di gravità senza gravi traumi. Sentì la
forza delle gambe scaricarsi sulle braccia, sulle
mani messe a dura prova. In quella posizione accucciata
la tuta le si tendeva sulla pelle assecondando il
gonfiarsi dei muscoli. Sentì dei dolori alla schiena,
probabilmente si stava buscando qualche strappo e
cercò di porre rimedio tenendo la spina dorsale più
dritta possibile. Lo sforzo si concentrò ancor di
più su spalle e braccia, ma soprattutto sulle
mani. Strinse i denti, trattenne il fiato e tese
perfino il collo in uno sforzo estremo mentre
scaricava tutta la potenza che aveva nelle gambe. Dopo
alcuni lunghissimi secondi di silenzio interrotti
solo dai suoni strozzati che emetteva per lo sforzo,
la leva cominciò a cedere scricchiolando. Prima
qualche millimetro, poi si spostò di più e più in
fretta. Poi cedette di schianto di un palmo,
stridendo acutamente. Cambiò la presa sull'impugnatura
e dopo aver ripreso un po' fiato poté aggiungere la
forza dei bicipiti e degli addominali. In più riprese,
faticosamente, la massiccia leva cedette e lo spesso
portello si sbloccò. Ci volle ancora quasi un minuto
per farlo muovere sui propri cardini, ma alla fine
cedette e poterono passare entrambe.