Storie originali > Fantascienza
Segui la storia  |       
Autore: Mannu    06/10/2009    1 recensioni
Miki è costretta su una stazione spaziale clandestina, La Tana, da un debito che non può pagare. Ilah è obbligata ad abbandonare il suo rifugio su La Tana a causa di un debito che non può pagare. Si può pensare a un accordo?
Nota: Il personaggio di Ilah non è completamente mio ma è stato realizzato in stretta collaborazione con Cassiana. Molte parti di questo racconto sono il frutto del suo lavoro. A Cassiana vanno tutti i miei più sentiti ringraziamenti per le idee, la pazienza e il lavoro fatto. A Cassiana va anche la metà dei complimenti (e delle critiche) che questa storiella dovesse ricevere.
Addendum: il titolo era "Miki & Ilah" ed è stato modificato successivamente in "Ogni debito... è un debito". Di nuovo... grazie a Cassiana! Un altro debito!
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Ferraglia spaziale'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ogni debito... è un debito - 6
6.

Trascorse tutto il breve viaggio con l'angoscia di essere smascherata, mentre Ilah dormicchiava nel sedile accanto. Le aveva afferrato un braccio e le aveva posato sulla spalla la testa adorna dei suoi lunghi dread viola tintinnanti per le perline. Aveva pensato con fastidio che la ragazzina fosse abituata a dormire con l'orsetto di pezza. Però la lasciò fare, vinta da un insolito sentimento di tenerezza.
A gettare Miki nell'ombra dell'angoscia era stata la scoperta che lei e Ilah erano le uniche due passeggere. Non c'erano nemmeno hostess a bordo: solo loro due e i piloti. Era un banale volo di collegamento e probabilmente a bordo dello shuttle, che sacrificava molto lo spazio per i passeggeri a favore della stiva di carico, c'era solo merce.
Uno dei piloti, un tipo magro e slanciato, dai rassicuranti capelli grigi e con le complesse mostrine che ne certificavano l'anzianità di servizio, era venuto a trovare le uniche due viaggiatrici. Aveva sostenuto la conversazione come meglio aveva potuto, ma parlando sottovoce era riuscita a indurre l'uomo a porre presto termine alla sua visita di cortesia per non rischiare di svegliare la “sorellina”. Congratulandosi con se stessa per la facilità con cui riusciva a inventare menzogne, si disse decisa a cantarne quattro a quella smorfiosa che dormiva placidamente appoggiata alla sua spalla. Ma non ebbe il coraggio di svegliarla fino alla fine del viaggio, quando lo shuttle ebbe attraccato.
- Siamo già arrivati? - sbadigliò maleducatamente, senza curarsi di mettere la mano davanti alla bocca e deformando le parole.
Una volta scese dallo shuttle poterono ammirare il piccolo ma efficiente hangar della piattaforma orbitante. Sporgendosi oltre un parapetto esile poterono notare come l'hangar fosse aperto sul fondo, sotto i loro piedi. Da quel grande varco presumibilmente era entrato lo shuttle da cui erano appena sbarcate: era di certo mantenuto sigillato da un campo di forza perfettamente trasparente. Il blu e il bianco del pianeta in rotazione riempivano totalmente l'apertura e la tridimensionalità di quella vista provocò le vertigini anche a Miki, che pure era certificata per l'attività EVA e abituata a vedere il pianeta dal vivo.
- Cos'è quello? - Ilah si strinse a Miki indicando una angolosa, meccanica sagoma di un cupo colore bruno, decorata da bande diagonali gialle e nere che si muoveva silenziosamente sotto il ventre dell'astronave. Le spiegò che la stiva dello shuttle veniva scaricata da un trasportatore che era in grado di agganciare i diversi container e portarli allo smistamento della stazione. Lei stessa aveva visto meccanismi del genere in azione in diversi ormeggi commerciali qua e là in tutte le stazioni. Quello era piccolo, ma faceva il suo lavoro bene e in fretta.
- Cosa dobbiamo fare ora? - La passerella che portava allo shuttle era già stata ritirata e quindi non potevano certo tornare indietro da lì. Erano rimaste sole sulla banchina. Lo fece notare a Ilah, che rimase un po' pensierosa.
- Dobbiamo tornare indietro.
- Brava, signorina Vandervelden – la attaccò con tono acido – e come conti di farlo? - mosse la mano sinistra in un gesto ampio che comprese il molo deserto, lo shuttle già sigillato ermeticamente, il vicino portello stagno che portava probabilmente agli ambienti interni della piattaforma. Poi si gettò la sacca dietro la schiena, intenzionata a muoversi. Ma Ilah la anticipò.
- Cominciamo a toglierci da qui che ho freddo.
Si avvicinarono al portello stagno chiuso e ne comandarono l'apertura mediante l'apposito pannello. La malandata porta si aprì con un poco rassicurante raschiare metallico e si richiuse autonomamente alle loro spalle. Percorso un breve corridoio che evidentemente nessuno si curava di pulire, si trovarono in un atrio altrettanto desolato. Intorno a un grande foro nel pavimento cinto da un parapetto c'erano vecchie sedie di plastica dall'accattivante profilo anatomico, ma molto impolverate. C'erano segni del passaggio di esseri umani piuttosto maleducati, passaggio avvenuto in un tempo tanto remoto da giustificare la mummificazione di alcuni avanzi di cibo abbandonati qua e là. Una cornice di bande diagonali gialle e nere contrassegnava l'elevatore che portava al livello inferiore, simile a quello dove si trovavano in quel momento. L'unico segno di vita era il grande pannello degli arrivi e delle partenze.
- Cos'è? - chiese Ilah indicandolo, curiosa.
- Il conto alla rovescia. Il “vettore verticale” è il doppio-v: a fianco il tempo che manca alla sua partenza. L'altro è uno shuttle in arrivo.
Proprio mentre Miki stava parlando, il conto alla rovescia a fianco fianco dell'ID dello shuttle scomparve per far posto all'indicazione “in arrivo”.
- Che culo – disse Ilah contenta – possiamo chiedere se ci danno un passaggio per tornare indietro.
- Aspetta – disse Miki tetra, attirata dall'ID della nave in arrivo – Quell'identificativo non mi è nuovo.
- Hey, ora che mi ci fai pensare non c'erano altri voli programmati per oggi verso questa stazione.
- Sicura?
- No. Ma mi pare che fosse così – Ilah si strinse nelle spalle, dando poco peso alla cosa.
- Ti pare, eh? Non sei tu quella col cervello cablato? Come fai a non ricordarti queste cose?
Quella reagì al tono indispettito di Miki alzando la voce, irritata.
- Credi sia facile cavalcare la Rete? Un giorno ti porto a fare un giro nel cyberspazio e quando avrò finito con te non ti ricorderai bene nemmeno il tuo nome. Magari riesco anche a farti dimagrire!
- Ti riuscirà molto difficile strapazzarmi dopo che io avrò strapazzato te! - ribatté aspramente, tendendo istintivamente tutti i muscoli del corpo come se la ragazzina rappresentasse una minaccia fisica immediata.
- Seee, come no! Toccami, sfiorami solo con un dito e vedi che cosa faccio al tuo bel visino, carina!
Ilah alzò la destra con le dita ben stese a raggiera. Le sue unghie affusolate parvero insolitamente lunghe e la sua attenzione fu immediatamente catturata.
- Che cazzo hai fatto alle mani? - il tono era accusatorio. Era impossibile per lei non litigare con quella insolente ragazzina. Per tutta risposta quella abbassò immediatamente la mano e si voltò per allontanarsi, implicitamente ammettendo che aveva qualcosa da nascondere.
- Ti ho fatto una domanda!
- Sono tutti cazzi miei – fu la sgarbata risposta. La raggiunse con tre lunghi passi e le si piazzò davanti. Aveva una voglia matta di afferrarle un polso e di torcerglielo fino a farle sputare la verità, ma se i suoi sospetti erano fondati, era la cosa più sbagliata da fare. Anche se quell'antipatica spilungona tutta pelle e ossa non aveva certo forza sufficiente nelle braccia per opporsi.
- Ti sei fatta innestare unghie artificiali, eh? - le era bastato sommare l'accaduto su Apollo a quel piccolo episodio.
Ilah sfuggì lo sguardo inquisitore di Miki che con le mani sui fianchi e l'espressione dura e severa sul volto incorniciato dalla massa di riccioli scuri sembrava un leone dalla criniera nera.
- E anche se fosse?
- Cosa aspettavi a dirmelo? - cercava di non darlo a vedere, ma aveva paura. Quali altre sorprese le riservava quella giovane scapestrata?
- Dirti cosa? Chettenefrega dei miei innesti? - la giovane era ancora aggressiva, ma l'aveva messa alle corde. Almeno così credeva.
- Mi piacerebbe sapere se sono in compagnia di una che può tagliare una gola senza usare coltelli.
- Che cosa ti cambia? A me piacerebbe sapere se scopi solo da sdraiata o anche in piedi. Che fai, me lo dici?
L'arroganza di Ilah, come l'estensione dell'universo, non pareva conoscere limiti.
- Non è la stessa cosa! Quelli sì che sono fatti miei! - protestò Miki. Ilah sciolse le braccia che teneva strettamente incrociate sul petto e mostrò le lunghe unghie nere, opache. Proprio mentre le osservava attenta, quella estrasse le unghie artificiali di pollice, indice e medio di ciascuna mano.
- Ecco fatto, contenta? Sei più tranquilla ora? - gridò la giovane. No: Miki non era affatto più tranquilla sapendo che quella viziata aveva unghie artificiali retrattili lunghe un centimetro e più, affilatissime.
- Ecco come hai fatto a sfigurare quel tipo...
- Se l'è cercata.
La difesa di Ilah non stava in piedi. La ragazzina era armata e pericolosa: non solo aveva il cervello cablato e possedeva una più che buona abilità di hacker, ma aveva le dita armate di piccoli rasoi con i quali avrebbe potuto fare davvero male.
- Ricordati di tenere quelle zampe lontane da me – le ingiunse Miki, che non sapeva più che dire. Era spaventata, preoccupata, imbarazzata.
- Dormi tranquilla, carina: non ti faccio niente. A parte salvarti il culo a ripetizione, non ti ho mai fatto niente di niente.
Si morse la lingua. Senti chi è che salva il culo di chi, si disse. Proponendosi di scaricare la presuntuosa bambinetta prodigio alla prima occasione, stava per rispondere a tono quando un cupo rimbombo metallico le circondò, rimbalzando tutto intorno nel grande ambiente in cui si trovavano.
- Cos'è stato? - Miki si sentì forte. Ilah era dotata, carina, perfino armata ma si spaventava con facilità. Al rumore degli ormeggi che a poche decine di metri di distanza da loro si erano agganciati allo scafo degli ultimi arrivati, era sbiancata di paura.
- Hanno ormeggiato – disse cupa.
- Chi?
- Loro – indicò il grande schermo del terminale che fungeva da tabellone degli arrivi e delle partenze. Di fianco all'ID sospetto ora lampeggiava la scritta “molo 2”.
- Sai chi sono?
- Credo che siano ancora quelli che ci stanno pedinando. Gli amici di quello che hai sfregiato, quelli che ci hanno seguite fino al cancello d'imbarco della Leo Space. Gli stessi che ci pedinano dall'orbita di Urano. Da prima ancora che io ti incontrassi, anzi. Sono tenaci, eh?
- Occazzo, no! Non si può scappare da qui, stavolta. Ma per quale motivo ce l'hanno con noi?
- Ce l'hanno con me – confessò Miki a denti stretti – Mia madre è un'usuraia. Ricca, potente. Diciamo che lei crede che io le debba dei soldi.
- E io che mi lamento di mia mamma... - commentò Ilah, sorpresa.
Stringendo i denti per la rabbia di dover ricominciare a scappare, Miki si guardò intorno per cercare di capire quali fossero le vie d'uscita da quella situazione.
- Se riuscissimo a parlare con quelli dello shuttle e a farci tornare a bordo, loro non potrebbero raggiungerci... - si voltò verso Ilah, ma non c'era più. La trovò inginocchiata sotto il tabellone: aveva già staccato un riquadro del rivestimento della parete a filo del pavimento e aveva estratto dei cavi sporchi e aggrovigliati dall'interno del pannello.
- Che cazzo stai facendo? - le chiese più sgarbatamente del necessario.
- Quanto tempo abbiamo prima che quelli sbarchino?
- Meno di dieci minuti, il tempo di terminare l'attracco e agganciare la passerella. Qualcosa di più se devono equilibrare, ma non farci affidamento.
Tirando i cavi sudici Ilah mise a nudo diversi connettori. Riconobbe dei cavi dati, probabilmente il sistema informatico che collegava il pannello degli arrivi e delle partenze a qualche unità di elaborazione centralizzata. Immaginò che stesse per compiere l'ennesima incursione illegale nei sistemi di qualcun altro. In cuor suo sperava che qualsiasi cosa avesse in mente, la portasse a buon fine in fretta.
Ilah staccò una spina e la collegò al suo Bolonov. In fretta e furia si applicò le piastre e bestemmiò quando una di queste le cadde staccandosi dalla pelle tatuata della nuca. Evidentemente le piastre avevano bisogno di un po' di gel superconduttore che fungeva anche da adesivo. Accese l'adattatore Bolonov e il volto le si contorse brevemente in una smorfia sofferente. Miki giudicò che forse era entrata troppo in fretta. Sempre in ginocchio, curva sul pannello aperto che rigurgitava i cavi aggrovigliati, rimase immobile e in silenzio per un tempo che le parve lunghissimo. All'improvviso esplose in una risata di gioia quasi isterica, che scemò presto lasciandole una smorfia soddisfatta sul viso. Poi finalmente si staccò le piastre con un profondo sospiro.
- Cazzo! C'è stato qualcuno di molto, molto figo in questo sistema. Mi pare di riconoscere un certo stile, ma non ne sono sicura. Spero che non se la prenda se ho usato qualcuna delle sue scorciatoie. Lo sapevi che questa piattaforma orbitante è in rete con il pianeta?
- No. Ha importanza?
- Ho dato una sbirciatina. La rete planetaria è piccola a confronto di quella delle stazioni, ma molto interessante – stava arrotolando i cavi del Bolonov intorno alle piastre, come suo solito. Un giorno o l'altro quei sottili conduttori si sarebbero rotti per via della negligenza con cui erano sempre stati trattati. Ma il pensiero attraversò solo per un istante la mente di Miki. Aveva ben altri problemi ora che l'affidabilità dell'interfaccia della smorfiosetta.
- Andiamo – disse alzandosi dalla posizione accucciata. Sentì entrambe le ginocchia della ragazzina scrocchiare rumorosamente.
- Andiamo dove? - volle sapere, dubbiosa. Odiava le bambine saccenti e in quel momento Ilah si stava comportando come tale. Chissà cos'ha visto nella rete di questo posto, si chiese.
- Ho scaricato un po' di roba nei due giga che ho in testa. Così non mi rompi più le palle dicendo che dimentico le cose. La mappa di questo posto, per cominciare. Non ci sono molti posti dove andare, ma possiamo andare dappertutto: ho i codici di tutte le porte.
Si avvicinarono all'elevatore che le portò dolcemente al piano inferiore. Miki guardò con sospetto e paura la porta che conduceva al molo, in fondo a un breve corridoio malandato. Dietro quella porta c'era lo shuttle dei loro inseguitori, ne era certa. Gli sgherri di sua madre dovevano aver ricevuto la promessa di una buona paga per essere così insistenti.
La porta di uscita dall'atrio era sbloccata e la serratura illuminata di verde si accese di rosso dopo che Ilah ebbe usato il codice di chiusura, ponendo così tra loro e gli ostinati inseguitori il primo consistente ostacolo.
- Hey, voi! Cosa state combinando?
L'uomo veniva loro incontro con fare aggressivo provenendo dalla parte opposta del corridoio senza altre uscite in cui si trovavano in quel momento.
- Ispezione, Garrison. Vediamo di sistemare i casini di questa stazione cominciando a eliminare gli incompetenti, che ne dice?
Ilah aveva sfoderato una grinta invidiabile. L'uomo, alto tanto quanto lei, sembrò farsi immediatamente piccino e cauto. Evidentemente nei due giga dentro la testa di Ilah c'era anche qualcosa d'altro oltre la mappa del posto. Infatti travolse l'uomo non solo declinandogli la falsa identità rubata (non aveva dubbi: quella smorfiosa aveva un concetto molto relativo di proprietà privata, riservatezza e via dicendo), ma anche snocciolandogli rapidamente la situazione. Lo convinse a retrocedere con una raffica di domande, richieste di ottemperare il regolamento, obbligandolo a eseguire diverse procedure. Sconfitto, l'impiegato di terzo livello Maudi Garrison si ritirò rapidamente. Sperò per andare a fare tutto ciò che Ilah gli aveva ordinato. Probabilmente non l'avrebbero più visto.
- Di qua – decisa l'alta ragazzina imboccò la prima porta a destra nell'ambiente circolare lindo e pulito che si aprì davanti a loro una volta giunte al termine del corridoio. Da una di quelle porte era giunto Garrison, impossibile per lei dire quale. Tutte le serrature erano verdi.
Si tuffarono in un altro corridoio, analogo al primo ma più lungo. Su di questo si aprivano porte e grandi pannelli di crilex, finestre che davano su uffici vuoti o con un solo impiegato sperduto fra diversi terminali spenti, chino sul proprio lavoro. Ilah raggiunse un piccolo ascensore, tanto minuscolo da non avere cabina né porte ed entrambe si fecero portare da esso al livello inferiore. Qui non c'erano uffici ma solo porte chiuse e il corridoio era scarsamente illuminato, segno che forse si trattava di locali di servizio scarsamente utilizzati. Ilah percorse tutto il corridoio senza fretta. Giunte in fondo sentirono il piccolo ascensore animarsi, risalire al livello superiore e portare giù due uomini.
- Eccole! - tutto sommato non è così facile intimidire l'impiegato di terzo livello Garrison, si disse Miki vedendolo correre verso di loro accompagnato da un uomo in divisa. Armato.
- Ilah... - si limitò a esprimere l'urgenza del momento col tono della voce e appoggiò una mano sulla schiena della ragazzina, come per spingerla per farla camminare più velocemente.
- Merda... ho visto, ho visto!
Tamburellò con le sue unghie nere sulla tastiera simbolica della porta che si opponeva loro, e la serratura si illuminò di verde. Batté il pugno sul pulsante di apertura fatto a fungo e la porta si spostò di lato. Con altrettanta rapidità, varcata la soglia Ilah la chiuse digitando un nuovo codice di blocco. Miki poteva sentire le unghie artificiali battere freneticamente sulla plastica dei tasti.
- Dai, di qua!
Il locale reagì alla loro presenza accendendo le luci, lunghi tubi azzurri e sfarfallanti. Scaffali, scaffali ovunque. Alcuni del tutto vuoti lasciavano vedere altri scaffali. Un magazzino di discrete dimensioni. Un magazzino con due entrate: la seconda serratura si arrese sotto le svelte dita lunghe e affusolate di Ilah e poterono accedere a un altro corridoio. Voltarono a destra e proseguirono correndo senza incontrare nessuno. Poi la giovane scelse una porta che Miki riconobbe. Era la stessa categoria di porte che venivano usate sulle astronavi, specialmente nei corridoi spinali piuttosto lunghi: una paratia stagna.
Una camera d'equilibrio. Fu quella la prima cosa che pensò vedendo l'ambiente in cui era capitata. Fu pervasa da un sottile terrore: era possibile togliere l'atmosfera da quel locale e non c'era in vista nemmeno la più semplice delle tute da vuoto. La serratura della porta di fronte, che conduceva chissà dove, era illuminata di verde. Si precipitò ad aprirla: nessuna camera di equilibrio poteva essere aperta sul vuoto, nessuna camera di equilibrio poteva essere decompressa se una delle due porte era aperta. Apparve un sudicio portello ermetico, scuro, incrostato fino all'inverosimile di sporcizia grumosa che veniva via sbriciolandosi.
- Bleah! Perché non c'è il pulsante di apertura?
- Perché è il portello esterno di qualcosa.
- Questo dovrebbe essere l'accesso alla stiva del doppio-v, stando alla mappa.
- Ecco spiegato il portello. Questo è lo scafo esterno del doppio-v. A forza di fare dentro e fuori dall'atmosfera, è normale che si ricopra di schifezza. Probabilmente è lo scudo termico che bruciando si sbriciola e si appiccica dappertutto.
- Che bello essere amica di un'astronauta – Ilah la prese in giro ma senza troppa convinzione.
Visto che Miki non reagiva, la informò che dalla parte opposta del corridoio c'erano, secondo la mappa, un mucchio di locali dove era possibile incontrare un sacco di gente. Tutti quanti informati della presenza di due intruse sulla piattaforma orbitante, presumibilmente. Inoltre non aveva i codici per bloccare l'apertura della camera di equilibrio, che evidentemente rispondeva a un sistema di sicurezza indipendente.
- Hai ragione. Cazzo, non mi piace per niente ma non abbiamo scelta. Dobbiamo nasconderci qui dentro almeno per un po'. Per fortuna i doppio-v sono tutti vecchi rottami. Guarda questo portello: ha ancora l'apertura manuale dall'esterno.
Miki indicò una massiccia leva a stento distinguibile dagli altri dettagli del portello esterno, reso di colore uniforme dalla sporcizia grumosa bruciata. Lasciò cadere la propria sacca da viaggio e studiò il meccanismo. Sbloccata una sicura manuale, la pesante leva sarebbe stata libera di muoversi e, una volta tirata verso l'esterno, il portello si sarebbe aperto. Sperò che le incrostazioni non avessero saldato il portello allo scafo: era chiaro che da lì non passava nessuno da parecchio tempo. Rassegnata a sporcarsi le mani, con un po' di fatica riuscì a liberare la sicura dal luridume e a sbloccarla. Ma al primo tentativo la leva di apertura manuale resistette. Sembrava tutt'uno col metallo del portello: completamente immobile.
- Beh? - Ilah l'apostrofò impaziente.
- Vuoi provare tu? O hai paura di sporcarti le manine? - le mostrò i palmi già anneriti. Quella strinse i denti e sorprendentemente afferrò la massiccia impugnatura della leva. Ma non ottenne alcun risultato se non quello di sporcarsi i palmi di nerofumo.
- È bloccata! Come cazzo facciamo adesso a...
Se ne accorsero immediatamente. Poi i loro piedi si staccarono dal pavimento poco a poco. Prive di peso, cominciarono a galleggiare nella camera d'equilibrio, impotenti.
- Hanno tolto la gravità artificiale! - esclamò Ilah.
- Sanno dove siamo – la voce mesta di Miki fece da doloroso contrappunto a quella stridente della ragazzina.
- Adesso sì che siamo fottute – Ilah si aggrappò a una sporgenza nel soffitto, il telaio di una lampada. Miki si spinse con le mani verso il portello del doppio-v e si aggrappò all'impugnatura della grande leva metallica completamente immobilizzata dal disuso.
- Forse ci hanno fatto un favore...
Si afferrò alla leva con entrambe le mani e, con la lentezza esasperante di chi sa come muoversi in assenza di peso, fece forza con le braccia fino a quando poté puntare entrambi i piedi sul metallo del portello, esattamente nella migliore posizione per poter agire sulla leva come se stesse sollevando un manubrio in palestra.
- Bella mossa! - sorrise Ilah, ma senza riuscire a nascondere l'ansia che le incrinava la voce. Da un momento all'altro una qualsiasi delle porte alle loro spalle avrebbe potuto aprirsi e sarebbe stata la fine della loro fuga.
Miki afferrò meglio che poté la leva e usando braccia e gambe, cominciò a tirare. Tirò aumentando gradualmente la forza: se le mani avessero perso la presa, la spinta delle sue gambe muscolose l'avrebbe pericolosamente proiettata attraverso il corridoio e difficilmente avrebbe potuto interrompere il suo volo in assenza di gravità senza gravi traumi. Sentì la forza delle gambe scaricarsi sulle braccia, sulle mani messe a dura prova. In quella posizione accucciata la tuta le si tendeva sulla pelle assecondando il gonfiarsi dei muscoli. Sentì dei dolori alla schiena, probabilmente si stava buscando qualche strappo e cercò di porre rimedio tenendo la spina dorsale più dritta possibile. Lo sforzo si concentrò ancor di più su spalle e braccia, ma soprattutto sulle mani. Strinse i denti, trattenne il fiato e tese perfino il collo in uno sforzo estremo mentre scaricava tutta la potenza che aveva nelle gambe. Dopo alcuni lunghissimi secondi di silenzio interrotti solo dai suoni strozzati che emetteva per lo sforzo, la leva cominciò a cedere scricchiolando. Prima qualche millimetro, poi si spostò di più e più in fretta. Poi cedette di schianto di un palmo, stridendo acutamente. Cambiò la presa sull'impugnatura e dopo aver ripreso un po' fiato poté aggiungere la forza dei bicipiti e degli addominali. In più riprese, faticosamente, la massiccia leva cedette e lo spesso portello si sbloccò. Ci volle ancora quasi un minuto per farlo muovere sui propri cardini, ma alla fine cedette e poterono passare entrambe.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantascienza / Vai alla pagina dell'autore: Mannu