8.
Quando i semplici meccanismi a cremagliera
si misero in moto poiché finalmente toccava
al loro container, Ilah strozzò un gemito in
gola. Terrorizzata ma troppo orgogliosa per
darlo a vedere, si disse Miki un poco spaventata
a sua volta. L'idea che la IA annoiata e
chiacchierona aveva avuto per farle uscire era
decisamente avventurosa: cavalcare un container
di piccole dimensioni, di forma rettangolare,
senza un solo punto di appiglio. Non avevano
osato contraddirla: tutto il doppio-v era sotto
il controllo della mente artificiale, incluso
il sistema di sostentamento vitale. Le Tre
Leggi avrebbero dovuto proteggerle, ma se
avessero perso la vita non sarebbe stata la
prima volta che succedeva a causa di una IA
difettosa.
Se ne stavano sdraiate sul ventre per non farsi
vedere da eventuali operatori e per non rischiare
di perdere l'equilibrio e cadere. Nascoste sopra
un container di classe K o L, abbastanza piccolo
da essere caricato su un modesto veicolo,
speravano di allontanarsi dalle strutture di
smistamento passando inosservate. Infatti il
veicolo molto probabilmente non sarebbe
transitato per il deposito. Spesso le merci
che dovevano venire consegnate con urgenza
in città venivano caricate proprio in container
piccoli e leggeri, trasportati a bordo di
automezzi facilmente manovrabili nelle strade
cittadine e svuotati strada facendo.
Sferragliando, vibrando e sussultando il container
col suo insolito carico aggiuntivo scese dalla parte
alta della stiva. Miki guardava con preoccupazione
le ruote elicoidali, sporche e anche un po' troppo
usurate, che scorrevano nei binari dentati. Aveva
già visto quel sistema di caricamento altre volte
e sapeva che in assenza di manutenzione poteva
incepparsi o deragliare.
La sua pelle sudata la avvisò di un primo
abbassamento della temperatura. Aveva aperto
la tuta e sfilato le braccia dalle maniche
per legarle in vita tanto soffocante era il
caldo. Ilah resisteva stoicamente dentro i suoi
abiti consumati indossati l'uno sopra
l'altro. L'ingresso nell'atmosfera era stato
abbastanza traumatico e la temperatura nel
vano di carico era aumentata tanto da rendere
percepibile lo sbalzo termico anche là dove
loro avevano trascorso tutto il tempo, nel
corridoio di servizio. La IA non aveva smesso
un momento di parlare, assillando entrambe
con ore di chiacchiere inutili. Purtroppo
nemmeno la delicata fase di apertura dei
paracadute l'aveva assorbita molto: essendo
una intelligenza artificiale di un tipo
piuttosto versatile e potente aveva acquisito
una tale dimestichezza col doppio-v da
potersi permettere di fare due o più cose
contemporaneamente.
Scendendo lentamente lungo le cremagliere
del sistema di caricamento e ancoraggio del
carico che gemeva e mugolava sonoramente,
anche la luce cominciò a cambiare: il
doppio-v aveva aperto le enormi paratie
inferiori che davano accesso direttamente
alla stiva di carico e da lì entravano
luce e aria. A giudicare dal riverbero
che proveniva dal basso, Miki ipotizzò
che fuori fosse pieno giorno. Finalmente
il container decelerò per la fase finale:
i movimenti a bassa velocità per il
caricamento su qualche veicolo erano
iniziati. Miki sapeva che i veicoli più
piccoli venivano portati fin sotto il
doppio-v per essere caricati più in fretta,
ma non si ricordava che i container di
quella classe fossero così tanto bassi.
- Più a destra!
Sobbalzò all'udire quella voce maschile
così netta e vicina. Il container era così
basso da consentirle di vedere una testa di
lunghi capelli grigi e bianchi mentre si
allontanava offrendole la nuca. L'uomo
indossava la giacca della divisa di un'azienda
di trasporti. La testa emerse sempre più
dal bordo del container man mano che si
allontanava. Se si fosse voltato, l'avrebbe
vista di certo. All'uomo sarebbe bastato
alzare gli occhi. Improvvisamente da dietro
un enorme container di classe D posato al
suolo poco lontano spuntò un altro uomo
in divisa che teneva gli occhi bassi su
un apparecchio portatile. Lei ebbe un tuffo
al cuore e non esitò ad appiattirsi il
più possibile contro il metallo sporco e
ancora tiepido del tetto del contenitore. La
guancia premuta sulla vernice vecchia color
del piombo le comunicò contrastanti
sensazioni: il tepore del metallo, la
scabrosità della superficie sporca e
graffiata, le vibrazioni del meccanismo
di caricamento che le risalivano dallo
zigomo fino alle ossa del collo. Ilah
vicino a lei si mosse facendo strisciare
i pesanti stivali anfibi e producendo un
rumore che le parve sonoro come una
cannonata e che le riempì le budella
di pungiglioni.
L'uomo dai capelli grigi e lunghi, lasciati
negligentemente arruffati sulle spalle le
dava ancora le spalle. Porse un badge
all'altro che lo posò per un istante sul
datapad portatile per la lettura. Avuto
indietro il documento, ricevette uno
sbrigativo cenno di saluto dal collega
che tornò a dedicarsi a qualunque cosa
ci fosse dietro il container di classe
D posato lì vicino. Se solo quello avesse
alzato gli occhi dal suo datapad portatile,
l'avrebbe vista.
Ma fu il trasportatore dai capelli bianchi
a spaventarla davvero, tanto da farle
digrignare i denti. Tanto che sentì rombare
il sangue nelle orecchie e che le si annebbiò
la vista per un istante. Salutato il collega
sbrigativo e distratto, lo spedizioniere si
voltò e le fece l'occhiolino.
Non c'era alcun dubbio. Le aveva sorriso e
strizzato l'occhio con fare complice. I capelli
disordinati contrastavano con il loro colore
chiaro sulla pelle abbronzata del viso, la
bocca piegata in una smorfia intrigante. Nella
città di al-Qahira le razze degli uomini
si incrociavano a tal punto che era divenuto
impossibile trovare qualcuno il cui sangue
fosse puro, ma quell'uomo mostrava ancora
evidenti nei suoi lineamenti le sue origini
europee. Vestiva comunemente sotto la giacca
dell'azienda per cui lavorava e Miki lo guardò
con gli occhi sbarrati e il respiro fermo mentre
si avvicinava alla cabina di guida come se nulla
fosse. Un attimo dopo sentì aprirsi lo sportello,
la turbina avviarsi e poi di nuovo udì sbattere
la lamiera. Con uno strappo del motore elettrico,
che evidentemente aveva bisogno di una revisione,
il mezzo da trasporto si mosse con loro due sopra.
Scivolarono via da sotto l'ombra del ventre cavo
del doppio-v e furono sommerse da un mare di luce e
calore. Il sole, che Miki conosceva bene ma che Ilah
non aveva mai visto, era alto nel cielo terso e
azzurro. Ilah emise un altro lungo gemito, a metà
fra la sofferenza e lo stupore. Il veicolo sobbalzò
violentemente su un dosso di gomma e poi acquistò
velocità.
- Miki! Sento qualcosa sulla pelle...
Voltò la testa verso la ragazzina, trasognata e
preoccupata contemporaneamente. Non riusciva a
tenere gli occhi aperti per il bagliore. Presto
le lacrime cominciarono a sgorgarle dalle palpebre
serrate. Sapeva bene di cosa si trattava: anche lei
sentiva la carezza del sole sulla pelle nuda della
schiena e delle braccia.
- È il sole. È particolarmente forte a queste
latitudini. Non cercare di guardarlo.
- Oddio, mi farà male? È come se qualcosa di invisibile
mi toccasse... brucia! - si lamentò Ilah.
- Dovremo trovare un po' d'ombra e poi cercare
delle protezioni. Abiti o crema solare, vedremo.
Miki si voltò sulla schiena non senza preoccupazioni:
di tanto in tanto le ruote del veicolo da trasporto
incappavano in qualche buco nella strada logora e
rischiavano di essere disarcionate. Con acrobazie e
contorsionismi riuscì a infilarsi nuovamente la tuta
e a coprirsi meglio: preferiva sudare un po' piuttosto
che rischiare una scottatura dolorosa. Ricordava ancora
quando, adolescente, orgogliosa del suo primo succinto
bikini si era addormentata sul lettino vicino alla
piscina, una di quelle della grande villa della
madre. Le ustioni al petto, a gambe e braccia e
perfino al viso l'avevano tormentata per una decina
di giorni. Per tacer della febbre che l'aveva
costretta a letto.
Finalmente il veicolo da trasporto perse velocità e
si accostò a destra in quella che era stata una piazzola
di sosta: la scarsa manutenzione della strada non
aveva risparmiato l'asfalto che in più punti aveva
ceduto spaccandosi e affossandosi
profondamente. Dondolando in modo preoccupante
per le sconnessioni si arrestò.
- Forza, giù da lì voi due!
La voce dell'uomo le raggiunse con immediatezza,
quasi a sottolineare il rumore dello sportello che
si era aperto di slancio. Miki poteva vedere la
sommità della testa grigia e dai capelli un po'
radi muoversi vicino al fianco del container. La
turbina girava ancora ronzando acutamente segno
che le bobine accumulatrici dovevano essere
scariche.
Buttò giù il proprio sacco da viaggio e poi
si lasciò cadere con cautela giù dal container,
non senza sollievo. Finalmente poteva mettere i
piedi per terra e vedere bene in faccia
quell'uomo. Ansiosa di sapere se era caduta
dalla padella alla brace, non si interessò
nemmeno a Ilah che strizzava gli occhi,
ancora un po' abbagliata.
- Fai piano tu: qui la gravità non si
può regolare – disse l'uomo anticipando
le domande di Miki e offrendo galantemente
la mano a Ilah. Questa la afferrò ma senza
guardare in viso l'uomo. Una volta che i
suoi anfibi maldestramente dipinti di rosso
furono ben piantati sull'asfalto coperto da
uno strato di sabbia e sassolini, esclamò
meravigliata.
- Occazzo! Tu!
L'uomo le sorrise: una smorfia da mascalzone
su un viso scurito dal sole e che nonostante
l'età era molto attraente. Miki si sentì
minacciata come donna da quell'individuo:
con quegli occhi penetranti, dall'iride
castana striata da schegge più chiare, quel
sorriso disarmante, poteva colpire al
cuore.
- Ah, vi conoscete? - Miki represse lo stupore
e assunse un atteggiamento difensivo. Non era
la prima volta che si trovava a mal partito con
Ilah, ma ora la smorfiosa stava davvero superando
ogni aspettativa.
- Sì! Cioè... no! Voglio dire... è Jerrylex! - Ilah
era entusiasta e sorrideva, sorpresa e felice come
una bambina sommersa di regali bellissimi. Miki
era lieta che gli occhi dell'uomo si fossero
appuntati ora sulla ragazzina.
- Chiedo scusa per l'ignoranza – Miki cercò di
nascondere il tono acido nella voce e, spostato
il peso su un solo piede, attese con le braccia
conserte che qualcuno le spiegasse cosa stava
accadendo.
- Ma come fai a non sapere chi è? - esplose
Ilah, agitandosi come non l'aveva mai vista fare. Era
tanto esaltata che aveva estratto le unghie
senza accorgersene; Miki colse lo sguardo
preoccupato dell'uomo chiamato Jerrylex cui
il dettaglio delle unghie retrattili non era
sfuggito.
- Scusa ma...
- È Jerrylex! Quello che ha bucato la Yasuda-Lejeune,
quello che è stato in Rete cinquantadue ore
senza farsi bruciare! Ha fatto tremare le ossa
di tanta di quella gente che nemmeno si ricorda. Ai
tempi si diceva che bruciasse le interfacce
dei pivelli così!
Schioccò le dita e si rese conto che le unghie
sporgevano troppo. Facendo finta di nulla le
ritrasse immediatamente, ma aveva ormai perso
lo slancio e si interruppe quanto bastò per
permettere all'uomo di schermirsi dietro una
cortina di modestia che a Miki suonò falsa
come il suo nome.
- E tu sei quella che ha frugato tra i miei
attrezzi su alla piattaforma – concluse puntando
un dito contro Ilah. A Miki parve che la
ragazzina avvampasse in viso ancora di più
di quanto già lo fosse.
- Te l'avevo detto che c'era stato qualcuno
di molto figo in quella rete, no?
Miki emise un monosillabo nasale come risposta:
la situazione stava prendendo una piega poco
simpatica. Sopportare Ilah era difficile e
sarebbe stato ancora peggio se quel Jerrylex
fosse diventato suo alleato. Come se non
bastasse, sembrava che entrambe si fossero
appena indebitate fino al collo proprio con
lui.
- Non restiamo troppo qua fermi: la Stradale
ha altro da fare che correre dietro a me, ma
non voglio rischiare nulla.
- Cosa rischiamo? - volle sapere Miki mentre
prendeva posto sulla stretta panca posteriore
nella cabina del veicolo. Ilah si accomodò
a fianco del conducente.
- Un controllo, ovviamente.
- E quindi?
- Non è mai troppo igienico farsi trovare
alla guida di un camion rubato.