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Autore: Mannu    09/10/2009    1 recensioni
Miki è costretta su una stazione spaziale clandestina, La Tana, da un debito che non può pagare. Ilah è obbligata ad abbandonare il suo rifugio su La Tana a causa di un debito che non può pagare. Si può pensare a un accordo?
Nota: Il personaggio di Ilah non è completamente mio ma è stato realizzato in stretta collaborazione con Cassiana. Molte parti di questo racconto sono il frutto del suo lavoro. A Cassiana vanno tutti i miei più sentiti ringraziamenti per le idee, la pazienza e il lavoro fatto. A Cassiana va anche la metà dei complimenti (e delle critiche) che questa storiella dovesse ricevere.
Addendum: il titolo era "Miki & Ilah" ed è stato modificato successivamente in "Ogni debito... è un debito". Di nuovo... grazie a Cassiana! Un altro debito!
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ferraglia spaziale'
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Miki & Ilah - 8
8.

Quando i semplici meccanismi a cremagliera si misero in moto poiché finalmente toccava al loro container, Ilah strozzò un gemito in gola. Terrorizzata ma troppo orgogliosa per darlo a vedere, si disse Miki un poco spaventata a sua volta. L'idea che la IA annoiata e chiacchierona aveva avuto per farle uscire era decisamente avventurosa: cavalcare un container di piccole dimensioni, di forma rettangolare, senza un solo punto di appiglio. Non avevano osato contraddirla: tutto il doppio-v era sotto il controllo della mente artificiale, incluso il sistema di sostentamento vitale. Le Tre Leggi avrebbero dovuto proteggerle, ma se avessero perso la vita non sarebbe stata la prima volta che succedeva a causa di una IA difettosa.
Se ne stavano sdraiate sul ventre per non farsi vedere da eventuali operatori e per non rischiare di perdere l'equilibrio e cadere. Nascoste sopra un container di classe K o L, abbastanza piccolo da essere caricato su un modesto veicolo, speravano di allontanarsi dalle strutture di smistamento passando inosservate. Infatti il veicolo molto probabilmente non sarebbe transitato per il deposito. Spesso le merci che dovevano venire consegnate con urgenza in città venivano caricate proprio in container piccoli e leggeri, trasportati a bordo di automezzi facilmente manovrabili nelle strade cittadine e svuotati strada facendo.
Sferragliando, vibrando e sussultando il container col suo insolito carico aggiuntivo scese dalla parte alta della stiva. Miki guardava con preoccupazione le ruote elicoidali, sporche e anche un po' troppo usurate, che scorrevano nei binari dentati. Aveva già visto quel sistema di caricamento altre volte e sapeva che in assenza di manutenzione poteva incepparsi o deragliare.
La sua pelle sudata la avvisò di un primo abbassamento della temperatura. Aveva aperto la tuta e sfilato le braccia dalle maniche per legarle in vita tanto soffocante era il caldo. Ilah resisteva stoicamente dentro i suoi abiti consumati indossati l'uno sopra l'altro. L'ingresso nell'atmosfera era stato abbastanza traumatico e la temperatura nel vano di carico era aumentata tanto da rendere percepibile lo sbalzo termico anche là dove loro avevano trascorso tutto il tempo, nel corridoio di servizio. La IA non aveva smesso un momento di parlare, assillando entrambe con ore di chiacchiere inutili. Purtroppo nemmeno la delicata fase di apertura dei paracadute l'aveva assorbita molto: essendo una intelligenza artificiale di un tipo piuttosto versatile e potente aveva acquisito una tale dimestichezza col doppio-v da potersi permettere di fare due o più cose contemporaneamente.
Scendendo lentamente lungo le cremagliere del sistema di caricamento e ancoraggio del carico che gemeva e mugolava sonoramente, anche la luce cominciò a cambiare: il doppio-v aveva aperto le enormi paratie inferiori che davano accesso direttamente alla stiva di carico e da lì entravano luce e aria. A giudicare dal riverbero che proveniva dal basso, Miki ipotizzò che fuori fosse pieno giorno. Finalmente il container decelerò per la fase finale: i movimenti a bassa velocità per il caricamento su qualche veicolo erano iniziati. Miki sapeva che i veicoli più piccoli venivano portati fin sotto il doppio-v per essere caricati più in fretta, ma non si ricordava che i container di quella classe fossero così tanto bassi.
- Più a destra!
Sobbalzò all'udire quella voce maschile così netta e vicina. Il container era così basso da consentirle di vedere una testa di lunghi capelli grigi e bianchi mentre si allontanava offrendole la nuca. L'uomo indossava la giacca della divisa di un'azienda di trasporti. La testa emerse sempre più dal bordo del container man mano che si allontanava. Se si fosse voltato, l'avrebbe vista di certo. All'uomo sarebbe bastato alzare gli occhi. Improvvisamente da dietro un enorme container di classe D posato al suolo poco lontano spuntò un altro uomo in divisa che teneva gli occhi bassi su un apparecchio portatile. Lei ebbe un tuffo al cuore e non esitò ad appiattirsi il più possibile contro il metallo sporco e ancora tiepido del tetto del contenitore. La guancia premuta sulla vernice vecchia color del piombo le comunicò contrastanti sensazioni: il tepore del metallo, la scabrosità della superficie sporca e graffiata, le vibrazioni del meccanismo di caricamento che le risalivano dallo zigomo fino alle ossa del collo. Ilah vicino a lei si mosse facendo strisciare i pesanti stivali anfibi e producendo un rumore che le parve sonoro come una cannonata e che le riempì le budella di pungiglioni.
L'uomo dai capelli grigi e lunghi, lasciati negligentemente arruffati sulle spalle le dava ancora le spalle. Porse un badge all'altro che lo posò per un istante sul datapad portatile per la lettura. Avuto indietro il documento, ricevette uno sbrigativo cenno di saluto dal collega che tornò a dedicarsi a qualunque cosa ci fosse dietro il container di classe D posato lì vicino. Se solo quello avesse alzato gli occhi dal suo datapad portatile, l'avrebbe vista.
Ma fu il trasportatore dai capelli bianchi a spaventarla davvero, tanto da farle digrignare i denti. Tanto che sentì rombare il sangue nelle orecchie e che le si annebbiò la vista per un istante. Salutato il collega sbrigativo e distratto, lo spedizioniere si voltò e le fece l'occhiolino.
Non c'era alcun dubbio. Le aveva sorriso e strizzato l'occhio con fare complice. I capelli disordinati contrastavano con il loro colore chiaro sulla pelle abbronzata del viso, la bocca piegata in una smorfia intrigante. Nella città di al-Qahira le razze degli uomini si incrociavano a tal punto che era divenuto impossibile trovare qualcuno il cui sangue fosse puro, ma quell'uomo mostrava ancora evidenti nei suoi lineamenti le sue origini europee. Vestiva comunemente sotto la giacca dell'azienda per cui lavorava e Miki lo guardò con gli occhi sbarrati e il respiro fermo mentre si avvicinava alla cabina di guida come se nulla fosse. Un attimo dopo sentì aprirsi lo sportello, la turbina avviarsi e poi di nuovo udì sbattere la lamiera. Con uno strappo del motore elettrico, che evidentemente aveva bisogno di una revisione, il mezzo da trasporto si mosse con loro due sopra.
Scivolarono via da sotto l'ombra del ventre cavo del doppio-v e furono sommerse da un mare di luce e calore. Il sole, che Miki conosceva bene ma che Ilah non aveva mai visto, era alto nel cielo terso e azzurro. Ilah emise un altro lungo gemito, a metà fra la sofferenza e lo stupore. Il veicolo sobbalzò violentemente su un dosso di gomma e poi acquistò velocità.
- Miki! Sento qualcosa sulla pelle...
Voltò la testa verso la ragazzina, trasognata e preoccupata contemporaneamente. Non riusciva a tenere gli occhi aperti per il bagliore. Presto le lacrime cominciarono a sgorgarle dalle palpebre serrate. Sapeva bene di cosa si trattava: anche lei sentiva la carezza del sole sulla pelle nuda della schiena e delle braccia.
- È il sole. È particolarmente forte a queste latitudini. Non cercare di guardarlo.
- Oddio, mi farà male? È come se qualcosa di invisibile mi toccasse... brucia! - si lamentò Ilah.
- Dovremo trovare un po' d'ombra e poi cercare delle protezioni. Abiti o crema solare, vedremo.
Miki si voltò sulla schiena non senza preoccupazioni: di tanto in tanto le ruote del veicolo da trasporto incappavano in qualche buco nella strada logora e rischiavano di essere disarcionate. Con acrobazie e contorsionismi riuscì a infilarsi nuovamente la tuta e a coprirsi meglio: preferiva sudare un po' piuttosto che rischiare una scottatura dolorosa. Ricordava ancora quando, adolescente, orgogliosa del suo primo succinto bikini si era addormentata sul lettino vicino alla piscina, una di quelle della grande villa della madre. Le ustioni al petto, a gambe e braccia e perfino al viso l'avevano tormentata per una decina di giorni. Per tacer della febbre che l'aveva costretta a letto.
Finalmente il veicolo da trasporto perse velocità e si accostò a destra in quella che era stata una piazzola di sosta: la scarsa manutenzione della strada non aveva risparmiato l'asfalto che in più punti aveva ceduto spaccandosi e affossandosi profondamente. Dondolando in modo preoccupante per le sconnessioni si arrestò.
- Forza, giù da lì voi due!
La voce dell'uomo le raggiunse con immediatezza, quasi a sottolineare il rumore dello sportello che si era aperto di slancio. Miki poteva vedere la sommità della testa grigia e dai capelli un po' radi muoversi vicino al fianco del container. La turbina girava ancora ronzando acutamente segno che le bobine accumulatrici dovevano essere scariche.
Buttò giù il proprio sacco da viaggio e poi si lasciò cadere con cautela giù dal container, non senza sollievo. Finalmente poteva mettere i piedi per terra e vedere bene in faccia quell'uomo. Ansiosa di sapere se era caduta dalla padella alla brace, non si interessò nemmeno a Ilah che strizzava gli occhi, ancora un po' abbagliata.
- Fai piano tu: qui la gravità non si può regolare – disse l'uomo anticipando le domande di Miki e offrendo galantemente la mano a Ilah. Questa la afferrò ma senza guardare in viso l'uomo. Una volta che i suoi anfibi maldestramente dipinti di rosso furono ben piantati sull'asfalto coperto da uno strato di sabbia e sassolini, esclamò meravigliata.
- Occazzo! Tu!
L'uomo le sorrise: una smorfia da mascalzone su un viso scurito dal sole e che nonostante l'età era molto attraente. Miki si sentì minacciata come donna da quell'individuo: con quegli occhi penetranti, dall'iride castana striata da schegge più chiare, quel sorriso disarmante, poteva colpire al cuore.
- Ah, vi conoscete? - Miki represse lo stupore e assunse un atteggiamento difensivo. Non era la prima volta che si trovava a mal partito con Ilah, ma ora la smorfiosa stava davvero superando ogni aspettativa.
- Sì! Cioè... no! Voglio dire... è Jerrylex! - Ilah era entusiasta e sorrideva, sorpresa e felice come una bambina sommersa di regali bellissimi. Miki era lieta che gli occhi dell'uomo si fossero appuntati ora sulla ragazzina.
- Chiedo scusa per l'ignoranza – Miki cercò di nascondere il tono acido nella voce e, spostato il peso su un solo piede, attese con le braccia conserte che qualcuno le spiegasse cosa stava accadendo.
- Ma come fai a non sapere chi è? - esplose Ilah, agitandosi come non l'aveva mai vista fare. Era tanto esaltata che aveva estratto le unghie senza accorgersene; Miki colse lo sguardo preoccupato dell'uomo chiamato Jerrylex cui il dettaglio delle unghie retrattili non era sfuggito.
- Scusa ma...
- È Jerrylex! Quello che ha bucato la Yasuda-Lejeune, quello che è stato in Rete cinquantadue ore senza farsi bruciare! Ha fatto tremare le ossa di tanta di quella gente che nemmeno si ricorda. Ai tempi si diceva che bruciasse le interfacce dei pivelli così!
Schioccò le dita e si rese conto che le unghie sporgevano troppo. Facendo finta di nulla le ritrasse immediatamente, ma aveva ormai perso lo slancio e si interruppe quanto bastò per permettere all'uomo di schermirsi dietro una cortina di modestia che a Miki suonò falsa come il suo nome.
- E tu sei quella che ha frugato tra i miei attrezzi su alla piattaforma – concluse puntando un dito contro Ilah. A Miki parve che la ragazzina avvampasse in viso ancora di più di quanto già lo fosse.
- Te l'avevo detto che c'era stato qualcuno di molto figo in quella rete, no?
Miki emise un monosillabo nasale come risposta: la situazione stava prendendo una piega poco simpatica. Sopportare Ilah era difficile e sarebbe stato ancora peggio se quel Jerrylex fosse diventato suo alleato. Come se non bastasse, sembrava che entrambe si fossero appena indebitate fino al collo proprio con lui.
- Non restiamo troppo qua fermi: la Stradale ha altro da fare che correre dietro a me, ma non voglio rischiare nulla.
- Cosa rischiamo? - volle sapere Miki mentre prendeva posto sulla stretta panca posteriore nella cabina del veicolo. Ilah si accomodò a fianco del conducente.
- Un controllo, ovviamente.
- E quindi?
- Non è mai troppo igienico farsi trovare alla guida di un camion rubato.
   
 
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