14
SETTEMBRE venerdì
Il
trillare del telefono sul comodino
la svegliò. Ancora confusa dal sonno, afferrò la
cornetta e rispose con una voce
flebile.
-
Chiara! – le
urlò Federica dall’altro capo del filo –
mi hai fatto preoccupare, non rispondevi neanche a telefono! Ma cosa ti
è
successo? Sono quasi le nove e sei ancora a casa?
-
Scusa, Fede, ma non mi sento bene,
oggi non vengo a lavoro - le rispose mentre la pena tornava a serrarle
la gola
con il ricordo di quanto era successo la sera prima.
-
C’è qualcosa che non va? Vengo da te?
-
Ma no, no, ho solo un forte mal
di testa.
Perdonatemi se oggi resto a
casa, non è nulla di grave e tra qualche ora
starò già meglio, però non ce la
faccio proprio a venire.
Non
aveva la forza di raccontare cosa
era successo e sperava che la collega credesse ad un semplice malessere e la lasciasse in pace,
almeno per quella
mattina.
-
Ok, riposati e, mi raccomando, chiama
se hai bisogno di qualcosa.
Quando
Federica posò il telefono incontrò
lo sguardo interrogativo di Rossana.
-
Non viene. Ha mal di testa – le
spiegò.
-
E va bene, però, pure lei! Con tutto
il daffare che c’è oggi e con quello lì
–
alludeva al capo - che
sta più
pazzo del solito! La scema sono io ad aver costretto mia suocera a
venire
stamattina presto per tenermi Ciro con il febbrone. Se sapevo, me ne stavo
anch’io a casa e chi si è visto
si è visto!
-
Hai ragione, ma ti assicuro, Chiara
sta proprio male in questo periodo.
Subito
rabbonita, l’amica commentò:
-
Già, me ne sono accorta, non sono
cieca sai, ed anche se voi due mi
tenete fuori dalle
vostre confidenze, forse ho capito anche il perché: si
è innamorata di qualcuno
che non la ricambia.
Federica
era in dubbio se rivelare alla
collega le cause del malessere di Chiara. In realtà anche
Rossana le voleva
molto bene e quando voleva, sapeva essere anche riservata.
- “Inoltre
– pensò – potrebbe aiutarmi a
tirarla fuori da questa storia perché sono certa che quella
lì è il tipo capace
di morire davvero per amore: è drammatica di
natura”.
Stava
quasi per confidarsi quando il
capo entrò come una furia e cominciò ad urlare
istruzioni sulle cose da fare in
giornata.
**
Chiara
era rimasta ancora un po’ a
letto rendendosi conto che la sua non era solo una scusa. Aveva davvero
un mal
di testa feroce. Tra l’altro, un fastidioso pizzicore tra il
naso e la gola le
preannunciava l’arrivo di un raffreddore con i fiocchi.
Decise di prendere due
aspirine, ma siccome aveva lo stomaco vuoto, andò in cucina
a prepararsi prima
una tazza di latte. Mentre lo sorseggiava, sforzandosi anche di mandare
giù
qualche biscotto con un po’ di miele, guardava fuori dai
vetri il cielo plumbeo
minacciare ancora una volta il temporale.
L’estate
passata sembrava ormai un
ricordo lontano e quella prossima era solo una vaga speranza lontana
nel tempo.
La disperazione di qualche ora prima si era trasformata nella solita,
sottile
malinconia, perché sapeva che anche se tutto era grigio e
cupo, non bisognava
perdere la forza di andare avanti.
Si
sentiva in colpa per aver lasciato
di nuovo le colleghe da sole in un momento tanto delicato, ma aveva
fatto bene
a non andare a lavorare, era venerdì ed avrebbe avuto tre
giorni pieni per
starsene chiusa nella sua tana a leccarsi le ferite come un animaletto.
Dopo si
sarebbe ripresa ed avrebbe ritrovato la forza di affrontare di nuovo il
mondo.
Ora,
con la luce del giorno, non le
sembrava fosse avvenuto nulla di così grave.
Lei era la stessa della mattina prima solo aveva
confessato a Massimo di
amarlo. E allora? Che differenza faceva? Non aveva avuto nessuna remora
a farlo
entrare fisicamente dentro di sé e adesso si vergognava di
avergli aperto il
suo animo per rivelargli qualcosa che con ogni probabilità
già sapeva
benissimo? D’altronde avergli finalmente detto ciò
che provava per lui era
stato di sicuro meglio che tenerselo per sé. Almeno
così non avrebbe
dovuto più
portarsi lo scrupolo di
essere stata lei a rifiutarlo. Certo sarebbe stata dura rivederlo dopo
quella
scena drammatica degna
delle migliori
sceneggiate napoletane a cui si era abbandonata la sera precedente, ma
forse ora
lui per primo l’avrebbe evitata come la peste
perché, e di questo ne era certa,
era troppo sincero per dare illusioni sbagliate ad una innamorata
delusa.
Forse
era venuto il momento di riprendere
a volersi un po’ di bene. Fece una bella doccia con un bagno
schiuma alle
spezie e si cosparse il corpo di crema. Si mise anche una mascherina
sugli
occhi e se ne stette buona buona per un quarto d’ora
rilassata sul divano ad
ascoltare il rumore della pioggia, cercando di scacciare ogni pensiero.
Avrebbe
dovuto anche farsi uno sciampo e mettere il balsamo per rimediare al
groviglio
di riccioli arruffati che erano diventati i suoi capelli dopo lo stress
del
fono e della pioggia, ma non arrivava a volersi così tanto
bene. Indossò invece
un paio di ciabatte comode, un pantaloncino corto blu ed una maglia di
filo molto
confortevole ma mezzo sformata che le scendeva ora su una spalla ora
sull’altra. Sentiva il bisogno di fare qualcosa per non impazzire stando a
rimuginare i suoi tristi
pensieri e così decise di fare lei le pulizie pesanti anche
se il lunedì
successivo sarebbe venuta Agnieska.
-
“Da lei mi farò pulire il terrazzo,
forse lunedì sarà tornato il sereno”
– si disse.
Uscì
fuori per
verificare i danni provocati dalla pioggia. Il glicine
aveva perso ormai
tutte le foglie, molti rami delle rose erano spezzati ed i fiori di
gelsomino
che solo qualche tempo prima avevano fatto sentire con tanta
intensità il loro
profumo, erano tutti sul pavimento bagnato. Solo un rametto di geranio
sembrava
aver sfidato la bufera e con il rosa dei suoi fiori bagnati di pioggia,
brillava ad un flebile raggio di sole spuntato in quel momento tra le
nubi
nere.
La
ragazza allungò una mano e lo
accarezzò con tenerezza.
**
Le
succursali della loro azienda in
Campania erano a Napoli ed a Salerno e per questo i giovani ispettori
da un po’
erano costretti a fare la spola tra queste due città senza
peraltro incontrare
eccessive difficoltà. Con la fine del periodo estivo
purtroppo non sarebbe
stato più così. Già quella mattina, la
pioggia del giorno prima e la riapertura
delle scuole avevano causato uno di quei blocchi di traffico che solo a
Napoli possono
essere così drammatici.
Giacomo,
alla guida della sua auto,
imprecava di continuo mentre Massimo accanto a lui era molto silenzioso
e quasi
sembrava non essersi accorto del fatto che da oltre un quarto
d’ora erano
fermi in un ingorgo senza riuscire a
raggiungere l’ingresso dell’autostrada.
Aveva
passato una notte pessima,
riuscendo a riposare solo un po’ all’alba ed anche
quel poco di sonno era stato
molto agitato. Aveva pensato solo a Chiara ed a quanto era successo. Non vedeva l’ora
che venisse la sera perché
aveva una gran voglia di prenderla tra le braccia e dirle quanto le
voleva un
bene. Sperava però di trovarla meno agitata della sera
precedente perché
quell’esplosione di passionalità così
drammatica lo aveva disorientato mentre
invece aveva voglia che il loro
rapporto ritornasse sereno e giocoso così come era iniziato.
-
Insomma si può sapere cos’hai? – lo
interrogò il collega oramai stufo di quel silenzio
ingrugnato – Dovresti essere
contento, ieri hai fatto pure conquiste!
Lui
lo guardò assorto quasi come se
quelle parole tardassero a farsi strada tra i suoi pensieri, poi
realizzò cosa
stava dicendo e si affrettò a spiegargli:
-
Ti riferisci a Valeria per caso? Non
me ne importa assolutamente nulla di lei.
-
Allora perché sei così pensieroso?
Per Chiara? Le lanciavi cere occhiate di fuoco ieri sera! Certo era
proprio
bellina, però si
vedeva che era assai nervosa.
Forse … Scusa.
Il
cellulare che squillava da qualche
secondo lo aveva costretto ad interrompere quanto stava dicendo. Era il
loro
capo il quale si mostrò molto contrariato dal fatto che
fossero ancora indietro
con il lavoro su Salerno. Giacomo cercò in ogni modo di
rabbonirlo
assicurandogli che tutto sarebbe stato concluso per la data prevista e
nel
frattempo lanciava sguardi di rassegnazione all’amico
sedutogli accanto.
Però
Massimo non l’ascoltava affatto.
Un pensiero l’aveva colpito e lo faceva stare male: se Chiara
era già agitata
durante la cena, così come aveva notato Giacomo, cosa le era
successo dopo il
crollo nervoso avuto quando erano rimasti da soli?
Conoscendola, intuiva quanto doveva esserle costata
quella resa senza condizioni. Lei, sempre così gelosa di
mostrare i propri
sentimenti, si era lasciata andare in quel modo solo per dirgli che lo
amava. Anche lui
sapeva di amarla e l’aveva lasciata
andare proprio per non approfittare di quella temporanea debolezza, ma
era stato
un vero stupido. Rimandando i chiarimenti a quando sarebbe stata
più calma, non
aveva capito che era proprio in quel momento che Chiara aveva bisogno
di essere
consolata e rassicurata. Forse si era sentita respinta e, sensibile
com’era,
doveva averne sofferto moltissimo. Come aveva potuto essere
così fesso da non
pensarci?
-
Uffa, questo qui è proprio scemo!
Forse ci ha preso per Batman e Robin senza capire in quali condizioni
ci tocca lavorare
qui! – stava intanto protestando Giacomo
posando il cellulare.
Ma
Massimo aveva un’altra urgenza.
-
Fammi il piacere, accosta, devo
scendere assolutamente - gli disse.
-
Sei impazzito per caso? Vuoi
andartene? E che ci vado da solo a Salerno? – si
lamentò l’altro, stupefatto.
-
Ti prego, amico mio, è importante:
devo andare da Chiara.
-
Da Chiara? Adesso? E come ci arrivi?
Non lo vedi che è tutto bloccato?
-
Non lo so, ma devo andare da lei, non
posso aspettare fino a stasera!
-
L’avevo detto io che questa volta eri
cotto di brutto! Ma dai, pensaci, – tentò ancora
di farlo ragionare – la vedrai
stasera e poi domani è sabato e potrai stare tutto il week
end con lei.
-
No devo andarci subito. Te lo chiedo
per favore...
-
E va bene, vai. Però se chiama di
nuovo Doria cosa
gli dico?
-
Digli che stamattina dovevo chiarire
una cosa che forse cambierà tutto il mio futuro.
È troppo importante per me, il
resto non conta nulla.
**
Purtroppo
andare da Chiara risultò
più semplice a dirsi che a farsi. Non
gli fu possibile trovare un taxi per raggiungere l’ufficio ed
i mezzi pubblici
erano tutti fermi nel traffico, vuoti, con le porte aperte e gli
autisti con le
facce rassegnate.
In
condizioni normali Massimo si
sarebbe messo ad imprecare contro quella città del cavolo,
ma ora non era in
condizioni normali. Avviandosi a piedi, continuava a darsi dello
stupido per
come si era comportato la sera precedente. Troppo preso dal suo
orgoglio, ferito
dal comportamento distaccato della
donna, non si era reso conto dell’evidenza che aveva colpito
persino un estraneo
come Giacomo e cioè che Chiara stava soffrendo. Solo adesso,
nel ripensarci,
gli appariva chiaro come la sua freddezza fosse stata troppo accentuata
per
essere naturale. E poi era dimagrita
parecchio
in poco tempo ed a tavola aveva appena toccato cibo, segno che non
stava bene.
Aggiungendo a tutto questo il ricordo di quegli occhioni neri
traboccanti di
lacrime, non poteva fare a meno di sentirsi un verme per aver esitato
ancora
una volta davanti a tutto quell’amore e a quella dolcezza
offertagli senza
pretendere nulla in cambio. Mai più, ne era certo, sarebbe
stato amato in quel
modo!
Fu
costretto a ripararsi sotto ad un
portone dalla pioggia scrosciante perché non aveva neanche
l’ombrello. Nel
frattempo pensava a come avrebbe dovuto comportasi nel rivederla. Il
suo
impulso sarebbe stato quello di prenderla solo tra le braccia e di
baciarla,
ma poiché
l’avrebbe incontrata sul luogo
di lavoro, un simile approccio era naturalmente da scartare. Si sarebbe
dovuto
mantenere calmo e magari invitarla ad andare a prendere un
caffè, cercando
comunque di non far trasparire con gli altri la propria emozione.
In
mente sua si era preparato nei
minimi particolari la scena e così, quando finalmente - ed
erano già le undici
- riuscì
ad entrare nella stanza delle ragazze,
era piuttosto calmo.
C’era
soltanto Rossana che scriveva al
computer. Deluso, guardò la scrivania vuota del suo amore.
-
Ciao Rossana, dov’è Chiara? – le
chiese di getto, dimenticandosi che si era ripromesso di essere
prudente.
La
giovane donna lo guardò e fu come se
la classica lampadina le si fosse accesa nella testa.
-
“Allora è lui! – pensò
divertita –
Però! La colombella questa volta ha volato alto, si capisce
che ne è uscita
malconcia!”
Intanto,
mentre rifletteva su questo,
l’espressione addolorata ed ansiosa di quel bel viso le
fecero capire di avere
di fronte un uomo innamorato. Stava per rispondergli, quando dalla
porta
entrarono Federica e Raimondi. Quest’ultimo appena vide
Massimo pensò che fosse
stato mandato da Doria e l’aggredì quasi.
-
Corona, guardi che l’ho già detto al
suo capo stamattina: è inutile che mi stiate addosso, io sto
facendo del mio
meglio. Cosa ci posso fare io se ho questo staff? - si
lamentò - Uno che non ha
pronti i dati, una che si è fatta soffiare la sala e
quest’altra qui che si fa
venire il mal di testa proprio il giorno in cui doveva rientrare dalle
ferie –
aggiunse indicando con rabbia la scrivania vuota di Chiara.
-
Ma lei saprà cavarsela lo stesso –
gli rispose l’ispettore
con un
sorrisetto gelido – D’altra parte le strategie
delle grandi battaglie le
preparano sempre i generali, non certo i soldati. Sono sicuro che lei
da bravo
capo qual è saprà infondere ai suoi soldati la
calma necessaria per ottenere la
vittoria. Non è così?
Aveva
usato quei termini pomposi per
metterlo volutamente in ridicolo e l’altro, un po’
interdetto e senza sapere
cosa rispondere, si limitò a rivolgersi a Rossana.
- Vieni dentro, devo
dettarti una lettera – le
ordinò e si allontanò senza neanche salutare.
-
Ti darei un bacio, lo giuro – gli sussurrò
quest’ultima mentre, armata di notes e penna, si affrettava a
seguire il
principale.
Rimasti
soli, Massimo guardò Federica.
-
Che cos’ha? Perché non è venuta a
lavoro? – le chiese implorandola con gli occhi.
-
Questo dovresti saperlo più tu che io
– gli rispose l’altra, piuttosto gelida -
Già ieri stava male ma quando l’ho
sentita poco fa stava davvero uno straccio. Perciò sono io a
chiederlo a te: si
può sapere che accidenti le hai fatto?
-
Dovrei dirti piuttosto cosa non le ho
fatto, ma adesso devo correre da lei – concluse
in fretta, poi aggiunse
- Fammi
un piacere, Fede, telefona a Sara Cori e fammi mettere in ferie per
oggi.
Grazie, io scappo.
Dopo
un poco Rossana ritornò in ufficio
e guardando la collega commentò:
-
Che fine ha fatto Massimo? È andato
da Chiara forse? E pensare che mi sono fatta tutte le ferie con lo
scrupolo di
averla lasciata da sola alle prese con l’ispettore quella
mattina del 14 agosto
ed invece … meno male che me ne sono andata prima.
-
Credi? – le chiese l’amica perplessa ma
anche sollevata perché, a quanto pareva, aveva capito tutto
senza bisogno di
indiscrezioni da parte sua.
-
Stammi a sentire, quello ha tutto
l’aria di esserne innamorato. Beata lei! Ma forse tutto
sommato non la invidio:
sai che fatica si fa a tenersi uno così, specialmente per
una come Chiara così poco
sicura di sé - continuò Rossana.
-
Che faccio, la chiamo e glielo dico
che sta andando da lei? -
le chiese
l’altra, contenta di non dover decidere tutto da sola.
-
Scherzi? La conosci
bene la nostra Chiaretta. È capace
di mettere su una delle sue strategie difensive e di mandarlo in
bianco, quel
povero ragazzo. Facciamoci i fatti nostri e lasciamoli a sbrigarsela da
soli.
Aveva
ragione. Federica pensò di aver
fatto male a non fidarsi di Rossana perché era una donna
intelligente e molto
più profonda di quanto non sembrasse.
**
Anche
arrivare a casa di Chiara fu
un’impresa non da poco. Un corteo di disoccupati aveva finito
di bloccare del
tutto il traffico già in tilt dalla mattina e per giunta la
metropolitana era
guasta.
Per
fortuna una giovane vigilessa, a
cui peraltro Massimo apparve come una visione di sogno in quella
mattinata di
merda, fu molto gentile e gli spiegò come doveva fare per
raggiungere a piedi la
funicolare che lo avrebbe portato al quartiere dove abitava la ragazza.
Quando
ci arrivò erano quasi le dodici
e trenta, ma dopo l’inferno attraversato, la tranquilla
strada residenziale gli
sembrò come un‘oasi di pace. C’era una
scuola elementare da cui erano appena
usciti due bambini che entrarono nel palazzo di lei. Ne
approfittò per entrare
dietro di loro senza annunciare la sua visita.
Al
suono del campanello Chiara sospese spazzare
il parquet. Doveva essere la signora Teresa che forse aveva udito il
rumore e
desiderava controllare. Era una bella scocciatura, ma d’altra
parte la vicina
si era presa molte premure per lei
quando la primavera precedente si era beccata
l’influenza. Non
era proprio il caso di non aprirle. Ad
ogni buon conto decise di non posare la scopa e di non togliersi
nemmeno i
guanti di gomma per dimostrarle di essere indaffarata a fare le pulizie
di casa
e non avere quindi tempo per le chiacchiere.
Aprì
l’uscio con disinvoltura e per
poco non le prese un infarto quando vide Massimo con la giacca su di
una spalla,
i capelli bagnati ed un’espressione indecifrabile sul viso.
Non riuscì né a
parlare né a spostarsi per lasciarlo entrare, tanto che lui
le chiese:
- Mi fai entrare o restiamo
così sulla porta?
Senza
fiatare si fece da parte, lo fece
entrare e richiuse l’uscio alle sue spalle, appoggiandosi
alla porta come se
stesse per cadere. Alla fine trovò la forza di sussurrare:
- Che ci fai qui?
-
Una prova, sto facendo una prova. –
le rispose molto seriamente ed al suo sguardo interrogativo,
proseguì - Ho affrontato
il traffico, la metropolitana rotta, un corteo di disoccupati. Sono
stanco,
affamato, bagnato e nervoso. E poi Doria sta come un pazzo per non
parlare del
tuo capo il quale sembra addirittura una belva. In quanto a te -
soggiunse
guardandola dalla testa ai piedi, compresa la scopa che si era
dimenticata di
posare – non mi pare tu sia al top del fascino muliebre
…
-
E allora? – chiese la ragazza con un
filo di voce.
-
Se ti amo così tanto dopo tutto
questo, vuol dire che ti amerò per sempre - concluse lui con
un sorriso che gli
illuminò il viso fino a quel momento serissimo.
-
Ma tu … ma io … ma ieri sera … -
riuscì soltanto a balbettare Chiara tremando
dall’emozione.
Nell’ingresso
c’era una bassa consolle
sulla quale la ragazza teneva sempre una composizione di fiori secchi
che però
quel giorno non c’era perché la stava spolverando
in cucina. Massimo le prese
la scopa dalle mani e l’appoggiò delicatamente al
muro dopodiché prese Chiara, la
sollevò tra le braccia come una bambina e la mise a sedere
sul mobile senza che
lei muovesse un solo muscolo per impedirlo. Le divaricò le
gambe e le si fece
vicino con il busto, impedendole così di cadere. Ora il viso di lei era
più in alto per cui
dovette alzare gli occhi per guardarla.
-
Ieri sono stato un cretino. Che vuoi
farci, io sembro perspicace ed intelligente ma in realtà
sono assai tonto. E
poi non sopporto le
lacrime, la
sofferenza e gli amori tragici, per non parlare delle passioni
sconvolgenti che
mi fanno addirittura scappare! Ma in fondo che motivo abbiamo noi due
per
essere infelici? Tu hai detto di amarmi nonostante tutti i miei difetti
ed io
mi sono accorto di amarti da morire. Anzi… –
aggiunse con un sorriso simpatico ed
alzando le sopracciglia – quale morire!? Sono sicuro di
amarti tanto da poter vivere
con te una vita intera ed essere
sempre felice come lo sono oggi!
-
Sei sicuro? Ma come, così
all’improvviso? - obiettò la ragazza con un filo
di voce mentre gli teneva gli
avambracci sulle spalle, senza poterlo toccare a causa dei guanti di
gomma.
-
Improvviso? Oggi fa un mese che ci
siamo incontrati. Non te lo ricordi più?
-
Certo che me lo ricordo!
Gli
aveva rivolto uno sguardo così
carico d’amore che l’uomo non riuscì a
trattenersi e le baciò le labbra più e
più volte, intercalando i baci alle parole:
-
Cosa … volevi …
allora … che … una testa
… di cavolo … come
me … ci mettesse meno di un mese … a capire
… che la sua vita … era cambiata …
a causa di … una streghetta …?
A
questo punto Chiara non si
trattenne più
e serrandogli la testa con
l’avambraccio, lo costrinse ad incollare la bocca alla sua in
un bacio profondo
a cui si abbandonò con tutta l’anima.
Massimo
si infiammò subito e
prendendola di nuovo in braccio, la portò di peso nella
stanza dove la buttò di
traverso sul letto ancora disfatto.
Si
tolse i vestiti gettandoli sul
pavimento e lo fece così in fretta che nel frattempo la
ragazza era appena
riuscita a togliersi quei maledetti guanti di gomma e la maglietta.
Allora
l’aiutò a togliersi il reggiseno, poi la fece
stendere e con le mani impazienti
le slacciò il pantaloncino sfilandoglielo insieme agli slip
per fare più in
fretta mentre lei sollevava il bacino per agevolarlo. Quando fu
spogliata, si
distese
accanto a lei, prendendola tra le braccia, ma se ne stette immobile, il
bel
viso stravolto dal desiderio a poca distanza dalla sua faccia. Con una
mano le
teneva il mento e la guardava con gli occhi diventati di un azzurro
cupo per le
emozioni che gli attraversavano l’anima.
Aveva
sempre pensato che l’espressione
“possedere una donna” fosse esagerata. Come si fa
possedere un altro essere?
Eppure in quel momento, lo sguardo innamorato perso in quello di
Chiara, i loro
respiri che si confondevano, ebbe
la
certezza che sì, lei era sua come nessun’altra
prima, lui stesso le apparteneva
ed insieme erano una sola cosa in un meraviglioso completamento
reciproco.
Avrebbe voluto fermare quell’istante, ma la bella bocca
così vicina alla sua lo
attirava come un frutto goloso. La baciò e nel farlo si
abbandonò con foga alla
passione perché una tale frenesia aveva bisogno di sfogarsi
altrimenti lo
avrebbe fatto impazzire.
La
ragazza intuì che quella volta
non ce
l’avrebbe fatta a stare dietro al
suo impeto. Era travolto dall’ardore, era una forza della
natura, come la
pioggia che adesso picchiava violenta sui vetri. Ma
non le importava. Lei, come la terra inaridita da tanta
siccità, se ne sentiva
vivificata mentre lo stringeva forte e gli accarezzava con tenerezza la
schiena
e le spalle. Anche se in futuro sarebbe stata con lui tantissime altre
volte ed
avrebbe avuto un godimento mille volte più grande, mai più avrebbe
provato una gioia simile perché in
quel momento Massimo la stava amando
davvero,
non solo nel corpo ma anche nell’anima.
Quando
si placò, non lo lasciò
andare ma se lo tenne stretto, carezzandogli
la nuca mentre se ne restava con la guancia contro la sua morbida di
barba. Quando
infine lui sollevò il viso a guardarla, Chiara
notò che i suoi occhi, dopo l’appagamento
dell’amore, avevano ripreso
la
limpidezza di un mare cristallino.
-
Perdonami, – le sussurrò – mi sono
comportato come un selvaggio, ma non ce l’ho fatta a
trattenermi di più, ti
desideravo troppo!
La
ragazza provò un brivido d’amore e
scostandogli i
capelli dal viso un po’
sudato, gli mormorò:
-
È stato bellissimo, tesoro mio, è
stato meraviglioso.
Un
sorrisetto divertito gli increspò
le labbra per poi illuminargli il
viso mentre assumeva quella sua espressione malandrina così
seducente.
- Bene!
Se mi hai trovato meraviglioso anche quando le mie
capacità amatorie sono
state così scarse vuol dire che abbiamo superato
un’altra prova! – le disse
ridendo.
-
Ma che dici, non ti
capisco. Cosa sono queste
“prove” di cui stai parlando da quando sei venuto?
– gli chiese.
-
Come, non ti ricordi di quella volta
a Sorrento? Le prospettive che avrebbero fatto scappare persino Romeo?
Ebbene,
come vedi siamo qui, nonostante oggi sia andato tutto storto.
Però adesso
– s’interruppe per darle un bacio
tenerissimo – voglio
sottoporti ad un’altra prova. Lo so che ti piacerebbe che
restassi a farti tante
coccole, ma io adesso mi alzerò ed andrò a fumare
una sigaretta sul terrazzo.
Sto morendo dalla voglia!
Si
alzò a sedere sul
letto e, raccattando i suoi indumenti
dal pavimento, cominciò a rivestirsi.
Chiara
si mise in ginocchio dietro di
lui, lo cinse con entrambe le braccia e gli riempì di baci
il collo e le spalle.
-
La puoi fumare anche qui la tua
sigaretta, scemo! – gli disse piena d’allegria.
-
Nooooo in camera da letto! -
le fece voltandosi a guardarla e fingendosi
scandalizzato – E poi
qualche piccola prova dobbiamo pur lasciarla per il futuro
o le vogliamo
fare tutte oggi?
Le
lanciò un bacetto con la punta delle
dita e se ne andò fuori.
**
Chiara
rimase ancora un po’ a
crogiolarsi nel letto disfatto, poi andò in bagno a lavarsi.
Indossò una
vestaglietta azzurra e si ravvivò i capelli.
Pensò di truccarsi un po’, ma poi
decise che se Massimo l’amava, doveva amarla così
al naturale, anche se era
brutta.
Ed
invece non era brutta affatto. Il
colore della vestaglia le ravvivava il colorito e gli occhi le
brillavano come
un cielo di notte perché la felicità li accendeva
del bagliore delle stelle.
Raggiunse
il suo uomo sul terrazzo.
Aveva
smesso di povere e c’era un
profumo molto intenso di terra bagnata mentre il cielo grigio si
rispecchiava
nel mare minaccioso.
Massimo
era appoggiato alla ringhiera e
guardava il panorama. Stava ancora fumando.
-
“Deve essere già la seconda sigaretta.
Dovrebbe proprio toglierselo questo brutto vizio!”
– pensò Chiara.
Però
si pentì subito di aver avuto quel
pensiero: doveva cercare
di controllare
le proprie manie e paure, provare
ad
essere più tollerante e comprensiva, meno rigida, usare
tutta la sua volontà
per evitare che quell’uomo meraviglioso si stancasse del loro
rapporto. Però,
se nonostante tutti i suoi sforzi alla fine sarebbe accaduto
… pazienza, almeno
avrebbe vissuto di sicuro con lui il più bel periodo di
felicità che la vita
poteva mai riservarle.
Trepidante,
si avvicinò, lo prese
sottobraccio e gli appoggiò il capo sulla spalla.
Lui
si voltò a guardarla e le sorrise,
beandosi della felicità che le leggeva negli occhi.
Le
disse:
-
Stavo pensando: chissà se la
tua amica Roberta ti venderebbe tutto
l’appartamento.
-
E che me ne faccio, sono 140 mq, non
credi che sarebbero un po’ troppi per me sola?
-
Veramente stavo pensando anche che
potrei venire a vivere qui con te e
lasciare quell’albergo così
squallido. Che ne dici, mi sopporteresti?
Chiara
si sentì invadere dalla
gioia.
- Ma certo! –
esclamò - Questa parte della
casa è piccolina, però ci staremo lo stesso
benissimo in due. Anzi, te lo
prometto, ti lascerò anche fumare in casa. E pazienza se
dovrò sopportare il
fumo passivo per qualche mese! - scherzò.
Massimo
la fissò dritto negli occhi.
-
E se
non si trattasse solo di qualche mese? – le
chiese molto serio.
All’espressione
stupita di lei, provò a
spiegarle.
-
L’avvocato Doria mi aveva promesso di lasciarmi
scegliere la mia sede
definitiva. Di sicuro mi accontenterebbe se gli chiedessi di venire qui. Oppure potrei accettare
l’offerta di Dario ed
andare a lavorare con lui. Insomma,
in un
modo o nell’altro potrei venire a stare a
Napoli. A questo punto, considerato
che ho qualche risparmio da parte, potremmo provare a comprare tutta la casa. Forse dovremmo
chiedere un mutuo –
aggiunse quasi con timidezza - Certo se fossimo sposati potremmo averlo
più
facilmente.
-
No, no! – si affrettò a dire lei.
-
No al mutuo o no al matrimonio? – le
chiese, fingendosi perplesso.
Ma
Chiara era troppo agitata per
afferrare il tono scherzoso con cui le aveva chiesto una risposta.
-
Non è questo – protestò - Come fai a
parlare già di matrimonio? È una cosa
così definitiva e tu detesti le cose
definitive, me lo hai ripetuto tante volte – poi abbassando
il viso per non
guardarlo negli occhi, aggiunse – Io non voglio chiederti
tanto, non ce n’è
bisogno. Ci ameremo e
basta.
-
È
vero, lo dicevo –
ammise lui – ma
adesso è tutto cambiato e solo l’idea di
perderti mi fa stare male. Se anche tu mi ami e pensi di riuscire a
fidarti di
un testone come me, matrimonio o no,
credo
che riuscirò a farti felice e ad esserlo anch’io. Che dici, ci proviamo a
restare insieme per
tutta la vita?
Non
ebbe bisogno di aspettare una
risposta, la ricevette dagli
occhi di
lei pieni di lacrime che lo guardavano con un amore immenso.
Fu
sicuro di stare facendo la scelta
giusta. Quella donna così fragile, dolce ed appassionata
sarebbe stata una
meravigliosa compagna, il terreno fertile dove piantare le sue radici e
fare
crescere i suoi frutti.
– E poi la casa
più grande ci serve,
altrimenti dove li mettiamo i nostri futuri tre o quattro marmocchi?
– mormorò.
Mentre con una mano le teneva il viso
e
con l’altra s’insinuava sotto la vestaglia a
carezzarle il tepore della pelle
nuda, le sussurrò ancora, con la bocca sulla sua:
- Anzi, sai cosa ti dico?
Andiamo subito a
farne uno!
-
Ma dai, stupidone, lo sai che non è
ancora possibile! – rise la ragazza che però
mentre lo diceva si stringeva a lui
piena di desiderio.
-
E va bene, che importa! Per il momento …
facciamo un po’ di esercizio …
FINE