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Autore: Hellspirit    18/10/2009    5 recensioni
**Spoiler stagione 6** Per la prima volta nella sua vita Ziva ha bisogno di essere salvata. Post "Aliyah", TIVA
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anthony DiNozzo, Ziva David
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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NdA: La settima serie è iniziata (e che puntate!), perciò questa fic diventa ufficialmente AU. Come sempre, grazie mille per recensioni, preferiti e allerte ;)

Per rispondere alla domanda postami da Trinity92x: il nome Salim (scritto così) compare nel cast di "Aliyah", invece il cognome Faheem l'ho preso in prestito da quello di un mio amico XD

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And I miss you
Like the deserts miss the rain

Everything But The Girl, “Missing”

 

 

Se quello fosse stato un film, Tony si sarebbe inginocchiato per baciare il terreno non appena sceso dall’aereo.

Non solo per l’impazienza di raggiungere Ziva, ma anche per celebrare la fine di un viaggio da incubo: aveva passato dodici ore schiacciato tra le casse di munizioni, senza riuscire a chiudere occhio per il caldo e il rumore delle turbine, senza poter far altro che guardare il viso pallido e sudaticcio di McGee, che rischiava di vomitare ad ogni perturbazione, o sentire Ducky che li allietava con i suoi interminabili racconti. Gibbs, invece, aveva tranquillamente dormito per tutto il tempo.

Fermo sulla pista del piccolo aeroporto, Tony si sgranchì le membra irrigidite dalla prolungata immobilità e, quando tentò di muovere il braccio ingessato, dovette mordersi la lingua per non urlare dal dolore. Quasi rimpianse di non aver preso gli antidolorifici, ma il desiderio di rimanere lucido per aiutare Ziva era molto più forte.

Si sentì meglio guardando McGee mentre scendeva incespicando dall’aereo, aiutato dal premuroso Ducky. Nonostante tutto, il ragazzo era davvero fiero dell’agente più giovane: avrebbero potuto prendersi un’ora per riposare e smaltire gli effetti del jet lag, ma lui era stato il primo a declinare fermamente l’offerta. Poco prima di atterrare avevano indossato i caschi e i giubbotti antiproiettile in kevlar, ed erano pronti ad entrare anche subito in azione.

“Spero che il viaggio sia stato di vostro gradimento.” Disse una voce alle sue spalle. Quando si voltò, Tony vide un uomo biondo e atletico venire verso di loro. A pochi metri di distanza, accanto ad alcuni fuoristrada militari, degli agenti pesantemente amati tenevano sotto controllo l’area.

Gibbs si concesse il primo sorriso della giornata. “Ne ho fatti di peggio.”

“Lo so molto bene.” Ricambiando il sorriso, Stan Burley gli strinse la mano con sicurezza. Era contento di vedere che, anche dopo tutti quegli anni, il suo vecchio capo aveva ancora la stessa forza di prima. “Ricordi quando ci siamo fatti tutta la strada da Boston a Washington, di notte e in pieno inverno, su quel vagone del treno merci con il tetto rotto?”

Tony sbuffò e roteò gli occhi, nascosti dagli occhiali da sole, quando l’ex agente anziano iniziò a parlare dei vecchi tempi con Gibbs e il dottor Mallard, presentandosi poi a McGee e chiedendogli notizie su Abby. Non voleva fare il guastafeste, ma avevano cose molto più importanti da fare: salvare Ziva, per esempio.

“Ho sentito che adesso sei l’agente supervisore dell’NCIS del Bahrein.” Disse Gibbs, con un tocco di orgoglio nella voce. “Significa che devo trattarti come un mio pari?”

“Assolutamente no! Sarai sempre tu il capo, capo.”

L’uomo dai capelli grigi sorrise soddisfatto. “Meglio così.”

“DiNozzo.” Alla fine, Stan rivolse la sua attenzione anche a Tony. “Ti trovo bene.”

“Piacere di rivederti, Burley.” Il ragazzo replicò con il suo miglior sorriso finto.

Sapeva che si stava comportando in modo infantile, ma non poteva fare a meno di sentirsi in qualche modo minacciato dalla sua presenza, anche se non ne aveva nessun motivo. Probabilmente, Ducky avrebbe ricercato le radici di quel suo bisogno di attenzioni, così viscerale, nella sua travagliata infanzia. E avrebbe avuto ragione.

“E’ da tanto che lavori con Gibbs, giusto?” Gli domandò Stan dopo qualche istante di silenzio, mentre si dirigevano verso gli altri componenti della squadra del Bahrein. La zona dell’aeroporto era abbastanza sicura, ma era meglio non fermarsi troppo a lungo nello stesso posto.

Tony annuì. “Quasi otto anni.”

“Io non sarei mai riuscito a resistere così a lungo! Mi sogno ancora gli scappellotti e le sfuriate soprattutto quando...”

“... E’ in crisi d’astinenza da caffeina!” Tony non riuscì a trattenersi dal concludere la frase, sollevato per non essere stato l’unico a dover sopportare le angherie e gli sbalzi d’umore del capo. Sicuramente, però, lui era l’unico ad interpretarli come segnali di affetto.

Lanciò una rapida occhiata a Gibbs, per sapere se li aveva sentiti: la sua vista poteva anche essere calata, ma l’esperienza gli aveva insegnato che l’udito era ancora finissimo. Quella volta, però, dovevano aver avuto fortuna, perché sembrava non essersi accorto di nulla.

“Possibile che, in tutti questi anni, non ti abbiano mai offerto una promozione?” Chiese Stan, non prima di aver controllato anche lui il suo ex capo.

A disagio per quella domanda, Tony si passò lentamente una mano tra i capelli, consapevole che quella non era una competizione che poteva vincere. Non con l’impressionante carriera di Burley.

“Beh, per qualche mese ho sostituito Gibbs quando era in Messico... Al suo ritorno, mi è stato offerto il comando di una squadra a Rota, ma l’ho rifiutato... Quest’estate sono stato agente di bordo sulla USS Ronald Reagan e poi sulla Seahawk...” “... Anche se era una punizione per il casino che ho combinato a Los Angeles.” Pensò amaramente, rivedendo davanti agli occhi il volto senza vita di Jenny.

Alzando le sopracciglia, Stan lo guardò stupito. “Quello di Rota era un ottimo posto, perché non hai accettato?”

L’espressione di Tony si rilassò immediatamente quando osservò i suoi compagni che lo precedevano di qualche passo, pensando anche a Ziva e Abby. “Sentivo che avevano ancora bisogno di me. Non me ne sono mai pentito.”

L’agente del Bahrein annuì a quelle parole, anche se non riusciva a comprendere come si poteva rinunciare a quel prestigioso incarico per delle persone che, dopotutto, erano solo dei colleghi. “Allora, ti è piaciuta l’esperienza come agente di bordo?”

“No!” Il ragazzo esclamò immediatamente, facendo una smorfia. “Tutti mi odiavano, il cibo faceva schifo e vivevo in una stanza di tre metri quadri... Perché, a te piaceva?!”

“La vita era dura anche sulla USS Enterprise, ma c’erano dei lati positivi. Come poter entrare a qualsiasi ora nelle cabine femminili, per delle ispezioni a sorpresa...”

Tony lo guardò sorpreso, sentendo un sorriso genuino farsi strada sul suo volto: forse Stan Burley non era poi così male.

Non appena raggiunsero i fuoristrada parcheggiati, l’agente del Bahrein li presentò agli altri cinque membri della sua squadra, che aveva il compito di guidarli e di assisterli per tutta la durata della missione. Il direttore Vance non gli aveva dato il permesso di portare altri uomini, perché erano ancora impegnati a combattere la pirateria lungo le coste somale, ma Burley li assicurò di aver scelto i migliori a sua disposizione.

“Prego, servitevi pure.” Annunciò, aprendo il portabagagli di uno dei veicoli militari e rivelando una vasta selezione di armi e munizioni, per la maggior parte fucili d’assalto e di precisione. “Non devo essere io a ricordarvi che stiamo andando in posti molto pericolosi.”

Gibbs si avvicinò per primo, esaminando con occhio critico i fucili da cecchino: alla fine optò per l’affidabile M24, che aveva utilizzato spesso quando era un sergente d’artiglieria. Lo imbracciò, dopo aver controllato che il caricatore fosse vuoto, e lo puntò verso le montagne in lontananza, lasciando che il suo corpo si riabituasse al peso.

“Fucile di precisione ad otturatore scorrevole M24 Remington calibro 7.62. Gittata di 800 metri. Caricatore da cinque colpi. Telescopio 10x42 Leupold.” Commentò, soddisfatto dalla sua scelta, mentre lo ricaricava e inseriva la sicura. “Ottima arma.”

Per gli scontri ravvicinati, l’ex Marine prese una pistola mitragliatrice HK MP5 Navy, tenendo la sua SIG-Sauer come riserva.

Pur sapendo che il braccio non glielo avrebbe permesso, Tony provò lo stesso a prendere un fucile d’assalto M4, lo stesso modello con cui erano armati quasi tutti gli agenti del Bahrein. Con la coda dell’occhio notò che Gibbs lo stava scrutando con attenzione, pronto a cogliere il minimo segno di sofferenza.

Non appena le fitte si fecero insopportabili, il ragazzo si arrese e lo rimise nella custodia di metallo. Al suo posto scelse una pistola mitragliatrice HK MP5K, sufficientemente leggera e maneggevole per essere utilizzata con una mano sola.

Il capo annuì, approvando la sua decisione. “Non ha una grande potenza di fuoco, quindi vedi di non strafare.”

Dopo qualche attimo di incertezza, McGee prese l’M4 che Tony non era riuscito a impugnare: era l’unica arma che gli era familiare, essendo il fucile standard dell’esercito e di molte agenzie americane, compresa l’NCIS.

Stava per allontanarsi, quando Gibbs lo bloccò afferrandolo rudemente per un braccio, e il giovane temette che non si fidasse abbastanza di lui da armarlo pesantemente. Non poteva dargli torto, dato che si sentiva molto più a suo agio con i computer e la tecnologia, ma non era venuto fino in Somalia per fare da peso morto.

“Dovrai rimanere nelle retrovie a proteggere Ducky, sono stato chiaro?”

“Ricevuto, capo.” Tim sorrise sollevato, per la responsabilità affidatagli e per il sollievo di non essere in prima linea.

Ora che tutti, tranne il dottor Mallard, avevano delle armi adatte alla missione, Burley ordinò di prepararsi a partire.

La loro prima tappa era il vecchio campo d’addestramento in cui Ziva era stata rapita, che Tony era impaziente di indagare: a parte il conoscente di Ducky che potrebbe avere delle informazioni, quella era l’unica vera pista che avevano per rintracciarla.

Alle sue spalle sentì il rombo del jet cargo su cui erano arrivati, che stava per decollare in direzione dello Yemen. Nella fretta di partire, non avevano seriamente pensato a come tornare in America: avevano dato per scontato di riuscire a trovare un volo militare in una delle basi aeree alleate. Per quanto riguardava Tony, il ritorno era l’ultimo dei suoi pensieri.

Prima di salire a bordo di uno dei fuoristrada, Gibbs tirò due scappellotti al vecchio e all’attuale agente anziano.

Stan accarezzò il punto in cui era stato colpito. “Devo ammettere che un po’ mi era mancato...”

“Ma cosa abbiamo fatto?” Domandò Tony, che non ricordava di aver fatto nulla per meritarlo.

“Non lo so. Sarà una delle mie crisi d’astinenza da caffeina.”

Ducky e McGee avevano già occupato uno dei due veicoli disponibili, perciò il ragazzo non aveva altra scelta che andare insieme al capo e al proprio predecessore. Stava per salire sul sedile posteriore, quando notò che Gibbs lo stava guardando con un misto di curiosità e divertimento.

“Cos’ho fatto adesso?”

“Bella collana, DiNozzo.”

Impallidendo a quelle parole, Tony abbassò lo sguardo e vide che la Stella di David gli era scivolata fuori dal collo della camicia. “Uh... Ti assicuro che non è come sembra...”

L’ex Marine spostò la sua attenzione altrove, trattenendo a stento un sorriso. “Non voglio sapere.”

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Ci vollero due ore di viaggio su sentieri accidentati, prima di raggiungere la loro destinazione.

Stan fece fermare il piccolo convoglio a diverse centinaia di metri di distanza, al riparo dietro un’altura rocciosa, e mandò i suoi uomini a controllare l’area: secondo le informazioni in loro possesso quel campo di addestramento era abbandonato, ma non potevano escludere un’imboscata.

Mentre aspettavano il via libera, Tony vide che McGee si stava reggendo, pallido e tremante, alla fiancata del fuoristrada. Gli si avvicinò con cautela, mantenendo una distanza di sicurezza nel caso vomitasse. “Non hai una bella cera, pivello... Ora soffri pure il mal d’auto?”

“Magari! Ducky ha scoperto che uno degli agenti in macchina con noi è un chirurgo e gli ha raccontato, con particolari molto vividi, di quando ha eseguito un’appendicectomia nel mezzo di una palude in Bolivia, usando solo un taglierino...”

“Ok, non sono più interessato.”

Nel frattempo Gibbs, seduto su una roccia in compagnia del dottor Mallard, si teneva impegnato smontando e rimontando il suo fucile, pulendo scrupolosamente la canna. Anche se non aveva bisogno di manutenzione, quei movimenti ripetitivi e familiari lo rilassavano sempre, preparandolo psicologicamente alla battaglia.

“L’area è sicura, possiamo andare.” Annunciò Stan, dopo aver ricevuto un aggiornamento via radio dai suoi uomini.

Nonostante quella rassicurazione, si avviarono verso il campo d’addestramento impugnando saldamente le loro armi. Lungo la strada si imbatterono nei resti carbonizzati di due jeep e Tony si bloccò a fissarle, con il cuore che gli batteva all’impazzata.

“Forse non sono i veicoli della missione di Ziva.” Ducky cercò di rassicurarlo anche se tutti, compreso lui, sapevano che quasi sicuramente lo erano. “... Per lo meno non contengono resti umani.”

Il ragazzo annuì distrattamente, incapace di allontanare lo sguardo da quell’ammasso di lamiere annerite. E se era troppo tardi per salvarla? E se l’unica cosa che potevano fare era portare a casa il suo... corpo?

Una mano gli si posò sulla spalla, distogliendolo da quei cupi pensieri. “Andiamo, Tony. Non possiamo perdere tempo.” Disse Gibbs, con un tono sorprendentemente gentile.

Questa volta annuì con molta più convinzione e, senza altre soste, la squadra raggiunse velocemente il vecchio edificio, che sorgeva su una distesa brulla e desolata. Tutt’intorno c’erano i chiari segni di una battaglia combattuta recentemente: il terreno era pieno di bossoli e chiazze di sangue, mentre le pareti erano perforate dai proiettili e annerite dalla polvere da sparo.

“... E’ stato un scontro davvero feroce...” McGee disse con un filo di voce, cercando di non pensare a quante possibilità ci fossero di uscirne vivi.

Gibbs esaminò il terreno in cerca di tracce lasciate da persone o veicoli, ma il vento, che in quella regione causava forti tempeste di sabbia, le aveva già cancellate tutte.

Uno degli agenti del Bahrein fece loro cenno di andare sul retro dell’edificio e, dalla sua espressione, capirono subito che il peggio doveva ancora arrivare. Più si avvicinavano, più l’aria si riempiva di un penetrante odore che conoscevano fin troppo bene.

“Oddio...” Nonostante i suoi anni di esperienza come investigatore, McGee riuscì a resistere solo pochi secondi, prima di allontanarsi il più rapidamente possibile.

Togliendosi il cappello in segno di riguardo, Ducky si chinò per esaminare i cadaveri di cinque persone in avanzato stato di decomposizione, ammassati senza cura sul terreno. “Quei terroristi non hanno il minimo rispetto per la dignità umana, neanche nella morte.” Commentò, con tono sommesso ma severo.

Dopo aver lanciato un’occhiata preoccupata a Tony, che stava stringendo la sua pistola con tanta forza da tremare, Gibbs si rivolse al suo medico legale. “Cosa ci puoi dire?”

“Nulla tranne l’ovvio, temo: maschi, tra i 25 e i 35 anni, morti per ferite multiple da armi da fuoco.”

“Data del decesso?”

Ducky sospirò profondamente. “Molto difficile da stabilire: non essendo sepolti, i corpi sono stati esposti all’estrema escursione termica delle zone sub sahariane, senza contare l’azione degli animali saprofagi. A naso, se mi perdonate l’espressione, direi che il decesso è avvenuto da tre a quattro giorni fa.”

Gibbs annuì, guardando il suo agente anziano diventare sempre più pallido. “Erano del Mossad?”

“Non portano targhette, anelli o altri simboli di riconoscimento e, a prima vista, non hanno tatuaggi. Per saperlo dovrò condurre un esame approfondito e...”

“Non abbiamo tempo.” L’ex Marine sospirò frustrato, sempre più preoccupato per Ziva. Per l’ennesima volta, rimpianse di non aver seguito il suo istinto e di averla abbandonata a Tel Aviv.

In quel momento, Stan ricevette una comunicazione via radio. “Come? ... Va bene, arriviamo subito.”

“Cos’è successo?”

L’agente del Bahrein, a disagio, si sforzò di guardare negli occhi le persone che aveva di fronte. “Nel seminterrato hanno trovato un altro corpo... Una donna.”

Quelle parole fecero scattare qualcosa in Tony, che si precipitò verso l’ingresso dell’edificio. Solo un nome dominava i suoi pensieri.

“Ziva.”

Senza voltarsi o rallentare, passò davanti a un confuso McGee, che si era appena ripreso e stava per tornare da loro. “Hey, dove stai andando?”

Una volta all’interno, il ragazzo cercò disperatamente in ogni stanza, fino a quando trovò la scala che portava nel seminterrato.

Uno degli agenti del Bahrein gli indicò la strada e Tony seguì il corridoio illuminato fiocamente da delle vecchie lampadine, sentendo la gola stringersi ad ogni passo.

“Ziva.”

Si fermò prima di entrare nella cella, combattendo contro una parte di lui che non voleva vedere e preferiva scappare il più lontano possibile. Ma non poteva tirarsi indietro, perché sapeva che se lei fosse stata al suo posto, non gli avrebbe mai voltato le spalle.

Si avvicinò lentamente al corpo che giaceva per terra, accompagnato solo dall’assordante battito del cuore che sentiva nelle orecchie, cercando per una volta di essere coraggioso come lei.

“Ziva.”

Tony sentì in bocca il sapore acido della bile, non appena vide che anche quella donna aveva i capelli castani scuri, lunghi e mossi, ma deglutì e si costrinse ad andare avanti.

Rivide davanti agli occhi le immagini di Ziva senza sensi su una barella, subito dopo l’esplosione del locale in Marocco, e li sentì bruciare al ricordo di come gli era sembrata sola e vulnerabile. Tentò di scacciare quei pensieri negativi, dicendosi che era una persona piena di risorse, forte e indomabile. Non poteva essere morta.

“Ziva.”

Trattenendo il respiro, si chinò accanto al corpo e, con mano tremante, scostò delicatamente i capelli dal viso. Scoppiò in una risata liberatoria, quasi isterica: non era Ziva.

Il sollievo, però, durò poco e Tony si vergognò di se stesso. Anche quella donna, che giaceva senza vita in una pozza del suo stesso sangue, aveva parenti e amici che le volevano bene e che avrebbero pianto disperati la sua morte. Magari, da qualche parte, un uomo sarebbe vissuto tormentato dal rimorso per non averle mai confessato i suoi veri sentimenti.

Si chiese se anche la prossima volta sarebbe stato così fortunato.

  
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