Eppure,
davanti a quel buio, persino lui si sentiva piccolo, come qualunque
essere
umano.
A
volte si ritrovava a pensare cosa ne sarebbe stato di lui se avesse
condotto
una vita normale. Frequentare un normale liceo, diplomarsi, uscire con
qualche
amico, avere un lavoro tutto sommato come tutti.
Più
ci pensava e più si convinceva che quella vita gli sarebbe
stata stretta,
banale. Sin da piccolo non voleva ridursi così. Pochissima
gente al mondo si
poneva le stesse domande che si poneva lui, quasi nessuno vedeva le
cose così
come stavano, quasi nessuno era interessato a cercare qualcosa.
Delle risposte, ad esempio, su qualunque cosa.
Forse
era proprio per questo che era diventato detective. Si avvicinava molto
allo
“scoprire tutto”.
Caroline
disse che la curiosità uccideva. Fino a che punto, dunque,
si poteva essere
curiosi? Perché la voglia di sapere era spesso vista come un
qualcosa di
negativo?
Dunque
lui era il peccato?
Non
vedeva mai nulla di male nel voler smascherare, rendere tutto
più chiaro, come
la sua pelle. Era sicurissimo che Caroline si sbagliava, non
c’era nulla di
male in quello che faceva.
Non
si sentiva nemmeno ficcanaso. Difatti, andava a scavare solo in cose
che lo
interessavano a tal punto da provocargli quasi un ossessione.
La
domanda che sorgeva dunque era: perché si era talmente
incuriosito (a lui fa
comodo pensarla così, come una semplicissima
curiosità) da quelle prostitute?
Certo, era un caso mai affrontato finora. Eppure, non era un caso
così
complicato, senza neanche farsi pagare come suo solito, o meglio, con
una somma
molto minore rispetto al suo standard del milione di dollari.
Provava
forse compassione per loro, ma di solito quei sentimenti li lasciava
nel mondo
fuori dal suo lavoro, quello che era diventato una ragione di vita. Una
ragione
di vita che nessuno capiva, nessuno lo incoraggiava, a parte Watari
indirettamente. Nessuno si congratulava con lui ogni volta che portava
a
termine qualche difficile caso. Però a lui andava bene
così. Non cercava
riconoscimenti, per quello che gli importava poteva anche lasciare che
la
polizia o chicchessia si prendesse tutti i meriti. A lui bastava aver
risolto
il caso, così si sentiva in pace con sé stesso. a
lui bastava saziare, anche se
per poco, quella curiosità che lo rendeva particolare agli
occhi degli altri.
Lasciandosi
trasportare da quelle convinzioni, non passò molto tempo che
dal buio passò a
tante immagini che scorrevano veloci nella sua testa. Vedeva
distintamente
Caroline con il figlio in braccio, e quelle persone nella fotografia.
Queste
persone però parlavano, attraverso la foto, e ridevano
anche. Parlavano proprio
di Caroline e delle altre ragazze, deridendole per quello che facevano
tutto il
santo giorno. Che tristezza, per quelle ragazze, sottostare ai capricci
di
quelle persone e farsi anche sottovalutare così!
Lui
si aggirava tranquillamente tra quelle immagini, come un fantasma,
finchè non
capitò nella stanza di Caroline. Non riusciva a riflettersi
allo specchio,
mentre la figura di Caroline era ben distinta, si pettinava i capelli,
li
avvolgeva in una treccia e la disfava subito dopo, ricominciando il
rito. Quel
gesto gli ricordo un libro italiano, in cui la protagonista era
dannatamente
simile a Caroline. Solo che nel libro questa ragazza lo faceva per
scelta,
almeno inizialmente. La pratica di pettinarsi i capelli*,
però, era tale e quale,
ma in quel momento non sapeva dire se per Caroline aveva la stessa
funzione.
Anche
chiamandola, non riceveva risposta. Decise di lasciarla alle sue beghe
e andare
avanti per la sua strada, arrivando di fronte alla figura di Erin senza
però un
volto.
Cercava
di toccare quel viso senza espressioni, ma la sagoma gli sfuggiva tra
le dita
come fumo. Stavolta era contrariato, frustrato nel non riuscire a
raggiungere
qualcosa, nel raggiungere la verità. Voleva sapere.
Riaprì
gli occhi stanchi, con l’incertezza nel cuore,
così come si era addormentato.
Senza nemmeno pensarci si alzò dalla poltrona, grattandosi
la testa, per
precipitarsi poi al computer con tutti i dati raccolti finora.
A
L non piaceva molto stare a dormire, o almeno non troppo. In primis
perché per
lui era una perdita di tempo, e poi perché dormire, e quindi
sognare, il più
delle volte, rendeva ancora più insaziabile la voglia di
soddisfare la propria
curiosità.
Lei
si girò sorridente, lo raggiunse prima che lui potesse
levarsi l’impermeabile,
e gli afferrò la testa.
-Bentornato,
signor Lewis…- sussurrò lei con voce sensuale
-Cosa…-
ma non ebbe il tempo di replicare che le labbra di Caroline si fecero
vicinissime al suo collo, posando le mani all’interno
dell’impermeabile, dove
giaceva addormentata la testolina di Nathan.
-Il
tempo è prezioso, signor Lewis. Vogliamo continuare quello
che stavamo facendo
l’altra volta?- per non rischiare di ritrovarsi spintonata
cercò di sussurrare
come meglio poteva –Hanno installato delle telecamere-
Merda,
questo sì che era un guaio! E adesso? I casi erano due: o lo
facevano davvero,
o trovavano in qualche rocambolesco modo una soluzione. Fare finta,
magari. Ma
se c’erano davvero delle telecamere allora L on poteva
togliersi il cappotto,
costretto a tenere il bambino per tutto il tempo. E se nathan si
svegliava? No,
no, doveva andarsene, immediatamente!
-D’accordo…-
rispose L avvicinando le labbra all’orecchio di lei. Caroline
ne approfittò
subito, simulando qualche respiro.
-In
che direzione?-
Lei
fece finta di farsi trasportare, e lo portò vicino al muro
dello specchio –Mi
sono messa di spalle-
-Perfetto,
resta così- facendo qualche passo indietro fece in modo di
trovare qualche muro
per appoggiarsi. Sbottonò di pochissimo il cappotto, in modo
che lei potesse
vedere il piccolo.
-Oggi
però le devo dare una brutta notizia. Ho un impegno
importante e non potrò
trattenermi a lungo-
-Allora
non faremo fino in fondo- lei fece per abbassarsi, verso il piccolo,
assicurandosi che non pianga. Nel frattempo faceva finta di
accarezzarlo qua e
là, e lui non poteva che fingere di provare piacere.
Dopo
un po’ lei si riappoggiò al suo orecchio. Lei era
di spalle, lui aveva il
cappotto, bastava muovere le vesti di poco per far credere a qualunque
che lì
dentro una prostituta stesse lavorando.
-Non
venire più qui- sussurrò lei –Non farti
più vedere in volto-
-Ovvio
che no… Lo terrò a mente-
Quando
lo ritennero necessario, fecero finta che fosse tutto finito, ed L era
già
pronto ad andarsene. Non prima di aver ottenuto qualche altra
informazione
-Hanno
deciso all’improvviso di mettere le telecamere. Se ci
ribelliamo ci ammazzano.
I clienti non si accorgono che ci sono. E poi, devo
ringraziarti…-
-Di
cosa?- L guardava di tanto in tanto il punto dove doveva essere la
telecamera,
assicurandosi che sussurrava abbastanza piano.
-Tu
sei l’unico che viene qui senza quelle intenzioni-
-Figurati…
Fai attenzione tu. Vi tirerò tutte fuori di qui, tra non
molto-
Se
ne andò, con un brivido che lo percorreva su tutto il corpo.
Aveva forse fatto
lui qualche passo falso? Eppure non trovava angoli ciechi nelle sue
strategie.
Che fosse stato un po’ avventato a mostrarsi così
e venire di persona forse sì,
ma cosa li aveva spinti ad agire? Forse watari aveva destato qualche
sospetto?
Di
colpo pensò che solo Erin poteva intralciare notevolmente la
sua strada.