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Autore: _Princess_    08/11/2009    32 recensioni
La disarmava, questo era il fatto. La lasciava indifesa.
“Su, vuota il sacco.” Le intimò, senza alcuna pietà verso il suo essere così disperatamente persa in lui.
Kuu osò voltare il viso verso il suo, incontrando così i suoi occhi sorridenti, e il suo cuore saltò un battito.
Quegli occhi…
Non si sarebbe mai abituata alla loro imperscrutabile profondità, alla bellezza infinta che traspariva da quel suo sguardo mite, un misto di luci e ombre che faceva venire i brividi, che cancellava ogni capacità di respiro, di raziocinio.
Li amava, quegli occhi, così come amava l’anima che vi stava dietro.
Ed era orribile pensarci. Era orribile amare tanto qualcosa che non sarebbe mai stato alla sua portata, ed anche peggio era essere pienamente consapevole che non sarebbe mai riuscita a farsene una ragione.
[Sequel di The Truth Beneath The Rose]
Genere: Romantico, Malinconico, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Heart Of Everything' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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So tell me what I see
When I look in your eyes
Is that you, baby,
Or just a brilliant disguise?

(Brilliant Disguise, Bruce Springsteen)

***

 

L’inverno era meraviglioso, a Berlino: la neve che ricopriva le strade, cadendo fitta e lieve da un cielo di un opaco grigio giallastro, aveva un che di magico, di mistico, e a guardarla cadere dall’alto sembrava di stare in una sfera di vetro rovesciata per gioco. L’Adlon Kempinski era uno degli hotel più rinomati della città, e il merito, oltre al lusso, era senza dubbio la locazione, affacciato direttamente sulla piazza della Porta di Brandeburgo, sempre discretamente affollata, nonostante il freddo e le intemperie.

Da dietro alle vetrate di una delle sale conferenze dell’albergo, Kuu osservava l’esterno con vuoto distacco, le braccia conserte, immobile di fronte al suo stesso riflesso, in attesa. Gli auricolari dell’iPod portavano alle sue orecchie delle canzoni che nemmeno ascoltava.

Si era svegliata presto, quella mattina. La notte era stata rovinata da un sonno agitato e alla fine era solo stata felice di sentire la sveglia. Quando, alle dieci, il solito Mercedes Viano nero era arrivato a prendere lei e Kaaos, erano entrambi scesi con una certa rigidità, nervosi per l’importanza dell’incontro che li attendeva. C’era una grandissima svolta di carriera in gioco.

Rabbrividì, agitata. Con le unghie accuratamente laccate di bordeaux, continuava a giocherellare con la fibbia della cintura che le avvolgeva i fianchi asciutti e stretti, gli occhi che di tanto in tanto ricadevano sulla scritta che correva per tutta la lunghezza di quell’accessorio che lei stessa aveva disegnato. ‘La beauté n’est que la promesse du bonheur’: citazione colta di Standhal che quasi nessuno era in grado di riconoscere, era incisa a fuoco nella pelle bianca, caratteri neri e svolazzanti a dipingere con falsa leggerezza parole che nella vita di tutti avevano forse un po’ troppo peso. Ma a lei piaceva l’ostentazione, l’azzardo, la provocazione, e portava con orgoglio quegli articoli esclusivi, tutti con quell’inconfondibile marchio.

Molte ragazze amavano imitarla, copiare il suo look, il suo stile, i suoi modi, e lei si compiaceva di questo, ma quando le chiedevano di chi fossero certi gioielli, o certi capi d’abbigliamento, la soddisfaceva rispondere che erano tutti ideati da lei. Un giorno, in un futuro indefinito, le sarebbe piaciuto firmare una linea tutta sua, ma per adesso voleva solo concentrarsi sulla musica, fare l’impossibile per consolidare i risultati già raggiunti, e le ore a seguire sarebbero state determinanti.

Era sola nella stanza: Griet era nella saletta accanto, la sentiva discutere animatamente al telefono; Luke aveva scortato Kaaos a prendere qualche cosa di caldo da bere.

Kuu fissò se stessa nel vetro e deglutì. Aveva passato un’ora e mezza a prepararsi, per essere all’altezza, ma ancora non era soddisfatta del risultato.

‘Sei splendida’, le aveva mugugnato Kaaos svogliatamente, quando lei si era fermata a specchiarsi nelle porte dell’hotel appena arrivati. Glielo diceva sempre, ma lei non ascoltava mai. Era impossibile fidarsi del parere del proprio migliore amico: le avrebbe detto che era splendida anche appena uscita da un naufragio.

Che era bella lo sapeva anche lei. Da un paio d’anni a quella parte, chiunque incontrasse non faceva altro che ripeterlo: ‘Sei bellissima’, ‘Sei così bella’… Osservazioni così vuote che non la toccavano nemmeno. Eppure era tutto ciò che una volta avrebbe sognato, quella bellezza.

L’iPod, intanto, era passato a una canzone dei Tokio Hotel, e lei non poté fare a meno di mettersi in ascolto.

I feel lost in myself
There’s an alien in me
Who are you?
Who am I?
Blood is all I see
The words in the mirror
Are making me shiver

A Kuu piaceva quella canzone, Alien. Aveva sempre pensato che Bill avesse una voce speciale, non particolarmente potente, ma di grande effetto, sensuale e piena di emotività. Abbinata a quel testo, poi, era perfetta.

Save me with your love tonight
Come and bring me back to life

C’era del banale, a volte, nelle composizioni liriche dei Tokio Hotel, ma era una banale relativo, derivato da sentimenti che inevitabilmente conducevano a determinate espressioni. Sentimenti che lei, nel suo piccolo, capiva.

Nella larga strada innevata che si distendeva diversi metri sotto di lei, erano appena arrivati due eleganti minivan grigi, simili al Viano che usavano lei e Kaaos.

Tutto il suo corpo fu scosso da un fremito di nervosismo.

Appena le portiere furono aperte dai concierge dell’hotel, una piccola folla ne uscì: quattro imponenti uomini in giacca nera e occhiali da sole, subito seguiti da quattro personaggi più che noti, la cui semplice vista triplicò l’ansia di Kuu.

I lay down on the edge
I feel my whole life on rewind
See your face
in the crowd
A million times
I’m drowning, I’m falling
I hear myself calling

Ed eccoli là, i Tokio Hotel, come quattro ragazzi qualunque che si fermavano ad aspettarsi l’un l’altro scendendo dalle auto, mentre qualche passante ficcanaso gettavano loro occhiatine curiose.

I quattro baluardi del rock tedesco, pensò Kuu, seguendo i loro movimenti. Ne è passata di acqua sotto i ponti…

Kuu ricordava bene il giorno in cui li aveva incontrati per la prima volta. Era stato un agosto di dieci anni prima, durante un festival di paese per talenti in erba. Si chiamavano ancora Devilish, all’epoca, e lei e Kaaos facevano parte di un gruppo che nemmeno aveva un nome. Erano tutti ragazzini, tutti inesperti, tutti ansiosi di divertirsi senza preoccuparsi di apparire. Era stata una bella esibizione per i Devilish; per Kuu, invece, era stata solo un’esperienza da dimenticare. La sua voce di acerba dodicenne non era bastata a renderla apprezzabile al pubblico, costituito per lo più da ragazzi della sua età o poco più grandi, e il suo aspetto non era quel che si sarebbe definito grazioso.

Save me with your love tonight
Come and bring me back to life

Era sempre stata bassa di statura, e piuttosto in carne, e aveva passato l’adolescenza afflitta da complessi di inferiorità rispetto alle sue amiche e a combattere inutilmente un’acne che per anni non le aveva dato tregua. Poi, a diciannove anni, quando ormai aveva smesso di sperare, qualcosa era cambiato: la sua pelle si era pulita, la sua figura si era leggermente assottigliata, e lei aveva colto la palla al balzo: con un po’ di impegno, era riuscita a conquistare quel fisico che ora esibiva con tanta fierezza, e da allora tutto era stato diverso. Tutto era stato migliore.

Era cinico da dire, ma non sarebbe mai arrivata lì dov’era ora, se il suo aspetto non fosse cambiato tanto. Il talento, nello showbusiness, era fortemente svalutato da un’immagine poco attraente.

I Tokio Hotel avevano avuto la fortuna di averli entrambi, e di svilupparli entrambi con il tempo.

Save me with your light tonight
You can make the darkness shine

Non le importava di loro. Le importava solo di quello che loro potevano fare per i Pristine Blue.

Tra il loro seguito, riuscì a riconoscere anche il loro manager, Ebel, che disse loro qualcosa poco prima che tutti e nove si dirigessero all’ingresso, sparendo così dal campo visivo di Kuu. A breve sarebbero arrivati di sopra.

Come and kill the dream gone bad
Alien to love
Come and wake me from the dead
Alien to love
Need your love

La porta si aprì in quell’esatto istante: ne entrò Kaaos assieme a Luke, portando un piccolo vassoio con due caffè. Kuu ne inspirò con piacere l’aroma intenso, pregustando già la bontà di quel sapore amaro e caldo sulle proprie labbra.

“Ecco qui,” Kaaos le fu accanto in due falcate e le porse la tazza senza quasi guardarla. “Doppio espresso senza zucchero, come piace a te.”

“Grazie.”

Kuu strinse il caffè tra le mani, godendo del tepore che emanava. Aveva sempre freddo, lei, e amava avvertire il calore nelle cose, nelle persone. Peccato che nelle persone fosse più difficile trovarne.

“Penso che i Tokio Hotel saranno qui a momenti,” le disse Kaaos, appoggiandosi con una spalla alla parete, una mano in tasca mentre sorseggiava il proprio caffè. “Io e Luke abbiamo visto le macchine arrivare mentre salivamo.”

“Hanno una bella guarnigione personale,” commentò Luke, dalla sua postazione accanto all’ingresso. “Nemmeno il papa è così blindato.”

“Ragazzi!” Griet era appena entrata precipitosamente dalla stanzetta laterale e brandiva il suo palmare con la solita frenesia. “Hanno spostato la conferenza stampa di oggi pomeriggio a domani mattina, quindi possiamo prendercela comoda. Allora, siete pronti?”

Kuu annuì senza esitazioni. Si trattava di un incontro informale, una specie di presentazione ufficiosa durante la quale Pristine Blue e Tokio Hotel si sarebbero veramente conosciuti per la prima volta. Lei e Kaaos avrebbero chiacchierato un po’ con loro, suonato qualche canzone, e poi non sarebbe rimasto altro che ufficializzare il progetto con l’assenso esplicito dei quattro ragazzi.

“Prontissimi,” affermò Kaaos, tranquillo. “Sono proprio curioso di vedere come andrà. Chissà se a loro gliene frega qualcosa di averci in tour con loro.”

“Ma figurati!” sbuffò Kuu. “Se questa cosa va in porto, saremo pura e semplice tappezzeria, non credere. Dubito che Sua Graziosissima Maestà Bill Kaulitz accetterà mai di condividere anche solo la toilette con noi.”

“Tu hai tutti i tuoi pregiudizi da fan delusa.” La contraddisse Kaaos, asciutto. Le diceva sempre qualunque cosa pensasse. “Ok, saranno anche un mostro sfruttato dalla commercialità, ma non sono gli spacconi che dipingi tu, e lo sai.”
Kuu si strinse nelle spalle.

“Sarà, ma sono pronta a scommettere che non sarà una passeggiata.”
“Se tu parti prevenuta, no di sicuro.” La ammonì Griet, con cipiglio severo. “È una grande occasione per voi, quindi vediamo di fare una figura dignitosa. Kuu, mi riferisco soprattutto a te.”

“Guarda che io ci tengo più di te a questa cosa!” sbottò lei, indispettita. “Se credi che rovinerò tutto solo perché quelli sono–”

Un rumoroso schiarimento di gola da parte di Luke mise a tacere tutti e permise loro di rendersi conto che c’erano delle voci che si avvicinavano, nel corridoio lì fuori. Erano voci maschili, sommesse, e in un attimo furono alla porta. Quando si sentì bussare, si creò spontaneamente una densa atmosfera di tensione.

Ci siamo.

Luke attese un cenno da parte di Griet, poi aprì la porta. E loro entrarono.

Il primo fu Tom, alto e infagottato in una felpa nera grande tre volte lui, bellissimo. Si fece avanti senza esitazioni, con una camminata spavalda e molleggiata e uno sguardo sfrontato che si posò immediatamente su Kuu, accarezzandola suadentemente. Subito dietro di lui, Georg, in jeans e giacca di pelle, i capelli legati, affascinante come non mai eppure in qualche modo appesantito da una qualche ombra di preoccupazione. La guardò appena, e non sembrava nemmeno granché interessato. Dopo di lui seguì Gustav, le mani in tasca del giubbotto nero, gli occhi bassi dietro agli occhiali; si andò a sistemare alle spalle dei due amici e non emise un suono, chiuso in se stesso. Ci fu un brevissimo attimo morto, poi l’ingresso superbo di Bill parve rarefare l’aria nella stanza. Entrò lentamente, con passo calibrato, vestito di nero e truccato di tutto punto, una grossa e vistosa borsa di Gucci al braccio, senza nemmeno una virgola fuori posto. Aveva l’aria di un cane al guinzaglio ben addestrato. Dietro di lui apparvero anche una guardia del corpo e il loro manager, e dopo di loro la porta fu chiusa. Salutarono tutti in modi variabilmente sicuri o impacciati.

Bill era tanto bello da brillare quasi di luce propria, e tanto gelido negli atteggiamenti da mettere immediatamente Kuu all’erta. Lo sguardo dall’alto in basso che scorse su di lei un istante più tardi, infatti, era di ostilità dichiarata, ma lei lo resse con determinazione: diva contro diva, e lei non poteva certo competere, ma non si arrendeva mai senza almeno opporsi, e l’astio di Bill Kaulitz non la spaventava di certo. Era uno scontro fra titani, e l’idea la stimolava.

Ma Bill, così come i suoi compagni, non era diverso da nessun altro che le fosse capitato di conoscere negli ultimi anni, e lei era stata preparata a quell’incontro. Era la precisa, solita sensazione di sempre: come uno spettro, essere guardata e vista attraverso, oltre, ma mai veramente percepita. Un libro scritto nella lingua sbagliata, un dipinto dai colori ingrigiti, indiscernibili.

Quattro paia di occhi – tre, anzi, perché uno era abbassato sul pavimento – la fissavano indaganti, colmi di velato ma inevitabile stupore. Faceva spesso quell’effetto trovarsi faccia a faccia con lei.

Non che lei nei loro confronti fosse da meno.

Kuu avvertì la presenza di Kaaos alle proprie spalle, abbastanza vicino da sfiorarle la schiena. Si sentì istintivamente al sicuro. Guardò in su: Kaaos sorrideva con gentilezza – gentilezza vera, non la sua solita gentilezza plastica da apparizione pubblica – e stava ricambiando i loro saluti, rivolgendo a ciascuno un gesto amichevole.

Bugiardo, gli disse Kuu dal profondo, e sapeva che lui, pur non potendola udire, aveva sentito quel suo pensiero.

“Benvenuti!” chiocciò Griet, sfilandosi l’auricolare dall’orecchio. “Ragazzi,” aggiunse subito dopo, rivolgendosi direttamente ai Tokio Hotel. “È un piacere incontrarvi di persona, finalmente.”

I quattro mormorarono qualche ringraziamento confuso. Dedicarono un paio di minuti ai convenevoli e alle domande di circostanza, poi finalmente si raggiunse il punto cruciale:

“Siamo molto curiosi di sentire qualche vostro pezzo acustico.” Disse Bill, spostando lo sguardo prima su Kaaos, poi su Kuu.

Lei gli sorrise affabilmente.

“Siamo qui per questo, dopotutto.” Gli rispose diplomatica, e intanto dentro di sé analizzava il suo sopracciglio sollevato, le rughe leggere apparse ai lati della sua bocca, le braccia ostinatamente conserte, e sapeva che lui era lì senza esserci. Erano tutti lì senza esserci.

Solo Tom sembrava vagamente interessato a lei: la osservava guardingo, con un leggero accenno di sogghigno sulle labbra, su cui di tanto in tanto si passava pigramente la lingua, senza mai toglierle gli occhi di dosso. Kuu si crogiolava in quell’attenzione, e rispondeva con sguardi sfuggenti, indifferenti, giocando con lui come lui giocava con lei.

“Se non avete nulla in contrario, direi che possiamo iniziare.”

Kuu si voltò verso la propria sinistra: Kaaos le era accanto, la chitarra già in mano, dimentico di ogni buona educazione.

“Forse prima dovremmo discutere un po’ del progetto…” buttò lì lei, occhieggiando il giovane manager dei Tokio Hotel in cerca di supporto.

“Penso che sia un’ottima idea,” affermò infatti lui. “Perché non ci sediamo e parliamo un po’ con calma?”

Kuu decise che Benjamin Ebel le piaceva: sembrava un tipo tranquillo, solare, molto beneducato. Ed era anche piuttosto carino.

I Tokio Hotel schierati da una parte, Kuu assieme a Kaaos e Griet dall’altra, Ebel a capotavola: presero tutti posto attorno allo spazioso tavolo di legno scuro che occupava buona parte della stanza. Erano stati sistemati dei bicchieri e delle bottiglie di acqua minerale davanti a ogni posto a sedere. Ci fu un silenzio che durò qualche secondo; si scrutarono tutti l’un l’altro, a disagio. Kuu si sentiva sotto esame, ed era una sensazione che le aveva sempre dato fastidio, ma non aveva alcuna intenzione di dare a vedere che era così nervosa. Voleva solo fare una bella impressione, nient’altro. Voleva dimostrare loro quel che valeva come artista. Voleva che loro riconoscessero la sua bravura, i suoi meriti. Un biglietto di sola andata per il loro mondo.

“Allora,” esordì Benjamin, con una delle sue espressioni calme e gentili, e si voltò verso di lei. “Che cosa vi aspettate da un tour con noi?”

Kuu avvertì un immediato fremito di eccitazione dentro di sé e con la coda dell’occhio notò che le labbra di Kaaos, come le sue, si distendevano in un sorriso di professionale entusiasmo.

Ecco, pensò, pronta a sfoderare un discorso che stava preparando da una vita intera, adesso tocca a me.

 

***

 

Bill ci aveva messo poco a rendersi conto del perché i Pristine Blue avessero fatto così in fretta a spopolare in Germania. Non li aveva mai analizzati veramente, nonostante la loro musica gli piacesse – non gli interessava vedere, solo ascoltare – ma adesso che li aveva davanti la prospettiva di averli in tour con sé cominciava ad avere un suo senso. Non era solo una questione di immagine, di presenza scenica; avevano carisma, riuscivano ad imporsi all’attenzione dell’osservatore con una disinvoltura e una naturalezza che colpivano, ed era una dote che personalmente Bill aveva sempre non solo apprezzato, ma anche ammirato.

Eppure, mentre Kuu gli rivolgeva un’occhiata di ghiaccio, sentì che la persona che aveva di fronte era tutto fuorché quel che si vedeva. E non che quel che si vedeva fosse poco.

Era molto minuta, ma i suoi occhi ambrati sapevano incutere una certa soggezione. Se ne stava seduta impettita nella sua sedia, rigirandosi tra le dita la catenina d’argento che le avvolgeva l’elegante collo sottile, facendone tintinnare i due ciondoli. Portava un lungo maglione di morbida lana grigia sopra una maglietta e fuseaux neri, questi ultimi infilati in un paio stivali. Pur non trovandola affine al proprio tipo di ragazza ideale, Bill fu costretto ad ammettere che era bella, e molto, con quel suo visetto tondo appena abbronzato, da bambina, i lineamenti morbidi, le labbra piccole ma carnose, imbronciate, come se fosse stata perennemente infastidita da qualcosa.

Non sembrava affatto, vista così, così da vicino, la stessa persona dei video e delle foto sui giornali. Senza trucco marcato e vestiti ricercati, sembrava una ragazza capitata lì per caso, molto più giovane dell’età che dimostrava in fotografia. D’altro canto, però, non sarebbe mai potuta passare per una qualunque, perché di belle ragazze Bill ne aveva incontrate tante, ma mai così belle. E nessuno, poi, sentendola parlare in tono così pacato e sommesso, avrebbe potuto immaginare che nascondesse una voce così suggestiva. L’impressione che, a pelle, gli aveva fatto la prima volta che la aveva vista in TV era che fosse una ragazza chiusa, presuntuosa, piena di ambizione e determinazione, e questo, checché ne dicesse, gli piaceva. Kuu era come lui. Lui era come lei.

Adesso voleva solo sentirla cantare.

Di Kaaos, invece, non sapeva ancora cosa pensare: era gentile ed amichevole, ma aveva uno strano comportamento nei confronti di Kuu. Le stava vicino, la guardava, la cercava, quasi metaforicamente ricorrendola. Comportamento quantomeno ambiguo, viste le voci che circolavano su loro due.

“Insomma,” stava dicendo Benjamin, dopo svariati minuti di inutili discorsi sulla fondamentale importanza di una collaborazione come quella che si stavano accingendo a stringere. “Essere qui oggi è una pura formalità, penso che questo sia chiaro per tutti.” Gettò una rapida occhiata di ammonizione verso Bill. “Penso che entrambe le parti siano d’accordo su questo punto.”

“Noi sicuramente.” Rispose Kuu, soave. “Vorremmo solo sentire il parere diretto dei ragazzi.”

Il viso di Tom si aprì in un sorriso a dir poco entusiasta.

“Personalmente non vedo l’ora di cominciare.”

Georg, seduto accanto a lui, annuì con espressione assente.

“Apprezzo molto la vostra musica,” soggiunse Bill, sincero. “E sicuramente la risposta mediatica all’annuncio di questa novità sarà ottima. Credo che sarebbe un’esperienza interessante per entrambi i gruppi,” affermò con assoluta convinzione, e si stupì nello scoprire di crederlo veramente. “Anche se forse non tutti apprezzeranno l’idea.”

“Cosa intendi?” indagò Benjamin, preoccupato.

Bill mascherò abilmente un sogghigno, lanciando un’occhiata eloquente verso Kuu.

“Non so quanto possa far piacere alle nostre fans sapere che ci sarà una ragazza come Kuu ad accompagnarci in un intero tour.” Guardò dubbioso Tom, Gustav e Georg, che ricambiarono con altrettanta incertezza, e poi Benjamin, che si limitò a sollevare pazientemente le spalle. Bill sapeva che l’obiezione che aveva appena implicitamente sollevato era in realtà più un punto a favore che un problema. “Spesso tendono a diventare un po’ aggressive, se hanno anche solo il sospetto che qualcuna sia troppo vicina a noi, se sapete cosa intendo.”

“Sono abituata a sentirmi dare della puttana,” rispose immediatamente lei, con una prontezza e una sicurezza che spiazzarono un po’ Bill. “Non posso parlare con qualche ragazzo famoso senza farmi dare della troia o affini, quindi penso di essere preparata a spiacevoli eventualità. Ne abbiamo sentite di tutti i colori su di noi,” Scambiò con Kaaos un rapido sorriso complice, e Bill poté quasi vedere il filo di diretta connessione che li univa. “State pur certi che se qualcuno sarà infastidito da eventuali rumors e pettegolezzi, quel qualcuno non saremo certo noi. Le vostre fans possono dire quello che vogliono. Finché mi lasciano fare il mio lavoro in pace, a me sta bene.”

Mi piace, si ritrovò a pensare Bill, basito e compiaciuto al tempo stesso. Ha carattere, la piccola.

“E poi ho la sensazione che grazie a Kuu l’afflusso di pubblico maschile ai nostri concerti vedrà un notevole incremento.” Aggiunse Tom, malizioso.

“Assolutamente.” Concordò Bill.

“Mi fa piacere sentire che abbiate tanta stima delle mie doti artistiche.” Li stuzzicò lei.

Tom sorrise con garbo:

“Parlavamo dal basso di un punto di vista da uomo, non da artista.” Chiarì.

“Non ci sogneremmo mai di mettere in dubbio un talento indiscutibile come il tuo.” Terminò Bill.

Kuu lo fissava intenta, quasi assorta, ed era impossibile farsi un’idea di che cosa potesse pensare, perché i suoi occhi erano specchi: tutto ciò che vi si poteva scorgere erano riflessi, non emozioni dirette.

“Anche perché sono certa che sia un tipo di insinuazione che ti tocca molto da vicino, sbaglio?”

Bill apprezzò l’arguta provocazione.

“Non sbagli.” Le rispose tranquillo.

“Vedo che abbiamo due belle lingue biforcute, qui.” Rise Kaaos, versandosi da bere. Aveva mani grandi e sottili, nervose, i polpastrelli callosi e rovinati dall’inconfondibile segno che lasciavano anni e anni di dedizione alla chitarra. I suoi occhi, così scuri e torbidi rispetto a quelli limpidi e dorati di Kuu, erano estremamente comunicativi, vivaci e mai immobili. Gli ricordava molto Georg, per diversi motivi. O meglio, gli ricordava il vecchio Georg, perché negli ultimi tempi qualcosa era cambiato. Era qualcosa che nessuno era ancora riuscito ad individuare, eppure c’era, perché un Georg così silenzioso e pacato nessuno di loro, in dieci anni di vita insieme, lo aveva mai visto. E Gustav, accasciato nella sua sedia come se quell’incontro non lo riguardasse, non era poi tanto da meno: lo sguardo vacuo, i gomiti sulle ginocchia, la schiena ricurva.

Forse era solo un periodo così. Avevano bisogno tutti della carica del tour per riprendersi.

“La lingua più tagliente è quella di Gustav, anche se non si direbbe,” commentò Tom, voltandosi verso l’amico. “Solo che dà il meglio di sé solo con pochi, intimi eletti.”

“Ad esempio te, vero?” replicò Gustav.

Lo sguardo attento di Kuu si posò su di lui. Gustav lo incontrò e lo sostenne per un momento, poi guardò di nuovo in basso. La fronte levigata di Kuu si corrugò impercettibilmente.

“Ragazzi.” Li ammonì Benjamin in tono paziente.

“Io ho voglia di suonare,” disse Kaaos, alzandosi in piedi. Era veramente altissimo, almeno quanto Bill stesso. “Ancora un solo minuto chiuso qui dentro senza chitarra in mano e impazzisco.”

In un paio di passi fu dal lato opposto della stanza, dove in un angolo era stata improvvisata l’attrezzatura per una performance unplugged. C’era una chitarra acustica appoggiata alla parete, accanto a un pianoforte bianco; Kaaos la imbracciò, mettendosi a sedere su uno sgabello.

“Scusatelo,” intervenne Kuu rivolta ai presenti, alzandosi in piedi a sua volta. “Non sa cosa sia la buona educazione.”

Con disappunto, Bill la guardò raggiungere Kaaos e prendere posto al piano. Quella ragazza lo rendeva stranamente irrequieto: il fatto di non riuscire a darle dei contorni precisi era irritante. Non era abituato ad avere a che fare con delle persone sfuggenti; di solito, anzi, chi lo circondava faceva di tutto per avvicinarsi il più possibile a lui. In assoluta onestà, Bill non era affatto sicuro che fosse una buona idea – al di là dei vantaggi commerciali – scegliere i Pristine Blue come band di supporto per i Tokio Hotel: Tom continuava ad occhieggiarla in modo sfacciato, Georg l’aveva fin da subito fissata come se fosse stata una bambola decorativa senza valore, mentre Gustav quasi non aveva considerato né lei né Kaaos. Come premessa non era buona né promettente.

“Questo brano si chiama Happy,” annunciò Kuu, sistemando gli spartiti sul leggio. “Lo abbiamo scritto tre anni fa, non farà parte dell’album, ma è uno di quelli che ci rappresenta di più.”

Non aggiunse altro.

Eppure, non appena le sue dita sottili iniziarono a sfiorare delicatamente i tasti del pianoforte e le corde della chitarra di Kaaos iniziarono a vibrare, qualcosa si accese nell’animo di Bill. Si innamorò all’istante di quella melodia triste e lenta, del modo in cui entrambi i due ragazzi tenevano gli occhi chiusi mentre suonavano con tanto trasporto, una passione e un coinvolgimento tali da incantare, possibili solo quando l’artefice e l’esecutore della musica erano la stessa persona.

E poi Kuu iniziò a cantare, e di ogni dubbio non restò nemmeno il ricordo.

 

***

 

Bellissima.

Avrebbe sfidato chiunque a non pensare una cosa del genere, nel guardare Kuu. Ma era una bellezza strana, la sua, forse troppo vivida e intensa in un corpo ancora così acerbo. E anche la sua voce aveva un che di incredibile: sottile, argentea, quasi fatata, come se fosse appartenuta a una creatura non umana. Di fatto, forse era fin troppo bella, Kuu, per essere vera.

Can I hurt you, please?
Can I come and break your heart?
Can I rip your soul and tear it apart?
I want to see the grief in your eyes
I want to see the poison spill from your lies
And can I destroy your voice?
I don’t have any other choice

Cantava ad occhi chiusi parole piene di rabbia, ma lo faceva con una malinconia così profonda che veniva da chiedersi cosa ci fosse alla radice di una canzone così. Chissà se la aveva scritta lei, o se era stato Kaaos, o se la avevano fatta insieme.

Erase
Erase it all
I want to hurt you
I need to hurt you
Don’t want to see you happy
Don’t want to see
Don’t want to see

Gustav non sapeva molto di loro. Kuu doveva avere la sua età e Kaaos un paio d’anni in più. Gli sembrava di aver letto da qualche parte che fossero di Berlino, ma non ci avrebbe messo la mano sul fuoco. Non sapeva altro, se non che il loro singolo era in cima alle classifiche delle vendite, diverse posizioni sopra a The World Behind My Wall, ormai uscito da mesi. Tra popolarità e successo, i Pristine Blue non potevano proprio lamentarsi.

Out of my life
Out of any dream
Forgive or forget
Swallow the regret
Don’t be happy
Never happy again
Hope you live in pain

Gustav non aveva ancora ben realizzato la questione del tour assieme a loro. Era la prima volta che sceglievano un gruppo spalla per un intera tournée, per di più mondiale. Significava convivenza a stretto contatto per mesi interi, creare un vero rapporto con due persone – e anche più – che erano dei perfetti sconosciuti, e soprattutto accettare il rischio che il tutto potesse anche non funzionare.

E più lui li osservava, meno riusciva a immaginarsi cosa sarebbe potuto succedere. Di sicuro il fanbase di entrambe le parti si sarebbe sbizzarrito con le congetture: la presenza di Kuu sarebbe stata praticamente un invito a nozze per tutti i pettegoli e sarebbe stato inevitabile impedire alle malelingue di circolare. A certa gente bastava vedere uno di loro guardare una ragazza per costruirci sopra chissà quali favole romantiche.

“Ma quanto cazzo è gnocca?” sussurrò Tom all’orecchio di Georg, inclinandosi appena di lato.

A sentirlo Gustav sorrise e scosse la testa, ignorandolo, proprio come Georg. Sapeva che erano osservazioni innocue: a Tom piaceva fare il gradasso, ma era così perso di Vibeke che nessuno, nemmeno i più sprovveduti, gli credeva più. Gustav aveva sempre invidiato l’amico per quella ragione: Tom aveva sempre proclamato che non si sarebbe mai innamorato, che per lui le priorità della vita erano altre, che non aveva bisogno di avere una ragazza fissa accanto, eppure da quando stava con Vibeke, tutti avevano la sensazione che senza di lei, dipendente com’era, non sarebbe più riuscito a stare in piedi. Bill, nel suo piccolo, aveva imparato a non essere troppo geloso di quel rapporto, e il merito era anche di Vibeke, che aveva cura di lui come se fossero stati fratelli. Anche a Gustav non mancavano mai le attenzioni di Vibeke, che mandavano puntualmente Tom in paranoia, ma era quasi triste vedere dei cari amici condividere un amore così strampalato e bello: era un mondo a sé di cui non si sentiva parte, che non conosceva, ed era un enorme dispiacere.

“È così piccola,” stava bisbigliando Bill a Benjamin, attento a non farsi sentire da Griet, che seguiva diligentemente l’esibizione, arricchita da virtuosismi canori davvero degni di nota. “Dove la tiene tutta quella voce? È assurdo.”

“Deve aver studiato parecchio in questi anni.” suppose Georg sottovoce.

Hold me like you had to kill me
Won’t open my eyes
Can’t stand your smile
Please, make me blind
‘cause I don’t want to see

Gustav faceva fatica persino a concentrarsi sulla canzone, perché il testo era duro da sopportare. Non diceva nulla che lo toccasse da vicino, eppure lo turbava più di quanto si sarebbe potuto aspettare, molto più di quanto avrebbe voluto. Probabilmente era colpa della forte carica emotiva che trasmetteva la voce di Kuu.

Don’t want to see you happy without me

La canzone si spense così, con quella frase quasi sussurrata, dopo che la musica era già svanita.

Un pezzo meraviglioso, e tutti, a giudicare dalle espressioni sbalordite, lo stavano pensando.

La manager dei Pristine Blue sorrideva raggiante, piena di orgoglio, e le sue mani, all’estinguersi dell’ultima eco del canto, si unirono al coro di applausi che si scatenò da tutti i presenti. Gustav notò che Bill aveva tutta l’aria di aver cambiato opinione su di loro.

Lui, invece, un’opinione nemmeno la aveva. Si disse che con il tempo sarebbe riuscito a farsene una, probabilmente; se buona o cattiva, non ne era sicuro. Kaaos gli sembrava un tipo abbastanza alla mano, spigliato ma semplice, forse un po’ brusco in certi atteggiamenti, ma senz’altro una persona piacevole, a pelle. Kuu, invece, gli risultava letteralmente illeggibile.

Insondabile: quello era il termine giusto.

A Gustav non erano mai piaciute le ragazze come lei: troppo spesso la bellezza finiva per offuscare tutto il resto, rendendo cieca l’anima delle persone, e tendenzialmente queste persone lui nemmeno lo vedevano.

L’applauso durò a lungo e fu accolto dai due ragazzi con dei grandi sorrisi e ringraziamenti onorati. Le loro mani si intrecciarono quando i due si inchinarono, riconoscenti. La mano di Kuu spariva in quella di Kaaos, che riusciva ad avvolgerla completamente, da parte a parte. Era difficile valutare che tipo di legame ci fosse tra di loro, perché le loro interazioni erano ambigue, ma mai esplicite. Sguardi, tocchi, parole… Tutto era interpretabile in diversi modi, e nessuno poteva saperlo meglio di Gustav, che qualche volta ancora subiva scenate di gelosia – non sempre serie – da parte di Tom quando Vibeke gli regalava un abbraccio o un bacio affettuoso.

Gustav represse un sorriso nostalgico: erano via da solo due giorni e già gli mancavano le coccole di Vibeke. Chissà quanto doveva essere insopportabile per Tom. Poi pensò a Georg, sempre così lontano da Nicole e da Emily, e gli si strinse il cuore. Se avesse potuto vederle più spesso, probabilmente non sarebbe stato sempre così giù di morale.

I giornali non facevano altro che ricamare articoli su articoli sulle due coppie più chiacchierate della Germania, ma la verità era che, se da un lato Tom e Vibeke vivevano in un mondo tutto loro, fatto di bisticci e amore spensierato, dall’altro Georg e Nicole, di nascosto e in silenzio, soffrivano, ed era una cosa che gli obiettivi delle telecamere e delle macchine fotografiche non potevano vedere.

Forse, dopotutto, era meglio essere soli, non avere qualcuno di cui sentire la mancanza.

Ma allora perché sento la mancanza di qualcuno che non esiste?

“Gustav, tu che ne pensi?”

Gustav si riscosse dal proprio torpore e da pensieri che avrebbe di gran lunga preferito non avere. Kuu lo stava guardando, in piedi accanto al piano, Kaaos al suo fianco, e attendeva una risposta. anche Bill e gli altri lo guardavano. Si era perso un pezzo di conversazione, dovevano aver già espresso tutti un parere ed ora aspettavano il suo. Ma lui che cosa avrebbe potuto dire? Non era capace di esprimere certe sensazioni.

“Ci sapete fare,” dichiarò. “E anche parecchio. Spero solo che non ci farete sfigurare troppo.”

Abbozzò un sorriso, e Kuu e Kaaos fecero lo stesso. Griet, invece, era a dir poco raggiante.

“Molto bene, allora,” Benjamin si alzò, soddisfatto. “Penso che siamo tutti d’accordo, a questo punto: benvenuti a bordo!” Kuu e Kaaos si avvicinarono e gli strinsero la mano. “Sarà un piacere lavorare insieme a voi.”

“Il piacere è tutto nostro.” Rispose Kuu, e per un attimo Benjamin rimase semplicemente a contemplarla.

Era fatta, dunque. Era deciso: sarebbero stati loro ad accompagnarli nello Humanoid City Tour 2010.

E in mezzo a un incrociarsi di strette di mano, Gustav vide Bill e Kuu fronteggiarsi da vicino, ritti e orgogliosi, gli angoli delle labbra impercettibilmente arricciati, e alla fine, quando le loro mani si incontrarono in una stretta vigorosa, fu chiaro che l’imminente tour sarebbe stato al di fuori di ogni ragionevole dubbio un’esperienza incancellabile.

 

***

 

Il rientro a casa, dopo Berlino, fu fonte di insperato sollievo per Tom. Non ne poteva più di andare in giro in quel modo, tra Europa e America, ospite di show e programmi vari. Aveva tentato di convincere Vibeke a seguirlo, almeno qualche volta, ma lei non ne voleva mai sapere: secondo lei era uno spreco di tempo e denaro andare assieme a loro, soprattutto perché per la maggior parte del tempo avrebbe dovuto starsene da sola, e Tom in un certo senso capiva, ma, egoisticamente, non condivideva. Odiava stare senza di lei, anche se solo per pochi giorni. Per tutto il tempo che era via, lui non si dava pace: la chiamava appena poteva, le mandava messaggi, fotografie, e tutte quelle cose per cui aveva sempre preso in giro Georg, e che adesso gli sembravano l’unica maniera per non impazzire e prendere una aereo verso casa in ogni raptus di nostalgia.

E Vibeke rideva di lui, e sopportava paziente anche certe telefonate nel cuore della notte, e gli diceva che era uno sfigato mammone a non resistere senza di lei nemmeno per tempi così brevi, ma Tom aveva imparato a non offendersi, e a prendere anzi tutti quegli sproloqui per quello che erano in realtà: l’unico modo che lei conoscesse per dirgli che anche lui le mancava.

Appena rientrato dal viaggio, Tom si era concesso solo il tempo di una doccia e di un rapido cambio di abiti, poi si era subito precipitato a casa Wolner, impaziente. Era sera, l’ora di cena era passata da un pezzo: sapeva che BJ era già uscito e che in casa restava solo Vibeke. Non suonò; prese invece la propria copia delle chiavi dell’appartamento ed aprì, facendo piano. Voleva farle una sorpresa. Entrò in punta di piedi, ascoltando: a giudicare dai rumori, Vibeke doveva essere in cucina, probabilmente a riempire o svuotare la lavastoviglie.

Si avvicinò di soppiatto alla porta e la sentì canticchiare fra sé, compiacendosi nel riconoscere le parole di Sonnensystem. Glielo avrebbe rinfacciato, all’occasione migliore. Per ora era solo felice di rivederla.

Riuscì ad arrivarle alle spalle senza farsi sentire, e appena lei si risollevò dal cestello della lavastoviglie esclamò:
“Sorpresa!”

Vibeke emise uno strillo acuto, votandosi di scatto, ma non appena lo vide non gli diede nemmeno il tempo di aggiungere qualcosa o sorriderle.

“Kaulitz!” urlò, gli occhi sgranati e luccicanti, gettandogli le braccia al collo. “Bastardo schifoso,” sbottò, baciandolo subito dopo. “Mi hai fatto prendere un colpo!”

Tom le abbracciò la vita, rubandole un altro bacio. Rideva, non poteva farne a meno.

“Ciao, stronza.”

Vibeke profumava di menta. Da quando l’aveva conosciuta, ogni volta che la vedeva aveva un profumo diverso: le piaceva cambiare bagnoschiuma di volta in volta, e a lui piaceva indovinarne il gusto, sentire ogni volta un odore e un sapore nuovo, ma che sapeva sempre di lei.

Essere innamorati era bello, più di quel che aveva sempre voluto credere, e trovava stupefacente che potesse esistere qualcosa di simile. Era indescrivibile la gioia che si poteva provare nell’amare tanto qualcuno che ti amava a sua volta.

Si godette una meritata dose di carezze ed effusioni per un po’, almeno finché lei non iniziò ad avvertire che c’era qualcosa di sospeso nell’aria.

“Kaulitz,” Smise di baciarlo e arretrò di un passo, ancora avvolta dalle sue braccia. “Hai un’aria strana… Cosa c’è?”

Lui chinò la testa, cercando un modo per metterla al corrente dei fatti senza fare scoppiare un finimondo.

Capisci sempre tutto troppo in fretta, tu, pensò. A volte è terribilmente scomodo.

Era impossibile.

Tom la scrutò tentennante mentre se la riavvicinava, già stanco prima ancora di cominciare il discorso.

“Noi due dobbiamo parlare.”

“Cristo, cos’è quel tono serio?” esclamò lei, strabuzzando gli occhi. “Stai per morire? Oddio, hai un cancro!” Si portò le mani alla bocca, sconvolta. “Lo sapevo che dovevamo smettere di fumare, tutti e due! Te l’avevo detto, ti ricordi? Cazzo!”

“Vi, no,” replicò lui, ridendo. Prese una sedia e si sedette, poi la prese per mano e se la fece sedere in grembo. “Niente cancro, né morte imminente… Per ora.”

“Che significa ‘per ora’?” fece lei, sospettosa.

Tom si morse il labbro, cercando nervosamente i suoi occhi. Loro due amavano provocarsi a vicenda facendo apprezzamenti su altri ragazzi o ragazze, ma sempre per gioco. Ora che stavano per arrivare interi mesi di vita assieme a una ragazza del calibro di Kuu, era meglio mettere subito tutte le carte in tavola ed evitare, o almeno cercare di prevenire, spiacevoli disagi.

“Che probabilmente saranno le tue stesse mani ad uccidermi quando sentirai quello che sto per dirti.” Le confessò, tetro.

Vibeke lo fulminò con uno sguardo assassino.

“La stagista della reception alla Universal!” sibilò, nel suo tipico tono da preludio a una sfuriata. “Kaulitz, se te la sei fatta, giuro che ti –”

“No, niente stagista, niente sesso,” specificò lui, cominciando a temere per la propria salute psicofisica. “Si tratta di lavoro.”

“Oh.”

L’espressione ostile di Vibeke si sciolse in un misto di sollievo e delusione. Tom era sicuro che avrebbe adorato poterlo strapazzare per bene con una delle sue scenate di gelosia.

“Se ricordi, ti avevo detto che Benjamin ci ha parlato della possibilità che nel tour di quest’anno saremo affiancati da un gruppo emergente...”

Lei annuì interessata.

“E io la trovo un’idea grandiosa!” approvò. “Sapete già chi sarà?”

Tom inspirò a fondo. Doveva dirglielo, e prima lo avrebbe fatto, più tempo avrebbe avuto per riprendersi dalle conseguenze.

“Ecco, il problema è questo,” disse, pregando che lei la prendesse alla leggera. “Si tratta dei Pristine Blue.”

Cosa?” Come previsto, Vibeke si fece subito saltare la mosca al naso, acquisendo un cipiglio oltraggiato. “Quella starletta vanitosa e strafiga verrà in tour con voi?”

“Con noi, vorrai, dire,” la corresse Tom con delicatezza. “Sei il nostro tecnico delle luci, ricordi? Sarai tra i piedi tutto il tempo, e io praticamente non potrò battere un ciglio senza che tu non lo veda.”

“Quel ‘tra i piedi’ non è un’espressione che mi rassicura, sai?”

Diplomatico, Tom, sii diplomatico e non perdere le staffe, altrimenti ci rimetti qualche estremità fondamentale.

“Non cercare il pelo nell’uovo, adesso.”

Vibeke si imbronciò, ostinata come suo solito.

“Perché mi stai avvertendo, allora?”

“Per evitare che tu faccia scenate inopportune in caso di situazioni ambigue che potresti interpretare male.” Sospirò Tom, che si era divertito a flirtare con Kuu, durante l’incontro all’Adlon, ma senza reale interesse. Tutto ciò di cui aveva bisogno, lo aveva già.

“Sì, vallo a raccontare a qualcuno che non ti conosce!”

“Dai, Vi, non la guarderò nemmeno,” le assicurò, accarezzandole il collo con le labbra, nella speranza di ammorbidirla. “Lo sai che per me esisti solo tu.”

“Piantala di fare il leccaculo, sei un ruffiano senza ritegno!” sbraitò lei, spingendolo via, ma lui non si lasciò intimorire. La conosceva, e quando faceva così era perché la aveva già in pugno.

“Il ruffiano senza ritegno ha tanta voglia di coccole.”

“Ma sta’ zitto!” rise lei, lasciandosi trascinare giù, verso un bacio che, come molti dei loro, era destinato a finire in camera da letto.

Lei e Tom risero insieme in quel bacio, e lui si sentì subito meglio. Era tornato, era a casa, e adesso che aveva detto tutto a Vibeke e che lei l’aveva presa più o meno bene, non gli restava che godersi il bentornato. A tutto il resto avrebbe pensato poi.

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Note: a parte che ci ho messo un tempo vergognoso ad aggiornare, ho poco da dire. stiamo iniziando ad entrare nel vivo della storia, a poco a poco, quindi tra poco sarà tutto più chiaro e (spero) interessante. La prima canzone che appare nel capitolo, come già detto, è Alien dei Tokio Hotel (mai sentiti? Sono bravi! XD). La seconda invece è Happy dei Pristine Blue (leggasi: mia XD).

Ho letto con estremo piacere tutte le vostre immancabili recensioni e tutte, a modo loro, mi hanno fatta sorridere. Ho notato che molte di voi hanno già intuito qualcosa e non nego che mi faccia piacere. ;) Vorrei avere tempo di potermi dedicare a rispondervi singolarmente, ma purtroppo non è così. Se però avevate qualche domanda a cui ancora non ho risposto, non esitate a contattarmi, mi dicono che ho un buon servizio clienti! XD

Per ora vi lascio con la speranza che il capitolo sia stato di vostro gradimento e la solita preghiera di deducare anche solo un minuto a quell’opera di bene che è una recensione. ;)

Alla prossima!

   
 
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