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Autore: Shinra    16/11/2009    1 recensioni
Mi secco a scrivere un'introduzione accattivante, quindi vi dirò senza mezzi termini quello che succederà nel corso di questa storia.
Roxas è imbarcato su una nave della Marina partita in esplorazione di nuovi arcipelaghi. Giungono su un'isola all'apparenza deserta che si rivela essere abitata da una tribù di selvaggi. Alla spedizione partecipa anche la figlia del capitano Ansem, Kairi, la quale, nonostante sia solo una ragazzina e per giunta donna, dimostra di avere molto coraggio e sfida a viso aperto i selvaggi sull'isola, innamorandosi anche di uno di questi... Sora. Toccherà all'imbranato marinaio Roxas cercare di tenerla lontano dai guai, ma come potrete vedere, lui stesso si ritroverà invischiato in disavventure che non potete neanche immaginare... A complicare la situazione si metterà anche la terribile ciurma di pirati del capitano Xemnas.
Dove andrà a parare questa storia? Non lo so neanche io. Ho cominciato a scrivere senza saperlo... Accetto suggerimenti!
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2: Land ho!

“Certo che Strife ti ha dato proprio una bella botta,” esordì Kisaragi con il suo solito sorrisetto sardonico. “Te l'avevo detto io che prima o poi ti sarebbe piombato qualcuno sulla testa, se non facevi attenzione!”

Quel giorno Roxas era emerso tardi da sotto coperta, grato al dottore per avergli fatto passare gran parte della mattinata in quella che poteva essere chiamata l'infermeria di bordo. Era solo una cabina, ma allo stesso tempo era molto al di sopra delle concezioni infermieristiche che qualunque marinaio si aspettasse di trovare su una nave di quei tempi. Il dottor Jack non sembrava a dir la verità molto affidabile: il suo sguardo incavato, il suo continuo farneticare e l'entusiasmo con il quale accoglieva ogni spalla slogata o lesione erano a dir poco inquietanti... Ma a dispetto della prima impressione che aveva avuto, Roxas avrebbe giurato che era una brava persona. Tralasciando il modo in cui maneggiava i coltelli...

“Ehi Cloud! Guarda che fai prima a cercarti una ragazza che aspettare che Sephiroth diventi femmina!”

Un'altra delle battute stupide di Kisaragi diretta alle vele. Un Cloud voltato di spalle lo ignorò.

“Tsè. Ma guardalo... Non sai quanto mi infastidisce la superiorità che ostenta quando gli altri gli rivolgono la parola. Solo perché il generale non è qui, perché altrimenti lo so io come sarebbe, tutto scattante e operativo! Mi viene voglia di prenderlo a pugni e fargli vedere che non è nessuno. Qualche giorno lo farò, parola mia!”

Roxas pensò che neanche lui si sarebbe sforzato di rispondere alle provocazioni stupide di quel ragazzino, e che Cloud non cercava assolutamente di fare il superiore, ma lo era in un certo senso. Probabilmente chiunque aveva abbastanza sale in zucca per prenderlo sul serio... be', forse no, Hayner lo avrebbe preso a pugni.

Già, Hayner... chissà come stava. Forse era da qualche parte con Olette e Pence a divertirsi, e tutti quanti pensavano a lui e ridevano... o forse non lo pensavano affatto. Certe volte Roxas sognava di ritornare al molo, solo per vedere il volto di Hayner diventare del colore del latte rancido. Allora provava una tale soddisfazione...

“Ma tu mi ascolti quando parlo? Oppure stai cercando di imitare Cloud?”

/Meglio che imitare te.../ pensò Roxas, badando a non alzare gli occhi al cielo come avrebbe voluto.

“Ti ascolto,” replicò semplicemente, continuando a passare con forza lo straccio su una macchia che ormai doveva essere sparita da cinque minuti.

“Bene, dicevo,” iniziò Kisaragi, e poi inspiegabilmente si bloccò.

Roxas ebbe un brutto presentimento, allontanò gli occhi dallo straccio per guardarsi intorno con circospezione. Niente stivali del Primo Ufficiale in vista. Alzò lo sguardo verso Kisaragi con un punto interrogativo stampato in fronte.

“Niente, volevo solo vedere se mi stavi ascoltando davvero.” rispose lui con un sorrisetto soddisfatto.

Roxas valutò la possibilità di sollevarlo di peso e gettarlo nel boccaporto. Non ce l'avrebbe mai fatta con la sua sola forza fisica. Abbandonò l'idea, ma si sfogò strofinando con più forza lo straccio sulle assi di legno.

“Ehi scherzavo! Mica ti sarai offeso! A volte sembra che non ci sei proprio con la testa. Ti ho visto prima come ti guardavi intorno circospetto... mica ti starai innamorando di Leon, per caso!”

A quell'affermazione Roxas non riuscì a impedirsi un'alzata d'occhi da cento punti.

Kisaragi parve non accorgersene. “A me puoi dirlo eh! Sarò muto come un pesce! Puoi stare sicuro che non glielo vado a dire, tanto ogni volta che cerco di parlargli se ne esce con un 'Ho mal di testa'... Ho mal di testa! Ma bevi un po' di rum che ti passa!”

“Che cosa cerchi di dire 'ogni volta' al Secondo Ufficiale?” la domanda uscì dalla bocca di Roxas con una spontaneità che disarmò egli stesso. Allora era facile comunicare...

“Ah, allora ci riesci a parlare, hai visto che non è difficile? Dovevo andare a pescare proprio l'argomento Leon per farti fare un po' di discussione! Ora ti spiego...”

Aspetta un attimo... lui voleva fare discussione?

“Leon è un bravo ufficiale,” continuò Kisaragi, senza badare alle orecchie indiscrete che potevano sentirlo mentre si riferiva dando del tu a una carica superiore. “Fa quello che deve, ma se gli gira storta si fa i fatti suoi e buona notte al secchio! L'altra volta il Primo Ufficiale...”

/Lo chiama 'Leon'... non ufficiale, solo Leon./ Adesso Roxas cominciava a interessarsi non a quello che diceva Kisaragi, bensì a quello che vi era nascosto dietro.

“... Non c'entrava niente, capito? Voleva solo mettere i bastoni tra le ruote a Leon! Ma lui, anziché controbattere, gli ha detto che gli andava bene e se n'è tornato in cabina.”

“Ma perché il Primo Ufficiale dovrebbe mettere i bastoni tra le ruote al Secondo Ufficiale? Dovrebbe essere l'ufficiale Leon a invidiare la sua posizione, non il contrario...”

“Invidiare la sua posizione? È ovvio che Leon invidi la sua posizione! Tu non lo conosci, ma Leon è una delle persone più ambiziose sulla faccia della terra. Basta che guardi la sua espressione mentre si allena con la spada... è come se volesse dimostrare qualcosa a qualcuno.”

A Roxas sorse il dubbio che forse ad essere segretamente innamorato del Secondo Ufficiale Leon era proprio Kisaragi...
Su quella nave gli sembravano tutti gay. Dal primo all'ultimo.
Persino quella specie di orso bruno che si faceva chiamare Barret e si gonfiava lo stomaco di rum e birra. Per non parlare di Irvine che si passava le dita in continuazione tra i capelli legati in quel codino così femminile, e pure Fujin, che Roxas era convinto parlasse a monosillabi per sembrare più mascolino.
Decisamente però, la figlia di capitano Ansem non era gay. Era minuta, candida come una bambola, e sembrava troppo fuori posto lì, in mezzo a tutti quegli uomini. Sorrideva sempre a tutti, attirando commenti un po' coloriti, quando suo padre non era nei paraggi, e a Roxas ricordava molto Olette. Ma, a differenza di Olette, lei non gli piaceva. Gli sembrava che fosse perennemente immersa in un mondo tutto suo, come se rifiutasse di far parte veramente della nave. Il modo in cui il suo sguardo si perdeva all'orizzonte, al di là del ponte, faceva sentire Roxas invisibile ai suoi occhi. E lui ne restava ferito. Forse proprio perché sapeva di non essere degno di lei, ne attribuiva a lei la colpa. La trovava insulsa, tanto quanto lui era invece meschino.
Cavolo, forse stava diventando gay anche lui senza rendersene conto...

Kisaragi continuava a parlare, ma erano più parole rivolte a se stesso che a Roxas.
La sua unica dote pareva essere quella di distrarre le persone, non perché queste non fossero attirate dalla discussione, bensì perché volevano sfuggire alla sua parlantina. E così finivano per chiudersi dentro la propria testa, nei propri pensieri, e non ascoltavano più nulla, isolandosi da quello che li circondava. Questo era quello che succedeva sempre a Roxas, e paradossalmente, quello che più gli permetteva di mettere in pratica la sua dote. Perché, a differenza degli altri, Roxas vedeva.
Aveva visto Kisaragi infilare furtivamente il cucchiaio del sale sotto il tovagliolo. Era stato svelto e abile, doveva ammetterlo, ma a quel punto era certo che non fosse altro che un ladruncolo da quattro soldi, imbarcatosi con la Marina solo perché la vita non aveva altro da offrirgli. Non gli stava antipatico. Lui del resto non aveva avuto un motivo migliore...

/E spero che non lo scopra, o me ne dirà tante che sarò costretto a rubare i tappi delle orecchie a Cloud, quando non li porta.../ pensò nervoso.

Non credeva di essere stato l'unico ad accorgersene.

Cloud era sempre così zitto da sembrare muto, ma era impossibile che non si svegliasse con tutto il baccano che faceva Barret sul ponte, o nella cuccetta quando russava di notte.
E infatti una volta, mentre era arrampicato sulle vele come al suo solito, Roxas lo aveva visto togliersi qualcosa dalle orecchie prima di riporlo con attenzione in una tasca.
Come l'avesse visto con tanta chiarezza da quella distanza Roxas non se n'era posto il problema, ma da quel momento si era deciso che era così e che non potevano esserci altre spiegazioni.

“Ehi Roxas, ma ti vuoi portare via anche il legno?”

Roxas si fermò, guardando il suo operato. Circa due palmi dell'asse erano lucidi come nessun'altra. Adesso gli mancavano solo altri ottanta piedi... All'improvviso i suoi sensi si destarono e avvertì le braccia indolenzite e formicolanti.
Kisaragi scoppiò in una delle sue acute risate, ma subito questa fu sovrastata da una voce che lì sopra l'albero urlava:
“TERRAAA!! TERRA IN VISTAAA!!!”

Un'istante dopo tutti i marinai avevano abbandonato le loro mansioni e si erano lanciati contro la cinta della nave. A Roxas sarebbe sfuggito un sorriso, se non fosse stato così sconvolto da quello che vedeva di fronte a lui.
Laggiù, oltre il blu cobalto dell'oceano, una linea scura si allargava sempre di più, e presto i dolori e la nausea che avevano accompagnato Roxas durante quei duri giorni di viaggio furono solo solo un ricordo che aleggiava nel passato.
Era un'isola. Era immensa. Ed era bellissima.



Riku sedeva solitario sul tronco dell'albero piegato. Osservava il mare e tutto quello che poteva vedere al di là di esso... qualunque cosa.
Non guardava con gli occhi, quello sciocco mezzo che la gente di altri popoli usava per non inciampare. C'erano altri mezzi per percepire quello che aveva intorno, in un modo molto più completo.
Quando chiudeva gli occhi gli sembrava di sapere esattamente tutto. La presenza delle piante, i loro frusciare accompagnato dal vento e il loro profumo, la pigrizia delle onde, la pesantezza delle nuvole nel cielo, che non vedevano l'ora di scendere giù e che invece si cullavano sulle onde del vento; i movimenti guizzanti dei pesci che sfioravano il fondale marino, e addirittura lo scavare di un paguro sotto la sabbia. Non c'era niente di forzato in quello che riceveva, tutto ciò derivava semplicemente dall'estensione del suo corpo verso la natura. Non si era mai sentito così bene come quanto si trovava disciolto all'interno di essa.
Sin da quanto era piccolo quella era una cosa che gli era venuta naturale. Non credeva che fosse così perché suo padre era più vicino alla natura di qualsiasi altra persona del villaggio... l'Armonizzatore. Non voleva rendere conto a suo padre dei suoi meriti.
Aveva sempre cercato di fare tutto da solo, senza mai chiedere consiglio ad altri. Neanche ad Aeris. Anche lei aveva una fortissima capacità armonizzatrice, e la impiegava sopratutto nella sua interazione con le piante. Per questo forse Riku pensava che era limitata.
Lui amava il mare. Lo amava e lo odiava al tempo stesso. Era la cosa più bella che avesse mai aspirato a condividere, ma anche la più spaventosa. Il suo tocco, la sua voce... quando estendeva i suoi sensi al mare sentiva di diventare maestoso, enorme, infinito. Si immergeva e danzava con lui, era acqua anche lui, tutto e nulla al tempo stesso. Ma Riku aveva anche paura. La forza del mare lo sovrastava, rischiava di sommergerlo completamente, di farlo perdere dentro di sé, annegandolo di sazietà. Si rendeva conto di quanto la sua esistenza a confronto di esso fosse misera... e non voleva fosse così. Voleva superarlo, voleva dominarlo...

“Ehi Riku! Guarda cosa ho trovato!”

Le vibrazioni che portava quella voce cozzarono infrangendo la sintonia che aveva stabilito. Come delle onde concentriche, causate dalla caduta di una foglia sulla superficie dell'acqua, le sue sensazioni si diradarono disperdendosi.
Non aveva bisogno di voltarsi per vedere chi fosse, ma lo fece.

L'essenza di Sora si manifestava correndo verso di lui a piedi nudi sulla sabbia, schizzando polvere bianca tutt'intorno. Aveva il fiatone, ma rideva entusiasta, come sempre. Riku provava una strana soddisfazione a guardarlo. Non sarebbe stato difficile percepire Sora. La sua essenza si allargava per abbracciare tutto quello che aveva intorno. Era tipico di lui. Non notarlo sarebbe stato come essere ciechi e sordi allo stesso tempo, sia nel corpo che nell'anima.
Sora atterrò con un balzo davanti a lui, piantando i suoi occhi luminosi dritti nei suoi.
Era una cosa che faceva traballare i nervi di Riku, perché non vi era abituato. Poteva essere abituato a sopportare immensi sforzi mentali per mantenere il contatto con la natura, ma il contatto a cui Sora lo metteva alla prova era di origine diversa. Erano poche le persone davanti alle quali Riku non aveva bisogno di indossare la benda, e una di queste era Sora. L'energia che emanavano i suoi occhi trafiggendo quelli di Riku era una forza che incrinava la sua lucidità.
Le altre persone svenivano non appena stabilivano un contatto con i suoi occhi verde giada. Sora no.

Con un balzo, l'altro ragazzo atterrò davanti a lui, e in un sol gesto gli porse qualcosa che teneva stretto nel palmo della mano.

“Guarda qua! Guarda!”

Riku guardò, felice di rompere il contatto con i suoi occhi marini.
Quello su cui abbassò lo sguardo somigliava a una stella del mare, solo che non lo era. Poteva essere un fiore, o una pianta. Era giallo, a cinque punte, e più grosso dei palmi delle loro mani.

“È lui, vero? È il frutto della leggenda!”

Riku fece una smorfia. Già, poteva essere quello. Il frutto di Paopu. Quella che si diceva avesse il potere di far ritrovare due persone anche se erano lontane. Se entrambe mangiavano lo stesso frutto, non importava come e quando, sarebbero state unite per la vita...

“Potrebbe essere...” cominciò.

“Potrebbe!? Riku è lui! È chiaramente lui! Mi gioco tutti i miei granchi se non è così!”

Tipico di Sora, pensò Riku, eccitarsi per le cose sciocche.

“Sora, stiamo parlando di una favola che ci raccontava tuo padre quando eravamo piccoli...”

“Proprio perché ce l'ha raccontata mio padre!”

“Esatto, Sora, proprio perché ce l'ha raccontata tuo padre. È solo una favola.”

“Vuoi dire che non la senti? Non senti la magia che irradia?”

Riku guardò Sora, poi il frutto di Paopu, quindi di nuovo Sora.
Trattenne un respiro, chiuse gli occhi e finse di concentrarsi.
Non c'era niente in quel frutto, altrimenti lo avrebbe già sentito.

“Non c'è niente.” dichiarò riaprendo gli occhi.

“Ti sbagli! Per una volta sono più bravo di te. Io riesco a sentirlo.”

Riku riuscì ad astenersi dal pronunciare quello che secondo lui Sora riuscisse a sentire. Preferì cambiare l'argomento di discussione, in parte comunque certo che questa si fosse inevitabilmente conclusa con uno scontro, come sempre...

“E a chi vuoi darlo?”

“Cosa?”

“Conosci la leggenda e ritieni che sia vera, nondimeno, insisti che questo sia davvero il frutto di Paopu. Con chi vuoi dividerlo allora?”

Sora ci pensò su qualche istante, sfiorando i suoi occhi con i suoi prima di perdersi nello sconfinato azzurro del cielo.
Riku mosse una mano per afferrare la benda nera che quando non indossava teneva legata al braccio. Cambiò idea non appena i suoi polpastrelli sfiorarono il tessuto. La forza che teneva dentro lo costringeva a impedirsi la vista per evitare di riversarla sugli altri senza volerlo, quando questi incontravano il suo sguardo. Gli succedeva spesso, soprattutto quando era nervoso, anche se con gli anni aveva imparato a contenersi. Eppure Sora aveva l'incredibile capacità di metterlo a disagio, e allo stesso tempo la capacità più incredibile di essere immune al suo sguardo.
Lasciò la fascia lì dov'era. Non voleva pensare di essere così debole da non riuscire a controllarsi davanti a un suo amico, ma allo stesso tempo non voleva ammettere a se stesso che Sora fosse così forte da potergli resistere. Era sempre lo stesso sentimento. Lo stesso che provava nei confronti del mare e del cielo... frustrante.

“Non lo so ancora.” dichiarò Sora infine. “Ma mi verrà in mente qualcuno.” aggiunse con un sorriso.

Anche Riku sorrise, e si rattristava un poco pensando che, per quanto riguardava lui, quella persona l'aveva già trovata.
Poggiò una mano sul tronco, si diede la spinta e saltò, atterrando sulla bianca sabbia con eleganza.

“Mi è venuta un'idea,” disse a Sora.

Il suo sorriso obliquo lasciò Sora perplesso solo per un istante, poi anche l'espressione dubbiosa dell'altro ragazzo lasciò il posto a un sorrisetto di sfida.
Sora adagiò il frutto di Paopu sul tronco, arretrando poi di qualche passo. Riku aggirò l'albero piegato, in modo che non ci fossero più ostacoli fra loro.
Quando furono a una distanza soddisfacente, Sora chiuse gli occhi e Riku lo imitò, facendo scorrere le dita lungo il suo avambraccio fino alla benda, sciogliendola e legandosela davanti agli occhi.
Si stavano sondando a vicenda, espandendo se stessi quanto bastava per percepire la sostanza intorno a loro, ma non troppo da risultare prevedibili.
Sapevano quando cominciare...
E lo fecero.

Entrambi corsero l'uno verso l'altro, ma un attimo prima dell'impatto deviarono. I loro busti scattarono in direzioni opposte, e Riku fu più veloce di Sora nel trasformare la schivata in un calcio rotante. Sora riuscì a intercettarlo, ma non a evitarlo. Lo parò, e approfittò del momento di sbilanciamento di Riku per contrattaccare con un calcio basso. Riku si lanciò all'indietro per evitarlo, atterrando sulla schiena sulla sabbia e rotolando all'indietro. Si rialzò spingendosi sulle ginocchia, già graffiate dal breve ma veloce attrito con la sabbia ruvida. Sora era lontano. Riku corse verso di lui. Entrambi si girarono intorno: Sora evitò la sua carica ruotando il busto e passandogli alle spalle, ma Riku lo colse alla sprovvista intercettando la sua mossa con una gomitata che lo colpì di striscio alla fronte.
Sora cadde su un ginocchio, e Riku lo avrebbe colpito se l'altro non avesse sfruttato la mano sulla sabbia come perno per trasformare la sua caduta in un calcio rotante. Ancora una volta i suoi riflessi permisero a Riku di schivare l'attacco, facendo leva su un braccio e salendo in verticale. Lì lo sorprese la spallata di Sora, improvvisa.
Riku si sentì cadere al suolo. /È forte./ La sua sensazione vibrò nell'aria, e fu accolto da un tremito che gli disse che Sora aveva catturato il suo pensiero inespresso. Quella piccola sconfitta lo fece scattare. Riuscì a raccogliere le ginocchia al petto, per poi liberarle come una molla, lanciandosi verso Sora con tutta la forza che era riuscito ad assorbire. Sentì la sua esclamazione di sorpresa quando Sora realizzò cosa stava per corpirlo, e sentì la consistenza del suo corpo contro i suoi piedi. Il mare si avvicinava, e sentiva Sora allontanarsi da lui e andare verso di esso.
Non si accorse come successe esattamente. Sentì solo qualcosa che lo afferrava, e la forza opprimente e allo stesso tempo attraente del mare che si avvicinava sempre di più, fino a ingoiarlo. La forza di Riku era annullata. Si sentiva come in un sogno, precipitava mentre non riusciva a svegliarsi. Entrambi finirono in mare come se fossero un corpo solo, con un tonfo e centinaia di schizzi.
Riku aprì di riflesso gli occhi, ma con la benda ancora davanti non riuscì a respingere la forza in cui era immerso. Il mare lo avvolgeva sempre di più, gli entrava dentro, inesauribile e invincibile. Lo travolgeva, ma allo stesso tempo lo faceva sentire potente quanto lui.
Non voleva cedergli, ma ne fu risucchiato, senza più forze, senza più desideri... libero nell'oblio...

“Riku!”

Spalancò gli occhi. La luce del sole lo abbagliò, bruciante. Subito li richiuse. Qualcosa si gettò sopra di lui e cominciò a prenderlo a schiaffi. Qualcosa... si concentrò.

/Un... frutto di Paopu...?/

“Svegliati! Baka!!”

Con enorme sforzo riuscì a dischiudere gli occhi. Una sagoma scura lo riparava dal sole. I raggi si allargavano ai lati della figura rendendola simile a una creatura informe e malvagia.
Due zaffiri spuntarono sulla sua sommità.

“... Ciao, Sora...”

“Ciao...? Ciao?! Il mare ti ha bevuto il cervello per caso??”

/Forse.../

Riku si portò di riflesso le mani sulla fronte.

“Ssh, non urlare per favore, ho la testa che mi scoppia.” disse con una voce flebile.

“Direi! Sono giorni che non fai altro che estendere le tue sensazioni, giorno e notte!, e ti meravigli anche se stavi per prosciugarti la vita?! Non saresti neanche riuscito a battermi in queste condizioni!”

Sora era furibondo, ma il suo muso lungo e la fronte corrugata non potevano fare altro che spingere Riku a sorridere.

Forzò una risata.

“E adesso perché ridi?” Sora, se possibile, si imbronciò ancora di più.

“È buffo,” cominciò Riku, con la voce che lasciava trasparire la sua debolezza, “Tu stesso stai ammettendo che se fossi stato in forze sarei riuscito a batterti. Quindi siamo entrambi d'accordo sul fatto che questo scontro non vale, vero?”

Due occhi color zaffiro incontrarono altri due acqua marina.

Sora era rimasto spiazzato, e Riku scoppiò veramente a ridere questa volta.
Gli veniva così facile adesso, quando era troppo esausto per concentrarsi sul resto del mondo. Era cieco e sordo a tutto ciò che lo circondava, esisteva solo quello che provava dentro. E per una volta era contento che fosse così. Sensazioni così semplici, ma anche così vitali...
In quel momento davanti a lui c'era un Sora offeso che stava caricando un destro con l'intenzione di piantarglielo sul naso. Ma prima che potesse farlo Riku lo afferrò per le spalle e lo spinse, facendolo atterrare con la schiena sulla sabbia.

“Eh, non riesco a sentire con la mente, ma ho ancora abbastanza forza fisica per riprendermi da una situazione di svantaggio. È questo il momento in cui dovresti essere più concentrato, Sora.” gli disse tutto d'un fiato, lasciando emergere una smorfia stanca.

Le posizioni si erano invertite, ma non lo restarono per molto.
Con un sospiro, Riku rotolò nuovamente nel letto di sabbia che ormai aveva preso la forma del suo corpo. Allargò le braccia e chiuse gli occhi, sprofondando fisicamente nel tepore del sole.
Sentì Sora indugiare, probabilmente stizzito, e poi imitarlo sdraiandosi accanto a lui.
Restarono così per molto tempo, ascoltando il suono calmo e rilassante delle onde sul bagnasciuga, le urla lontane dei gabbiani soffocate dal vento, il delicato profumo degli alberi e dell'aria salata... Senza concentrarsi, Riku si accorse di riuscire a stabilire in un equilibrio ancora più profondo. Ma durò solo qualche istante, poi si addormentò.
  
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