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Autore: Aurelia major    24/11/2009    7 recensioni
Stralci dalla teoria alla pratica, quando l’amor conteso, inseguito, ipotizzato e alla fine compiuto, si trasforma in convivenza. E la vita comune si sa, non è mai una passeggiata…
Genere: Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Haruka/Heles
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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“Non! Je ne regrette…Non! Je ne regrette rien!”

Cantò sottovoce Haruka tentando d’imitare la dolente cadenza di Edith Piaf.

Chiaramente non era quello il momento di darsi ai citazionismi, tantomeno ai classici della musica francese. Tuttavia, se pensava alla posizione imbarazzante cui si trovava, sentiva crescere rigogliosa in sé la necessità d’una giustificazione cui appigliarsi. Di più, se si soffermava a riflettere su quel che l’aspettava, diventava un bisogno addirittura impellente.

In ogni caso, pur sentendosi ridicola, non era sua intenzione recedere, né muoversi di lì, per cui trattenne il fiato e rimase immobile, in attesa.

 “Perché sono costretta a questo? Perché?!”

Si chiese in preda all’esasperazione e, mai come in quel momento, avvertii   d’essere sull’orlo delle lacrime. Lei, quella tutta d’un pezzo, proprio lei, quella che non piangeva mai.

Pure la vitalità del suo pensiero ancora una volta la salvò poiché, al culmine della crisi, come in una sorta di catarsi, dal nirvana delle cazzate giunse su di lei, calando come puro spirito, una risposta ad illuminarla.

Conosceva pochi proverbi per la verità, ma per sua fortuna non ignorava affatto quello che voleva in amore e guerra tutto concesso. Per cui, pensò per sillogismo, cedere sarebbe equivalso a perdere sia la guerra che l’amore. Giusto?

Giustissimo, tanto che decise seduta stante di riprendere in mano le redini della propria vita e non soggiacere all’altrui volontà.

“Corvo Rosso non avrai il mio scalpo!”

Esclamò invitta, quindi uscì dal bagno e, sprezzante del pericolo, nonché del completo fresco di stiratura che l’aspettava sul letto, percorse il corridoio silenziosamente.

Ora viene il difficile, pensò.

Già, si trattava d’individuare da dove potesse arrivare il suo attacco a sorpresa. Concentrata valutò le alternative: alla sua destra c’era la svolta che portava in cucina, a sinistra le camere da letto, di fronte la sala. Cosa avrebbe scelto Michiru?

Lo ignorava e sentendo crescere la tensione si appiattì fino a diventare tutt’uno con la rientranza della parete. Non c’era da scherzare, anche il minimo errore poteva esserle fatale adesso, ché tra le mura del loro nido d’amore aveva avuto luogo un conflitto tremendo, culminante nella spietata caccia all’uomo in corso. O per meglio dire, alla donna. Ma perché star a sottilizzare?   

 

 Tesoooooooro, dove ti sei cacciata?

 

Con raccapriccio Haruka udì il temuto richiamo farsi più vicino. Quella non era che l’ouverture di ciò che poteva essere la sua caduta dalla grazia. Trepidante ne ascoltò il soave timbro, tentando nel frattempo di cogliere l’eco dei passi felpati che si approssimavano. Quella maledetta furbastra di Michiru aveva abbandonato il suo precedente punto d’appostamento e ora girava a cerchi sempre più stretti in cerca di lei.

Lei, non più amazzone, ma inerme preda.

“A certe cose non ci si abitua facilmente.”

Pensò risentita, ma non doveva distrarsi, poiché il suo rifugio provvisorio  non le consentiva seguire le traiettorie né il progredire della sua aguzzina. In ogni caso comunque era palese il tono sinistro che quell’appello grondante dolcezza celava. Il medesimo, pensò attraversata da un fremito di terrore, che doveva avere la vecchina di Hansel e Gretel.

Pure doveva superare l’impasse di quella situazione precaria, non poteva  trattenersi troppo a lungo nello stesso luogo, perciò, scostando appena, appena il capo dalla parete, si diede a scrutare il pavimento fin dove le riuscì di allungare il collo. Tutto taceva e nulla sembrava cambiato, ma se lo sentiva nelle ossa, stava arrivando a ghermirla.

Sì, stava dirigendosi dalla sua parte. E non era tanto il sesto senso a dirglielo, quanto piuttosto l’assoluta convinzione che, trattandosi di stanarla,  Michiru si sarebbe dimostrata più efficace di un cane da tartufi. 

Creare una diversione l’avrebbe senz’altro aiutata, quindi si tolse una pantofola e la lanciò in direzione opposta alla sua. Una mossa efficace questa, in quanto, appena scorse la silhouette dell’altra far capolino alla curva del corridoio, con uno scatto degno del suo passato d’atleta, s’involò nella direzione opposta, ficcandosi nella prima stanza disponibile.  

“Salva!”

Fece tutt’allegra nascondendosi dietro ad un mobile e, estremamente paga di sé stessa, prese a gloriarsi perché la sua dolce metà, essendo costretta a perlustrare a palmo a palmo ogni angolo, non aveva potuto avere il tempo d’accorgersi della sua scaltra manovra.

Purtroppo per lei però si rese conto fin troppo presto d’aver fatto una pessima scelta, perché, miseria infame, aveva riparato nell’unica stanza della casa sprovvista di  porte comunicanti.

“Porca vacca!”

Pensò mentre il sorriso di trionfo le appassiva sulle labbra per lasciare spazio alla costernazione. Aveva commesso un errore madornale e ormai di vie di fuga non gliene rimaneva che una e una sola. E il peggio era che sembrava Michiru si stesse dirigendo esattamente dalla sua parte.

“A meno che…”

Mormorò voltandosi a fissare intensamente le portefinestre che davano sul terrazzo. Poteva riparare sul loggione vero, fuori però c’erano 4 gradi e addosso non aveva che l’accappatoio. Pure non c’era tempo per gingillarsi e lei non poteva assolutamente arrendersi. Non poteva accidenti!

“Anzi”, si convinse senza darsi il tempo di ripensarci e lasciando scorrere silenziosamente l’anta, “il ballatoio ha un valore aggiunto. Gira tutt’intorno all’appartamento e mi da’ la possibilità di osservarne le mosse non vista. E prevenire è meglio che curare!”

Ne concluse determinata mentre un freddo cane l’accoglieva. Involontariamente rabbrividì, rattrappendosi sotto l’esiguo indumento e accomodandoselo più strettamente possibile addosso, tentò d’incoraggiarsi in qualche modo.

“In fondo, hai visto mai un colpo di fortuna? Semmai dovessi aver freddo, un varco lo troverò per rientrare.”

In effetti Haruka fidava sul dettaglio che in genere entrambe avevano cura di lasciare uno spiraglio aperto per consentire alla gatta di entrare e uscire. Peccato però ignorasse che la sua ancora di salvezza dormiva acciambellata sul divano.   

 

Andiamo Haruka, non fare l’idiota!

 

Vociò Michiru da un punto equidistante, più o meno, stimò Haruka mentre il venticello del nord le solleticava le pudenda, in prossimità della cucina. E infatti non si sbagliava, tant’è che quando si allungò cautamente oltre il vetro della finestra, ebbe tutto l’agio di vederla mentre cercava di snidarla da eventuali nascondigli cui avesse potuto riparare. Spalancò la dispensa, provò dietro al frigo e persino sotto il tavolo abbassandosi di soppiatto ed agitando tra le gambe delle sedie la scopa che aveva in pugno.

 “Ma che m’ha presa per un sorcio?”

Si chiese piccata Haruka mentre, parimenti stizzita, Michiru si fermava a considerare il da farsi fissando l’orologio alla parete.

Era quasi ora di cena, il che voleva dire che cominciavano ad essere veramente in ritardo e, Haruka lo sapeva perfettamente, se c’era una cosa che mandava in bestia la sua dolce metà, era esattamente quella.    

 

Haruka vieni fuori spontaneamente e nessuno si farà del male!

 

L’urlo ammonitore fu appunto la conferma dei suoi pensieri, Michiru era furibonda ed era evidente anche dallo slancio con il quale aveva ripreso la caccia. Uno screening a tappeto praticamente e, a tal punto energico, che le tulle del suo abito si sollevavano per quanto veloce andava.  

Con occhio critico Haruka ne osservò la mise.

“E’ splendida col turchese.”

Non poté fare a meno di dirsi intanto che si soffiava sulle mani  completamente prive di sensibilità. Inoltre, notò con disappunto, per farle piacere quella marpiona aveva persino avuto la faccia tosta di mettersi il pendente che le aveva regalato al suo ultimo compleanno.

Particolare questo che avrebbe potuto farla sentire in colpa se non fosse stato che sapeva benissimo non l’avesse fatto per compiacerla. Tutt’altro casomai, perché quella cura nell’addobbarsi a festa era diretta ad uno scopo che con lei aveva a che fare assai poco e per il quale Michiru aveva avuto persino l’ardire di dirle cosa doveva mettersi addosso.

“A me? Manco fossi una poppante!”

Mugugnò risentita, ruminando disappunto. Niente da fare, non le andava proprio giù e le era al punto indigesto che, voltandosi approssimativamente nella sua direzione e considerando che non l’avrebbe mai saputo, né avrebbe potuto deplorarla in proposito, succintamente le fece il gesto dell’ombrello.  

“Tié”, pensò incattivita, “lo sapevi che non mi andava e hai tentato comunque di fregarmi! Ora t’attacchi!”

A questo punto, avendo espletato questo atto da persona matura e consapevole,  la sua mossa successiva fu di strappare dai vasi in fiore una manciata di foglie e ramoscelli, onde mimetizzare la sua fin troppo visibile chioma, dopodiché cominciò ad avanzare rasente i davanzali progredendo abbassata sui talloni.

Così, di finestra in finestra, assistette ad un addivieni talmente senza senso che  cominciò a chiedersi se per caso Michiru non avesse desistito.

Pensiero questo che successivamente le fece ipotizzare che in quel frangente le sue sinapsi si fossero completamente surgelate, altrimenti avrebbe capito subito quel che l’altra stava facendo e, soprattutto, avrebbe tentato in qualche modo di fermarla.

Ma tant’è, quando ne afferrò il recondito scopo era già troppo tardi.  

Infatti Michiru per prima cosa si diresse all’andito e, una volta verificato che non se la fosse filata alla chetichella, giacché scarpe e soprabito erano al solito posto, aveva provveduto a sprangare l’uscio intascandone le chiavi. Poi, sistematicamente, era balzata di camera in camera aprendone le porte con un calcio, controllando ogni anfratto e infine bloccandone le aperture, esattamente come avrebbe fatto un agente della narcotici a Tijuana.

Peccato le mancasse un fucile a canne mozze tra le mani, pensò Haruka assistendo allibita a quella scena, in caso contrario il quadro sarebbe stato completo.  

Ma aveva poco da fare l’ironica, lo sapeva, poiché tutto quello sprangar usci aveva il solo scopo di metterla in trappola e ora non le restava che operare una scelta drastica per cavarsi d’impaccio: o si buttava di sotto, oppure si rassegnava ad essere presto agguantata e messa di fronte al fatto compiuto. 

“MAI!”

Esclamò pronta a combattere fino all’ultimo respiro ma, quando constatò che l’altra stava attraversando di gran carriera il salotto e puntava dritta al terrazzo, non trovò niente di meglio da fare che nascondersi dietro al ficus nano. E il peggio fu che, per meglio confondersi con l'ambiente, atteggiò pure la posizione di corpo e delle braccia a guisa in quella che supponeva essere la forma d’ipotetici arbusti.

Poteva essere peggio di così?

Si chiese tremando dal freddo, mentre il suono dei tacchi di Michiru avanzava fino ad arrestarsi a pochi metri da lei. Ne seguì un momentaneo silenzio, interrotto poi dal rumore inequivocabile di un piede che batteva impaziente al suolo.

 

Haruka dovresti vergognarti!

 

Si sentì apostrofare intanto che ancora giocava a fare il camaleonte con pessimi risultati. Accidenti, forse tutto sommato il fusto del ficus non era coprente come aveva immaginato. Che fare adesso? Venirne fuori con aria da penitente o sbraitare ancora una volta le proprie motivazioni?

Chissà, in ogni caso tentò d’assumere un’aria il più dignitosa possibile e si fece avanti, anche se, con le labbra blu, le foglie ancora tra i capelli e l’andatura esitante con cui le si presentò, si rese conto di non essere esattamente la quintessenza del decoro.

Tra l’altro, sebbene stesse evitando accuratamente di guardarla negli occhi,  riusciva comunque a vederne le braccia conserte e piglio tutt’altro che amorevole con il quale la stava affrontando. Non c’era pietà nel suo cuore? Neanche un poco?

 

Ora, se vuoi tornare dentro, sai cosa devi garantirmi… In caso contrario, giuro, ti lascio qua fuori a crepare dal freddo senza neppure una scatola di fiammiferi!

 

Evidentemente no, che donna senza misericordia!

A quel punto che poteva risponderle? Certamente non era nelle sue intenzioni far la fine della piccola fiammiferaia, perciò chinando il capo promise, anche se assai di malavoglia.

Con uno strattone Michiru se la tirò appresso e in breve si ritrovò in poltrona, avvolta nel piumone e coi piedi immersi in una bacinella nella quale Michiru, bollitore alla mano, continuava a versare acqua calda.

Naturalmente non che le cure delle quali stava venendo fatta oggetto fossero amorevoli, anzi aveva il vago sospetto che il non essere stata presa ad unghiate avesse come unica motivazione il fatto che sarebbe dovuta essere presentabile di lì a poco. 

Rabbrividì accucciandosi ancor di più sotto la trapunta, sapeva quel che l’aspettava e, nonostante avesse fatto di tutto per evitarlo, infine le toccava comunque.

Poi sentì la mano dell’altra che le si appoggiava sulla fronte e ne scrutò l’espressione preoccupata sentendo rinascere in sé la speranza.

 “Ce l’ho?”

Chiese trepidante augurandosi d’avere un febbrone tale da riuscire a scampare al capestro.  

Michiru volutamente la lasciò a crogiolarsi in quella pia illusione per qualche secondo, poi, prendendole il volto tra le mani e piegandosi fino a trovarsi alla sua stessa altezza, ghignò malefica.

 

Non ce l’hai e ora vai a vestirti…Ma prima mi spiegheresti una buona volta perché ogni volta che mia madre c’invita a cena devi montare tutto sto teatrino?!  

 

 

 

 

   
 
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