Si
accomodarono in un tavolino vicino alla finestra, il signor Watari
rivolto
verso una porta che Daphne intuì essere la cucina del
locale. C’era un gran va
vai di gente, cosa che le metteva una certa tranquillità. Si
tolse il cappotto
e si sistemò, cercando di non dare a vedere il suo
nervosismo.
-Mi
perdoni se ho scelto un posto così affollato, ma in questo
modo non daremo
nell’occhio- disse il signore mentre si sistemava gli
occhiali.
Ah,
no? Quindi Daphne correva pericoli anche in luoghi affollati? Certo,
l’indifferenza c’era, ma fino a questi
livelli…
-Gradisce
del caffè? Acqua e limone? Succo di frutta? Non faccia
complimenti-
-No,
grazie…-
Watari
fermò un cameriere, chiedendo del caffè e un
bicchiere d’acqua.
Daphne
notò una cosa nel suo modo di parlare, e non poté
fare a meno di chiederlo.
-E’
inglese…?-
-Immagino
che il mio accento l’abbia colpita-
-E’
molto aspirato-
-Anni
di studio non sono serviti a coprire questa
“pecca”, a quanto pare- Watari fece
un piccolo sorriso, nascosto dai baffi e dal lieve fumo del
caffè appena
arrivato. Ringraziò il cameriere, congedandolo gentilmente.
-Ora
veniamo a lei, signorina. Credo sia giusto che lei sappia cosa
è accaduto, o
almeno i maggiori sospetti legati al furto. L’investigatore
per il quale faccio
da intermediario ha già formulato delle ipotesi interessanti-
-Ecco,
tanto per cominciare- disse Daphne scostandosi un po’ i
capelli –Chi è questo
investigatore? Insomma, non farebbe prima a venire di persona?-
Watari
tossicchiò –Credo che sia impossibile. Vede, la
polizia italiana non sa ancora
che abbiamo messo piede qui. Stia tranquilla, è un uomo
efficiente e non c’è
paese che non lo abbia anche solo sentito nominare. Molti corpi di
polizia del
mondo hanno più volte richiesto il suo aiuto, ma ha dei
metodi, come dire… Non
molto ortodossi. Per questo viene chiamato solo in situazioni
d’emergenza, e
per l’incolumità di tutti è bene che
lui si faccia vedere il meno possibile in
giro-
Tutta
‘sta parlantina per dire cosa? Niente, che uno simile a un
fantasma si era
interessato a casa sua. Ma chi gliel’aveva chiesto? Comunque,
se davvero
sapevano delle cose importanti su quello che era successo, tanto valeva
sapere.
-Ebbene?
Cosa ha scoperto questo signore?-
-Immagino
lei abbia sentito dell’uomo che è disgraziatamente
precipitato dal ponte-
-Sì…-
-E
del ragazzo che è stato sgozzato nella sua dimora. Ah, la
ringrazio per il
giornale-
Daphne
spalancò leggermente la bocca e indicò il gentile
signore –Ma allora era lei
sulla metro!-
Watari
annuì
-Comunque,
da come parla sembra che quelle persone siano intrecciate a me-
-In
un certo senso è così-
Daphne
ridacchiò, cercando di buttarla sul leggero –Credo
che il suo investigatore
abbia preso un abbaglio. Vivo qui da quando ho iniziato
l’università, non ho
mai conosciuto quelle persone e non ho mai fatto nulla di male a
nessuno-
-Eh,
cara signorina, se le cose fossero davvero così facili al
mondo non
esisterebbero gli investigatori privati. E io sarei disoccupato- prese
dalla
tasca della giacca delle foto che ritraevano la casa di Daphne immersa
nel
caos. Ce n’era una che ritraeva il particolare della macchia
di sangue. Nella
testa di Daphne volarono tanti pensieri sulla scarsa qualità
delle foto, e sul
quando e come erano state scattate.
-Vi
siete introdotti in casa mia…-
-Era
necessario. Comunque, ci terrei a tranquillizzarla. Non è
stato ucciso nessuno
in casa sua. Quel sangue è stato messo lì per
intimorirla-
-Qualcuno
ce l’ha con me? Perché…? E che
cos’ho in comune con i due uomini? Uno si è
suicidato…-
-O
è quello che vogliono farle credere. Immagino che in tv
abbiano parlato di un
depresso-
Daphne
era ormai invasa dall’angoscia. Quindi, ovunque si fosse
trasferita, sarebbe
stata sempre vittima di “attentati” come questi?
-Ora
devo andare- disse Watari guardando l’orologio da taschino
–Mi rifarò vivo per
aggiornarla. Buona giornata-
Mischiandosi
nella folla, sparì subito. Daphne rimase a lungo a fissare
dei punti
indefiniti, si dava qualche schiaffetti. Ma no, era impossibile aver
sognato
una cosa simile! Calma. Doveva stare calma. Sì, era una
parola… Ora aveva
paura, anche solo di alzarsi dalla sedia. Forse… Forse era
meglio stare da Chad
per un po’.
Daphne
non si era ricordata però di un particolare: Chad viveva con
altre due persone,
in uno spazio ristretto. Impensabile stare lì, al massimo
due o tre giorni. E
poi l’idea di dividere il tetto con due estranei non le
andava particolarmente
a genio.
Andò
dall’unica persone che era certa non le avrebbe sbattuto la
porta in faccia.
mentre si incamminava, prendendo il coraggio a quattro mani, compose il
numero
di cellulare di Chad e lo avvertì che non sarebbe tornata a
pranzo poiché aveva
trovato una sistemazione temporanea da un’altra parte.
Subito
dopo aver suonato il campanello la porta del grande appartamento si
aprì,
mostrando una ragazza alta e molto snella, in mogliettina e jeans
stretti. Non
temeva i raffreddori o i malanni, a quanto pare, ma ciò era
dovuto anche ai
riscaldamenti costantemente accesi. La proprietaria di casa le fece un
enorme
sorriso e l’abbracciò, dandole due bacetti sulle
guance, come di consuetudine
tra amici.
-Non
mi aspettavo una visita a quest’ora!-
-Virginia,
ho bisogno di un enorme favore…-
-Entra
e spiegami tutto, intanto ti preparo una cioccolata calda. Hai
l’aria di essere
parecchio stressata, dev’essere per il furto, vero? Il tuo
ragazzo mi ha
accennato qualcosa, ma non ho avuto proprio tempo di
chiamarti…-
Daphne
si sedette sull’ampio divano rivestito di tessuto verde,
respirando a fondo il
profumo di una casa, di un caldo accogliente. Spiegò tutto
alla sua amica, la
quale acconsentì a tutto.
-Tanto
questa casa è grande, sarà bello avere compagnia!-
Solo,
non se la sentì di raccontarle dell’incontro con
quel tale, Watari. Le avrebbe
creduto? Bè, era una tipa abbastanza bizzarra, forse
sì, ma l’avrebbe comunque
allarmata di più.
Restarono
insieme fino al primo pomeriggio, Virginia cercando di tirarla su di
morale. La
lasciò sola per qualche minuto per farsi una doccia,
tornando da lei con un
astuccio pieno di trucchi e mollette.
-Tra
poco devo andare alla radio, puoi venire con me se vuoi-
-Credo
che sarei d’impiccio…-
-No,
ma che impiccio! Anche gli altri saranno contenti di vedere facce
nuove. E poi
oggi ci sarà da divertirsi: approfitteremo delle feste
natalizie per fare
scherzi telefonici a qualche vip. Se hai delle idee, suggerisci pure!-
-Grazie,
Virginia, ma credo che ne approfitterò per farmi una doccia
e riposare come si
deve…-
Virginia
piegò la testa un po’ all’indietro,
aprendo leggermente la bocca e mettersi la
matita intorno agli occhi, di uno strano blu brillante –Come
vuoi. Allora fai
come se fossi a casa tua. Poi, l’allarme è
inserito, e se succede qualcosa
chiedi pure al portiere. È bravissimo e anche carino! Mi
passi quella
extetion*, per favore?-
Mentre
gli passava la ciocca di capelli veri tinti di rosa, Daphne riprese
parola –Non
so ancora come ringraziarti, Virginia…-
-Figurati,
a che servono se no gli amici?- si mise gli stivali rosa simili alle
zampe di
un mammut, e anche piuttosto ingombranti, e si passò della
lacca sui capelli
dandogli un effetto scompigliato –Allora vado, torno verso le
8! Cucino io!-
Sola,
di nuovo. Per levarsi quella brutta sensazione corse a farsi un bagno
nell’enorme vasca.
Immersa
nella schiuma e nell’acqua calda, si rimise a pensare a
Watari, e a quello che
le aveva detto. Che collegamento c’era tra lei e quegli
uomini sfortunati?
Rischiava di morire allo stesso modo? E chi la voleva morta? A chi
doveva stare
attenta?
Restò
diverso tempo a osservare la cupola di San Pietro, visibile dai piani
alti
dell’appartamento della sua amica. Si stava facendo sera, e
cominciavano ad
accendersi i primi lampioni per strada.
Aveva
fatto di tutto per passare il tempo da sola senza farsi prendere
dall’ansia:
tv, bagno, sistemazione dei pochi bagagli che aveva, ammirazione del
panorama e
qualche foto dalla finestra. Era talmente nervosa che non riusciva
neanche a
criticarsi i lavori ed apprezzarli. Non vedeva l’ora che
Virginia tornasse.
Bussarono
alla porta. Finalmente!
-Arrivo!-
disse Daphne e corse ad aprire. Ma qualcosa la bloccò:
c’era un innaturale
silenzio dall’altra parte. e poi, Virginia aveva le chiavi,
che bisogno c’era
di bussare? Non era da lei. Non era lei, non poteva essere lei.
Guardò
attraverso lo spioncino. Nessuno. Forse era qualcuno in vena di
scherzi.
Fece
per allontanarsi, quando bussarono di nuovo.
-Chi
è?- chiese lei. Nessuna risposta. Guardò di nuovo
allo spioncino, e di nuovo
non c’era nessuno.
Aprì
leggermente la porta, notando che davvero non c’era nessuno.
Solo una scatola e
un biglietto chiuso appiccicato sopra.
Prese
la scatola in fretta e furia e si barricò dentro casa. Era
per Virginia? Poteva
capirlo dal biglietto. nessun mittente, nessun indirizzo né
timbro postale. Un
ammiratore, forse.
Aprire
prima la scatola e leggere prima il biglietto? Decise per la prima.
Sollevò
piano piano il coperchio, ma non servì: venne presa dalla
paura e cadde dalla
sedia lanciando un urlo, mentre dalla scatola saltava fuori la molla di
un
giullare graffiato e rovinato, colorato qua e là con un
rossetto. Rialzandosi
Daphne si avvicinò alla scatola e vide che dentro era stata
colorata con del
rossetto, a simulare del sangue.
Non
poteva essere per Virginia.
Prese
il biglietto e lo aprì velocemente. Lì non
potevano saltare fuori altri
pagliacci.
So
dove sei.
Così
c’era scritto.
Presa
dal terrore, buttò tutto nella spazzatura, prese una coperta
e si buttò sul
divano.
Watari,
Watari… Mi aiuti!
Questo
aveva pensato, finchè non arrivò Virginia,
dicendole semplicemente che qualcuno
faceva scherzi alla porta.