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Autore: Novelist Nemesi    06/12/2009    5 recensioni
"Sto per scrivere una storia vera. Lo assicuro, tutta vera". Ebbene sì, Nemesi è tornata con una nuova storia, stavolta ambientata a Roma. Spero di essere migliorata e di suscitare la vostra curiosità! Attendo le vostre recensioni e consigli!
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri personaggi, L, Watari
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Mi chiamo Daphne. Ho 20 anni, ormai sulla soglia dei 21, non mi sento affatto vecchia ma capisco che ormai è finita l’era degli adolescenti. Studio a Roma, faccio l’università, fotografia. La fotografia è la mia passione, datemi una macchina fotografica e mi farete felice per il resto della mia vita.
Un’altra cosa che mi fa felice è il mio giro di amici. Non lo do molto a vedere, ma con loro mi diverto tantissimo.
Sono una persona piuttosto riservata e anche indifferente. Mi piace la cultura, informarmi, ma nei confronti di certe cose sono molto… Amorfa.
La musica che ascolto è principalmente indie rock e grunge. Ma non ho voglia di stilare i nomi dei gruppi che ascolto, altrimenti sembra che faccio la lista della spesa.
Nelle mie foto adoro ritrarre paesaggi e dettagli.
Comunque.
Volevo approfittare di questa introduzione per snocciolare qualcosa di me.
Ma non è questa la ragione per cui scrivo.
È che sto per scrivere una storia vera. Lo assicuro, tutta vera.
E visto che sono piena di ispirazione, ci darò anche un titolo.
Crossover.
Sì, Crossover va più che bene.
Capirete poi il perché.

Daphne se ne stava seduta all’angolo, al solito posto, mentre leggeva un libro di Coelho. Gliel’avevano commissionato all’università per un esame, ma non le dispiaceva, considerava Coelho un grande scrittore. Sorseggiava una spremuta d’arancia mentre attendeva l’arrivo del suo fidanzato.
C’era molto silenzio, che la accompagnava nella lettura. Era un posto accogliente: piccolino, dalle pareti scure con delle foto di artisti degli anni 60 e 70, i tavolini piccolini molto vicini tra loro insieme ai piccoli sgabelli. Una piccola parte della sala era libera per far spazio ai complessi musicali che si esibivano spesso la sera. E per finire, un piccolo bar che offriva cocktail di ogni tipo, il barista e proprietario era molto gentile e alla mano, conosceva mezzo mondo e si faceva aiutare solo dalla figli.
Insomma, per la ragazza quello era un posto fantastico, una seconda casa che frequentava con altri “coinquilini”, ovvero i suoi amici.
Talmente persa nella lettura, non si accorse che la persona che aspettava era arrivata, la quale non apprezzava essere ignorata per un libro. Le diede una botta in testa con una rivista, al che la ragazza alzò lo sguardo scattando e irrigidendosi.
-Quando sei arrivato?-
-Bentornata sulla Terra, tesoro-
-Bastava chiamarmi, Chad-
Chad, il fidanzato di Daphne, era un tipo amichevole e che cercava di vivere senza troppi crucci. Frequentava anche lui l’università, faceva lavori di grafica. Aveva conosciuto Daphne sulla metro, facevano sempre lo stesso tragitto e da cosa nasce cosa. Lui era un tipo che non aveva difficoltà a rapportarsi con gli altri, ed era stato subito affascinato da Daphne.
Daphne metteva ora il libro nella tracolla, sistemandosi la sciarpa e il cappotto invernale targato Vans.
-Bene, andiamo?- disse lei facendosi strada tra gli sgabelli. Salutò poi con un sorriso il proprietario del locale, che chiamavano tutti affettuosamente Al.
-Ci vediamo, Al!-
Camminavano, tenendosi per mano, lui scherzando sul più e sul meno, e lei ascoltando attentamente e rispondendo con sarcasmo alle sue battute. Teneva molto a lui, non la faceva mai sentire sola e soprattutto c’era sempre nel momento del bisogno. Era sempre pieno di premure per lei, addirittura sapeva quando le sarebbe venuto il ciclo. Insomma, fino a sfiorare la patologia, ma lo amava anche per questo.
Arrivarono a destinazione: davanti a un albero di Natale addobbato con fiocchi, stelle filanti, palline e stelline. Era alto circa 15-20 metri, e più in basso, ad altezza uomo, erano state attaccate con delle mollette delle lettere, da bambini e non solo. I bambini credevano di scrivere sul serio a Babbo Natale, i grandi scrivevano solo le loro speranze e i loro auguri verso qualcuno in particolare.
-Ecco qua. Ci siamo fatti una bella camminata, ma per cosa?-
-Te l’ho detto, Chad. Devo attaccare una lettera-
-Oh ooooh…- lui l’abbraccio e le lanciò uno sguardo d’intesa –Devo intuire qualcosa di speciale per me?-
-Sì, sì, convinto- rispose lei con sarcasmo. Si districò da lui e attaccò la lettera.
-Guai a te se torni qui di nascosto e la leggi-
-Non mi azzarderei mai, tesoro- Chad le riprese la mano e insieme presero la strada per la metropolitana.
Lei non gli disse mai cosa aveva scritto sulla lettera. E comunque, non ne ebbe più occasione.
Passarono due giorni.
Daphne viveva da sola in un piccolo monolocale, in un quartiere appartato e tranquillo. Il vicinato era il classico pettegolo, anche quando si trasferì lì le voci girarono piuttosto in fretta.
La sveglia la riportò nel mondo reale, si alzò tranquillamente, fece una colazione veloce e andò a fare la doccia. Accese lo stereo che a volume discreto mandò nell’aria le note delle canzoni dei Foo Fighters.
Coperta per bene dal freddo che si preannunciava quella mattina, uscì di casa, e subito vide le vicine spettegolare. Già di prima mattina.
-Buongiorno, Daphne. Anche oggi università?-
-No, ci vado solo per incontrare un’amica che deve vendermi un libro-
-Stai attenta, girare da sola ormai è diventato pericoloso-
Lei fece una faccia curiosa.
-Hai visto il tg stamattina?-
-Ehm… No… E’ successo qualcosa?-
-Oh, dio ce ne scampi!- disse una delle signore –E’ morto un ragazzo, sgozzato nella sua camera da letto, ma non sembra una rapina-
Daphne sbuffò –Signore, non vorrei traumatizzarvi, ma cose come queste ormai sono all’ordine del giorno-
-Il colpevole ancora non si trova-
-Se anche l’avessero preso state certe che sarebbe libero nel giro di 48 ore- disse Daphne con un sorriso amaro –Ora vi saluto, signore-
Le sue vicine si spaventavano per qualunque cosa. Bè, sì, c’erano molti pericoli, ma ora avrebbe dovuto rinunciare alla sua vita per cose come queste? E poi sarebbe stato inutile, ormai la gente ti viene a sgozzare anche se non gli dai una sigaretta. Lei c’aveva fatto presto l’abitudine, aveva 20 anni e non era stupida.
Certo, però… Poverino. Sgozzato. Orribile. E se non era per rapina, per cos’era? Voleva vedere qualche informazione in più, avrebbe comprato il giornale.
Difatti già si era buttata nella lettura nella metro. Stava in piedi, tenendosi in equilibrio aggrappandosi a un palo. Dall’articolo sembravano stranieri (o almeno presunti tali) che volevano occupare la casa. Molto approssimativo. Daphne sospirò, piegò il giornale e se lo mise nella borsa.
Alla fermata successiva perse leggermente l’equilibrio, andando a sbandare con un uomo coperto da un cappotto. Lui si girò leggermente.
-Le chiedo scusa…- disse lei sbrigativa e senza neanche guardarlo in faccia. doveva scendere, la gente era tanta e non aveva tempo.
-Si figuri. Mi scusi lei- ma prima che lei scendesse del tutto, mentre si faceva strada, l’uomo si ricordò di una cosa –Le dispiacerebbe darmi il giornale?-
Lei si girò sorpresa –Come?-
-Il giornale. Se non le dispiace e non le serve più, può darlo a me?-
Aveva fretta, non aveva tempo di pensare alle domande inopportune o sfacciate.
-Sì, ecco, prenda- gli passò con un gesto veloce il giornale spiegazzato –Arrivederla!- fece uno scattò e scese velocemente dalla metro, che si chiuse alla sue spalle. Non fece in tempo a sentire cosa le aveva detto il signore, ma non importava. Quelle conoscenze di passaggio erano futili, non l’avrebbe più visto.
Arrivata all’università, dovette aspettare circa un quarto d’ora perché la sua amica arrivasse. Faceva sempre un po’ tardi, okay, ma un quarto d’ora era troppo e soprattutto non era da lei. Anche perché aveva il fiatone segno che aveva fatto tardi per cause di forza maggiore.
La sua amica non aveva ancora finito le superiori, era di bassa statura, cercava di coprirla con tacchi vertiginosi, la sua passione. Era una fan del Giappone e del Visual Kei, non c’era da stupirsi se la scambiavano per un orientale, salvo il taglio degli occhi chiari e tondi. Quel giorno poi volle osare con un boa fucsia abbinato a una felpa leopardata, in tinta con le scarpe.
-Come mai ci hai messo tanto?- chiese Daphne.
-Non c’ho capito bene, ma pare che un uomo si è buttato dal ponte… I depressi, sai com’è… E col traffico che avevano creato il tram ha fatto tardi. Hai aspettato molto?-
Approfittarono per prendersi un caffè, e conclusero la compravendita del libro.
-Immagino ti serva per l’università-
-No, stavolta mi voglio svagare. A proposito, tra poco è Natale. Che programmi hai?-
-Sai come si dice: Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi. Quindi il 25 non ci sono per nessuno!-
-Allora potremmo organizzare qualcosa per il 26 o dopo-
-Credevo che avresti fatto qualcosa con Chad-
-Per lui c’è tempo- risero insieme.
Dopo il caffè la sua amica doveva proprio correre –Non vorrei che qualcun altro si buttasse da un ponte…-
-Sai, stamattina ho sentito che uno è stato sgozzato. Mi sa che non è proprio periodo-
-L’Italia è una gabbia di matti da sempre, ricordatelo! Ci vediamo!- le spedì due baci e corse via, un po’ impacciata a causa dei tacchi.
Effettivamente la sua amica non aveva tutti i torti. Per Daphne sarebbe stata una giornata dura.
Tornò a casa verso l’ora di cena, aveva pranzato in biblioteca e nel pomeriggio aveva lavorato in libreria.
Quella sera non era molto tranquilla. Forse era stata suggestionata dalle vicine e dalla sua amica. Scosse la testa. Lei non si faceva, non si doveva far soggiogare da queste cose.
Eppure non riusciva a togliersi dalla testa la notizia del ragazzo sgozzato. E se ci fosse finita lei, con la gola tagliata?
Aprì la porta di casa, e non aveva parole per definire i suoi pensieri di… Paura? Forse sì.
Casa sua era stata derubata. Era tutto in disordine, qualche sedia rotta, i suoi cd buttati per terra e i cassetti rivoltati. Non aveva chissà quale ricchezza, e non aveva idea di cosa avessero portato via. Le venne in mente solo di chiamare la polizia.
Una volta arrivati i poliziotti, subito il vociare si fece strada. Lo sapevo io, ecco qua, tipico, eccetera. M a Daphne non importava in quel momento. Comprensibile, d’altronde, non aveva ancora avvisato Chad.
Dopo la perlustrazione a casa gli oggetti che mancavano all’appello erano: dei soldi, un cuscino, dei coltelli e dei vestiti.
-Siamo alle solite…- disse un poliziotto –Stia tranquilla, signorina. Ritroveremo presto ciò che le hanno rubato-
Daphne annuiva nervosa –Ora voglio solo prendermi del caffè e dormire…-
I poliziotti se ne andarono presto, e per grazia di dio nessun vicino si azzardava a bussare alla sua porta. Non era giornata, ci sarebbe stato tempo, anche per Chad. Se gli mandava un messaggio quello era capace di tutto.
Cercò di dare una ripulita, anche sommaria, non sopportava il disordine e quindi anche volendo non ce l’avrebbe fatta a dormire in quel caos. Mentre puliva, però, in particolare mentre passava lo straccio su un mobile in salotto, vide che all’angolo c’era qualcosa di strano: un colore diverso dalle pareti e dai mobili, scarlatto.
Sangue.
Era successo qualcosa di più del furto in quella casa.
Qualcuno era stato ferito, o addirittura ucciso.
Ma chi?
E perché da lei?
No, non voleva più stare in quella casa. Avrebbe passato l’ultima notte lì.
Infatti il mattino dopo piombò a casa di Chad, gli raccontò tutto e lui cercò di consolarla. La sgridò un po’ per non essere stato avvertito prima, ma passò presto in secondo piano.
-Oggi ti accompagno all’agenzia immobiliare-
-No, Chad, non è necessario. Oggi devi lavorare, no? Vai tranquillo, tanto l’agenzia non è molto lontana-
Passò la mattinata a sfogliare cataloghi e riviste su case e appartamenti, ma non aveva trovato nulla di che, nulla adatto al suo portafogli.
Fece una passeggiata al parco, sedendosi su una panchina qualunque. Sospirò. Ci mancava solo il furto. Si sfiorò la gola impaurita. Ebbe la sensazione di essere sfuggita a qualcosa di grosso. Voleva capire, voleva capire cos’era successo a casa sua, cosa significava il sangue. E i poliziotti? Sembravano non essersi accorti di niente…
Stava per rialzarsi per tornare da Chad, quando fu fermata da un signore, molto distinto, con l’impermeabile e gli occhiali.
-Mi scusi, lei è la ragazza che ha subito il furto di ieri sera?-
Le notizie volavano davvero in fretta –Mi scusi, non ho molto tempo e…-
-Oh, credo che dovrà rinunciare a gran parte del suo tempo, signorina. E credo che dovrà fidarsi di me e ascoltarmi-
Un pazzo –Le ripeto che non ho tempo. Se vuole scusarmi, ora, devo andare a cercarmi una nuova casa-
-Sarebbe lo stesso-
-Le chiedo scusa, e arriveder…-
-C’è del sangue nella sua vecchia casa, vero?-
Daphne si irrigidì, impallidendo, ma cercò le parole adatte a quella circostanza –Vada via o chiamo gente-
-Non si preoccupi, non sono un ladro. Anzi, lavoro per la giustizia-
-Ma chi è lei? Cosa vuole da me?-
-Mi chiami Watari, signorina- rispose il signore –Mi permette di offrirle del caffè? Devo averla spaventata molto, e questo è imperdonabile da parte mia-
-Lavora nella polizia? mi fa vedere il distintivo?-
-Non ho nessun distintivo, perché non faccio parte della polizia. lavoro per un investigatore che sta lavorando proprio per capire cosa è successo a casa sua-
Daphne non ci voleva, anzi, poteva credere. Un po’ la rincuorava sapere che non solo i poliziotti che, sinceramente, definiva incompetenti, si stessero interessando al suo caso.
-Posso sapere per chi lavora?-
-C’è tempo per queste cose. Ogni cosa a suo tempo. Adesso, per esempio, è tempo di caffè. Mi segua, c’è un bar delizioso qui vicino-
Daphne accettò, colpita da tanta gentilezza. E comunque, il bar che le era stato indicato era abbastanza popolare e sempre frequentato. Se le avesse fatto qualcosa, avrebbe potuto lo stesso chiamare aiuto.

  
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