Mi
chiamo Daphne. Ho 20
anni, ormai sulla soglia dei 21, non mi sento affatto vecchia ma
capisco che
ormai è finita l’era degli adolescenti. Studio a
Roma, faccio l’università,
fotografia. La fotografia è la mia passione, datemi una
macchina fotografica e
mi farete felice per il resto della mia vita.
Un’altra cosa che mi fa
felice è il mio giro di amici. Non lo do molto a vedere, ma
con loro mi diverto
tantissimo.
Sono una persona piuttosto
riservata e anche indifferente. Mi piace la cultura, informarmi, ma nei
confronti di certe cose sono molto… Amorfa.
La musica che ascolto è
principalmente indie rock e grunge. Ma non ho voglia di stilare i nomi
dei
gruppi che ascolto, altrimenti sembra che faccio la lista della spesa.
Nelle mie foto adoro ritrarre
paesaggi e dettagli.
Comunque.
Volevo approfittare di
questa introduzione per snocciolare qualcosa di me.
Ma non è questa la ragione
per cui scrivo.
È che sto per scrivere una
storia vera. Lo assicuro, tutta vera.
E visto che sono piena di
ispirazione, ci darò anche un titolo.
Crossover.
Sì, Crossover va più che
bene.
Capirete poi il perché.
C’era
molto silenzio, che la accompagnava nella lettura. Era un posto
accogliente:
piccolino, dalle pareti scure con delle foto di artisti degli anni 60 e
70, i
tavolini piccolini molto vicini tra loro insieme ai piccoli sgabelli.
Una
piccola parte della sala era libera per far spazio ai complessi
musicali che si
esibivano spesso la sera. E per finire, un piccolo bar che offriva
cocktail di
ogni tipo, il barista e proprietario era molto gentile e alla mano,
conosceva
mezzo mondo e si faceva aiutare solo dalla figli.
Insomma,
per la ragazza quello era un posto fantastico, una seconda casa che
frequentava
con altri “coinquilini”, ovvero i suoi amici.
Talmente
persa nella lettura, non si accorse che la persona che aspettava era
arrivata,
la quale non apprezzava essere ignorata per un libro. Le diede una
botta in
testa con una rivista, al che la ragazza alzò lo sguardo
scattando e irrigidendosi.
-Quando
sei arrivato?-
-Bentornata
sulla Terra, tesoro-
-Bastava
chiamarmi, Chad-
Chad,
il fidanzato di Daphne, era un tipo amichevole e che cercava di vivere
senza
troppi crucci. Frequentava anche lui l’università,
faceva lavori di grafica.
Aveva conosciuto Daphne sulla metro, facevano sempre lo stesso tragitto
e da
cosa nasce cosa. Lui era un tipo che non aveva difficoltà a
rapportarsi con gli
altri, ed era stato subito affascinato da Daphne.
Daphne
metteva ora il libro nella tracolla, sistemandosi la sciarpa e il
cappotto
invernale targato Vans.
-Bene,
andiamo?- disse lei facendosi strada tra gli sgabelli.
Salutò poi con un
sorriso il proprietario del locale, che chiamavano tutti
affettuosamente Al.
-Ci
vediamo, Al!-
Camminavano,
tenendosi per mano, lui scherzando sul più e sul meno, e lei
ascoltando
attentamente e rispondendo con sarcasmo alle sue battute. Teneva molto
a lui,
non la faceva mai sentire sola e soprattutto c’era sempre nel
momento del
bisogno. Era sempre pieno di premure per lei, addirittura sapeva quando
le
sarebbe venuto il ciclo. Insomma, fino a sfiorare la patologia, ma lo
amava
anche per questo.
Arrivarono
a destinazione: davanti a un albero di Natale addobbato con fiocchi,
stelle
filanti, palline e stelline. Era alto circa 15-20 metri, e
più in basso, ad
altezza uomo, erano state attaccate con delle mollette delle lettere,
da
bambini e non solo. I bambini credevano di scrivere sul serio a Babbo
Natale, i
grandi scrivevano solo le loro speranze e i loro auguri verso qualcuno
in particolare.
-Ecco
qua. Ci siamo fatti una bella camminata, ma per cosa?-
-Te
l’ho detto, Chad. Devo attaccare una lettera-
-Oh
ooooh…- lui l’abbraccio e le lanciò uno
sguardo d’intesa –Devo intuire qualcosa
di speciale per me?-
-Sì,
sì, convinto- rispose lei con sarcasmo. Si
districò da lui e attaccò la
lettera.
-Guai
a te se torni qui di nascosto e la leggi-
-Non
mi azzarderei mai, tesoro- Chad le riprese la mano e insieme presero la
strada
per la metropolitana.
Lei
non gli disse mai cosa aveva scritto sulla lettera. E comunque, non ne
ebbe più
occasione.
Passarono
due giorni.
Daphne
viveva da sola in un piccolo monolocale, in un quartiere appartato e
tranquillo. Il vicinato era il classico pettegolo, anche quando si
trasferì lì
le voci girarono piuttosto in fretta.
La
sveglia la riportò nel mondo reale, si alzò
tranquillamente, fece una colazione
veloce e andò a fare la doccia. Accese lo stereo che a
volume discreto mandò
nell’aria le note delle canzoni dei Foo Fighters.
Coperta
per bene dal freddo che si preannunciava quella mattina,
uscì di casa, e subito
vide le vicine spettegolare. Già di prima mattina.
-Buongiorno,
Daphne. Anche oggi università?-
-No,
ci vado solo per incontrare un’amica che deve vendermi un
libro-
-Stai
attenta, girare da sola ormai è diventato pericoloso-
Lei
fece una faccia curiosa.
-Hai
visto il tg stamattina?-
-Ehm…
No… E’ successo qualcosa?-
-Oh,
dio ce ne scampi!- disse una delle signore –E’
morto un ragazzo, sgozzato nella
sua camera da letto, ma non sembra una rapina-
Daphne
sbuffò –Signore, non vorrei traumatizzarvi, ma
cose come queste ormai sono
all’ordine del giorno-
-Il
colpevole ancora non si trova-
-Se
anche l’avessero preso state certe che sarebbe libero nel
giro di 48 ore- disse
Daphne con un sorriso amaro –Ora vi saluto, signore-
Le
sue vicine si spaventavano per qualunque cosa. Bè,
sì, c’erano molti pericoli,
ma ora avrebbe dovuto rinunciare alla sua vita per cose come queste? E
poi
sarebbe stato inutile, ormai la gente ti viene a sgozzare anche se non
gli dai
una sigaretta. Lei c’aveva fatto presto
l’abitudine, aveva 20 anni e non era
stupida.
Certo,
però… Poverino. Sgozzato. Orribile. E se non era
per rapina, per cos’era?
Voleva vedere qualche informazione in più, avrebbe comprato
il giornale.
Difatti
già si era buttata nella lettura nella metro. Stava in
piedi, tenendosi in
equilibrio aggrappandosi a un palo. Dall’articolo sembravano
stranieri (o
almeno presunti tali) che volevano occupare la casa. Molto
approssimativo.
Daphne sospirò, piegò il giornale e se lo mise
nella borsa.
Alla
fermata successiva perse leggermente l’equilibrio, andando a
sbandare con un
uomo coperto da un cappotto. Lui si girò leggermente.
-Le
chiedo scusa…- disse lei sbrigativa e senza neanche
guardarlo in faccia. doveva
scendere, la gente era tanta e non aveva tempo.
-Si
figuri. Mi scusi lei- ma prima che lei scendesse del tutto, mentre si
faceva
strada, l’uomo si ricordò di una cosa
–Le dispiacerebbe darmi il giornale?-
Lei
si girò sorpresa –Come?-
-Il
giornale. Se non le dispiace e non le serve più,
può darlo a me?-
Aveva
fretta, non aveva tempo di pensare alle domande inopportune o sfacciate.
-Sì,
ecco, prenda- gli passò con un gesto veloce il giornale
spiegazzato
–Arrivederla!- fece uno scattò e scese velocemente
dalla metro, che si chiuse
alla sue spalle. Non fece in tempo a sentire cosa le aveva detto il
signore, ma
non importava. Quelle conoscenze di passaggio erano futili, non
l’avrebbe più
visto.
Arrivata
all’università, dovette aspettare circa un quarto
d’ora perché la sua amica
arrivasse. Faceva sempre un po’ tardi, okay, ma un quarto
d’ora era troppo e
soprattutto non era da lei. Anche perché aveva il fiatone
segno che aveva fatto
tardi per cause di forza maggiore.
La
sua amica non aveva ancora finito le superiori, era di bassa statura,
cercava
di coprirla con tacchi vertiginosi, la sua passione. Era una fan del
Giappone e
del Visual Kei, non c’era da stupirsi se la scambiavano per
un orientale, salvo
il taglio degli occhi chiari e tondi. Quel giorno poi volle osare con
un boa
fucsia abbinato a una felpa leopardata, in tinta con le scarpe.
-Come
mai ci hai messo tanto?- chiese Daphne.
-Non
c’ho capito bene, ma pare che un uomo si è buttato
dal ponte… I depressi, sai
com’è… E col traffico che avevano
creato il tram ha fatto tardi. Hai aspettato
molto?-
Approfittarono
per prendersi un caffè, e conclusero la compravendita del
libro.
-Immagino
ti serva per l’università-
-No,
stavolta mi voglio svagare. A proposito, tra poco è Natale.
Che programmi hai?-
-Sai
come si dice: Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi. Quindi il 25 non
ci sono
per nessuno!-
-Allora
potremmo organizzare qualcosa per il 26 o dopo-
-Credevo
che avresti fatto qualcosa con Chad-
-Per
lui c’è tempo- risero insieme.
Dopo
il caffè la sua amica doveva proprio correre –Non
vorrei che qualcun altro si
buttasse da un ponte…-
-Sai,
stamattina ho sentito che uno è stato sgozzato. Mi sa che
non è proprio
periodo-
-L’Italia
è una gabbia di matti da sempre, ricordatelo! Ci vediamo!-
le spedì due baci e
corse via, un po’ impacciata a causa dei tacchi.
Effettivamente
la sua amica non aveva tutti i torti. Per Daphne sarebbe stata una
giornata
dura.
Tornò
a casa verso l’ora di cena, aveva pranzato in biblioteca e
nel pomeriggio aveva
lavorato in libreria.
Quella
sera non era molto tranquilla. Forse era stata suggestionata dalle
vicine e
dalla sua amica. Scosse la testa. Lei non si faceva, non si doveva far
soggiogare da queste cose.
Eppure
non riusciva a togliersi dalla testa la notizia del ragazzo sgozzato. E
se ci
fosse finita lei, con la gola tagliata?
Aprì
la porta di casa, e non aveva parole per definire i suoi pensieri
di… Paura?
Forse sì.
Casa
sua era stata derubata. Era tutto in disordine, qualche sedia rotta, i
suoi cd
buttati per terra e i cassetti rivoltati. Non aveva chissà
quale ricchezza, e
non aveva idea di cosa avessero portato via. Le venne in mente solo di
chiamare
la polizia.
Una
volta arrivati i poliziotti, subito il vociare si fece strada. Lo
sapevo io,
ecco qua, tipico, eccetera. M a Daphne non importava in quel momento.
Comprensibile,
d’altronde, non aveva ancora avvisato Chad.
Dopo
la perlustrazione a casa gli oggetti che mancavano
all’appello erano: dei
soldi, un cuscino, dei coltelli e dei vestiti.
-Siamo
alle solite…- disse un poliziotto –Stia
tranquilla, signorina. Ritroveremo
presto ciò che le hanno rubato-
Daphne
annuiva nervosa –Ora voglio solo prendermi del
caffè e dormire…-
I
poliziotti se ne andarono presto, e per grazia di dio nessun vicino si
azzardava a bussare alla sua porta. Non era giornata, ci sarebbe stato
tempo,
anche per Chad. Se gli mandava un messaggio quello era capace di tutto.
Cercò
di dare una ripulita, anche sommaria, non sopportava il disordine e
quindi
anche volendo non ce l’avrebbe fatta a dormire in quel caos.
Mentre puliva,
però, in particolare mentre passava lo straccio su un mobile
in salotto, vide
che all’angolo c’era qualcosa di strano: un colore
diverso dalle pareti e dai
mobili, scarlatto.
Sangue.
Era
successo qualcosa di più del furto in quella casa.
Qualcuno
era stato ferito, o addirittura ucciso.
Ma
chi?
E
perché da lei?
No,
non voleva più stare in quella casa. Avrebbe passato
l’ultima notte lì.
Infatti
il mattino dopo piombò a casa di Chad, gli
raccontò tutto e lui cercò di
consolarla. La sgridò un po’ per non essere stato
avvertito prima, ma passò
presto in secondo piano.
-Oggi
ti accompagno all’agenzia immobiliare-
-No,
Chad, non è necessario. Oggi devi lavorare, no? Vai
tranquillo, tanto l’agenzia
non è molto lontana-
Passò
la mattinata a sfogliare cataloghi e riviste su case e appartamenti, ma
non
aveva trovato nulla di che, nulla adatto al suo portafogli.
Fece
una passeggiata al parco, sedendosi su una panchina qualunque.
Sospirò. Ci
mancava solo il furto. Si sfiorò la gola impaurita. Ebbe la
sensazione di
essere sfuggita a qualcosa di grosso. Voleva capire, voleva capire
cos’era
successo a casa sua, cosa significava il sangue. E i poliziotti?
Sembravano non
essersi accorti di niente…
Stava
per rialzarsi per tornare da Chad, quando fu fermata da un signore,
molto
distinto, con l’impermeabile e gli occhiali.
-Mi
scusi, lei è la ragazza che ha subito il furto di ieri sera?-
Le
notizie volavano davvero in fretta –Mi scusi, non ho molto
tempo e…-
-Oh,
credo che dovrà rinunciare a gran parte del suo tempo,
signorina. E credo che
dovrà fidarsi di me e ascoltarmi-
Un
pazzo –Le ripeto che non ho tempo. Se vuole scusarmi, ora,
devo andare a
cercarmi una nuova casa-
-Sarebbe
lo stesso-
-Le
chiedo scusa, e arriveder…-
-C’è
del sangue nella sua vecchia casa, vero?-
Daphne
si irrigidì, impallidendo, ma cercò le parole
adatte a quella circostanza –Vada
via o chiamo gente-
-Non
si preoccupi, non sono un ladro. Anzi, lavoro per la giustizia-
-Ma
chi è lei? Cosa vuole da me?-
-Mi
chiami Watari, signorina- rispose il signore –Mi permette di
offrirle del
caffè? Devo averla spaventata molto, e questo è
imperdonabile da parte mia-
-Lavora
nella polizia? mi fa vedere il distintivo?-
-Non
ho nessun distintivo, perché non faccio parte della polizia.
lavoro per un
investigatore che sta lavorando proprio per capire cosa è
successo a casa sua-
Daphne
non ci voleva, anzi, poteva credere. Un po’ la rincuorava
sapere che non solo i
poliziotti che, sinceramente, definiva incompetenti, si stessero
interessando
al suo caso.
-Posso
sapere per chi lavora?-
-C’è
tempo per queste cose. Ogni cosa a suo tempo. Adesso, per esempio,
è tempo di
caffè. Mi segua, c’è un bar delizioso
qui vicino-
Daphne
accettò, colpita da tanta gentilezza. E comunque, il bar che
le era stato
indicato era abbastanza popolare e sempre frequentato. Se le avesse
fatto
qualcosa, avrebbe potuto lo stesso chiamare aiuto.