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Autore: Tsukuyomi    11/12/2009    16 recensioni
L'ennesimo ritorno alla vita dei Gold Saint, costretti dalla dea a tenere un diario. L'intento vuole essere comico e abbondano le parolacce. Probabilmente si tratta di un Death Mask un po' personale, è come lo immagino io.
"Per quale recondito motivo io, Death Mask di Cancer devo tenere un diario? Ma me ne può fregare qualcosa di meno? Per i posteri dice la dea. “Sarà utile per i vostri successori” dice lei. "
- FANFIC MOMENTANEAMENTE SOSPESA -
Genere: Comico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Cancer DeathMask, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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DM - 25 Giugno Ora che il peggio è passato posso anche trastullarmi.
Sì, il giorno del mio compleanno di merda è andato, invece di compiere un anno ne ho compiuti due, mi sento più vecchio di quello che sono in realtà e ho le palle girate.
Che schifo.
In effetti sono meno vecchio di quello che sono.
Tralasciando i miei bellissimi capelli grigio argento, le occhiaie che mi fanno sembrare un pugile dopo un incontro e qualche ruga dovute esattamente alla totale mancanza di sonno, sono più giovane di quel che sono. Sì.
Ho rintoccato i venticinque anni - ma perché venticinque? -  sono morto che ne avevo ventitré, quindi a rigor di logica sarei dovuto rinascere a ventitré, non a ventiquattro.
Eh sì, la dea ha contato anche l'anno che ho trascorso a farmi rodere il fegato e tutto il rodibile.
Anche se, sempre a rigor di logica, sarei dovuto restare cadavere.
Ieri ventiquattro. Oggi venticinque.                                                                                  
Venticinque come i calci in culo che vorrei dare alla dea. Venticinque come i denti che vorrei estrarre dalla bocca di Milo, ma solo perché sghignazza troppo. Venticinque come i capelli che vorrei lasciare in testa a quella checca di Aphrodite.
Venticinque come... Venticinque... non so di che venticinquina vorrei che Shura ricevesse o venisse privato. Devo pensarci, ma soffrirà.
Ne ho ventiquattro. Ne dimostro trentacinque, ma ne ho ventiquattro. Se fossi un albero avrei ventiquattro cerchietti, non venticinque.                          
Tsk. Venticinque.

Io desideravo dormire questa notte, ero sicuro che avrei riposato come un poppante tra le poppe materne.
Invece no.
Non solo quello scaldabagno bavoso e piscioloso ha pianto tutta la fottuta notte, ma quello che ho trovato ieri è stato atroce.
Come se tutta questa valanga di simpatia non fosse bastata a farmi desiderare di morire non un'altra ma addirittura tre volte, ho scoperto che ho venticinque anni. VENTICINQUE. Non Ventiquattro: venticinque, come il Natale.
In quel plico nascosto con la cura di un cieco privo di mani sotto il divano ho trovato l'impensabile: conteneva una delle cose più brutte e orrende che io abbia mai visto. Gli squartamenti, le esplosioni dei colpi in battaglia e i litri di sangue che scorrono felici sono semplici favole a confronto.
No, le favole no. Le odio. Io credo che le abbia inventate un sadico. Diversamente non può essere. Come si fa a intrattenere un bambino, sperando che resti buono, convinti che da grande non diventi un grande assassino, raccontandogli la fottuta storia di Pollicino.
Fortuna che mia madre è morta prima di raccontarmela o l'avrei fatta fuori con coscienza. Avrei potuto dare a lei la colpa di essere quel che sono.
Io non so chi abbia avuto l'ardire di infilare quell'orrore sotto quello che una volta era un divano. Non lo so e non lo voglio sapere.
Mai avrei pensato di vedere con i miei occhi io che...
Io che...
Io che... Oh, al diavolo, io che gioco ad incularello con Aphrodite e ciurma.
No, non l'avrei mai detto possibile e invece è successo.
Siccome ancora non sono impazzito del tutto, hanno ben pensato di infilare in quel fottuto plico dodici immagini, e io sono presente in tutte. In alcune lo prendo... Per esempio Saga abusa di me e del mio tenero corpo.
In altre lo do con disinvoltura, non che mi dispiaccia darlo via, ma non lo affiderei mai nelle mani, o in questo caso tra le natiche, di un altro uomo.
Insomma, nel tirare le somme di tutti questi stupendi giorni di vita:
- Sono vivo, il che sarebbe abbastanza piacevole se non avessi scoperto che il mondo mi è contro sempre e comunque;
- In giro per lo stesso mondo che mi contrasta, è possibile leggere liberamente un romanzo di dubbio gusto, firmato da una donnetta decerebrata che non ha il coraggio di firmarsi col suo vero nome. Grazie a questo romanzo ho scoperto che non mi piacciono i fiori, mah, non mi piacciono ma solo perchè puzzano altrimenti sono carini anche se troppo vivaci per i miei gusti;
- Ho la corrente elettrica e il computer che ancora non so come usare e soprattutto non saprei che farmene, le mie giornate sono così piene di niente che non riesco a trovare il tempo di avvicinarmici;
- I miei pari grado sono rinati col corpo, lasciando il cervello nella colonna;
- I miei pari grado sono sadici.
Queste sono le prime idee che mi attraversano il cervello in questo momento, ma effettivamente c'è di peggio: due dei miei pari grado sono non solo sadici fino al midollo, ma odiano i cani. Regalarmi un cane. A me. Un cane. Non sapevo odiassero gli animali, e qui si spiega per quale motivo non siano vegetariani, solo chi odia i vegetali può mangiarli con tanto ardore e vantarsi anche.
E sì che in questo posto sono tutti animalisti. L'altro giorno transitava un cagnetto brutto come la morte e tutti si sono precipitati a dargli una carezza o un po' di cibo. Rammolliti.
Ma ora che ci penso quello che mi ha fatto più senso è stato vedermi adagiato con la testa sulle cosce di Mu mentre mi carezzava i capelli. Meglio Saga che abusava di me. Molto meglio.
Ma in fondo non ne voglio parlare, voglio solo dimenticare, anche se quelle immagini continuano a ripresentarsi davanti ai miei occhi.

Il cane ulula davanti al nulla. Mi chiedo se anche lui veda quello che vedo io. Mitologicamente il cane rivestiva un ruolo di psicopompo o cose del genere, quindi potrebbe riuscire a vedere lo spettacolo pirotecnico che vedo io. Chissà. Lo lascerò piangere lì dov'è. Magari si stufa e scappa.
Per oggi lascerò stare:  sfruttamenti del mio sedere, sfruttamenti di sederi altrui, soprassiederò sul fatto di avere venticinque fottuti anni e non ventiquattro come dovrebbe essere in realtà. Non voglio pensare a quella scema che ha scritto il romanzo su di noi e in particolare su di me. Non me la sarei presa se mi avesse lasciato fuori, invece non l'ha fatto. Mi ha usato.
Odio tutti. Soprattutto quella cosa che non smette di latrare. Cosa avrà da lamentarsi, ha dormito anche sul letto. Ovviamente ero pronto ad appiccicarlo al muro, ma temo che qualcuno potrebbe incazzarsi e avere contro dodici cavalieri d'oro non è proprio il massimo. Credo che Shaka mi schiaccerebbe davvero volentieri tra le mani del Buddha.
Il cane ha dormito sul letto. Non importava quante volte lo mettessi giù: lui risaliva e alla fine ha vinto. Ma l'ho già detto.
Solo che mi ha ricordato il mio addestramento, sì: per un certo periodo non ebbi un letto su cui riposare, secondo il mio maestro dormire sul pavimento serviva a fortificare le membra.
E a ben pensarci non capisco cosa c'entri il cane col dormire sul pavimento, visto che non ci avrei dovuto dormire io ma lui. Inoltre devo ricordarmi di chiedere a quei due cerebrolesi se è maschio o femmina. Ma volevo scrivere del mio addestramento che va rigorosamente svolto in Sicilia, alle pendici dell’Etna. Ovviamente, come gran parte della mia vita, abitai in campagna, in culo al mondo per l'esattezza.
Ricordo il mio arrivo in quell'accidenti di villa tenuta assieme a sputo, faceva schifo: era fatiscente, brutta e anche storta. Ho sempre avuto la sensazione che pendesse leggermente, pronta a crollare da un momento all'altro sulla mia giovane testa. Invece non crollò.
Mi chiedo ancora quale legge fisica la tenesse in piedi. Ma non parlavo della topaia.
Ah, bei tempi quelli dell’addestramento. Ero ancora un tenero virgulto. Magari un po' devastato dal fatto di non chiudere occhio neanche la notte, un po' perché la stanchezza era tanta che non permetteva di riposare e un po' perché vedere gli spiriti, da sveglio e da addormentato, non permetteva sonni tranquilli. Ma si fa il callo a tutto.

Quando tornai in Sicilia, arrivavo dritto dritto dalla Grecia, da esattamente questo posto di merda in cui sono ora. Certo, non proprio questo visto che i Dodici Palazzi non dovevamo neanche guardarli secondo alcuni dei torturatori, ma avevamo il permesso di ambire alla custodia di uno di essi: solo ambire. Dopo tanti anni trascorsi al Santuario a parlare solo greco, mi ero scordato gran parte dell'italiano imparato fino alla morte dei miei genitori e durante il mio soggiorno in quella sorta di collegio/orfanotrofio che ebbe l'onore di avermi come ospite. Comunque in poco tempo recuperai non solo l'italiano ma anche quel po' di dialetto che conoscevo. A dir la verità, l'italiano lo imparai all'orfanotrofio, con i miei parlavo solo in dialetto. O almeno così mi sembra di ricordare.
Fatto sta che durante il primo periodo pensavo che avrei fatto il giardiniere/contadino/pastore.
Capii in seguito che quello non era altro che un modo per farmi ambientare. C’erano altri due ragazzi lì ma ovviamente non mi fregava un benemerito cazzo di loro. Non mi interessava stringerci amicizia. Avevo già degli amici, ma in terra di Grecia. L’unica cosa che mi aveva dato l’Italia erano i natali, per il resto mi faceva schifo come tutto il resto del mondo. Sapevo che avrei dovuto riprovare sulla mia pelle i pregiudizi che avevano già segnato la mia vita in modo indelebile in orfanotrofio. Ma sto divagando e anche frignando come una ragazzina di dodici anni... Come Saori.
Ora mi sorge spontaneo domandarmi se sarò io ad addestrare lo sfigato che verrà dopo di me e al quale verrà dato in custodia questo accumulo di zozzerie. Chissà. Comunque se ti sono stato maestro venerami, e se non lo sono stato pure.

Ma dicevo: avrò avuto più o meno sei anni ed ero già un mostro di bellezza al mio arrivo.
Ero contento di essere stato spedito nuovamente in Sicilia, ma mi spiaceva essere stato allontanato dalle uniche persone che dimostrarono apprezzare il mio aspetto. Devo ammettere che in gioventù, qui al Santuario, spopolavo.
Tra i ragazzi però. Il che mi fa sorgere dei dubbi riguardo quel romanzo di amori e guerrieri: non vorrei scoprire che ci si teneva d'occhio da mocciosi per scrivere di quelle porcherie... E fare quei disegni.
Il mio aspetto non creò l’effetto che mi aspettavo. Anzi, gli altri bambini mi invidiavano il colore dei capelli, ma soprattutto il colore degli occhi. Non avevano mai visto gli occhi rossi. A dir la verità sto aspettando di trovare qualcun altro con gli occhi rossi, ma credo che la mia combinazione genetica sia più unica che rara oltre che marcia, sì, marcia. Ho più retro evoluzioni io dell’uomo di Neanderthal.
Riesco a muovere le orecchie indipendentemente dal resto della faccia, riesco a ringhiare per ore, ho l’ossatura grossa, la cassa toracica da gorilla … però faccio la mia porca figura.
Ma non parlavamo di evoluzione. E nemmeno del mio arrivo in Grecia, per quello ci sarà tempo (spero) e nemmeno di quando ero apprezzato e di quanto sono esteticamente piacente.
Strinsi subito amicizia con altri due mocciosi: Shura e Aphrodite. E ancora oggi mi ronzano intorno per rompermi i coglioni, ma solo quando non sono io a dar fastidio a loro. Il nostro rapporto di amicizia non ha fatto altro che saldarsi di anno in anno: siamo morti assieme, siamo rinati assieme, poi sono morto con Aphrodite, ma Shura c'ha raggiunto poco dopo, poi siamo rinati. E direi che è anche ora di smetterla. Per altro io e Shura siamo stati uccisi dallo stesso fesso, che evidentemente tanto fesso non era.
Non ricordo più di cosa parlavo.
Perchè sto ancora parlando di Shura e Aphrodite? Ho un conto in sospeso con loro, ma presto torneremo pari.
Ah, sì, il mio addestramento.

Arrivai in Sicilia in una bellissima ed odiosa giornata di sole, una di quelle giornate in cui desideri essere morto e sepolto in un ghiacciaio (ma dopo aver soggiornato nel Cocito, non sono più interessato a rivivere l'esperienza, alla fine meglio il caldo). Sudavo come un maiale sul fuoco e la pelle pizzicava dannatamente.
In effetti mi sentivo in tutto e per tutto come un porco allo spiedo, ma senza spiedo. Ma a quanto pare, col tempo, è arrivato anche quello... Di Saga, e questo non mi rende felice.
Non ricordo più chi mi portò in Sicilia, ma sicuramente si trattava di qualcuno che conoscevo: quindi poteva essere tranquillamente uno di quei torturatori bastardi che si dilettavano a farci sputare sangue. Mi abbandonò davanti ad un cancello in piena campagna e mi disse: "Arrangiati."
Credo che quello stronzo sia morto, o almeno lo spero per lui.
Presi coraggio ed entrai, in fondo il podere s'assomigliava a quello dove vivevo quando c'erano ancora i miei genitori, nel senso che c'erano campi, animali, alberi e sassi. Niente di più e niente di meno. A dir la verità mancava soltanto quel fiumiciattolo in cui andavo a giocare.
Anche l'ubicazione era quasi la stessa: lontano dal mondo civilizzato.
In fondo la vita bucolica non mi dispiaceva.
Percorsi con calma un bel sentiero in terra battuta, ricco di sassi sporgenti su cui inciampai un miliardo di volte, incapace di guardare dove mettessi i piedi; la curiosità di vedere in quale buco di mondo ero finito era tanta e a sei anni non è un problema cadere e abbandonare i denti da qualche parte. Sarebbero ricresciuti. Non che ne avessi coscienza, ma fotteva sega.
Dopo aver arrancato come uno zoppo su quel sentiero giunsi dinnanzi alla famosa casa storta. Mi sembrava enorme, oltre che storta. Ma sembrava anche che potesse cadere al primo alito di vento.
Rimasi inebetito a fissarla, chiedendomi se avessi proprio dovuto vivere in quel posto quando un ometto basso e strano mi fece un cenno.
Era sbracato su un'amaca tesa tra due grossi ciliegi antistanti la costruzione; era il mio maestro, non seppi mai il nome; non mi serviva sapere come si chiamasse, contava solo che grazie a lui sarei potuto diventare più forte.
Era paurosamente magro, senza muscoli evidenti e con delle occhiaie stupendamente nere: non sembrava un guerriero, ma se ero stato mandato lì avrebbe dovuto sapere il fatto suo. Così credevo e così fu. Mai nessuno mi sfabbricò di mazzate a quel modo.
Sì alzò dal suo letto penzolante e mi venne incontro. Ricordo solo che mi strinse la mano con tanta forza che a pensarci ancora mi fa male.
Rimangiai tutti i miei pensieri, a quel punto era ovvio che i miei dubbi erano dettati dall'idiozia di un moccioso di sei anni, ma venivo da un posto dove tutti i guerrieri mostravano orgogliosamente il loro muscoli, vantandosi della loro forza.
Quest'uomo non sembrava un guerriero, sembrava non mangiasse dalla nascita e aveva una forza spaventosa.
Non ebbi il tempo di guardarmi attorno, mi mise subito al lavoro facendomi tagliare l’erba del cortile davanti alla casa.
Ricordo che lo feci volentieri. Non mi dispiaceva il lavoro fisico. Mentre lavoravo lui si coricò nuovamente sull’amaca  e mi parlò di quello che sarebbe stato il mio soggiorno lì. Mi disse che prima di allenarmi seriamente voleva capire esattamente quali fossero le mie capacità. Io lo ascoltavo, in silenzio. Non proferii parola. Non avevo niente da dire.
Quando pensa che la prova fosse finita mi condusse all'interno della casa e una volta sul tetto mi fece pulire le grondaie; successivamente mi portò in un campo di pomodori e mi fece strappare le erbacce che tentavano di soffocare le piante, mi fece annaffiare i fiori della moglie ed infine potare delle siepi che crescevano lungo un lato della tenuta. A che servissero non l'ho mai capito, ma forse a massacrare le palle ad un nanerottolo idiota come ero io. Niente di che per il primo giorno. Ricordo che mi addormentai come un cucciolo, non di rottweiler, quello non dorme e rimane ad uggiolare massacrandomi i timpani. Che voglia uscire? Mah, Proviamo.

-

Sì, aveva bisogno di uscire. Credo volesse andare da Shura o Aphrodite.
Si è abbarbicato lungo le scale come un razzo e appena arrivato all'ultimo gradino che lo separava da casa di Aiolia dev'essere inciampato sulle sue stesse zampe da scaldabagno ed è rotolato giù.
Hanno una buona resistenza alle rotolate. Ma forse se ci fossero state più scale o non ci fossero stati i miei piedi a fermarlo avrebbe proseguito sfracellandosi su una colonna o forse sarebbe uscito dai confini del Santuario. Mai che me ne vada bene una.
Però mi ha fatto tenerezza. C'è rimasto chiaramente male per il fallimento. La pena è durata un secondo: ha ricominciato ad uggiolare e latrare con quella vocina acuta e fastidiosa. Purtroppo in quel momento passava Dohko e non ho potuto attaccarlo al muro, ma avrò altre occasioni. Solo un po' di pazienza.

Raccontavo dell'addestramento. Ah, bel periodo.
Il secondo giorno riuscì ad essere addirittura più interessante: mi fece scarpinare per un'ora in mezzo alla campagna.
Non era un posto lontano dalla cascina, ma era vergognosamente in salita. Lui non fece fatica, io arrivari trascinandomi sui gomiti. Come riuscisse a produrre tanta forza di spinta con quelle gambette rinseccolite devo ancora capirlo, ma la cosa importante è che mi portò in un ovile e mi chiese se sapevo mungere.
Mungere? Io? Va bene che ero nato e avevo vissuto in un posto simile per quattro anni ma mai mi passò per la testa di chiedere a mio padre di insegnarmi a mungere. Con gli animali ci giocavo e basta, anche se gli animali non erano troppo d’accordo.
C'era una puzza atroce in quel posto ed era buio; lo vidi avvicinarsi ad una di quelle orrende bestiacce, che una volta cotte diventano molto più guardabili e tollerabili, vi si mise a cavalcioni sopra, tenendogli l'addome schiacciato con le gambe e mi mostrò quello che dovevo fare.
Mi insegnò così a mungere le pecore.
Ovviamente ero troppo basso e le bestiacce schifose riuscivano a sfuggirmi o a mandarmi a gambe all'aria.
Fu più il tempo che passai per terra e a rialzarmi che a mungere.
Imparai in fretta. Dopo qualche giorno ero in grado di mungere tutte quelle fottutissime pecore in poche ore, a mano. La mungitura la odiavo, mi lasciava in ricordo dei mal di schiena stupendi.
Ma la giornata più bella fu l'ultima che trascorsi nell'ovile, almeno per quel breve periodo. Iniziai a pensare di essere diventato il servo pastore che non aveva mai avuto e forse non sbagliavo, ma ricordo con piacere il mio primo incontro col montone. Che bestia simpatica.
Mi caricò.
Io scappai.
Lui mi seguì.
Io correvo girato per assicurarmi fosse a debita distanza dal mio culo.
Lui correva a testa bassa.
Abbracciai un grosso mandorlo, probabilmente spuntato perchè il montone potesse investirmi, e feci appena in tempo a spostarmi per non rischiare di morire dentro il fottuto albero. L'ariete ci diede una testata tanto forte che piovvero mandorle dell'anno prima ovunque (visto che nessuno s'era degnato di raccoglierle, ma da quell'anno cominciai io. Con immensa gioia.) e andò via barcollando. Fu un duro colpo per lui, ma anche per me. M'ero completamente spalmato sulla pianta e l'impatto della mia giovane cassa toracica mi tagliò il fiato. Caddi a terra come una delle tante mandorle finchè non mi riacchiappò il maestro, sollevandomi con un braccio e perculandomi a dovere.
I miei rapporti con l'antenato di Mu sono rimasti sempre burrascosi. Ma dopo un po' gli tendevo le giuste trappole. Avevo pur sempre sei anni e una voglia di vendicarmi incredibile. Alla fine non siamo mai giunti alla resa dei conti. Ma a distanza di anni direi che la vittoria sia del pecorone.
Munsi pecore per un sacco e poi fu il turno delle vacche. Molto meno faticoso ma non più semplice. E poi le vacche erano poche.

Dopo essere diventato un eccellente giardiniere e anche un eccellente pastore fu il momento di coltivare la terra.
Per il primo anno mi fece zappare ettari ed ettari di terra, a braccia, sotto il sole e sotto la pioggia. Se grandinava mi faceva mungere e pulire le diverse tonnellate di letame che gli animali si divertivano a lasciare in giro.
Ovviamente la prima volta si trattò solo di un campetto insignificante: ci misi quattro giorni.
Mentre mi facevo un buco di culo grosso quanto una ferrovia quel bastardo stava coricato a guardarmi e parlava, parlava e parlava.
Parlava un sacco quell’uomo e aveva la grandiosa capacità di non dire un cazzo. Bla bla bla inutili.
Dopo avermi fatto zappare, mi insegnò le gioie della semina. Quando mi illusi che la mia carriera da contadino fosse finalmente finita, mi portò in un altro campo. Imparai a mietere. Eravamo già a giugno. Dopo la mietitura era necessario spigare e poi fare i covoni. Tutto a mano. Ovviamente per la mietitura e le gioie successive del lavoro non ero solo: c’erano anche lui, la moglie, la figlia e i due che erano lì da prima di me. Inoltre c’erano anche dei lavoratori pagati. Era un lavoro massacrante e notevolmente stressante, ma il lato positivo era che non era necessario parlare con nessuno.
Mentre mi divertivo a separare le spighe dai gambi, i due fancazzisti che erano lì mi dissero che sicuramente sarei stato rimandato a casa. Chiesi loro perché e mi risposero che il maestro accettava solo alcuni tipi di persone come: gran lavoratori, ribelli e altre categorie. E io non rientravo in nessuna di queste. Mi arrabbiai. Ma continuai il mio lavoro. Ovviamente mi prendevano per il culo.
Ma avevo solo sette anni e credo di non essere mai stato troppo sveglio, inoltre erano un po' più grandi di me.
Quando tornammo a casa, il maestro ci convocò tutti e tre in casa sua, dove entrai per la seconda volta dopo aver pulito le fottute grondaie.
Dormivo, assieme agli altri due minchioni,  in una casetta che poteva essere considerato un capanno degli attrezzi per dimensioni, lusso e sporcizia.
Ci fece sedere sul divano, e le mie chiappe gliene furono estremamente grate, era quasi un anno che non toccavo niente di più morbido di un materasso imbottito con tutto meno che con cose morbide. Poi sparì anche quello. Già: fortificare le membra.
Ci offrì da bere e la moglie ci servì col sorriso.
Fu come entrare in paradiso dopo l'inferno, bastava poco per farmi contento: qualcosa di caldo (nonostante le temperature elevatissime) e qualcosa di morbido.
“Qualcuno andrà via stasera stessa” - disse mentre sorseggiava la stessa sbobba. Non ricordo che accidenti fosse.
Ebbi un colpo al cuore. Non ero degno. Quelle due teste di cazzo, troppo sicure delle loro capacità avevano instillato in me un dubbio che prendeva consistenza ad ogni parola di quell’uomo. Parlò a lungo spiegando la sua scelta e dicendo che poteva esserci un solo prescelto.
Scoprii che anche quei due venivano dal Santuario, come me. Quindi compresi che probabilmente il Gran Sacerdote voleva essere sicuro delle sue scelte inviando di volta in volta diversi marmocchi. Beh, il marmocchio fortunato fui io.
“Resterà solo Death Mask.” - esclamò dopo un breve silenzio.
Credo di aver perso due-tre battiti in quel momento. Stavo per svenire. Non ero io quello che se ne sarebbe andato. Erano loro. Ero soddisfatto. Ah, ovviamente non mi chiamavo ancora Death Mask, ma il mio nome ho già detto che non salterà fuori.
Quei due erano meravigliati. Non si aspettavano la cacciata. Chiesero spiegazioni, che furono concentrate in poche, dure parole che riassumevano un concetto base fondamentale per diventare un saint di Atena. Parlò con voce ferma: "Non siete degni."
Ci rimasero di merda, esattamente come me.
Non mi sembrava vero di essere degno. Mi ero sempre sentito fuori posto, credendo di essere il dettaglio fuoriposto, quello che rovina l'armonia di qualunque cosa. In fondo ne ero contento e mi ubriacai di fierezza.
Aggiunse dopo che il tentativo di demoralizzarmi per farmi fuori non era un comportamento che un aspirante santo di Atena avrebbe dovuto tenere.
Sgridò anche me, dopotutto non avevo mai cercato di stringere alcun rapporto con quelle minchie vestite. Ma in fondo non avevo fatto niente di male e cambiò rapidamente discorso tornando su quei due e la bassezza che avevano compiuto secondo lui.
Io, dal mio canto, non trovai nulla di male nel loro comportamento. Non sapevo che eravamo in competizione, l'avessi capito avrei cercato di silurarli a mia volta. Ma non voglio stare a discutere su una delle poche fortune che ho avuto in vita, non è il caso.
Dopo un lunghissimo blabla sul perchè non avessero dovuto cercare di portarmi a gettare la spugna e cazzate che neanche ricordo, gli disse che erano pigri e fu come se cadessero lampi.
I due babbalei s'inalberarono non poco, avevano fatto tutto quello che avevo fatto anche io, ma a quanto sembrava io l'avevo fatto meglio.
Volarono urla e parole grosse finchè il mio maestro non li cacciò via in modo un po' brusco: gli aprì la porta e li invito gentilmente ad andare fuori dai coglioni.
Non mi interessava nulla. Avevo solo due sfidanti in meno, la strada da percorrere era ancora lunga e ancora non sapevo quanto sarebbe stata faticosa. Però ho sempre avuto uno spirito perculatorio abbastanza forte, non mi sfeci sfuggire la possibilità di prenderli per il culo ed andai ad attenderli al cancello che delimitava quella piccola nazione che il maestro chiamava "casetta"; non attesi molto.
Avevano le loro sacche sulle spalle e, con la delusione dipinta sulla faccia, si avviavano non so dove.
Li feci infuriare e mi si avventarono contro come bestie impazzite. Non ricordo cosa dissi loro, ma di sicuro non ci andai leggero.
Riuscii a tenere testa a due ragazzi più grandi di me, originando una lotta abbastanza infantile, fatta di pugni e calci. La mia inferiorità numerica si fece sentire subito quando uno dei due mi tenne fermo. L'altro si divertì ad usarmi come sacco da pugilato.
Iniziai a sentire una forte rabbia, sembrava originarsi energie dallo stomaco e mi illuminai come una lucciola in mezzo al nulla e restituii tutte le botte prese con gli interessi di un usuraio. Non mi sembrava vero.
La lotta inizialmente infantile si era trasformata in qualcosa di straordinario e alla fine i due scapparono.
Chissà come cazzo si chiamavano, ma fottesega al momento.
Non mi sorpresi solo di essermi illuminato come una torcia, ma anche per la forza che avevo dimostrato di avere. Tutto quel lavoro alla fine si era dimostrato essere stato utile.
Il maestro aveva seguito tutta la vicenda nascosto non so dove, so solo che mi fece prendere un colpo quando parlò per dirmi che forse c'aveva visto giusto: ero uno dei prescelti.

Dalla sera il mio addestramento cambiò: non munsi più una vacca o una pecora e non zappai più.
In compenso il mio maestro scopri che poteva tranquillamente evitare di castrare i tori. Sì, non aveva più bisogno di buoi: c'ero io.
Dalla mattina dopo il mio compito fu quello di trainare l'aratro e da quella volta i buoi riscuotono la mia totale ammirazione. E' una fatica fottuta. Tirare l'aratro era doloroso non solo per i muscoli, ma anche per i polmoni, sembrava che respirassi fuoco. Ma dopo la deci-ventesima volta diventa più facile, finchè non si appesantisce l'aratro o non è necessario lavorare un terreno in salita. In quei casi sono cazzi amari.
Un pomeriggio, mentre lui non aveva voglia di fare un cazzo, come sempre, mi chiese da quanto tempo ero in grado di vedere i morti. Ovviamente da che io ricordassi. Glielo mugugnai contro, incazzato nero perchè non avevo ancora visto niente che sembrasse un addestramento.
L'unico cambiamento che avevo riscontrato dal mio arrivo era fisico, i muscoli avevano iniziato a scolpirsi e gonfiarsi sempre di più.
Gli dissi quanto fosse pessimo come maestro e s'incazzò.
Mi scatenò contro un potere enorme ed era quello che volevo io. Mi gonfiò di botte, me ne diede talmente tante che rimasi in stato quasi comatoso per un paio di giorni e da allora compresi che il maestro poteva essere gentile e affabile, ma guai ad andargli contro.
Per complimentarsi con me mi fece trainare l'aratro, ancora e ancora.
Che addestramento di merda.
Dopo un paio d'anni che stazionavo in quell'inferno conobbi finalmente la figlia; fu tanto gentile da venire a medicarmi.
Mi innamorai subito e lei non mi cagò di striscio.
Sopravvissi alla mia prima delusione d'amore (alla tenera età di otto anni, forse sono stato un tantino precoce) e continuai ad allenarmi.
Quando il maestro comprese che la mia prestanza fosse adeguata per giochini più divertenti iniziò a parlarmi del cosmo.
Avevo l'obbligo morale di svilupparne uno decente per ringraziarlo dell'ospitalità offertami; odiavo quell'uomo. Però imparai ad usare quella forza primordiale che mi ribolliva nelle viscere, provveniente dalle stelle, senza bisogno di incazzarmi come un cosacco sobrio da troppi giorni.
E fu così che le salite senza fine che avevo affrontato fino a quel momento trascinando l'aratro le dovetti fare saltando e schivando i macigni che mi scagliava contro. E schivavo usando il cosmo.
Dopo un po' di tempo ripensai ad una domanda: mi aveva chiesto da quanto tempo ero in grado di vedere i morti e io non gliene avevo mai parlato.
Gli chiesi spiegazioni e mi spiegò che sapeva su di me tutto quello che sapeva il Gran Sacerdote e che non era altro che una conseguenza dell'enorme potere che avrei sviluppato.
Gli addestramenti si fecero sempre più intensi e faticosi: mi sottoponeva a prove fisiche degne di un sadico bastardo e combattevamo, cosa che doveva piacergli in particolar modo a giudicare il modo in cui si accaniva su di me. Ogni volta che venivo ferito, puntava a colpire sulla lesione. Era un fottuto bastardo.

Una notte - avevo nove anni - accadde qualcosa di impensato.
Non riuscivo a dormire neanche le mie classiche e affezionate poche ore; il dolore ai muscoli e alle ossa era allucinante e le ferite bruciavano come se fossero state cosparse di acido. Stavo davvero di merda. Ricordai il passato: i miei genitori, il maiale bastardo che mi aveva morso e anche la tristezza e la solitudine che avevo dovuto affrontare. Pensai che con qualche lacrima forse sarei riuscito a dormire.
Invece no. Non riuscivo a piangere.
Mi rattristava incredibilmente il mio passato, ma non c'era verso di farmi scendere qualche lacrima. Provai a stuzzicare le ferite semi aperte, ottenendo solo di farle sanguinare nuovamente, neanche il dolore fisico aggiunto alla gioia che provavo riusciva a farmi piangere.
Decisi di concentrarmi, chiusi gli occhi e attesi, ripassando gli insegnamenti sul cosmo, cercando di visualizzarlo dentro di me.
Fu un prodigio.
Vidi le stelle venirmi incontro, o meglio, ero io a muovermi nell'infinito spazio, finchè non arrivai in un punto preciso. Non avevo mai studiato il cielo e le stelle, ma sapevo dove mi dirigevo: la Nebulosa Praesepe. Sapevo che si trattava dell'entrata per un'altra dimensione, per una dimensione che collega quella reale al Regno dei Morti. Lo sapevo senza saperlo.
Trascorsi del tempo lì, aggirandomi come uno stronzo finché non lo riconobbi.
Era il posto dove avevo spedito mamma e papà e forse quel porco che mi morse la mano.
Capii che non avevo nulla da temere, in fondo mi ci trovavo bene e compresi davvero che era casa mia, forse l'unica che avevo avuto fino a quel momento, pur senza starci in pianta stabile. Vidi tutto quella notte e solo quando tornai, la mattina dopo, trovai il mio maestro ad aspettarmi, chiedendomi dove diavolo fossi andato a cacciarmi.
Gli raccontai tutto quello che avevo visto e questo lo riempì di soddisfazione.

L’addestramento continuò in modo che io potessi sviluppare ancora forza fisica e spirituale. Dovevo ampliare il mio cosmo e raggiungere il settimo senso, in questo modo sarei stato in grado di diventare un cavaliere d’oro. Mi impegnai davvero tanto. Obbedivo e rispettavo rigorosamente l’addestramento. Se mi trovavo impossibilitato all’allenamento fisico, meditavo. Cercavo dentro di me quel cosmo e ogni volta si rivelava sempre più semplice, finchè non mi venne naturale attingere a quella fonte di energia misteriosa.
Ero sempre più smanioso di potermi muovere alla velocità della luce, e sentivo che vi ero sempre più vicino.
Peccato che mi ruppi un sacco di ossa e un mucchio di volte; l’allenamento fisico era sempre più duro. Come se la fatica non bastasse il mio maestro decise che avrei dovuto iniziare a migliorare l’agilità, compromessa dallo sviluppo muscolare.
Mi spiegò con calma che più il muscolo si gonfia e più il tendine si accorcia. Dovevo risultare forte ma senza compromettere agilità, che mi avrebbe aiutato a riportare la pelle a casa. Continuava a massacrarmi di colpi in modo che i muscoli rovinati  ricrescessero più saldi e compatti.
A dieci anni ne dimostravo quindici. Ora che ne ho ventiquattro ne dimostro sempre di più. Sono un giovane vecchio o un vecchio giovane, che dir si voglia insomma.
Un giorno mi portò in prossimità di una delle bocche dell’Etna, dove avrei dovuto recuperare una cosa per lui.
Ci riuscii. Ovviamente dovetti evitare trappole, migliaia di trappole degne della tomba di un faraone, e resistere al caldo insopportabile della lava. Quel caldo toglieva ogni cazzo di energia. Non so neanche quante volte pensai di sedermi e lasciarmi andare. Ma la voglia di tornare in Grecia, vincere il torneo ed indossare l’armatura del Cancro era troppo forte. Inoltre dovevo mantenere una promessa. Tornare. Possibilmente vincitore. Avevo appuntamento con Shura e Aphrodite e non sarei mancato per niente al mondo.
Ebbi voglia di staccare la testa a morsi al mio maestro una volta recuperata la reliquia. Un cazzo di tubetto di pietra con dentro un cazzo di foglietto con su scritto: “BRAVINO.”
Avevo rischiato la vita per quello. Inutile dire che il complimento (non disse mai niente di più gentile di quel "bravino" e la consapevolezza di essere forte mi fecero passare le furie omicide. Il mio addestramento fisico era terminato. Dovevo solo raggiungere e imparare a dominare il settimo senso, usandolo a mio paicimento. Ci riuscii una notte, perchè di notte gli esseri normali dormono, io vado in giro per dimensioni alternative.
Sentivo una frase riecheggiarmi in testa, una frase senza senso in apparenza e quella notte me ne sbattei la palle e la dissi.
Fu istintivo alzare l'indice al cielo e la pronunciai: "Sekishiki Mekai Ha".
E tornai nel mio regno.
Ormai ero pronto e al mio rientro c'era sempre lui ad attendermi.
Mi comunicò di aver ricevuto una missiva. La data del torneo era stata fissata. Passati tre mesi sarei dovuto ripartire per la Grecia.
Durante il tempo rimastomi perfezionai la tecnica e imparai la sua ultima lezione.

Mi fece un lungo discorso riguardo i sentimentalismi e affini.
Mi spiegò di quanto i sentimenti bloccassero un guerriero, ma di quanto fosse triste e sterile cercare di rimuoverli, sostenendo che spesso anche i sentimenti più gentili e puri decidevano il corso di una battaglia.
Mi fece notare che le anime che si aggiravano per il mio “inferno” si guardavano attorno a cercare le persone e le cose che avevano amato. Io non mi sono mai chiesto come facesse a saperlo, per cui non me lo chiederò neanche ora.
Sarebbe successo anche a me, ed era giusto così. Dovevo prepararmi psicologicamente alla mia dipartita, accettando la morte. Fu facile.
Ma quel discorso mi mosse a non provare pietà per le mie vittime. Strano come la mia mente deviata assimilò quel concetto. Avrebbe dovuto farmi essere pietoso anziché il contrario. Avrei mandato delle persone verso la dannazione, a rimpiangere quello che avevano in vita e che avevano perso. Ma a me, che fregava? Niente.
Non ho specificato che oltre all’addestramento fisico e alla meditazione dovevo studiare. Come era giusto che un ragazzo della mia età facesse.
Studiavo con la figlia tutti i pomeriggi per due ore e lei mi insegnava quello che imparava a scuola. Inoltre avevo altre due ore di studio prima di dormire, col mio maestro che raccontava.
 Imparai la storia e le varie filosofie dei popoli guerrieri del passato. Mi innamorai del Giappone feudale e dei suoi samurai e feci di Oda Nobunaga il mio idolo. Per altro anche lui cancro come segno zodiacale. Cattivo, bastardo, cruento, crudele e traditore. Ma è a lui che si deve l’unificazione del Giappone. Beh, allora, anche se si fanno cosa cattive, se è per un fine superiore, si può chiamare giustizia. Tradì prima il suo popolo e poi gli occidentali. Per avere i fucili introdusse il cristianesimo (che  durò nulla perché come lo introdusse lo estirpò) e usò le armi da fuoco contro guerrieri che usavano la spada. Certo, la correttezza un po’ gli faceva difetto. Ma cazzo, unificò il Giappone, a dimostrazione che la forza aveva vinto. Con la forza si poteva fare tutto. Ovviamente diventò un po’ la mia filosofia di vita, benché lo fosse già, emi portò a fare delle cazzate disumane.
E ora che ci penso: se io avevo deciso di seguire il più forte, quindi Saga, perché non ho ammesso il mio errore quando mi son reso conto che Shiryu era più forte di me? Mah, non lo saprò mai. Avrò avuto paura di ammettere un errore, o forse non mi ero reso davvero conto che Shiryu era dalla parte giusta. Ma inutile piangere sul latte versato. Shiryu mi ha sconfitto e ucciso. E ora sono di nuovo qui. Ho avuto modo di pentirmi ed espiare qualche colpa durante il mio soggiorno all’inferno. Continuo a non aver pietà per il nemico.
E continuo a non capire una cosa: perchè ho venticinque anni?
Beh, per oggi mi sarei anche martellato abbastanza i coglioni e ho un botolo da portare fuori, prima che usi nuovamente una delle maschere come cesso.














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Il colpevole di tutto è come lui, ma senza collare blu: vogliategli bene al piccolo scaldabagno. E' ancora piccino.
cane
Spero che questo bucolico capitolo vi sia piaciuto. Io ho avuto modo di rievocare tanti bellissimi momenti passati, ma non sono mai stata caricata da un montone. Da un toro sì, e i tori si arrampicano sulle rocce se ve lo state chiedendo, quindi se mai dovesse disgraziatamente capitarvi arrampicatevi su un albero. Oppure non andate a rompere le palle al toro, ci tiene ai suoi spazi. Ma se siete fortunati come me, e avete scelto un toro buono come Aldebaran, non avrà mai intenzione di colpirvi davvero, o non sarei qui a rovinare Efp.
Chiedo perdono per il mostruoso ritardo ma ho avuto qualche problema legato alla mia sopravvivenza (il toro è innocente, ormai è antico passato), e ancora ci tengo a restare sul pianeta, poi qualche impiccio simpatico come una serata in compagnia del maestro del pazzo.
Prendete il capitolo come un meraviglioso regalo di Natale. Se non festeggiate il Natale prendetelo come un meraviglioso regalo per il Solstizio d'Inverno, se non festeggiate neanche quello prendetelo come regalo di compleanno. Boh, come più vi piace altrimenti siete liberi di rifiutarlo o di riciclarlo per l'anno prossimo.
Innanzitutto devo fare i debiti ringraziamenti a chi legge, a chi mette tra le preferite e i seguiti: ho perso il conto, però sappiate che vi ringrazio.
A chi butta via due minuti di tempo della sua vita - che non recupererà mai più - per recensire rivolgo il doppio dei ringraziamenti: grazie grazie.

Himechan, Sakura2480, Ricklee, stellarium, beat, whitesary, Ansem6, Ladie Katjie, Gufo_Tave, Shannara_810, Andry_chan, Eden89, Saruwatari_Asuka, makochan, Human Renamon, Nero Virgil
: grazie mille, vi risponderò la prossima volta, perdonate la mia pigrizia.




   
 
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