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Autore: Meiko    05/10/2003    3 recensioni
L'ispirazione mi è venuta ascoltando "At the beginning", un pezzo molto bello, che è stato usato per il cartone di "Anastasia". Quando l'oscurità è attorno a te, hai solo due possibilità: conviverci, o impazzire. Lei ha scelto la prima, e da quel momento la sua vita ha preso quella piega. Poi...qualcosa risvegliò in lei la curiosità perduta. Un viso che non sarebbe mai riuscita a vedere...
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ottobre…Novembre…
Dicembre…
Tre mesi.
Contò quel numero tra le dita, come se fosse un gioco divertente, scatenando in lei un sorriso allegro.
Da tre mesi l’aveva conosciuto.
E ogni giorno andava a vederlo allenarsi, come una delle fan più sfegatate.
Ma non come quelle ochette che, dopo aver saputo che i famosi giocatori dalle giovanile giapponese si andavano ad allenare, si erano tutte radunate, sfogandosi in urletti e commenti detti a gran voce, abbastanza stupidi da far diventare rossa una patata.
Trovava fastidioso quel rumore, e questo suo fastidio si trasmetteva in Inuki, che innervosito ogni tanto alza la testa, per poi mugolare.
Yuko sorrideva, accarezzandogli la testa.
-Neanche a te piace questo baccano? Dai, torniamo a casa-
finiva molto spesso così, lei avvertiva subito un gran giramento di testa, e tornava a casa, accompagnata da Inuki, che da quando aveva conosciuto Genzo sembrava non volersi più staccare dalla padroncina.
Lei si alzava, afferrando il bastone, salutando con un cenno della mano Sanae e le altre ragazze, e uscendo dal campetto, allontanandosi da quel fastidioso rumore, ritrovando un po’ di serenità nel sussurrare del vento, che sembrava capire il suo stato d’animo e, come madre affettuosa, coccolarla un po’ nella sua brezza fredda.
Altre volte, in vece, la pazienza di Genzo e della tigre si esaurivano, e si poteva udire le loro urla infastidite per un raggio di quasi dieci metri!
Yuko rideva tra se e se, mentre con il pensiero si avvicinava al volto nascosto di Genzo.
Ci pensava quasi tutte le notti, e ogni volta vedeva quel berretto, con quella visiera, che copriva quel volto.
Ogni volta, la tentazione di alzare la visiera era forte, ma sempre vedeva solo…una testa senza volto.
Dannazione!
Si era ripromessa che avrebbe toccato quel viso a tutti i costi.
Lei lo voleva vedere, quel viso.
VOLEVA VEDERE!
E a quel punto, quando lo gridava con la mente e ogni tanto con la voce, che si stupiva persino delle sue parole.
Voleva tornare a vederci…
Si ricordava bene quando cominciava ad avere i primi sintomi della cataratta.
Poi, fu tutto troppo veloce, la malattia peggiorò di colpo, e lei si ritrovò in poco tempo persa dentro un mondo fatto solo di buio.
In quei momenti, si manifestò la sua schizofrenia, tanto che fu rinchiusa in una clinica.
In un manicomio, da uno strizza cervelli, ecco la verità!
Yuko sbuffò, continuando a far ticchettare il suo bastone, nel tramonto l’unica cosa che storpiava in quello che sembrava un bellissimo quadro ad olio era il giallo fosforescente sul bastoncino.
Ma per il resto, tutto appariva come un bellissimo quadro, i colori caldi delle foglie e di quel cielo al tramonto sembravano infuocare lo stradone grigio e freddo, la panchina di metallo verde spento, il basso recinto che separava il viale dall’aiuola.
Lei aveva alle spalle un cielo rosso, giallo e arancio, i colori sfumavano in rosa e ocra pallido, confondendosi con l’azzurro e il blu più scuro del mare, come acquarelli messi sapientemente dalle mani di un artista.
E lei sembrava il vento, tanto la sua figura era sfuggente, solo il ticchettare del suo bastone rivelava la sua posizione, continuamente scostante, muovendosi veloce e leggera, come una brezza birichina, come un bimbo che giocava a nascondino.
Vestita di un pantalone scuro, la giacca di pelle lavorata imbottita era legata alla sottile vita, e tralasciava vedere la camicia bianca che indossava, alle spalle una sacca azzurra e viola, con appesi tanti vetri, che rimandavano i raggi del sole al tramonto in un caleidoscopio di luci e colori chiari, che si muovevano sinuosi, formando disegni fantasiosi e invisibili agl’occhi di chiunque.
Tranne che a lei…
Lei poteva vederli sempre, quei disegni, poteva vedere il mondo sia di giorno che di notte, bastava solo che lei lo volesse, e poteva cambiare quella città con uno schiocco di dita.
Le piaceva molto fare quel giochetto, mentre descriveva ciò che vedeva alla piccola Neko, che le restava ai suoi piedi, ascoltando affascinata storie di antichi cavalieri e principesse, oppure di robot e aneroidi, o altro ancora.
Storie incredibili, che sembravano quasi essere vere.
Perché Yuko riusciva a vedere ciò che descriveva.
Ma non avrebbe mai potuto…
Non avrebbe mai potuto ammirare il colore del cielo, perché il suo cielo era sempre tinto di un grigio fumo, che andava a chiazze a scurirsi e schiarirsi.
L’ultimo cielo che aveva visto, prima che il velo della sua cecità le impedisse di ammirare ancora una volta le corse delle nuvole.
Adesso, sopra di lei, il cielo era così grande e vasto, al massimo qualche sbuffo bianco come il latte tentava di attraversare quel deserto di rosso, giallo e arancione, che pian piano tendeva ad andare verso il mare, come un lungo bagnasciuga, correva intorno al cielo, per poi essere sommerso dall’alta marea della notte.
Yuko si fermò, richiamando a se con un fischio leggero Inuki, che subito le zampettò attorno, scodinzolando lentamente la lunga coda pelosa, che assumeva sfumature castane e mielose.
La ragazza, velocemente, mise il guinzaglio al cane, che si calmò di colpo, mettendosi seduto, gli occhi nocciola fissarono pazienti la padrona, attendendo il suo comando.
-Inuki…andiamo a casa-
il cane obbedì, rizzandosi sulle quattro zampe, cominciando a guidare la padrona, che per un istante si immerse nel buio, cercando fra i fogli della sua mente, fra i tanti schizzi dei suoi pensieri, uno solo.
Che però non riuscì a trovare, andato perduto nel vento del nord, che in quel momento passò freddo, spingendola a seguire Inuki.

Freddo.
Si strinse un po’ di più il cappotto nero, mentre alzava lo sguardo, fissando sollevato il grande cancello di casa Wakabayashi.
Davanti alla villa dall’aspetto fiero e orgoglioso.
Una più piccola, che sembrava quasi sorridere di fronte a quel miscuglio di gotico e altri caratteri di tipo occidentale.
Si avvicinò curioso alla villa…
Sperava di vedere Yuko, magari leggeva quello strano libro come l’altra volta.
Quando tornava dagl’allenamenti, lei era arrivata prima di lui, e tranquillamente restava sulle scale in marmo, o accarezzando il pelo del suo cane, o leggendo un libro, o semplicemente restando seduta, le gambe piegate, tenendo gli occhi chiusi, quasi stesse dormendo.
In effetti, era difficile capire se dormiva o meno, i suoi occhi erano perennemente chiusi, a nascondere quelle iridi pallide, coperte dal velo della cecità.
Cataratta.
Così si chiamava la malattia di quella ragazza.
Un velo di opacità sul cristallino, e il mondo attorno a te si oscurava…
Si poteva curare ma, a quanto pare, la cataratta di Yuko era molto seria, aveva coperto persino l’iride, che ora era di verde pallido.
Genzo si passò una mano sul berretto, abbassando la visiera, per poi sentire uno scoppiare di risate.
Lentamente, si avvicinò al cancello, e osservò la scena, sorridendo intenerito.
Yuko era li, che giocherellava con una ragazza, più piccola di qualche anno, i capelli corti ramati, gli occhi di un verde così intenso, e brillavano allegri, mentre si divertiva con Yuko, che silenziosa sembrava osservarla.
I suoi occhi erano quasi del tutto aperti, le ciglia lunghe e nere non nascondevano più come mani avide l’intenso brillare delle due gemme verdine della ragazza, mentre Inuki abbaiava, passando da una parte all’altra, scodinzolando allegro.
Il cane, ad un tratto, si fermò, il suo scodinzolare si acquietò, mentre i suoi occhi intelligenti si soffermavano sulla figura alta e imponente di Genzo, che lo guardò stupito, per poi tornare a fissare Yuko, che si era calmata, non udendo più il ticchettare allegro delle unghie del cane sul marmo.
-Neko, c’è qualcuno?-
la ragazza alzò il volto, le iridi si socchiusero, preoccupate, fissando un punto in alto, quasi cercando di sovrastare l’alto cancello, mentre Genzo fissava quel velo opaco su i suoi occhi, immaginandosi al posto della ragazza.
Buio…solo buio, e voci che non riusciva a distinguere…
Si sentì improvvisamente debole, mentre l’altra ragazzina alzava lo sguardo, osservando incuriosita il ragazzo.
-C’è un bel ragazzo con un berretto rosso…-
-Genzo!-
Yuko scattò in piedi, mentre Neko le si avvicinava, scostandosi però ad un cenno della ragazza, che tranquilla scese le scale, Inuki che le camminava affianco, tenendo sotto controllo il portiere, quasi temesse che questo saltasse addosso alla ragazza.
-Genzo, buongiorno!-
-Buongiorno…-
turbato.
Yuko ascoltò attenta il respiro tranquillo del portiere, anche se c’era un qualcosa che lo rendeva nervoso.
Senza pensarci, sorrise, e alzò lo sguardo al cielo, aprendo lievemente le iridi verdi.
-…vorrei poter vedere il cielo…-
Genzo la guardò stupito, sulle sue labbra c’era dipinto quel suo sorriso che la distingueva.
Un sorriso dolce, malinconico…triste…
Lei abbassò di nuovo lo sguardo, e chiuse gli occhi, sorridendo più gaia.
-Dev’essere una bella giornata!-
lui alzò lo sguardo, e sbuffò mentalmente.
No, non era una bella giornata.
Il cielo assumeva tinte di grigio scuro, nuvole gonfie come palloni aerostatici, che si muovevano lente ma a passo di carica, trainate da un vento rabbioso, che quasi urlava.
Di colpo, una sferzata di vento passò tra i due, quasi a voler far notare alla ragazza che stava per venire a piovere.
E lei lo sapeva…
Ma aspetto il commento del portiere…
-Forse…temo che verrà a piovere…-
lei sorrise, annuendo con il capo, poggiando poi con una mano alla cancellata, tenendo lo sguardo basso su un punto impreciso davanti a lei.
-Si…lo penso anch’io…-
Genzo la guardò attento.
I capelli erano come onde di un mare burrascoso, che veloci guizzavano da una parte all’altra del viso e delle spalle, incorniciando con riflessi di oro raffinato quel viso pallido, dai lineamenti delicati, che ricordava quello delle modelle europee…
Il suo nome esprimeva in qualche modo quella bellezza gentile e non sfrontata che aveva con se. Yuko.
Genzo aveva conosciuto migliaia di belle ragazze, una bellezza affascinante, sexy, provocatoria.
Forse anche violenta.
Quegl’occhi spesso truccati, visi pieni di fondotinta o cipria a renderli più pallidi e msiteriosi, labbra carnose sottolineate da rossetti potenti.
E poi abiti che valorizzavano i seni e i fondoschiena, oltre che il fisico magro.
Si, decisamente la loro era una bellezza disarmante, che mandava chiunque KO, con quei sorrisi provocatori e quelle occhiate che affascinavano.
Ma, in qualche modo, la loro era una bellezza violenta, che ti colpiva dentro come un pugnale al cuore.
Una bellezza che faceva male.
Mentre Yuko, invece…
Si, era bella come loro, ma come dire…
La sua era una bellezza gentile, educata, serena, spontanea.
Come è spontaneo un germoglio che cresce, fino a diventare un bellissimo fiore.
Così era Yuko.
Gentile, anche se al tempo stesso aleggiava sempre un’alone di mistero attorno a quella figura, che in quei momenti, sorrideva serena, certa che niente l’avesse turbata.
Genzo, per un momento, si trovò ad ammirare quella serenità, per poi allontanarsi, quasi scottato da quella figura, che si limitò a piegare da un lato il capo, le ciocche ondose accarezzarono il viso come carezze di madre.
-A presto, Genzo…-
la ragazza si girò, riavvicinandosi a Neko, che fino a quel momento si era limitata a fissare incuriosita la figura del ragazzo dietro la cancellata, ammirando poi la figura tranquilla e sorridente della sorella, che tornò a sedersi accanto a lei.
-Yuko?-
-Neko, credo che verrà a piovere, rientriamo a casa…-
la ragazzina sorrise, stringendo la mano che Yuko le allungava, poi avvicinandosi alla sorella, lasciandosi coccolare come un gatto affettuoso, poi staccandosi a malincuore, rientrando in casa.
-Si, Yuko…-

Genzo rientrò in casa come una furia, sbattendo con violenza il portone di casa, l’eco rimbombò per tutta la sala, fortunatamente i domestici sembravano non essere in casa.
O se lo erano, si erano nascosti, il padroncino non era di buon umore.
In effetti, Genzo era entrato in casa di pessimo umore.
In qualche modo, non voleva tornare a casa.
La vista di Yuko lo lasciava sempre….perplesso…
E lui odiava avere dei dubbi, era un tipo preciso e calcolatore.
Ma quella ragazza, in qualche modo…
Lui aveva sempre creato delle barriere intorno a se.
Il suo orgoglio, la sua freddezza, e anche il suo modo di tenere il berretto erano un modo per nascondere un animo sensibile, che teneva dentro di se ansie e paure.
Timori…e dubbi…
Incertezze…
E ogni volta quelle incertezze riempivano la sua mente, ogni volta che quelle iridi velate sembravano fissarlo, alzandosi un attimo dal punto morto che guardavano.
Yuko era una persona…strana…
A volte era così allegra…altre volte era triste e stanca…
E quel suo sorriso misterioso, dolce, felice e al tempo stesso malinconico la rendevano l’unica in grado di rompere le barriere di Genzo, come lisci vetri, come castelli di sabbia.
Ma non era violenta, al contrario.
Entrava dolcemente, silenziosa, come un’ombra furtiva.
E in silenzio stava a guardare, osservando ammirata l’animo di quel portiere, che non vedeva in lei altro che…
Che una persona da rispettare…
Non aveva mai provato pietà per quella ragazza. Mai.
Al massimo preoccupazione, ma pietà no .
Genzo sapeva che Yuko non era una sciocca come gli altri, lei era in grado di vivere tranquillamente la sua vita, anche se la sua vita era come una strada buia, senza luce.
Attorno a lei aleggiava solo un’aria di buio sovrano.
Per un attimo, Genzo chiuse gli occhi, cercando d’immaginare il mondo guardato con…con gli “occhi” di un cieco.
Con gli occhi di Yuko.
E per un solo istante, il grande SGGK, Genzo Wakabayashi, avvertì il terrore che, anche solo per un secondo, lo attanagliava, stringendogli il cuore in una morsa soffocante, il respiro si era bloccato, il sudore si era fatto gelido.
“-…vorrei poter vedere il cielo…-“
svegliarsi una mattina…
E non vedere altro che la notte, che infida e malvagia…ti accompagnerà…per tutta la vita…

Per tutta la vita…

Con un gesto veloce, Genzo corse su per le scale, sbatacchiando in un angolo della camera la sacca, infilandosi in doccia, mettendo l’acqua bollente, che con un forte scrosciare lo assordava, cercando con tutto se stesso di cacciare via quel sospiro crudele, gelido, che come una stilettata rapida era penetrata nella carne.
Per…tutta…la…vita…
Genzo si trattenne dallo gridare, lentamente calmandosi, scuotendo il capo sotto l’acqua bollente. Lasciò che il getto gli massaggiasse il collo e le spalle ancora leggermente tremanti, lentamente i muscoli duri e inflessibili si sciolsero.

Yuko aprì lievemente gli occhi, quasi sperando di vedere la luce di una lampada accesa, accecandola.
Niente…
Al massimo, una leggera nebbiolina grigia, che rendeva il suo sguardo ancora più offuscato.
“Cosa vedi?”
gli sembrava di sentire, quella voce, quel motivetto che si ripeteva spesso nella sua mente, riportando alla luce sotto una coltre di rabbia e frustrazione quel ricordo così dolce e affettuoso.
Si ricordava bene di quegl’occhi.
Un grigio azzurro. Come le nuvole l’ultimo giorno che vide il cielo.
Eppure, quel grigio era chiaro, sfumava in un grigio perla molto bello, che amava spesso paragonare al colore delle stelle.
Lui sorrideva sempre, accarezzandole affettuoso la guancia, a volte facendo un buffetto sulla testa, mentre lei sorrideva, felice, chiudendo gli occhi per poi spalancarli, facendo ammirare a tutti le sue iridi smeraldo, l’orgoglio suo e di suo padre.
“La mia piccola ha due smeraldi agl’occhi!”
La sua piccola…

Poi…aveva cominciato a vedere buio.
Sentiva il padre gridare, piangere contro i medici, che ogni volta gli scuotevano la testa, dicendogli che non c’è era possibilità per un’operazione chirurgica, che era troppo pericoloso.
Eppure, il giorno prima lei ci vedeva benissimo, si ricordava a memoria quel cielo sopra di lei, si ricordava anche del sorriso di suo padre, quando le promise che l’avrebbe portata al luna park, il giorno dopo.
Poi, la mattina dopo, quando si svegliò con il solito bacio affettuoso della madre, non aveva visto altro che buio, mentre invece sentiva chiaramente la madre aprire le finestre, suo padre che era entrato nella stanza per augurarle il buon giorno, pronto per portarla al luna park.
Ma lei si era dimenata, cominciando ad urlare e a sbracciare da tutte le parti, gli occhi spalancati si erano velati.
“AIUTO! AIUTO, PAPA’! NON CI VEDO! NON VEDO NIENTE!”
Maledetta cataratta.
Suo padre aveva all’inizio sofferto molto della situazione, e lei si era sentita in colpa.
Aveva cominciato in quel periodo ad avere i primi sintomi di schizofrenia.
Ma lei cercava sempre di non disturbare suo padre, di non farlo preoccupare.
“Non voglio che papà pianga ancora per me…”
suo padre.
Lui aveva sorriso, l’aveva stretta a se, e le aveva detto che ora non avrebbe più pianto.
Erano sempre insieme, lui che le insegnava a vivere anche senza la vista, e lei che sorrideva, tenendo stretta nella sua manina il grande dito del padre, per poi tenergli con forza la mano, mentre con il tempo cresceva.
“Sei sempre più bella…sei il mio orgoglio”
si era sentita così felice.
E poi, nulla.
Una complicazione, un infarto.
I problemi al cuore che peggioravano…
E poi…
Solo il ricordo di un mare grigio lucente, che ricordava la madreperla.
E quella mano ,ora fattasi debole e pallida, che le sfiorava la guancia, mentre lei piangeva, incapace di parlare o fare altro.
“Sei il mio orgoglio…ti voglio bene…piccolina”
piccolina.
Yuko lasciò scorrere le lacrime dalle guance, da molto tempo non piangeva.
Ma quello non era un pianto, solo la sua ombra.
Perché erano solo due la lacrime che scivolarono via dalle sue guance, e il suo dolore era stato represso di nuovo in una marea di rabbia e frustrazione.
Si sentiva frustata…perché era ceca.
Ceca…

ANTICAPPATA!!

Gridò ad alta voce quella parola, lasciando che risuonasse per la stanza e la tromba per le scale, la tromba era aperta.
Di colpo, avvertì tre tipi diversi di passi, e sorrise.
Mamma…
Neko…
Inuki…
-Piccola mia!-
la madre la strinse a se, e la sorellina le fu accanto, mentre lei sorrideva, triste, accarezzando prima le braccia della madre intorno al collo e alla vita; poi sfiorò il capo ramato della sorella, per poi accarezzare il capo di Inuki, scuotendo il capo e asciugandosi le lacrime, sorridendo tranquilla.
-Adesso state tranquilli. Va tutto bene, ora sto meglio…ora sto meglio…-

E adesso andate via voglio restare solo
Con la malinconia volare nel suo cielo
Non chiesi mai chi eri perché scegliesti me
Me che fino a ieri credevo fossi un re
Perdere l'amore quando si fa sera
Quando tra i capelli un po' d'argento li colora
Rischi d'impazzire può scoppiarti il cuore
Perdere una donna e avere voglia di morire
Lasciami gridare rinnegare il cielo
Prendere a sassate tutti i sogni ancora in volo
Li farò cadere ad uno ad uno
Spezzerò le ali del destino e ti avrò vicino

Comunque ti capisco e ammetto che sbagliavo
Facevo le tue scelte chissà che pretendevo
E adesso che rimane di tutto il tempo insieme
Un uomo troppo solo che ancora ti vuol bene
Perdere l'amore, quando si fa sera
Quando sopra il viso c'è una ruga che non c'era
Provi a ragionare fai l'indifferente
Fino a che ti accorgi che non sei servito a niente
E vorresti urlare soffocare il cielo
Sbattere la testa mille volte contro il muro
Respirare forte il suo cuscino
Dire è tutta colpa dei destino se non ti ho vicino.
Perdere l'amore, maledetta sera
Che raccoglie i cocci di una vita immaginaria,
Pensi che domani è un giorno nuovo
Ma ripeti non me l'aspettavo non me l'aspettavo

Prendere a sassate tutti i sogni ancora in volo
Li farò cadere ad uno ad uno
Spezzerò le ali del destino e ti avrò vicino...
... Perdere l'amore.

Fece un veloce balzo, afferrando con entrambe le mani il pallone, rotolando per terra, passando poi velocemente a Tsubasa, rimettendosi poi dentro la porta, la rete dietro assumeva un alone candido, causato dai fari accecanti dello stadio, fuori dal campo gli spalti erano pieni di tifosi accaniti, urlanti e festanti, alcuni tentavano di superare le barriere di plastiche, altri che urlavano come scimmie impazzite.
Tutti questi rumori erano ovattati nella suadente, mentre dava comandi precisi ai difensori, mettendosi leggermente piegato sulle gambe, pronto a parare qualsiasi altro tiro si sarebbe lanciato verso la sua porta.
Lui era il grande SGGK. Lui avrebbe protetto la sua porta da qualsiasi tiro. Nessun sarebbe riuscito a fargli goal.
Nel frattempo, Taro e Tsubasa si mostravano nell’incredibile Golden Combi, il cui affiatamento era ormai conosciuto in tutto il globo terrestre.
Sanae, seduta sugli spalti insieme a Yayoi e Yoshiko, pregava silenziosa e tifava come un ultras, gridando e urlando, mostrando nei suoi occhi scuri il brillare dell’amore che provava per il bel capitano, che in quel momento ricevette il passaggio di Misaki, pronto a caricare il tiro, passando lo però all’ultimo momento a Kojiro, che da dietro si era avvicinato, e lasciarlo battere un bolide che bucò la rete.
GOAL!
Ci fu un rimbombo assurdo, seguito da delle grida assordanti, e tutti che agitavano bandiere, striscioni, a battere tamburi e gridare con un tifo eccezionale, mentre i ragazzi festeggiavano il tiro della “tigre”.
Solo Genzo restava fuori dai festeggiamenti, sotto la visiera del berretto rosso un sorriso soddisfatto.
In fondo, era anche merito suo, se tutto era andato bene.
Si sistemò i guanti ai polsi, mentre il rumore dello stadio in delirio sembrava ovattarsi, il portiere manteneva la sua concentrazione al massimo, il sorrisetto soddisfatto lasciò al posto ad una espressione seria e concentrata, mentre l’arbitro fischiava ancora il calcio d’inizio.
La squadra Coreana non avrebbe ceduto facilmente, e pur di fare del male a quel dannato portiere, avrebbero segnato un goal.
Stop di petto del capitano, che con un veloce zigzagare, smarcando i vari difensori, si avvicinava pericolosamente all’area di tiro, per poi sparare una micidiale cannonata, che con un guizzo si avvicinava pericolosamente a Genzo, che però restò immobile nella sua posizione, le gambe leggermente divaricate.
Poi, una spinta potente delle gambe all’angolino destro, e con entrambe le mani parò il tiro, rischiando anche di andare a sbattere con la testa contro la nuca.
Rialzandosi velocemente in piedi, prese la rincorsa e rimise la palla in gioco, passandola ancora a Tsubasa, che con Misaki mostrava le prodezze della Golden Combi.
Genzo si riaggiustò ancora il berretto, tornando con ampie falcate alla porta, pulendosi un braccio dall’erbetta verde del campo, la sua uniforme nera era sporca di macchie più scure, segno dell’umidità dell’erba; in effetti poco prima della partita aveva piovuto leggermente.
Il ragazzo fissò con lo sguardo attento i movimenti di Tsubasa e Misaki, quest’ultimo con un colpo di tacchetto scartò tre avversari, passando con un pallonetto il pallone a Tsubasa, che approfittò per fare una delle sue mitiche scivolate, segnando il secondo goal.
Ancora grida di gioia, Sanae che scattò in piedi, gridando fino a quasi non sentire più l’aria nei polmoni, urlando di gioia per il tiro del suo capitano, mentre Yayoi e Yoshiko gridavano con lei, anche se la sua voce sovrastava tutte le altre, e i compagni che sbandieravano una grande bandiera bianca e azzurra, con al centro lo stemma del Giappone.
Stava per essere ribattuto l’ennesimo calcio d’inizio, quando l’arbitro fischiò per tre volte, annunciando la ben meritata vittoria della squadra giapponese, che festeggiava, mentre lo stadio sembrava quasi tremare per le grida entusiaste dei tifosi.
Genzo si avvicinò agl’altri, andando a festeggiare con loro, calcandosi il berretto sulla faccia, lasciando mostrare un sorriso di gioia e orgoglio sul viso ambrato.

-Hanno vinto?-
le grida di tifo di Neko l’avevano tenuta sveglia, e comunque non sarebbe riuscita a dormire, così aveva seguito alla radio la partita, per poi scendere dalla sorella, che aveva gridato di gioia, tifando come uno degli ultra ai goal della squadra nipponica.
La ragazza fissò la sorella, ammirando con una punta d’invidia il corpo magro di Yuko coperto dalla camicia da notte sbracciata, legata in vita da un nastro bianco.
Neko fece posto per Yuko, che distrattamente ascoltava il commento del cronista sportivo, che anche lui aveva tifato con orgoglio per la squadra del cuore.
-Due a zero. Una grande vittoria!-
-Beh, degna della nazionale giapponese. Ho notato un entusiasmo molto grande per il tiro della tigre…-
Neko di venne rossa, e Yuko le accarezzò una guancia, constatandolo di persona, e sorridendo divertita per l’atteggiamento improvvisamente imbarazzato della sorella.
-Beh…diciamo che mi aspettavo un tiro di Tsubasa…poi il passaggio all’indietro…è stato una bella trovata!-
-…si, forse hai ragione-
Yuko sorrise, lasciando a Neko un sospiro di sollievo, le guance dovevano ancora essere colorate di rosso porpora.
La sorella si accoccolò a Yuko, lasciandosi accarezzare, mentre descriveva con gli occhi di una entusiasta tifosa la partita, mentre Yuko ascoltava, sorridendo triste.
Anche a lei sarebbe tanto piaciuto ammirare la squadra giapponese a lavoro, soprattutto le parate di Genzo…
Genzo…il grande SGGK, si era ben meritato quel titolo, i tiri del capitano coreano sembravano essere davvero pericolosi…
Ma lui era riuscito a pararli entrambi, con straordinaria bravura.
Nei suoi occhi ciechi si formavano le immagini di quel portiere che, con grande abilità e agilità che non dimostrava, parava quelle due cannonate, mantenendo sangue freddo e concentrazione. Per un istante, Yuko immaginò di essere in mezzo alla folla, a tifar,e allegra, i suoi occhi verdi appiccicati al numero uno della maglia del portiere.
Invece…si era limitata ad ascoltare in silenzio la partita, al massimo trattenendo il respiro per le parate del SGGK.
Aveva festeggiato mentalmente con lui, sorridendo.
Pian piano, Yuko si accorse che la sorella si era addormentata accovacciata a lei, come un gattino accoccolato alla madre.
La ragazza sorrise, accarezzando il capo e i corti capelli ramati della sorella, addormentandosi sul divano, Inuki che restava sdraiato ai piedi del divano.

L’aeroporto era letteralmente sommerso di giornalisti e fotografi, che con flash potenti e domande accavallate una sull’altra mettevano in imbarazzo e confusione i vari giocatori della nazionale, che in quel momento avrebbero preferito di gran lunga un letto caldo che quei fastidiosi flash.
Genzo si limitò a tenere ben calcato in testa l’immancabile berretto, che in quei casi faceva davvero comodo.
Veloce e silenzioso, il portiere riuscì anche se con non poca fatica, a superare la marea di giornalisti pazzi e flash rompiscatole, “scappando” letteralmente ai parcheggi, alla ricerca della macchina che in quei casi utilizzava per tornare a villa Wakabayashi.
La continuò a cercare, abbastanza stanco innervosito, quando vide…
-Inuki!-
il cane si limitò ad abbaiare, restando seduto accanto a quel pilone del parcheggio, gli occhi nocciola fissi sulla figura alta e ben fatta di Genzo, che dopo un attimo di esitazione alzò lo sguardo, riconoscendo la figura magra e aggraziata di Yuko, che sorrideva, gli occhi bassi a fissare il pavimenti umido del parcheggio, alcune pozzanghere d’acqua giocavano a riflettere la figura snella della ragazza, che teneva davanti a se il bastone, tenendo le mani appoggiate sopra, aspettando una reazione dal portiere, che si trovò spiazzato dalla visione.
Lei sorrise, immaginando la sorpresa del portiere, e parlò a voce alta, l’eco rimbombò per tutto l’ampio paino del parcheggio.
-Bentornato a casa, SGGK-
Genzo la fissò bene, mentre lei, con il bastone che le apriva la strada, si avvicinava a lui, stavolta al solito ticchettare c’era un fruscio metallico, segno della sua timidezza.
In effetti quello non era il solito viale del parco, dove si fermava a passeggiare con il suo strano libro in mano!
-Tu che ci fai qua?-
la domanda gli venne spontanea, e anche se all’ultimo momento la pensò come la domanda più cretina del mondo, il portiere era troppo sorpreso di vedere Yuko davanti a se, che dopo una risatina silenziosa allungò la mano, sfilandogli il berretto, tastandolo con entrambe le mani, avvertendo il calore della testa del ragazzo e una macchia umida sulla visiera.
-Ha piovuto?-
-Un pochino, ma rispondi alla mia domanda-
Genzo gli sfilò delicatamente il berretto dalle mani, mentre lei sorrideva di vestita, senza però tentare di toccare quel viso, come se gia lo conoscesse.
-Sono venuta qua per darti il bentornato-
-Tutto qui?-
era imbarazzato, ma gli sembrava pochino che quella ragazza gli desse solo il bentornato, dopo averlo quasi travolto con il suo sorriso, che in quel momento era dolce e silenzioso, con una punta di divertimento.
-Che cosa ti aspettavi? Un bacio?-
-…qualcosa del genere-
Genzo arrossì per un istante, mentre Yuko scuoteva il capo divertita, ogni volta che lo incontrava imparava a conoscer aspetti sempre più diversi di Genzo.
Era come disegnare un volto in varie posizioni, e nella mente di Yuko le immagini di un rossore su guance ambrate si delineò, facendola aprire lievemente le iridi verdi.
Genzo le ammirò, avvolte come sempre dalla trama delle ciglia folte e nere.
Lei si limitò a dargli una pacca sulla spalla con leggerezza, sfiorandogli con le labbra la fronte, alzandosi in punta di piedi.
Quando si riabbassò, sorrise contante e divertita, ascoltando il silenzio imbarazzatissima del portiere, che in quel momento assumeva tinte viola!
-Soddisfatto?-
Genzo si toccò la fronte, imbarazzato al massimo per il gesto leggermente sconsiderato della ragazza, che teneva lo sguardo dritto davanti a se, lasciando ammirare a Wakabayashi le sue iridi velate, che al portiere…
Si…a Genzo quegl’occhi gli erano mancati…
Il ragazzo sorrise.
-Si…adesso va molto meglio…-
Yuko sorrise, allegra, accompagnandolo in macchina, facendosi anche dare un passaggio a casa, nel quale passarono molto tempo e a chiacchierare, come vecchi amici che non si vedevano da una vita.

(Ringrazio bea che mi ha spinto a dare il meglio, almeno ci provo!^^'
Beh, a presto con il prossimo capitolo!)

  
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