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Autore: Beatrix82    19/12/2009    1 recensioni
Tre nuove famiglie sono nate dall'ultima generazione di guerrieri Z, che ora vivono tranquille dopo la pace conquistata anni prima con l'ennesimo sacrificio. Ma ora qualcuno, a conoscenza del loro segreto, sta tessendo alle loro spalle un piano diabolico: conquistare i favori e i poteri di tre cuccioli ancora ignari della crudeltà del mondo. Seguito ufficiale di "Il signore della Terra" e cronologicamente successivo agli spin-off "Moonlight" e "Sunshine" della saga di Dragonball NG.
Genere: Azione, Avventura, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Goten, Marron, Pan, Trunks
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1

Capitolo 1

 

 

La sveglia risuonò martellante nelle orecchie di Trunks, che allungò una mano in direzione del comodino afferrando il noiosissimo oggetto. Stropicciandosi gli occhi per adattarsi alla candida luce che filtrava dalla finestra, con espressione assonnata guardò le cifre luminose sul display.

Le sette e trenta. Era già ora.

Sbuffò leggermente, facendo ricadere stancamente la testa sul morbido cuscino alle sue spalle, prima di decidersi finalmente ad alzarsi.

Mentre riponeva la sveglia sporgendosi dal letto, un braccio sottile gli circondò delicatamente la vita, mentre una testa corvina nascosta in parte dalle lenzuola affondava a lato del suo petto, stringendosi maggiormente a lui.

“Ancora un attimo” mugolò assonnata, con la voce attutita dal contatto delle sue labbra con la stoffa della canotta di lui.

Trunks le accarezzò dolcemente la nuca, scostò i lunghi e lisci capelli neri dal suo volto e depose poi un piccolo bacio sulla fronte corrucciata.

“Mi piacerebbe…ma sai che non posso far tardi a lavoro in questi giorni”.

La ragazza si stirò arresa, abbandonando i vani tentativi di trattenerlo ancora un po’ al caldo del loro spazioso letto matrimoniale, al riparo dal gelo di Gennaio. Si appoggiò alla spalliera, i grandi occhi neri rivolti verso il soffitto, i capelli leggermente ma simpaticamente arruffati e la casacca sformata del pigiama che le pendeva da un lato, lasciandole scoperta una spalla.

“Lo so…il signor Presidente ha sempre da lavorare…” osservò solennemente.

Trunks sorrise.

Era già un po’ che la sua giovane mogliettina si lamentava dei suoi stressanti ritmi di lavoro, che comprendevano intere giornate passate in ufficio, tra scartoffie e riunioni, per poi tornare a casa talmente tardi che, distrutto e sfinito, aveva appena la forza di concedere alla sua Pan il bacio della buonanotte.

“Cerca di capire, tesoro…anche tu hai la palestra, sai cosa significa occuparsi di qualcosa”.

“Io non passo tutto il giorno a Satan City” obiettò lei, riferendosi alla locazione della palestra di arti marziali che suo nonno Satan le aveva affidato dieci anni prima. “Ho i miei collaboratori, pensano loro a tutto quando io non ci sono!”.

“Purtroppo dirigere la Capsule Corporation non è esattamente così” replicò lui. “Ho delle enormi responsabilità, e c’è tanto di quel lavoro…specie ora che…”.

“Lo so, il famoso contratto” lo anticipò Pan sospirando e incrociando le braccia al petto.

“Devi avere pazienza, Pan…è un periodo molto importante per la società, questo accordo ci frutterà enormemente”.

Con la luce negli occhi, pensò a come l’accordo con la famosa azienda di moda avrebbe portato la Capsule Corporation a livelli mai raggiunti. Sua madre, scomparsa otto anni prima, ne sarebbe stata orgogliosa. Dopo la sua morte si era ritrovato da solo a gestire un’impero, senza i preziosi e amatissimi consigli di chi aveva già un’elevata esperienza nel campo, e lui non poteva far altro che dedicarvi anima e corpo, occuparsene con impegno e serietà, senza più distrazioni che avrebbero potuto essere fatali.

Sembravano lontani i tempi in cui era solito fuggire dalla finestra del suo alto ufficio, libero di volare nel cielo, senza più obblighi, senza più responsabilità. Solo a ripensarci lo trovava un comportamento assurdo e superficiale.

“Vorrei solo che passassi più tempo a casa” mormorò Pan, abbassando lo sguardo.

“Oh, ne avremo di tempo, vedrai…un sacco di tempo” le assicurò lui, avvicinandosi a lei nel tentativo di baciarla. Lei si girò dall’altra parte fingendosi imbronciata, ma non ci mise molto a cedere alle calde labbra del marito, che dalla sua guancia si spostarono alla sua bocca, invitandola a rispondere al bacio.

Qualcosa solleticò i piedi della coppia, e spostando lo sguardo verso il fondo del letto notarono un rigonfiamento che, facendosi strada da sotto le coperte, si muoveva verso di loro. Finalmente una testolina lavanda fece capolino dalle lenzuola, osservandoli birichina da due grossi occhioni neri.

“Sveglia dormiglioni!” esclamò la bimba, sorridendo.

Trunks le scompigliò affettuosamente i capelli distribuiti in buffi ciocche ribelli del suo stesso colore, facendola poi sedere sulle sue gambe.

“La nostra piccola Fackel è più efficiente di una sveglia, non è vero Pan?”.

La bimba rise compiaciuta, svegliare i suoi genitori la mattina era soprattutto un’occasione per passare qualche minuto nel lettone, dove amava perdersi al calduccio delle morbide coperte e tra le amorevoli braccia di mamma e papà.

“Hai svegliato tuo fratello?” le chiese Pan, immaginando già la risposta.

“Ho saltato sul suo letto fin quando non ha dovuto svegliarsi per forza!” rispose la piccola, divertita, mentre Pan rideva tra se immaginando suo figlio maggiore rivolgere un’occhiataccia alla sorella e saltare in piedi esasperato, borbottandole qualcosa contro.

Fackel balzò giù dal letto, perfettamente lucida e sveglia nonostante l’ora.

“Tutti a colazione!” gridò saltellando.

 

Lux si abbottonò il colletto della piccola camicia, che accomodò poi con attenzione fuori dal caldo maglioncino di lana. I vetri della finestra erano ancora appannati per il gelo della notte appena passata, che ora lasciava il posto ad un cielo bianco e privo di sfumature che aveva caratterizzato in modo costante le giornate dell’ultimo mese.

Sul davanzale si posò una coppia di passerotti infreddoliti, che invano cercavano di beccare qualcosa che non fosse l’ennesimo granello di ghiaccio. Lux aprì la dispensa, trovò degli avanzi di pane e, aprendo cautamente i vetri della finestra per non spaventarli, li sbriciolò davanti agli uccellini. Dopo qualche secondo di esitazione, spostando gli occhi tra loro e verso il ragazzino, iniziarono a beccare con gusto, cinguettando poi allegramente come per volerlo ringraziare.

Lux sorrise. Sfamare quelle povere creature lo faceva sentire più utile e più importante per il mondo di quando potesse qualunque altra cosa. Difficilmente si sentiva indispensabile per gli altri, degno di troppe attenzioni.

Quasi a volerglielo ricordare, suo padre entrò in cucina con in braccio quella rottura di sua sorella, il genietto di casa, la bambina perfetta, la figlia preferita. Nel sentire la presenza di altre persone nella stanza, i passerotti spiccarono il volo impauriti, verso il cielo candido e freddo.

“Allora, piccolina, cosa hai fatto ieri di bello da raccontare a papà?” chiese suo padre a Fackel, accomodandosi a tavola in attesa della colazione.

La bambina si sedette con le ginocchia nella sedia al suo fianco, sporgendosi sulla tavola per mostrargli un voluminoso libro, quasi più grande di lei.

“Ho finito tutti gli esercizi del capitolo, oggi inizio quello nuovo!” annunciò indicando le pagine con il ditino.

“Equazioni di primo grado?!” esclamò Trunks incredulo. “Questo è il mio vecchio libro del liceo!”.

“L’ho trovato in soffitta” rivelò la bimba portando in su il nasino in segno di orgoglio. “E’ divertente!”.

Pan, che trafficava nell’angolo cottura, intenta a cuocere delle uova, scosse la testa sconcertata.

“Non ti sembra, Trunks, che sia troppo strano per una bambina di quattro anni occuparsi già di queste cose?”.

“E’ strano, sì…ma anche incredibilmente fantastico!” esclamò lui accarezzando soddisfatto la testolina della figlia.

Lux si voltò con indifferenza dall’altra parte, lo sguardo di nuovo fuori della finestra.

Bambina prodigio. Così chiamavano sua sorella. Sapeva parlare già prima di compiere un anno, aveva cominciato a leggere e a scrivere a due e negli ultimi dieci mesi aveva imparato più nozioni di matematica di quante può assimilarle qualcuno durante tutta la sua carriera scolastica. Suo padre andava pazzo per la straordinaria intelligenza di sua sorella. Quando era a casa, le sue attenzioni cadevano principalmente su di lei. Tanto che, come molte altre mattine, sembrava non essersi nemmeno accorto della sua presenza nella stanza, non degnandolo nemmeno di uno sguardo.

“Lux”.

Il caldo sussurro di sua madre lo aveva raggiunto da dietro la schiena, invitandolo a raggiungerla nell’angolo cottura.

La donna si abbassò verso di lui, accarezzandogli affettuosamente le guance, sistemandogli il caschetto di capelli neri e costringendo i suoi tristi occhi azzurri a guardarla.

“Buongiorno, tesoro” gli disse piano, mentre dall’altro lato della stanza le voci di suo padre e sua sorella risuonavano alte, impegnate in una accesa discussione sulla matematica finanziaria, a cui la bambina sembrava decisa ad interessarsi in un prossimo futuro.

Lux accennò un debole sorriso alla madre, riabbassando poi gli occhi velocemente.

“Tieni, porta questo a papà” gli disse lei, porgendogli delicatamente un vassoio con le uova, il caffè e un bicchiere di succo all’arancia.

Lux sapeva perché sua madre lo faceva. Lui non l’avrebbe mai ammesso, ma probabilmente lei doveva sapere che l’indifferenza che spesso gli rivolgeva suo padre, distratto dalle straordinarie capacità di sua sorella, lo riempiva di insicurezza.

Dopo qualche attimo di esitazione, afferrò indeciso il vassoio, sollevandolo all’altezza del volto con le giovani manine, iniziando ad avanzare, passo dopo passo, cercando di mantenere il tutto in equilibrio, verso la tavola apparecchiata.

“Cosa leggi, papà?” chiedeva Fackel, curiosando verso il fascicolo di carte di fronte a suo padre.

“E’ il contratto firmato da un’importante società di moda, tesoro, che sarà nostra cliente per i prodotti messi a punto da zia Bra”.

Lux avanzava cauto, con calma, sperando di fare la figura del cameriere provetto.

“Che bello, nei grandi magazzini venderanno i vestiti della Capsule!” gioì la bambina, battendo le manine.

C’era quasi…stava per posare il vassoio…ma qualcosa lo fece inciampare…una pila di volumi di matematica ai piedi del tavolo…

Il ragazzino piombò in avanti, scaraventando il vassoio e tutto il suo contenuto di fronte a lui, sulla tavola, in un fragore generale.

Quando si rialzò in piedi, la camicia di suo padre era macchiata di caffè, mentre il succo di frutta e residui di uova erano sparsi sui documenti davanti a lui, sbiadendo l’inchiostro.

Per qualche secondo, la cucina cadde in un imbarazzante silenzio.

“Lux, accidenti che cosa hai fatto?!” lo rimproverò suo padre, con lo sguardo severo, mentre cercava inutilmente di ripulire il foglio ormai untuoso e bagnato. “C’era la firma del presidente, qui, sai quanto ci ho messo ad ottenerla??”.

Il ragazzino abbassò la testa imbarazzato, incapace di dire niente. Avrebbe voluto solo sprofondare attraverso il pavimento.

“Su, Trunks, non è successo niente” intervenne sua madre, invitando il marito a cambiarsi velocemente la camicia macchiata. “Metteremo i fogli ad asciugare, saranno di nuovo leggibili!”.

“Caspita, Pan, devo mostrarli domani sera al consiglio di amministrazione!”.

“Ce la faremo, ce la faremo” lo rassicurò lei, mentre lo spingeva verso la camera da letto, girandosi poi verso Lux e stringendogli un occhio, come per dirgli tutto a posto, va tutto bene.

Ma lui sapeva che non lo era. Non lo era affatto. Era stata solo un’altra occasione per rendersi ridicolo davanti a suo padre.

“Sei proprio un pasticcione, Lux” osservò sua sorella con tono da maestrina, ancora seduta sulla sedia del tavolo a cui faceva pure fatica ad arrivare.

“Zitta, tu” la liquidò lui, fulminandola con lo sguardo.

 

Golden si stirò braccia e gambe in un lungo sbadiglio, aprendo poi gli occhi nerissimi verso le pareti di camera sua, dove salutò con lo sguardo i numerosi poster raffiguranti i supereroi dei suoi fumetti preferiti.

Balzò giù dallo stravagante letto con il materasso ad acqua, indossò in fretta la felpa dei West Rangers, la sua squadra preferita, e sistemò senza troppa cura i ribelli capelli neri.

Mentre scendeva le scale, sentì un forte odore di bruciato che proveniva dalla cucina. Evidentemente, sua madre stava cucinando. O meglio…ci provava.

“Ciao, mamma” la salutò, storcendo il naso per il fumo che impregnava la stanza.

La donna, con addosso una sottoveste di raso e i bei capelli azzurri raccolti in alto da una forcina, era intenta a estrarre dal forno fumante alcuni biscotti dall’aspetto annerito, cotti al punto da sembrare ormai carbonizzati.

Il ragazzino sospirò, nel pensare che sua madre, Bra Brief, laureata a pieni voti in chimica dei materiali e creatrice di un nuovo utilissimo tessuto sintetico firmato Capsule Corporation, era in realtà una pessima cuoca.

“Buongiorno, tesoro” sorrise, girandosi verso il figlio, mentre allo stesso tempo si accingeva ad afferrare la teglia incandescente con un’infinità di presine.

“Non è che hai deciso di dare fuoco alla casa, vero mamma??” la prese in giro Golden, risacchiando divertito.

“Ma no…ho solo sbagliato leggermente i tempi di cottura, ecco tutto” si giustificò lei, fingendo di aver avuto la situazione pienamente sotto controllo.

Golden scosse la testa. Sapeva che sua madre non avrebbe mai ammesso i suoi errori.

Quando la teglia con quelli che avrebbero dovuto essere biscotti gli fu messa davanti, accennò una smorfia disgustata, al pensiero che quella sarebbe dovuta essere la sua colazione.

“Ehm…non ho molta fame…mangio qualcosa più tardi, mentre vado a scuola” azzardò il ragazzino.

Bra incrociò le mani ai fianchi, guardandolo risentita.

“Beh? Mi sveglio presto la mattina per prepararti la colazione, e poi mi dici che non hai fame? Avanti, dimmi almeno se ti piacciono!”.

Golden deglutì pesantemente. Ogni mattina, per la fretta di sua madre di scappare a lavoro, era abituato ad accontentarsi di merendine confezionate, possibile che adesso avesse avuto la brillante idea di mettersi a cucinare?

Prese in mano uno dei biscotti e ne assaggiò un boccone. Sapeva di cenere.

“Allora?” lo incitò la madre, guardandolo con aspettativa.

“Ehm…buono!” mentì lui, masticando. Non aveva voglia di dirle spudoratamente che era qualcosa di immangiabile, nonostante l’assoluta franchezza fosse un pregio, a suo avviso, che lo caratterizzava. Semplicemente voleva evitare che la questione si protraesse per le lunghe, dal momento che sua madre non era il tipo da accettare la sconfitta tanto facilmente, nella vita, nel lavoro e perfino nella cottura di una mezza dozzina di biscotti.

“Bene, quindi dovrei solo farli cuocere qualche minuto in meno” constatò soddisfatta, come ogni volta che tornava dal suo laboratorio orgogliosa di un altro successo.

Golden non potè far altro che finire il biscotto, trattenendosi dal vomitare pensando che più tardi, vicino alla fermata dell’autobus, si sarebbe comprato un tramezzino gigante con cui smorzare la fame.

“Tuo padre sta dormendo?” gli chiese.

“Già. Ancora nel mondo dei sogni”.

Lo disse con una nota di rammarico. Suo padre, che almeno lui sapeva cucinare a dovere, la mattina dormiva abbondantemente per le ore piccole fatte al locale in cui lavorava, lasciando alla moglie l’arduo compito di occuparsi della colazione.

“Vado a salutarlo e a prepararmi, tra poco devo scappare a lavoro. Tu finisci i biscotti, intesi?”.

“Intesi” assicurò lui, ma appena sua madre oltrepassò la porta di cucina si alzò dal tavolo, gettò via i resti di pasta carbonizzata, afferrò lo zainetto e balzò fuori dalla finestra, felice di non dover finire quella roba.

 

Bra iniziò a salire le eleganti scale trasparenti che conducevano al piano di sopra, solo uno dei suoi numerosi sfizi in fatto di arredamento che contraddistinguevano la casa.

Mentre suo fratello e Pan avevano deciso di stabilirsi nella vecchia cupola della Capsule Corporation, lei e Goten dopo il matrimonio si erano trasferiti in una bella dimora nella periferia residenziale di West City, circondata da un curatissimo giardino dove suo marito si dedicava piacevolmente al giardinaggio, e arredata internamente in modo tale che, unita allo stile ultramoderno e tecnologico, spiccava anche una nota di eleganza e di originalità.

Entrò nella loro camera da letto, dove regnava una calda semioscurità. Tra le lenzuola scomposte giaceva l’uomo che aveva rapito il suo cuore da ormai dieci anni, la testa che affondava per metà nel cuscino circondato da un braccio, il torso nudo, i capelli sconvolti e il lato visibile del volto punteggiato da un impercettibile strato di barba non ancora fatta lo rendevano estremamente sexy, molto più desiderabile di quella specie di manichini che era abituata a vedere nel suo luogo di lavoro.

Si sedette silenziosamente sul letto, guardandolo dormire, ma evidentemente l’uomo si era accorto della sua presenza, dal momento che, ancora ad occhi chiusi, le circondò la vita con un braccio portandola delicatamente verso di lui.

“Buongiorno, Son Goten” gli sorrise, tra le sue braccia.

“Buongiorno, principessa” le sussurrò piano lui, baciandola poi con dolcezza.

Rimasero così per un po’, ad assaporare quello che era uno dei pochi momenti tutti per loro. Come tutti i giorni feriali, lei avrebbe lavorato tutto il giorno alla Capsule Corporation, tornando a casa giusto in tempo per salutare il marito che partiva per Satan City, dove si sarebbe occupato del suo pub fino a tarda ora.

“Siamo come quei due amanti della leggenda, destinati ad incontrarsi solo per una manciata di attimi al tramonto, quando il sole e la luna si incontrano nel cielo per pochi, preziosissimi istanti” aveva fantasticato una volta Goten, suscitando le risa della giovane moglie, molto più realista di lui. Lei si era limitata a baciarlo, rimproverandolo poi di essere troppo esagerato. Ora che ci ripensava, però, il suo adorato Son non aveva poi tutti i torti.

“Hai uno strano luccichio negli occhi, stamattina” notò Goten. “E’ l’effetto del contratto concluso?”.

Bra annuì. Proprio ieri avevano ottenuto la firma del presidente della Technofashion, la società di moda disposta a mettere sul mercato la nuova collezione della Capsule Corporation, realizzata con i materiali sintetici creati completamente da lei: abiti che non si bagnano, non si macchiano, non fanno pieghe e che comprendono una fibra particolare in grado di tener caldo o fresco in base alla stagione.

“In effetti mi sento piena di energia” ammise. “Pensa che stamattina mi sono messa persino a cucinare biscotti!”.

“Oh, allora deve trattarsi proprio di un miracolo!” rise Goten, mentre Bra lo rimproverava con qualche innocente pugno sul braccio, sentendosi presa di nuovo in giro per la sua avversione verso i fornelli. Ma lo amava a tal punto da passarci sopra.

“Sai Bra…sei ancora più bella del solito stamattina, se può essere possibile”.

“Il solito spiritoso” lo derise lei scuotendo la testa. “Figuriamoci…così, appena alzata e senza trucco…”.

Così sei più bella che mai…semplicemente stupenda” le sussurrò all’orecchio, facendole desiderare di tornare sotto le coperte con lui, dimenticando il resto del mondo, come quel sajan dallo sguardo gioviale ma estremamente irresistibile le aveva insegnato a fare da molti anni, salvandola dalla voragine in cui stava cadendo quel giorno ormai lontano in cui, ancora ragazzina inerme e immatura, suo padre l’aveva lasciata per sempre.

 

La limousine nera della Capsule Corporation prese quota nel cielo terso, evitando il traffico soffocante dell’ora di punta e le noiosissime attese ai semafori. Trunks sedeva nel sedile dietro all’autista, di fronte ad una vivacissima Fackel che canterellava tra se una filastrocca di tabelline e ad un Lux dallo sguardo malinconicamente perso nel vuoto. Si chiese se la tristezza di suo figlio fosse un’altra comunissima manifestazione del suo carattere o fosse accentuata dal piccolo incidente di poco prima.

Forse aveva esagerato a reagire così male. Non avrebbe dovuto incolparlo così severamente, in fondo, poteva capitare a tutti.

Seduto sul sedile di fondo, il ragazzino fissava distrattamente i suoi piedi, ben attento a non incontrare il suo sguardo. Trunks sospirò.

Conosceva quella situazione. Durante la sua infanzia aveva avuto spesso dei timori nei confronti di suo padre, convinto di non essere all’altezza del leggendario principe di sajan, convinto che questo non sarebbe mai stato orgoglioso di lui. Si sbagliava. Ma prima di capirlo aveva fatto di tutto per ottenere le sue attenzioni, per rendersi grande davanti ai suoi occhi. Per quanto si sforzasse, suo padre raramente gli avrebbe offerto esplicite manifestazioni di affetto.

Adesso però non voleva che la storia si ripetesse. Lui non era come suo padre, e avrebbe fatto di tutto per infrangere quella barriera immaginaria che lo separava da suo figlio.

Parlando con Pan della situazione, aveva realizzato che la freddezza con cui Lux si rapportava a lui nasceva da un’ insicurezza insita nel suo carattere, ma che si amplificava per la sua erronea convinzione di essere inutile, d’intralcio, assolutamente non all’altezza di competere con la sorella per l’amore dei genitori. Molto probabilmente, tutto ciò di cui aveva bisogno era qualche attenzione in più, qualche occasione da protagonista in famiglia, anche se essere completamente al centro dell’attenzione finiva sempre per terrorizzarlo.

Forse era lui che sbagliava. Forse non ci riusciva come avrebbe dovuto fare un buon padre. Con Fackel era estremamente più facile, era lei che lo cercava sempre…ma non Lux. Lui non avrebbe mai fatto il primo passo, rinchiuso com’era nel suo guscio, si limitava semplicemente ad aspettare passivamente…e Trunks, purtroppo, non era certo un tipo che sapeva prendere l’iniziativa.

Scusa, Lux. Scusa per prima, figliolo, mi sono comportato da idiota in cravatta.

Aveva già formulato le parole nella sua mente, sperando di farlo sorridere, lo faceva così raramente del resto, ma la limousine atterrò velocemente davanti alla scuola elementare di West City, dove Lux scese silenziosamente dalla macchina senza una parola, senza un saluto.

Lo guardò incamminarsi a testa bassa verso la scalinata della scuola, prima di dare all’autista il segnale di ripartire.

 

Golden gustò con piacere l’ultimo boccone del mega-sandwich che si era comprato, per poi incamminarsi svogliatamente verso il portone della scuola. Aveva già in previsione di schiacciare un bel pisolino durante la noiosissima lezione di matematica. Del resto, anche la sera prima aveva fatto tardi, nonostante i suoi genitori non avessero idea a che ore rientrasse normalmente a casa il loro figlio di otto anni.

Girandosi indietro sentendo il caratteristico motore della limousine presidenziale, vide uscire suo cugino, Lux Brief, di un anno più piccolo, come al solito con la luna di traverso. Anzi, forse più di traverso del solito. Chissà, forse la sera prima non gli avevano dato il bacio della buonanotte, o forse sua sorella gli aveva fatto la linguaccia. In ogni caso, come sempre lo trovava estremamente patetico.

 

Continua…

 

  
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