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Autore: _Princess_    26/12/2009    25 recensioni
La disarmava, questo era il fatto. La lasciava indifesa.
“Su, vuota il sacco.” Le intimò, senza alcuna pietà verso il suo essere così disperatamente persa in lui.
Kuu osò voltare il viso verso il suo, incontrando così i suoi occhi sorridenti, e il suo cuore saltò un battito.
Quegli occhi…
Non si sarebbe mai abituata alla loro imperscrutabile profondità, alla bellezza infinta che traspariva da quel suo sguardo mite, un misto di luci e ombre che faceva venire i brividi, che cancellava ogni capacità di respiro, di raziocinio.
Li amava, quegli occhi, così come amava l’anima che vi stava dietro.
Ed era orribile pensarci. Era orribile amare tanto qualcosa che non sarebbe mai stato alla sua portata, ed anche peggio era essere pienamente consapevole che non sarebbe mai riuscita a farsene una ragione.
[Sequel di The Truth Beneath The Rose]
Genere: Romantico, Malinconico, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Heart Of Everything' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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This is all that I can do
I’m done to be me
Sad, scared, small, alone, beautiful
It’s supposed to be like this
I accept everything
It’s supposed to be like this

[That Day, Natalie Imbruglia]

 

***

 

“Buone queste lasagne. Hai usato la ricetta che ti ha dato mia madre?”

“Sì.”

“Sono venute davvero bene.”

“Grazie.”

“Di niente.”

Passò un attimo di silenzio. Georg tagliò un'altra forchettata di lasagne e se la portò alla bocca. Erano veramente buone, ma le mangiava controvoglia. Nicole, seduta di fronte a lui, faceva lo stesso. Emily era a scuola, aveva iniziato le elementari da pochi mesi e non sarebbe rientrata prima del pomeriggio.

“Il tour parte la prossima settimana, vero?” domandò Nicole ad un tratto, senza sollevare gli occhi dal piatto.

“Sì,” rispose Georg. “Il ventidue.”

“Bene.”

Era tutto surreale, troppo quieto e forzato per riuscire a nascondere la patina di disagio che impregnava l’atmosfera. Erano a casa loro, da soli, a pranzare in silenzio nella bella cucina dai mobili in quercia, il sole che entrava quasi con prepotenza dalle finestre, oltrepassando le tendine, illuminando una scena troppo diversa da come sarebbe dovuta essere.

“Quando finiscono le vacanze invernali di Emily?”

Nicole masticò con calma e deglutì, poi prese un breve sorso d’acqua.

“La scuola riapre il ventotto.” Rispose infine, asciutta.

Georg la guardava e si sentiva morire: aveva un colorito spento, ombre scure sotto agli occhi opachi, e gli sembrava più magra dell’ultima volta che l’aveva vista. Non sembrava più la Nicole che aveva incontrato la prima volta. Erano cambiante tante cose da allora, nel bene e nel male.

“Magari potreste riuscire a fare qualche giorno assieme a noi,” le buttò lì, covando una speranza troppo labile per crederci davvero. “Il ventotto siamo ad Amburgo, torneremmo giusto in tempo.”

Nicole sollevò gli occhi, sforzando un sorriso.

Sei ancora tu?, si chiese Georg, reprimendo un sospiro. Cercò in lei una luce che c’era sempre stata, sopravviveva, ma era sempre più fievole, e la responsabilità era solo sua. Sei ancora tu quella che arrossiva ogni volta che mi guardava? Quella che non riusciva a non sorridere ogni volta che la baciavo?

“Posso provare a chiedere qualche giorno di ferie al lavoro.”

Il tempo e la distanza erano elementi difficili da gestire, da sopportare. Con una bambina di mezzo, soprattutto, era complicato tenere in piedi una relazione come la loro. La relativa fortuna era che se non altro la privacy, a Lipsia, era ancora garantita: nessuno era ancora riuscito a scoprire dove loro abitassero, e questo era un bene. Ciò che non era un bene era l’imminente inizio di quello che con ogni probabilità sarebbe stato il loro periodo più complicato e pesante di sempre: il tour. Georg sperava davvero che qualche volta sarebbe riuscito ad averle accanto almeno per un po’.

“A che ora esce Emily?” domandò. Lo sapeva a che ora usciva, ma era comunque uno spunto, seppur inutile, di conversazione.

“Alle quattro.”

“Posso andare a prenderla io, se non ti dà fastidio.”

Nicole gli rivolse uno sguardo stupito.

“Perché dovrebbe?”

Georg sollevò distrattamente le spalle.

“Non lo so. Chiedevo soltanto.”

Nicole rimase ad osservarlo a lungo, sul viso pallido l’espressione stanca di chi si portava troppi pesi dentro.

Discutevano, ogni tanto, di loro e del loro futuro, dei progetti, dei sogni, di tutto quello che una giovane coppia poteva fare della propria vita, ma poi il tempo scadeva, e lui doveva tornare ad Amburgo, o prendere un aereo, o correre a qualche appuntamento per un’intervista, o un servizio fotografico, o un’apparizione in TV, e tutto restava sospeso a mezz’aria, nient’altro che un’idea impalpabile senza fondamenta.

Di quel passo sarebbero rimasti in stallo per anni, prima di poter concretizzare qualcosa, e lui non lo sopportava.

“Georg…”

Nicole si era alzata e aveva aggirato il tavolo per andare da lui. Gli si fermò di fronte, incerta, e lo fissò negli occhi. Era stanca; lui era stanco. Stanchi di tutto.

“Ti prego,” Nicole gli avvolse il collo con le braccia, le sua mani fredde lo accarezzarono. Georg la guidò a sederglisi in grembo e la abbracciò. La ritrovò. “Lo so che stiamo passando un brutto momento,” sussurrò Nicole, nascondendo il viso nell’incavo del suo collo. “Scusami se faccio così… Ogni volta che te ne vai, Emily non fa che chiedermi quando tornerai, perché non ci porti con te, e io… Non so più come spiegarle…”

Georg non sapeva cosa dire. Non c’era niente che potesse dire, perché non c’era nemmeno niente che potesse fare. Le cose stavano così: lui era una celebrità, aveva due vite da gestire, due mondi da conciliare, e non sempre riusciva a portarne avanti uno senza sacrificare l’altro. Odiava che fosse così, ma non c’era modo di cambiare i fatti. Non c’era.

“Sandberg,” le sussurrò all’orecchio, posandole dolcemente una mano sulla nuca. “Siamo arrivati fin qui, non sarà una crisi passeggera a fermarci. Vero?”

Nicole lo stringeva, ma taceva. Georg, in un angolo recondito del proprio profondo, avvertiva il sentore gelido della consapevolezza di che cosa celasse quel silenzio.

“Sandberg?” insisté però. “Sandberg, guardami.”

Le fece sollevare il viso e la costrinse ad obbedirgli. Nicole aveva occhi lucidi, le labbra serrate. Avrebbe dato l’anima pur di non doverla vedere così. Qualunque cosa.

Qualunque cosa…

“Adesso sistemiamo questa cucina, usciamo a farci una passeggiata e andiamo a prendere la nostra Emily a scuola. Ok?”

Lei annuì debolmente, ma il tentativo di sorriso sulle sue labbra non vide mai la luce.

“Ok.”

“Bene.”

Georg le accarezzò i capelli e la baciò in fronte. Non era finita lì, non era tutto risolto. Sarebbe servito molto di più per mettere ordine nella loro vita, e prima o poi avrebbero dovuto farlo, avrebbero dovuto affrontare tutto, ma non ancora. Era troppo presto.

Un giorno, forse, quando fossero stati abbastanza forti.

Quando ci fosse stata qualche possibilità di non uscirne a pezzi.

 

***

 

Era tutto immobile e silenzioso. Non c’era ancora l’aroma del caffè nell’aria, e nemmeno gli Smashing Pumpkins a suonare dallo stereo nel salotto. Si sentiva solo il profumo freddo della neve che proveniva da fuori e il rumore ovattato delle auto in strada. Aprire le finestre della camera, la mattina, era un po’ come far rientrare il mondo dopo una notte passata nei sogni: un rituale dovuto ma sofferto.

Kaaos doveva essere già uscito. Il sabato, quando erano a casa, scendeva sempre a prendere la colazione al bar all’angolo della via, e quella sarebbe stata l’ultima volta per un lungo periodo.

Kuu si infilò la leggera vestaglia di seta blu notte ed attraversò a piedi nudi il corridoio per raggiungere il bagno, la sua stanza preferita. Lo adorava: era grande, spazioso e luminoso, di un’eleganza semplice ma raffinata, come piaceva a lei. Il marmo che rivestiva il pavimento e le pareti era bianco venato di rosa, impreziosito in certi punti da piccole chiocciole fossili. C’era una vasca da bagno in stile antico al centro, la doccia in un angolo chiusa da una vetrata opaca che ne seguiva la curva, ciotole e vassoi pieni di pietre levigate e conchiglie di ogni forma e colore. La delicata fragranza di mughetto dei bagnoschiuma e delle creme aleggiava su ogni cosa, rendendo tutto familiare, come se fosse stato suo da sempre.

C’era una grande specchiera sul lato opposto alla finestra, accanto ala doccia, sul cui piano giacevano, ordinatamente riposti, diversi mazzi di fiori e qualche candela mai accesa. Lei non accendeva mai le candele: le piacevano intatte, inviolate dal fuoco, che le anneriva e consumava, rovinandole. I cosmetici riempivano le piccole mensole di vetro e i cassetti sul lato sinistro; in quelli sul destro, accessori per la cura del corpo.

Kuu diede un paio di copi di spazzola ai capelli e li aggiustò con le mani, soddisfatta. Da quando aveva deciso di tagliare la lunga chioma bionda era molto più semplice tenerli ordinati. Si passò il tonico sul viso con un batuffolo di cotone, un velo di crema idratante, poi si soffermò a studiarsi. Avrebbe dovuto dare il meglio di sé con il trucco, quella mattina, perché il suo aspetto era ben lungi dall’essere quello fresco e rilassato che avrebbe voluto.

Ancora poche ore soltanto, poi lei e Kaaos sarebbero andati in aeroporto, e tutto avrebbe ufficialmente avuto inizio. Destinazione: Lussemburgo. Avrebbero avuto le prove e il sound-check per tutta la domenica e buona parte del giorno successivo, poi, la sera, avrebbero finalmente inaugurato il tour.

Mentre si truccava con cura, Kuu canticchiava a mezza voce una canzone che le sembrava consona al momento, anche se erano anni, ormai, che aveva smesso di seguire gli Evanescence.

Sto guardando nello specchio da così tanto tempo che inizio a credere che la mia anima sia dall’altra parte…

Si stava dando gli ultimi ritocchi, quando sentì la porta dell’ingresso che si apriva e si richiudeva. E allora arrivò l’aroma del caffè, e gli Smashing Pumpkins si accesero dello stereo. Muzzle. La preferita di Kaaos. Quella che preferiva lei, invece, era Stand Inside Your Love, ma lui non la metteva spesso.

Una manciata di secondi più tardi Kaaos apparve sulla soglia del bagno, vestito di tutto punto, il viso ancora arrossato dal freddo.

“Buongiorno.” lo salutò Kuu, continuando a sfumarsi la cipria sul viso.

“Buongiorno.” Ricambiò lui, avvicinandosi per posarle un bacio sulla tempia. “Come ti senti?”

“Nervosa.” Rispose lei, riponendo il pennello nel cassetto, per poi recuperare il phard e darsene una rapida spolverata sugli zigomi. “E eccitata. Un po’ spaventata,” aggiunse, mentre lui si appoggiava a sedere sul solido ripiano di marmo della specchiera. “Ma tutto sommato bene.”

Kaaos restò in silenzio a osservarla mentre prendeva un paio di orecchini a goccia e se li infilava senza considerarlo.

“Hai preso le tue pastiglie?” le chiese Kaaos a un tratto.

Lei negò.

“Ho già messo tutto in valigia.”

“Kuu…” fece allora lui, con quel suo solito tono di paziente rimprovero.

“Non ci ho pensato!” si difese Kuu. “Non morirà nessuno se per una volta –”

“Forse ne ho io qualcuna nella borsa.” la interruppe lui, alzandosi.

“Tu hai le mie pastiglie nella tua borsa?”

“Sì, e adesso te le vado a prendere, così poi possiamo fare colazione.”

“D’accordo.” Sospirò lei, voltandogli le spalle per uscire in fretta dal bagno. “Io intanto mi vado a vestire.”

Le ci vollero dieci minuti per scegliere cosa mettersi, anche se si era già scelta qualcosa la sera prima. Sostituì la gonna a portafoglio nera con un paio di jeans, si abbottonò la camicetta bianca e si costrinse ad allontanarsi dal guardaroba. Trovò Kaaos in cucina, già seduto di fronte a un cappuccino fumante e due croissant. Kuu gli sedette di fronte; accanto al suo caffè c’erano pronte le solite tre pastigliette e un bicchiere d’acqua. Kaaos prese di cappuccino e sollevò lo sguardo su di lei. Kuu recepì il messaggio: afferrò le tre pastiglie e le ingoiò aiutandosi con un po’ d’acqua, poi si voltò verso Kaaos il quale si limitò a distogliere lo sguardo, soddisfatto.

“Mi ha chiamato Griet mentre ero fuori.” Le comunicò. “Ho detto che lei e Luke arrivano verso l’una.”

“Quindi dovremo essere pronti minimo per mezzogiorno.”

Kaaos rise.

“Anche prima.”

Alla fine il giorno era arrivato. A Kuu non era mai sembrato vero, e tuttora non aveva ben metabolizzato quanto stava per accadere. Aveva sognato così a lungo di poter andare a suonare all’estero che le sembrava impossibile che fosse vero.

“Come credi che sarà questo tour?”

“Quantomeno interessante, direi.” Kaaos sorrise furbamente. “Hai sicuramente fatto colpo.”

“A me non sembra proprio.” Replicò Kuu, scettica.
“Tom non ti ha tolto gli occhi di dosso mezzo secondo.” Puntualizzò allora Kaaos, con uno sguardo strano. Kuu intuì immediatamente le sue congetture e preferì smorzarle sul nascere.

“È solo un buffone esibizionista.”

“Bill invece mi è parso piuttosto intrigato dalla tua insolenza.”

Stavolta Kuu si soffermò a riflettere su quell’affermazione, perché, sì, in effetti aveva notato anche lei un atteggiamento ambiguo da parte di Bill, a metà tra l’oltraggiato e il compiaciuto. Impossibile dire che cosa avesse realmente pensato, ma sicuramente qualche punto a proprio favore Kuu lo aveva segnato.

“Sono sicura che stesse quasi sorridendo quando ci siamo stretti la mano.”

Un angolo delle labbra di Kaaos si sollevò con un debole fremito irriverente.

“Anche tu, se è per questo.”

Un flashback attraversò repentino la mente di Kuu: una mano esile e fredda; occhi nocciola, caldi, sensuali; labbra morbide; un sorriso.

Sì, aveva sorriso anche lei, in risposta.

Perché è quello che avrebbe fatto chiunque.

“Mi veniva da ridere perché è alto il doppio di me.” Si giustificò. “Ed è così magro…”

“Senti chi parla.” Sbuffò Kaaos. “Georg sembrava molto sulle sue, vero?” proseguì poi, dopo una pausa pensosa. “Peccato, perché contavo su di lui come elemento di socializzazione. Mi sembra il più accomodante dei quattro.”

“Tra tutti, là in mezzo, ‘accomodante’ è l’ultimo termine che userei.” Le bruciava ancora il solo pensiero: si era sentita sgradevolmente sottovalutata da tutti loro. “Il solo scopo di quest’umiliazione della band di supporto è costruirci una fama all’estero.”

“Smettila di considerarla un’umiliazione.” L’ammonì Kaaos per l’ennesima volta. “Ti rendi conto che c’è chi darebbe qualsiasi cosa per essere al nostro posto?”

“E tu ti rendi conto che suoneremo davanti a un pubblico che non vedrà l’ora di vederci sparire per poter sentire suonare qualcun altro?”

“È il tour dei Tokio Hotel, non il nostro. Sta a noi farci apprezzare.”

Indispettita, Kuu incrociò capricciosamente le braccia e si abbandonò contro lo schienale della sedia.

“Non c’è peggior cieco di chi non vuole vedere.”

Kaaos emise una breve risata gutturale.
“Suona quasi divertente, detto da te.”

Lei lo gelò con un’occhiata astiosa. Non si sarebbe mai stancato di punzecchiarla con battutine e allusioni.
“Hai voglia di litigare di prima mattina?” sbottò, accavallando le gambe.

Lui sorseggiò pacificamente il suo caffè, chinando rispettosamente il capo.

“No, ci mancherebbe.”

Era un bene che la discussione si fermasse lì. Partire per un tour con i nervi già frementi sarebbe stato un pessimo preludio.

 

***

 

La pace interiore era un sentimento che a Tom era sempre stato sconosciuto. Un po’ perché la sua giovane età non prevedeva sentimenti di quel tipo, ma, anzi, di tutte le avventure e i turbamenti possibili, un po’ perché, anche volendo, non aveva mai avuto modo di cercarla. Quella mattina, tuttavia, era quella la precisa sensazione che provava dentro di sé: pace. Pace assoluta.

Era contento, per tutto e per niente. L’album stava vendendo bene, anche dopo più di sei mesi dall’uscita, e la maggior parte delle date del tour erano già sold out da un pezzo. Sarebbe stato un tour diverso da tutti i precedenti, ed era anche strano da dire: avevano vent’anni e già tre tournée alle spalle, più una quarta imminente. Non era cosa da tutti.

Lui e i ragazzi avevano da poco passato i controlli alla security e ora si erano accomodati in una saletta a rivestirsi. Ovviamente i due che più avevano avuto difficoltà a passare erano stati Bill e Vibeke: tra piercing, borchie e catene varie, ci avevano messo quasi dieci minuti a testa a liberarsi di tutto, ma Tom a volte aveva il sospetto che certe volte la polizia degli aeroporti ci prendesse gusto a far spogliare la gente.

“Kaulitz, dammi una mano!”

“Tomi, non riesco a chiudere la lampo degli stivali!”

Tom si voltò con un sospiro: Bill era seduto su una delle poltrone ed armeggiava ostinatamente con la chiusura dell’anfibio sinistro; al suo fianco, Vibeke stava tentando di infilarsi una sfilza di bracciali tutti insieme, mentre un mucchietto di collane e anelli le giaceva ancora in grembo.

“Aspetta,” intervenne Gustav, inginocchiandosi di fronte a Bill. “Ti do una mano io.” Gli bastò mezzo secondo per chiudere la zip dello stivale, quando Bill in cinque minuti non era nemmeno riuscito a smuoverla di un centimetro.

“Meno male che ci sei tu, Gud.” Cinguettò Vibeke, in un odioso sfarfallio di ciglia più civettuolo che mai. Gustav si limitò a sorriderle.

“Kaulitz, me la dai una mano o no?” insisté Vibeke, girandosi a cercare Tom, le mani intente ad allacciare un polsino.

“Arrivo, amore.” Sbottò Tom, raggiungendola. Lei gli appioppò un’occhiataccia di rara minacciosità; lui sghignazzò, posizionandosi alle sue spalle. Si chiamavano ‘amore’ solo ed espressamente per darsi sui nervi; odiavano entrambi quel tipo di appellativi.

Tom la aiutò a rimettersi addosso tutti quei quintali di roba inutile, ma non senza trovare il modo di trarne un certo piacere personale: le sfiorava il collo nudo, le spalle, le braccia, il lati del viso, e lei, testarda, faceva finta di niente, quando la pelle d’oca sui suoi avambracci scoperti tradiva la sua soddisfazione.

“Guarda che è perché fa freddo.” Sbuffò Vibeke, guardando in su. Tom restò con il sogghigno di prima congelato sulle labbra: ancora non si era abituato a sentirsi leggere nel pensiero da qualcuno che non fosse suo fratello.

Ad un tratto, un’esplosione di urla isteriche, molto simile a quella che aveva accolto loro non molto minuti prima, preannunciò efficacemente ed inequivocabilmente l’arrivo dei Pristine Blue. Da lontano, appena oltre la barriera di metal detectors, Tom individuò una piccola folla accalcarsi lungo i nastri che delimitavano lo scorrimento della coda per l’ingresso al gate. Molto persone si voltarono a guardare il curioso fenomeno per la seconda volta, in quella pomeriggio. Seguiti da ondate di flash e urla, i Pristine Blue avanzavano affiancati dalle loro guardie del corpo, la loro manager davanti a guidarli. Tom notò distintamente i pennarelli che Kuu e Kaaos ancora tenevano in mano. Con una punta di amarezza, si rese conto che lui e i ragazzi ormai non si fermavano quasi più a firmare autografi, tra aeroporti e hotel.

Man mano che il gruppetto si avvicinava e le persone che passavano nel mezzo furono scomparse, la visuale divenne più chiara e Tom ebbe finalmente modo di squadrare approfonditamente i nuovi arrivati. Nonostante fosse così minuta, la figura sinuosa di Kuu era quella che più attirava l’attenzione, e suscitava anche una certa soggezione. Camminava in modo disinvolto, come se il mondo circostante esistesse appositamente per farle da cornice, gli spessi tacchi degli stivali neri che ticchettavano sul marmo del pavimento ad ogni suo superbo passo. Portava occhiali da sole in controtendenza, sottili e squadrati, l’emblema D&G ben visibile sui lati. Vintage, probabilmente. Il corto cappottino bianco le fasciava il corpo asciutto, una leggera sciarpa di cachemire rosa antico ad avvolgerle morbidamente il collo. Portava una grossa borsa di pelle nera al braccio, con una vistosa fibbia argentata che aveva tutta l’aria di ricalcare il logo dei Pristine Blue; c’era una scritta incisa sulla lustra placca di metallo fissata sul lato, ma Tom non riuscì a distinguerla. A braccetto con lei, Kaaos, che le camminava accanto con aria annoiata, vestito di nero da capo a piedi, ad eccezione della sciarpa bianca. Sembravano in tutto e per tutto una coppia.

Tom notò subito l’occhiata densa di disprezzo che Vibeke lanciò a Kuu. Sentì anche le sue dita serrarsi più saldamente attorno alla propria mano, quasi a voler rimarcare il proprio possesso su di lui e richiamarlo all’ordine prima ancora che lui potesse dire, fare o anche solo pensare la cosa sbagliata.

Ma Tom se la rideva segretamente sotto i baffi, perché era ben lungi dal commettere mezza di quelle cose, solo che non aveva alcuna intenzione di rassicurare Vibeke in merito, primo perché lei non gli avrebbe comunque creduto, secondo perché adorava vederla giocare alla predatrice possessiva.

Lui, che aveva sempre rifuggito qualsivoglia tipo di legame sentimentale, aveva da poco scoperto il sottile, imprevedibile piacere di sentire di appartenere a qualcuno.

“Cazzo se è gnocca.” Fu un commento che non seppe proprio risparmiarsi. “Vi, ci lasciamo per qualche giorno? Non mi dispiacerebbe fare qualcosina con lei.”

Anziché infuriarsi, Vibeke si voltò verso Gustav con un’aria trionfante:
“Gud, hai sentito? Per qualche giorno non dovremo più nasconderci.”

“Oh, che bella notizia!” rise lui.

“Fottetevi, tutti e due!” grugnì Tom.

“Parlavamo proprio di quello.”

Era parecchia la gente che, vedendo passare i Pristine Blue, si fermava a guardarli, e forse non era tanto per il fatto che fossero accompagnati da due omaccioni vestiti di nero, ma piuttosto perché sembravano entrambi appena usciti da un servizio di moda su Vogue. Kaaos e i suoi zigomi alti, gli occhi neri, i capelli sciolti sul collo, la sua eleganza distratta; Kuu e la sua superbia, il mento sollevato, l’incancellabile broncio sulle labbra lucide, la mano piccola e curata che si sollevava e sfilava gli occhiali da sole con apparente incuranza: era come se avessero dei riflettori costantemente puntati contro di sé. Il loro stile era nettamente più discreto rispetto a quello di Bill, eppure non erano meno appariscenti di lui.

“A letto secondo me è una furia.” disse Vibeke sottovoce, osservando Kuu con ho sogghigno malizioso.

“Be’, tanto nessuno di noi lo scoprirà.” Ribatté Bill. La osservava con l’interesse, l’ammirazione e il gusto di un critico di fronte a un’opera d’arte di fattura particolarmente pregevole, ma con un accenno di diffidente scetticismo. “Quella per me non la darebbe nemmeno a Brad Pitt.”

“Ragazzi, tagliatevi la lingua!” li ammonì Benjamin, severo. “Comportatevi come si deve, non fatemi fare figuracce.”

“Benji, se non volevi correre rischi, dovevi scegliere una talentuosa racchia.”

“È quello che ci siamo detti io e David due anni fa, ma evidentemente siamo recidivi.” Rispose, scambiando un’occhiata con Georg e Vibeke. Lei sorrise; lui chinò la testa e si allontanò senza una parola.

Tom lo seguì con uno sguardo carico di compassione.

Ti mancano, vero?

“Buongiorno.”

Il saluto carezzevole di Kaaos lo fece voltare: si ritrovò così a fronteggiare due corpulenti bodyguard, un paio di metri avanti a sé. Uno, con penetranti occhi azzurri, lo aveva già visto; l’altro, un biondo alto e massiccio dalla mandibola squadrata, era una faccia nuova. Accanto a loro, Kaaos, che stava stringendo la mano a Benjamin, mentre Gustav e Bill la stringevano a Kuu e Griet.

“Andiamo a dare il benvenuto ai principini.” Gli sussurrò Vibeke all’orecchio, passandogli avanti. Ancheggiò a passo spedito verso Kaaos, che le sorrise e le strinse calorosamente la mano. Si voltò per un attimo verso Tom con un’espressione provocatoria; Tom scosse la testa e sorrise a sé stesso, incamminandosi per raggiungerli. Accolse tutti con un sorriso educato e qualche parola di circostanza. Quando Kuu sollevò lo sguardo su di lui, furono due specchi di ghiaccio color miele a squadrarlo critici.

Tom si chiese chi fosse veramente quella ragazza: i suoi colori erano caldi – i capelli biondi, gli occhi di quell’inspiegabile colore ambrato, la pelle dorata da un velo di abbronzatura – e completamente opposti a quelli di Vibeke. Tutta la sua persona, anzi, sembrava ricalcare perfettamente un’ipotetica nemesi di Vibeke: l’una piccola e magra, l’altra alta e formosa; elegante e altezzosa la prima, alternativa e semplice la seconda. E per quanto Vibeke amasse essere scura e metallica, emanava un’aura di calore umano che in Kuu sembrava essere completamente assente.

I saluti furono brevi e sbrigativi. Presto un paio di addetti dell’aeroporto giunsero ad accompagnarli all’imbarco prioritario.

“Ed eccoci qui.” Mormorò Kaaos, mentre una hostess li accoglieva e si occupava di controllare le loro carte d’imbarco e confrontarle con i documenti d’identità.

“Sembra più emozionante di quel che è in realtà,” gli disse Bill. “Tra una settimana ti sembrerà già tutto ordinaria amministrazione.”

A Tom fece male sentirlo pronunciare quelle parole così intrise di disillusione.

Non era sempre stato così. C’era stato un tempo in cui Bill aveva guardato a tutta la loro vita da musicisti di successo come a un sogno realizzato, una porta aperta su un futuro brillante, e adesso invece sembrava essersi svuotato di tutto l’entusiasmo di una volta. Era sempre il solito Bill, capriccioso e fiero della propria posizione, ma in quegli anni, volente o nolente, era stato costretto a crescere, e quella maturazione, seppur relativa, aveva portato con sé anche la consapevolezza che la carriera richiedeva sacrifici che all’inizio non erano stati messi in conto, per la semplice ragione che tutti loro, all’epoca, erano stati troppi piccoli per poter anche solo pensare ad aspetti che invece adesso sembravano improvvisamente fondamentali, come la felicità che solo le piccole cose sapevano dare, e il bisogno di sentirsi appagati da qualcosa di più di un lavoro perfetto. Solo ora che c’erano dentro, si rendevano conto di quello che avevano lasciato fuori.

Ma per Tom era difficile mettersi nei panni di Bill, o di Gustav, capire veramente il loro senso di solitudine, o comprendere la frustrazione nostalgica di Georg. Lui Vibeke la aveva sempre con sé, per qualsiasi cosa, e fin troppo spesso dimenticava quale fortuna fosse una cosa simile. Nel bene e nel male, Vibeke era sempre con lui, e questo, assieme a suo fratello e ai suoi amici, faceva sì che lui disponesse sempre e comunque di tutto ciò di cui avesse bisogno.

“A dire la verità il brivido della performance non morirà mai,” soggiunse Gustav. “Sono solo i continui spostamenti che dopo un po’ annoiano, ma il resto… Be’, non ti stancheresti mai di viverlo.”

C’era sempre quel velo di impalpabile tristezza nei suoi occhi. Nessun sorriso riusciva a nasconderlo.

“Vorrei ben vedere,” si intromise Kuu, mentre la hostess le restituiva i documenti e la invitava a passare. “Facciamo una vita che la maggior parte della gente si sogna soltanto… Avremmo una gran bella faccia tosta ad andare a lamentarcene.”

Un lampo di rabbia balenò negli occhi stanchi di Bill.

“Tu non hai idea di quello che ti aspetta.”

Lui, in effetti, si era lamentato più volte, e nemmeno troppo implicitamente, della propria situazione. Nessuno – Tom men che meno – sarebbe stato così ipocrita da dire che Bill fosse infelice, ma ciò non significava che lui fosse felice.

“Nessuno ti obbliga a fare la rockstar.” Ribatté Kuu, con una spietatezza che Tom non si sarebbe aspettato. “Sei libero di lasciar perdere tutto quando ti pare, se la bella vita ti va stretta. Dopo tutto l’impegno che ci hai messo, sarebbe solo un vergognoso spreco.”

Lasciò tutti attoniti. Bill non le rispose, ma fece una faccia pietosa che sembrava dire ‘Te ne accorgerai’.

Mentre camminavano lungo il corridoio che conduceva all’aereo, Tom prese la mano di Vibeke e la strinse nella propria. Lei dissimulò un sorriso, voltandosi a guardare il cielo plumbeo fuori dalle vetrate.

“Stiamo partendo…”

“Sì,” gli fece eco lei. “Stiamo partendo.”

Il loro primo viaggio insieme. Tom si sentiva entusiasta come un bambino. C’erano un’infinità di cose che non vedeva l’ora di fare con lei: i brindisi post concerto, le nottate alla Playstation, le ore trascorse a prepararsi nel backstage…

Sarebbe stato tutto diverso, ora che c’era lei. Ma se da un lato l’egoismo diceva a Tom di essere felice della propria felicità, dall’altro l’affetto verso Bill e i propri compagni non gli lasciava troppo spazio per crogiolarsi nell’autocompiacimento, perché, sì, lui stava bene, ma loro no. E chissà se mai sarebbe arrivato il giorno in cui tutti loro, insieme, si fossero sentiti in pace.

 

***

 

Stavano davvero partendo.

Entro un paio d’ore, lei e Kaaos sarebbero davvero arrivati in Lussemburgo. Non era mai stata all’estero, prima. Nemmeno in patria aveva viaggiato poi molto, a dire il vero, perché le finanze in casa sua erano sempre scarseggiate, e così, mentre i suoi compagni di scuola – Kaaos incluso – d’estate partivano per qualche vacanza studio in Gran Bretagna o in Francia o in Italia, lei se ne stava a casa a studiare, a fare qualche lavoretto saltuario, a sognare una vita che adesso, inaspettatamente, aveva ormai tra le mani e che ciononostante guardava ancora con stupore e incredulità.

Era una star. Ce l’aveva fatta davvero, alla fine. I suoi sacrifici erano valsi qualcosa.

Kuu si voltò indietro appena prima di varcare la soglia dell’aereo. Dietro di lei, la Germania la salutava bagnata da una pioggia impalpabile. Tutta la sua vita era sempre stata lì, racchiusa tra quei confini: nata e cresciuta in terra tedesca, e aveva sempre creduto di essere destinata a morirci. Adesso, invece, la attendeva la più grande svolta che si potesse immaginare, e tutto non era più lì, alle sue spalle, ma davanti.

Stava per partire. Avrebbe viaggiato, sarebbe andata lontano. Lontano dalle proprie radici e dalla propria storia. Lontano da un mondo che le era sempre andato stretto.

Lontano dal passato e dai limiti di una volta.

Lontano da sgradevoli ricordi, verso esperienze nuove, verso il successo.

Lontano da tutto.

Lontano da me stessa?

Con un sospiro, Kuu voltò la schiena a tutto ciò che aveva sempre conosciuto ed entrò nella cabina.

Lontano da sé stessa… No, quello mai.

 

***

 

PRISTINEBLUE.DE presents: Kuu & Kaaos’ Tour-log – DAY 0

TODAY’S THE DAY

 

Hello there, folks, it’s Kuu here!

We are pleased and proud to start this tourblog on such a special day! As all of you must already know, tomorrow, here in Luxemburg, we’re kicking off the opening date of Tokio Hotel’s Welcome To Humanoid City Tour 2010 and we’re so excited! There’s going to be like 10.000 of you at the venue tomorrow night and we sure hope you all have fun with us!

We’ve been doing rehearsals for two days now and I must admit we’re quite tired, but also super impatient! We’re looking forward to performing, it’s our very first time live in a real concert and that’s quite an experience, don’t you think? ;)

Gazillions of you sent us emails and messages asking what it’s like to be rocking around with Tokio Hotel. Well, I can tell you that Kaaos and Georg might be getting married any moment now (much to Georg’s girlfriend’s disappointment! =3 ), since they seem to have a lot in common and immediately agreed on a night out partying right after today’s duties. Crazy, I know. I’ll do my best to survive it. ;) As for the other guys, we haven’t had a real chance to socialise, yet, but they all seem very nice boys. And, man, Bill is really tall and thin, in person! Impressive, believe me! But he’s a cutie, indeed.

We also have an important announcement to make for you fans from Italy, France and Spain: keep your eyes well open, guys, ‘cause we have something wicked in store for you! Don’t forget to check out www.pristineblue.de and www.pristinebluefans-official.com next week for more info! And for those of you who are not from any of the cited countries: no worries, there is more coming soon for you, too!

Now I think it’s time for me to go and get ready: we’re having an interview for Bravo in minutes and then… tomorrow the big show, finally!

See you all very soon! We’ll be back tomorrow with a new entry and a detailed report about the concert!

 

Lots of love to everybody! <3

 

Kuu

 

 

Posted by: Kuu; on Sun, 21st Feb 2010 @ 20.43

 

 

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Note: lo so, lo so, gente, mi merito una crocefissione completa di lapidazione pubblica! So che un mese e mezzo è un tempo di aggiornamento deplorevole, ma sono stata funestata da una serie di sfortunati eventi (qualcuno sa cosa intendo ^^), quindi non mi sono proprio potuta dedicare alla mia amata scrittura. Ma eccomi qui, finalmente! Prometto che dal prossimo capitolo in poi si comincerà ad entrare nel vivo della storia e a vedere qualcosa di più interessante di tutte queste pappardelle introduttive. Come avrete notato, ho scelto di mettere il primo di una serie di post del blog dei PB in inglese: mi sembrava di dare un tocco di realismo all’idea. Spero sia stato efficace. ^^

Ringrazio di cuore le 51 persone che finora hanno aggiunto la storia tra le seguite, le 106 che la hanno tra le preferite e le 162 che mi hanno eletta a uno dei loro autori preferiti, ma soprattutto a tutte voi che avete commentato lo scorso capitolo! Vi adoro! Ora, come regalo di Natale ritardato, la vostra Mary adorerebbe sapere cosa ne avete pensato di questo capitolo dall’interminabile gestazione. Mi fareste davvero molto felice. :) Ovviamente, se avete domande, non esitate a chiedere e vi sarà risposto! ;)

Per adesso vi auguro, anche se in ritardo, un Buon Natale e un felice 2010! Al prossimo anno con un nuovo capitolo! <3

P.S. vi aggiungo qua sotto la traduzione del post di Kuu nel blog:

OGGI è IL GIORNO

Ciao, gente, sono Kuu!

È con piacere e orgoglio che iniziamo questo tour-blog in un giorno così speciale! Come tutti voi sicuramente saprete, domani, qui in Lussemburgo, inaugureremo la data d’apertura del Wolcome To Humanoid City Tour 2010 dei Tokio Hotel e siamo così eccitati! Sarete circa 10.000 all’arena domani sera e di certo speriamo che vi divertirete tutti assieme a noi!

Abbiamo provato per due giorni e devo ammettere che siamo abbastanza stanchi, ma anche super impazienti! Non vediamo l’ora di esibirci, è la nostra primissima volta live in un vero concerto e non è un’esperienza da poco, non credete?

Un sacco di voi ci hanno mandato email e messaggi chiedendo com’è fare musica con i Tokio Hotel. Be’, vi posso dire che Kaaos e Georg potrebbero convolare a nozze da un momento all’altro (per somma delusione della ragazza di Georg! =3), visto che sembrano avere molto in comune e hanno immediatamente deciso di uscire a festeggiare dopo i doveri di oggi. Folle, lo so. farò del mio meglio per sopravvivere. ;) Per quanto riguarda gli altri ragazzi, non abbiamo ancora avuto una concreta occasione di socializzare, ma sembrano tutti ragazzi molto simpatici. E, accidenti, Bill è davvero alto e magro di persona! Impressionante, ma è davvero dolce!

Abbiamo anche un annuncio importante per chi di voi viene da Italia, Francia e Spagna: occhi aperti, ragazzi, perché abbiamo qualcosa di molto speciale in serbo per voi! Non dimenticate di controllare www.pristineblue.de e www.pristinebluefans-official.com la prossima settimana per maggiori informazioni! E per coloro che non vengono dai paesi citati: non preoccupatevi, c’è altro per voi!

Ora penso sia ora di andare a prepararmi: abbiamo un’intervista per Bravo tra pochi minuti, e poi… Domani, il grande show, finalmente!

Ci sentiamo prestissimo! Torneremo domani con un nuovo post e un rapporto dettagliato del concerto!

 

 

   
 
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