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Autore: stellysisley    30/12/2009    4 recensioni
Una ragazza si trova a studiare in una città che detesta e che teme possa cambiarla. Per Natale, vorrebbe che quella città mostrasse un po' di calore...
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Believe


Aurora rientrò nel suo appartamento, gettò la borsa piena di libri sul divano e si tolse il cappotto.

Io detesto questa città!” pensò con rabbia. “Detesto il caos, detesto l'assenza totale di gusto nella maggior parte delle zone e detesto la gente. Come si può essere così freddi e scostanti, così indifferenti? Ecco, di questa città detesto soprattutto il senso di gelo, di abbandono... di solitudine.”.

Si avvicinò alla finestra e guardò fuori.

Le luci natalizie decoravano la grande strada che correva di fianco al suo palazzo, ma ai suoi occhi non riuscivano a scaldare l'aria di quella città, né tantomeno il cuore della sua gente.

Gente che correva indaffarata lungo i marciapiedi, che usciva dai negozi e si infilava in altri, che quando urtava qualcuno fingeva di non accorgersene, gente alla guida di un'auto che si attaccava al clacson alla minima minaccia di ingorgo, che sfrecciava senza nemmeno guardare se qualcuno stesse attraversando... gente che sembrava andare avanti per inerzia, come programmata in precedenza, gente che si confondeva nella massa, gente senza un'individualità... tutti uguali, tutti... vuoti.

Ecco cosa intendeva Eliot quando ha scritto The Waste Land e The Hollow Men.” pensò, ritirandosi dalla finestra. “Menomale che domani me ne torno a casa per le vacanze di Natale!”

Si preparò la cena, poi si fece una lunga doccia calda e tornò in sala con l'intenzione di cominciare a studiare almeno uno della montagna di libri che le toccavano per ogni materia, ma ci rinunciò dopo solo mezz'ora, quando si rese conto che continuava a rileggere le stesse pagine senza capirci nulla: era troppo stanca e troppo nervosa.

Andò in camera e finì di preparare la valigia per il giorno dopo, poi si avvolse in una pesante camicia da notte bianca e lilla, si rannicchiò sotto le coperte e si infilò nelle orecchie le cuffiette dell' iPod, selezionando la modalità “riproduzione casuale”.

La voce di Josh Groban, con la sua “Believe”, le risuonò nelle orecchie.

Ecco, Josh, dammi una mano tu.” pensò la ragazza, abbandonandosi alle parole e alla musica di un cantante che amava.


We were dreamers not so much ago...


Già, le sembrava passato così poco tempo da quando era una bambina e viveva in un paesino immerso nel verde delle colline, che d'inverno si tingevano di neve candida e soffice.

Così poco tempo, da quando trascorreva la notte di Natale in trepidante attesa, ogni volta, di sentire i passi di Babbo Natale nel salotto, intento a lasciare i regali per lei e le sue sorelle.

Così poco tempo, da quando, ogni anno, si riprometteva di stare sveglia per sentirlo, forse per scorgerlo... e da quando poi, inevitabilmente, si lasciava vincere dalla stanchezza e si addormentava.

Così poco tempo da quando poi, la mattina, si svegliava con il cuore in gola e correva in salotto per vedere cosa lui le avesse portato... le risate, i gridolini di contentezza, le carte colorate stracciate da manine impazienti...

E soprattutto il calore, il calore della sua grande famiglia, che ogni anno si riuniva per trascorrere il Natale, tra canti, festeggiamenti, giochi... e anche gli ottimi piatti della mamma, delle nonne e delle zie.

Ma...


But one by one we

All have to grow up


E così era successo a lei.

Era cresciuta e, per prima tra le sue sorelle, aveva dovuto lasciare la campagna e trasferirsi in città per studiare all'università.

Per carità, era grata di quella possibilità e quello che studiava l'appassionava, ma se avesse potuto sarebbe corsa via da quella città per non mettervi più piede.

Il giorno dopo sarebbe tornata a casa per Natale, certo, ma dentro di lei sapeva che il grigiore e la freddezza della città l'avrebbero accompagnata e assillata, come un fantasma invisibile e gravoso... e che il pensiero di doverci rimettere piede, dopo le feste, avrebbe continuato a darle la caccia.

Più forte di tutti, c'era il terrore che quella città sarebbe riuscita a cambiarla, facendo di lei una persona fredda e vuota come quelle che formicolavano per le strade. Era contro questa divorante paura che combatteva, ma questa sembrava farsi ogni giorno più forte.

Non voleva perdere se stessa.


When it seems that magic is slipped away,

we find it all again on Christmas Day.


Per una qualche ragione, le venne in mente il viso di sua madre, la sua mamma buona e paziente, e il suono della sua voce mentre, la vigilia di Natale, ripeteva a lei e alle sue sorelle la solita frase per convincerle ad andare a letto buone buone: “La notte di Natale è magica. E' la notte della speranza, della nuova luce... esprimete un desiderio, e quello si avvererà.”.

Ci aveva sempre creduto, anche quand'era cresciuta. Era un piccolo rito di Natale che non si faceva mai mancare: ogni 24 Dicembre, prima di addormentarsi, mormorava le sue speranze alle stelle che intravedeva dalla finestra del lucernario della sua camera.

Non era ancora la vigilia di Natale, ma sognare e sperare non costava nulla...

E' quasi Natale. E' quasi la festa della luce, della speranza, del calore... e come vorrei trovare tutto questo in questa città, almeno per una volta.” pensò, mentre le si chiudevano gli occhi...


Believe in what your heart is saying...


Quando li riaprì, si trovò in una stanza completamente diversa da quella in cui era prima.

Stava sdraiata in un enorme letto a baldacchino e indossava una pesante camicia da notte finemente lavorata.

Confusa, si tirò a sedere e si guardò intorno.

La stanza non era poi così diversa dalla sua, ma era più ampia, più alta e decisamente più accogliente. I mobili e tutti i suoi averi, però, erano cambiati, come se appartenessero ad un'altra epoca: il computer sulla scrivania, ad esempio, era sparito e al suo posto erano comparsi dei fogli di carta da lettera ben impilati.

Ok, Aurora, stai sicuramente sognando.” pensò, alzandosi e andando alla finestra.

Scostò la tenda e guardò in basso, senza aspettarsi nulla di preciso.

Oltre la sua finestra si stendeva un giardino imbiancato di neve e, più in là, oltre il cancello, una strada percorsa da cavalli e carrozze, mentre il cielo cominciava ad imbrunire.

E' decisamente un sogno.” si disse. “Figurati se nella città dove sono capitata ci sono dei giardini! Quanto ai cavalli, verrebbero investiti dal primo tram che passa... o stroncati dai veleni delle auto. Per non parlare della neve, che si trasformerebbe in una poltiglia rivoltante ancora prima di toccare terra! ” commentò.

Qualcuno bussò alla sua porta.

Avanti!” rispose istintivamente.

Nella stanza entrò una giovane cameriera, visibilmente agitata.

Ah, signorina Aurora, siete sveglia...menomale!”.

Signorina Aurora? E da quando?” pensò la ragazza. Nemmeno all'università la chiamavano “signorina”.

Coraggio, non vorrete far tardi alla festa di Natale al castello!” continuava la cameriera, che sembrava non aver notato il suo spaesamento.

N-no, certo che no! Scusa ma...che giorno è oggi?” le chiese Aurora, sentendosi una perfetta imbecille.

La cameriera alzò gli occhi su di lei. “Il 24 Dicembre... signorina, vi sentite bene? Dopo pranzo eravate stanca e strana, ma credevo che il sonno vi avesse ritemprata.”.

Aurora scosse la testa e sorrise. “No, sto bene.” rispose. “Dì a mia madre che scendo tra poco, giusto il tempo di vestirmi.”.

Vi mando Henriette per aiutarvi con la chiusura dell'abito e l'acconciatura?” domandò ancora la cameriera.

Aurora intuì che, se avesse risposto di no, quella giovane cameriera si sarebbe convinta che qualcosa decisamente non andava, così annuì.

Sì, grazie.”.

La cameriera apparve sollevata e uscì dalla stanza.

Aurora crollò sulla sedia e si appoggiò una mano sulla fronte.

Ok... è evidente che è un sogno. Goditelo finchè dura!” si disse.

Ma quale sogno?” intervenne una vocina vicino a lei. “E' il tuo desiderio che si realizza!”.

La ragazza alzò la testa e si guardò intorno, per vedere chi avesse parlato.

Sono qui, cervellona, sul tavolo! Guarda giù!”.

Aurora obbedì e vide la sua fatina da collezione preferita, regalo della sua migliore amica. Era una piccola fatina di porcellana seduta su una stella, con l'abito blu notte, le alucce sui toni dell'azzurro e i capelli castani sciolti sulle spalle, con qualche ciocca che le ricadeva davanti. Di tutte le cose che erano nella sua vecchia stanza, quella sembrava l'unica immodificata.

E tu chi sei?”.

La tua guida. Tutti ne hanno una, ma non tutti la trovano... però ne riescono a sentire la voce, se vogliono.”.

Spiegati meglio.”.

Non posso, Henriette sta per arrivare. Su, scegli il vestito...parleremo mentre ti sistema i capelli. Puoi comunicare con me semplicemente pensando.”.

D'accordo.”.

Aurora si alzò e aprì il grande armadio addossato alla parete.

Wow!” pensò. “Non è che tutti questi vestiti posso portarmeli via, quando l'incanto svanirà?” pensò.

Diede una scorsa agli abiti, cercando di non incantarsi troppo su ognuno, e alla fine scelse un bell'abito rosso scuro, con fili dorati che scendevano lungo la gonna e orlavano le maniche e la scollatura, impreziosendole.

Henriette entrò proprio mentre la ragazza si spostava davanti allo specchio per aggiustarsi l'abito sulle spalle, prima di chiuderlo.

Eccomi, signorina.” disse la cameriera, affrettandosi a raggiungerla e chiudendole agilmente il vestito. “Avete fatto un'ottima scelta.” le disse.

Henriette era più anziana della cameriera di prima, e sembrava anche molto più a suo agio in sua presenza, quasi la conoscesse fin da quando era piccola.

Guardandola meglio, Aurora credette di riconoscere nei lineamenti di quel viso la tata che si prendeva cura di lei e delle sue sorelline quand'erano più piccole.

Docilmente, lasciò che la donna le acconciasse i capelli.

Dunque.” pensò, certa che la sua fatina le avrebbe risposto. “Spiegami meglio la storia delle guide. Sono la stessa cosa della coscienza?”.

No. Non puoi voltare le spalle alla tua coscienza, per quanto tu ti sforzi, ma puoi voltarle alla tua guida, decidere di non ascoltarla più. Pensa bene... ti è già capitato di sentirmi, quand'eri confusa, quando avevi paura... e ogni volta che rimuginavi con te stessa.”.

Ad Aurora non fu necessaria una lunga riflessione per rispondere. Quante volte si era trovata a confidare i suoi pensieri a un'entità non meglio definita e poi a sentire dentro di sé una vocina, quasi impercettibile, che le suggeriva il da farsi?

Sì, è vero.” confermò. “Ma non avrei mai pensato che...” lasciò la frase in sospeso, e la fatina annuì sorridendo.

L'importante è che tu ora ci creda, Aurora. Non mi occorre altro. Credi a tutto quello che ti succederà adesso...poi ti spiegherò.”.

D'accordo.”.

Quando Henriette finì di acconciarle i capelli e se ne andò, Aurora si truccò leggermente il viso e scelse qualche gioiello dal suo portagioie, poi lasciò la stanza, con la fatina che le svolazzava intorno e le suggeriva il percorso per arrivare al grande salone dove il resto della sua famiglia l'aspettava. Quando li raggiunse, Aurora sentì un improvviso calore nel cuore: ognuno di loro aveva qualcosa che le ricordava i suoi veri familiari. Riconobbe suo padre nel sorriso aperto dell'uomo, sua madre nel dolce abbraccio con cui l'accolse, le sue sorelle nell'espressione degli occhi delle tre bambine. E le voci... le voci di tutti, esattamente uguali a quelle dei suoi veri familiari.

Come sei bella...” sussurrò la più piccola, ammirata.

Aurora sorrise: “Grazie.” rispose, dando alla piccola un bacio sulla fronte.

La famiglia uscì in giardino dove, sul vialetto, aspettavano due carrozze. Appena i genitori si furono sistemati in una e le figlie nell'altra, i lacchè chiusero le porte e i cocchieri spronarono i cavalli lungo il vialetto e poi sulla strada.

Mentre attraversavano la città, Aurora non poteva credere di essere nello stesso luogo che tanto detestava. Era tutto diverso: non solo per via della neve, che certo da sola bastava a portare una ventata di magia, ma anche per l'atmosfera: le carrozze procedevano tranquille, mentre sui marciapiedi gentildonne, gentiluomini e bambini camminavano senza fretta e alcuni si erano addirittura fermati a parlare con gli amici o i conoscenti. I lampionieri cominciavano ad accendere i lampioni lungo i marciapiedi, volgendo cenni di saluto ai colleghi che incontravano e facendo bizzarrie per far ridere i bambini, se si accorgevano che questi li guardavano.

Vedi... una volta, questa non era una landa desolata.” disse la fatina, appollaiata sulla spalla di Aurora.

Alla ragazza sfuggì un mezzo sorriso all'udire le stesse parole che lei aveva usato per descrivere quella città.

No davvero...”.

Ad Aurora parve che la fatina volesse aggiungere qualcosa, ma quella tacque.

Fatina, di chi è il castello dove si terrà la festa?” chiese la ragazza dopo un po'.

La fatina sorrise. “Della tua nonna materna. Dà ogni anno una festa così, invita i familiari e i suoi amici più cari.”.

Incredula, Aurora voltò la testa, tanto che la sorellina seduta accanto a lei sobbalzò leggermente.

Tutto bene, Aurora?” le chiese.

La ragazza sorrise. “Sì, tranquilla.” rispose, e tornò a guardare fuori, cercando di impedire alle lacrime di sgorgarle dagli occhi.

La nonna...” pensò. Nel suo mondo, adorava la sua nonna materna, che per lei era sempre stata un esempio e una confidente. Purtroppo era mancata cinque anni prima, quando Aurora aveva un'età a metà tra l'essere bambina e l'essere ragazza, un'età in cui si comincia a confrontarsi con i dolori grandi e piccoli della vita.

Ma lei era sempre rimasta legata al ricordo della nonna... e per il primo Natale passato senza lei, aveva espresso il desiderio di vederla ancora una volta, di sentire ancora la sua voce... era stata una necessità improvvisa e, anche se lei sapeva benissimo che non si sarebbe mai potuto avverare, per quell'anno era stato quello il suo desiderio di Natale.

E ora, dopo tanti anni, sembrava che si stesse avverando...


Il castello dove si sarebbe svolta la festa era un magnifico, vasto maniero ed era stato addobbato ad arte per l'occasione: sullo scalone esterno era stata stesa una passatoia rossa e all'interno ogni sala era stata addobbata con festoni rossi, verde scuro e oro. Inoltre nella sala da ballo, visibile da una porta aperta della sala da pranzo, troneggiava un magnifico albero di Natale.

E' meraviglioso...” pensò Aurora, incantata.

Benvenuti cari.” disse una voce femminile.

Il cuore di Aurora mancò un battito, mentre la ragazza spostava lo sguardo sull'anziana signora appena apparsa davanti a loro che ora stava abbracciando sua mamma. Era sua nonna, non c'erano dubbi: non solo per qualche dettaglio, ma interamente. La voce, il volto, i capelli, i movimenti, la postura... non c'erano dubbi, quella era sua nonna, esattamente come lei la ricordava.

Trovarsela di fronte in quel modo, dopo tanti anni, la lasciò confusa e un po' spaventata, ma ogni incertezza svanì quando l'anziana signora abbracciò anche lei.

Quella era sua nonna, fuori da ogni dubbio.

Sorrise come non le capitava da tempo e seguì la sua famiglia al tavolo.


Per Aurora, quella fu la serata migliore che visse da quando si era trasferita in quella città.

Complice la magia del Natale, si sentiva di nuovo viva, libera di essere se stessa. Il grigiore e la paura che aveva tanto temuto erano lontani, quasi irreali ormai.

Perché avere paura del freddo, se dentro un fuoco così grande la scaldava? Finché ci fosse stato quel fuoco, il freddo coi suoi aghi micidiali non avrebbe potuto nulla.

Dopo la cena, un ragazzo si avvicinò alla sedia di Aurora e, molto educatamente, le chiese se avesse voglia di ballare.

Questo è un fuori programma.” la avvertì la fatina, mentre mangiava un dolcetto nascosta dietro un vaso pieno di agrifogli sistemato sulla tavola, perché nessuno si accorgesse che la tortina spariva da sola. “Non è un tuo parente, non so chi sia.”.

Che importa, è bello come il sole!” rispose Aurora, mentre si alzava e accettava l'invito del giovane.

La fatina finì il suo dolce, poi svolazzò fino alla sala da ballo e si appollaiò su una colonna a guardare la sua protetta che ballava felice.


Era molto tardi quando Aurora e la sua famiglia lasciarono il castello della nonna.

Arrivati a palazzo, fu la mamma a sciogliere l'acconciatura di Aurora e a spazzolarle delicatamente i capelli, prima di andarsene augurandole la buonanotte e dandole un bacio sulla guancia.

Allora, Aurora... dimmi, come sei stata?”.

Benissimo. E' stato il giorno più bello che abbia mai vissuto, da quando sono in questa città!” rispose.

E la paura del freddo? Il fantasma della landa desolata? Il terrore che il gelo ti cambiasse?”.

Come se non fosse mai esistito.” ribatté Aurora, al colmo della felicità.

Quindi, se ora tu dovessi tornare indietro...”.

Il sorriso di Aurora si spense, lasciando posto ad un'espressione incerta.

Non lo so. Qui mi sono ritrovata... c'è stato un momento, in quella sala, in cui mi sono sentita davvero scaldare il cuore: eravamo tutti lì intorno al tavolo, a mangiare, ridere, parlare e in ognuno dei commensali potevo vedere qualcosa che mi ricordasse i miei veri familiari. E' stato a quel punto che mi sono resa conto che, finché dentro di me sentirò questo calore, finché ci crederò con tutta me stessa, il freddo non potrà farmi nulla... non potrà cambiarmi.”.

Aurora tacque un momento, ma la fatina non disse nulla, certa che la sua protetta non avesse ancora finito di parlare.

Però non so se avrei questa stessa convinzione, una volta messa alla prova. In fondo, oggi è Natale... e si sa, la magia di questo giorno può molto. Ma quando sarà passato?”.

La fatina sorrise, indulgente. “Aurora... il ricordo di tua nonna non è forse vivo in te, anche se lei non c'è più? Ed è vivo perchè tu ci credi, perchè tu lo proteggi e lo curi ogni giorno. Perché col Natale dovrebbe essere diverso? Puoi tenere dentro di te la magia di questo giorno per sempre e portarla in giro, dove c'è freddo, dove c'è indifferenza. Lo sai, non è vero?”.

Oggi ho sentito di poterlo fare. Ma se mi stessi montando la testa? Se non fossi adatta?”.

Pensa al tuo nome, cara. Indica la nascita di un nuovo giorno, una nuova luce, una nuova speranza. Esattamente come il Natale. Tu sei nata per illuminare la vita di chi ti incontra, tu puoi portare un po' di calore in quella città tanto fredda. Finché avrai quel calore dentro di te, il freddo non potrà nulla.”

Ad Aurora tornò in mente quando, nella carrozza, le era parso che la fatina stesse per dire qualcosa.

Era questo che volevi dirmi, prima? Mentre stavamo andando al castello della nonna?” chiese.

La fatina annuì. “Sì, sono stata tentata di dirti tutto subito. Ma ho preferito aspettare che tu vivessi tutto quanto, che tu ti rendessi conto da sola di quello che puoi fare, senza essere influenzata dalle mie parole. Avevi bisogno di crederci, di ritrovarti da sola... io ti ho solo instradato.”.

Aurora sorrise, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime.

E' ora di tornare indietro, non è vero?” chiese.

La fatina annuì. “Sì, Aurora. Chiudi gli occhi...”.

La ragazza obbedì e, quando li riaprì, si ritrovò nel suo letto.

Era ormai mattina e tra poco sarebbe stata ora di prepararsi per andare a prendere il treno e tornare a casa.

Aurora si alzò e alzò le tapparelle, poi guardò fuori. A prima vista non era cambiato nulla: la città già formicolava di persone, come sempre a quell'ora.


Believe in what you feel insight

And give your dreams the wings to fly...


Ma lei ora sapeva che le cose potevano cambiare. Di più, lei voleva che cambiassero... ci credeva.

Spostò lo sguardo nel parchetto sotto la finestra della sua camera: due bambini si rincorrevano nel prato, mentre due donne chiacchieravano a poca distanza da loro.

Era la prima volta che vedeva una cosa simile in quella città, la prima volta che vedeva gente rubare un momento alla vita frenetica per rilassarsi così.

Sorrise, si ritirò dalla finestra e cominciò a prepararsi. Mentre si vestiva, lo sguardo le cadde sulla sua guida, ma quella era tornata ad essere solo una fatina.

Ma quando si girò, Aurora sarebbe stata pronta a giurare che, con la coda dell'occhio, aveva colto la fatina a farle l'occhiolino.


When it seems that we have lost our way

We find ourselves again on Christmas Day...


If you just...

Believe



Dedicata ad Eleonora.


Angolo autrice

Ok, non so come mi sia uscita questa storia.

Pensavo che ormai era ora di scrivere qualcosa sul Natale e questo è il risultato...

Non è decisamente nulla di che, solo una piccola speranza nei sogni del Natale e nella magia di questo giorno... nel quale, tra l'altro, io credo profondamente.

Tre piccole precisazioni: la città non ha nome, perchè chiunque possa riconoscere in lei i segni di una città che non sopporta e dove è malgrado costretta a vivere. Lo stesso vale per la fatina: nemmeno lei ha nome, perchè ognuno le possa dare quello della sua guida, se già l'ha trovata...

La canzone che compare nella fanfiction è “Believe” di Josh Groban. Grazie a lui per averla scritta e a LadyElizabeth per avermela fatta conoscere.

Bacioni e tanti auguri.

* Stelly *



Vincitrice delle categorie “best co-protagonista” e “best plot” nel settimo turno dei NeverEndingStory Awards (http://neverendingstoryawards.forumfree.it/), 6 Gennaio 2010

   
 
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