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Autore: Meiko    10/10/2003    3 recensioni
L'ispirazione mi è venuta ascoltando "At the beginning", un pezzo molto bello, che è stato usato per il cartone di "Anastasia". Quando l'oscurità è attorno a te, hai solo due possibilità: conviverci, o impazzire. Lei ha scelto la prima, e da quel momento la sua vita ha preso quella piega. Poi...qualcosa risvegliò in lei la curiosità perduta. Un viso che non sarebbe mai riuscita a vedere...
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Come le onde del mare.
Beh, per l’esattezza come il mare.
Scostante.
Forse…era questo che l’attirava a lui…
Genzo Wakabayashi, il grande SGGK.
Un carattere scostante, come il mare, che un giorno è sereno e tranquillo, e poco dopo è in burrasca.
E così l’ho era anche lui.
Glielo aveva dimostrato un paio di volte.
Però…per questo suo carattere che Yuko lo trovava interessante.
Anche a Natale.
Aveva allungato una mano verso il suo viso, ma lui si era scostato, quasi la sua mano fosse fatta di fuoco, e lei si era limitata a fare spallucce, mentre lui aveva imprecato, bofonchiando come una pentola piena d’acqua sotto il fuoco.
Yuko sorrise, giocando con il ciondolo che Genzo le aveva regalato.
Tastò il metallo duro, mentre nella sua mente si tracciava una sottile linea, che assumeva le sembianze di una piuma, che al tatto della ragazza prendeva forma, consistenza.
Vita…
Eccola, una piuma bianca, luminosa, che delicatamente cadeva a terra, in un tacito andare lento e dolce.
La ragazza sorrise, mentre continuava a rigirarsi tra le dita il ciondolo, sorridendo al ricordo di quella sera.
Lei gli aveva regalato un berretto, quasi per fare dell’ironia, e lui l’aveva ammirato: bianco, con una fascia grigio perla sulla visiera.
Ora non lo portava, la testa scoperta mostrava i capelli neri tagliati molto corti, alcuni ciuffi più lunghi accarezzavano il collo del portiere, mentre camminava nella neve, questa nevicata era più tranquilla delle ultime pesanti che erano venute in quei giorni.
A lui non piaceva molto la neve, la trovava troppo fredda.
Però, quando guardava la neve, gli sembrava di vedere il volto di Yuko, con quel suo sorriso misterioso.
Genzo sorrise, continuando a camminare per lo stradone, raggiungendo villa Wakabayashi, anche sotto la neve quella villa non perdeva quell’aspetto vagamente austero, che faceva intimidire chiunque si fosse fermato a guardarla.
Lui si era fermato a guardarla, con il sopracciglio inarcato, le iridi nere luccicavano di pensieri. Poi, di colpo…
*!PAM!*
-Oh mio dio! Scusami!-
il ragazzo si tolse la neve fredda, alcune gocce sciolte scivolarono lungo il collo rovente, provocandogli un brivido di gelo.
Neko lo fissò stupita, per poi scoppiare a ridere, seguita da Taro, mentre Inuki abbaiava, scodinzolando allegro.
Genzo li guardò infastidito, afferrando poi della neve e appallottolandola.
-VI FACCIO VEDERE IO!-
-AAAHH! AIUTO!-
le risate riecheggiavano in quella strada assolata, e Yuko restò in silenzio ad ascoltarle, sorridendo, gli occhi rivolti in un punto vuoto, poi scendendo dalla sua stanza.
Quando aprì la porta, poco ci mancasse che la colpisse una palla di neve, i tre ragazzi che la guardarono, mentre lei sorrideva, Inuki che subito gli corse incontro.
La ragazza teneva una sciarpa attorno al collo, e si era messa un cappotto abbastanza pesante, sedendosi sulla porta chiusa, restando in silenzio, mentre i tre ricominciavano la battaglia.
Yuko ascoltava, sorridendo tranquilla, il vociare allegro di quei tre pazzi, che se le davano di santa ragione a suon di palle di neve, Neko che agile balzava da una parte all’altra, evitando i colpi dei due ragazzi, mentre Genzo parava le palle di neve.
Alla fine, fu Taro che ci rimise, “sommerso” da una coltre di neve, tra le risate degl’altri due ragazzi.
Si voltarono di colpo, ascoltando la risata di Yuko, sentirla ridere era raro come guardarla negl’occhi, come riuscire a penetrare nei suoi pensieri.
Genzo sorrise dolce, ricordando l’unica volta che l’aveva vista ridere così.
Quel giorno, al campetto…con Taro…
Come scosso, il ragazzo con una banale scusa si allontanò di gran fretta, a passo di carica, suscitando la curiosità di Neko e Taro, e facendo sorridere Yuko, che si alzò in piedi, afferrando il bastone che si era portata dietro, intimando ad Inuki di stare con Neko e Taro, mentre lei si avviava a villa Wakabayashi, il suo sorriso dolce e misterioso dipinto sul volto.

Genzo aveva sbattuto il portone con rabbia, togliendosi di gran fretta il cappotto lungo nero, appoggiandolo con la sciarpa rossa sull’attaccapanni in salotto, il camino acceso sembrava furioso quanto lui.
Cosa, adesso, COSA aveva rovinato quella bella atmosfera?
Vedere Yuko ridere….gli era sembrato che il mondo fosse più leggero.
E allora cosa?

Taro…
Si, era geloso di quel ragazzo: geloso perché quel ragazzo possedeva come amica una ragazza che, dannazione, riusciva sempre a mischiare le carte dei sentimenti di Genzo, disponendole in un modo totalmente diverso.
Ma ciò che lo faceva più arrabbiare era che LUI la lasciava fare, e ogni volta si sentiva bene, quando osservava quel sorriso, quegl’occhi così belli, eppure così nascosti dalle avide ciglia nere, che come una rete a maglie larghe nascondevano quelle iridi.
Genzo Wakabayashi, il grande SGGK, si era perso dietro le iridi di una ceca!
No…Yuko non era una ceca.
Si schifò dei pensieri che aveva fatto, e si vergognò da morire per aver dato della ceca a quella ragazza.
Yuko…era straordinaria, non ceca.
C’era una bella differenza.
Perché, a dispetto di una persona con funzioni e vita normale, Yuko aveva un problema, ma riusciva a conviverci in maniera perfetta.
Ormai…lei era come una ragazza normale…e anche di più
Lei…lei era come…come l’autunno…
Calda, dolce, triste, malinconica, bella.
Terribilmente bella.
E lui si era invaghito di lei.
No, non era un desiderio carnale, come le sue storielle con le altre donne.
Con Yuko era diverso.
Lui voleva amare Yuko.
Amarla con il cuore.
Genzo scosse il capo, infastidito, passandosi una mano tra i capelli, dannandosi per non avere il suo berretto con se.
Il berretto…
Quasi come se una scossa elettrica lo attraversasse, con poche falcate i ragazzo salì le scale, raggiungendo a passo di carica la sua stanza, spalancando con un rumore sordo la porta, fissando un punto nella grande scrivania dall’aspetto virile.
C’era ancora.
Per un attimo, il ragazzo aveva temuto che non ci fosse più.
Genzo si avvicinò alla scrivania, ammirando con la coda dell’occhio il legno scuro tagliato in modo grosso ma al tempo stesso delicato, le decorazioni alle gambe e sul perimetro del tavolo davano un’ aspetto più virile al tavolo, mentre al centro una macchia bianca macchiava il colore scuro del legno.
Un berretto bianco, con una striscia grigio perla sulla visiera.
Genzo lo prese tra le mani, ammirandolo, quasi sentendo il calore dalle dita lunghe e affusolate della ragazza, che tenendolo per la visiera, gli toglieva quello rosso e gli metteva quello nuovo.
Poi…quella mano che si allungava per toccargli il viso…
E lui si era scostato…quasi scottato da quella figura dolce, che si limitava a sorridere, il sorriso tinto in una sfumatura i tristezza, facendo spallucce.
Ma perché, perché, dannazione?!
Perché…perché aveva avuto paura…
Paura che quella mano rovinasse ciò che si era creato tra i due.
Una amicizia che si saldava, si faceva forte, anche se apparentemente i due sembravano solo dei conoscenti.
Ma lui…
Lui voleva Yuko…
Voleva ammirare sempre il suo sorriso, le sue iridi nascoste, il suo viso dai lineamenti europei, il corpo magro e ben fatto, la sua bellezza gentile…
Genzo sospirò triste…
Ma lei cosa ci trovava in lui?
Lui era sempre stato molto orgoglioso e freddo, certe volte era anche presuntuoso, come aveva commentato Neko, quel giorno.
Era sempre stato un ragazzo freddo, che aveva paura che la violenza di quei sentimenti lo spaccassero come una statua di cristallo.
Per questo, ogni volta, si allontanava da quella mano.
Temeva che quella sensazione di benessere passasse quando quella mano sarebbe riuscita a sfiorare il suo volto.
E Yuko, sorridendo, si sarebbe ritenuta soddisfatta, e se ne sarebbe andata via, lasciandolo nel vento freddo dell’inverno.
Lui, invece, voleva ancora perdersi nel calore dell’autunno, poter sentire le brezze gli spifferi birbanti, oppure le ventate dolci, o i colpi freddi che sembravano tagliare le persone che colpivano.
Poter ammirare il cielo nuvoloso, i cirri gonfi sfumati di grigio e bianco che correvano veloci, incoraggianti dall’urlare di un vento troppo lontano per essere udito dalle sue orecchie.
Ma che Yuko sentiva benissimo.
Yuko…
-Yuko-
sussurrò quel nome, prima di sentire il campanello suonare, e correre giù ad aprire, anche se avrebbe preferito non vedere nessuno.
Restò di sasso, mentre osservava al figura dolce della ragazza, catalizzatore di tutti i suoi pensieri, il cappotto sulle spalle imbiancato dalla neve.
-Posso entrare?-
il ragazzo la fissò ancora un po’ ammattito, per poi scostarsi, facendola entrare, il bastone fece un rumore soffocato, toccando il tappeto rosso, quella banda gialla fosforescente sul rosso caldo del tappeto era come un pugno nell’occhio.
La ragazza si girò verso il portiere, che restò ancora sorpreso dalla presenza di lei, che si limitò a togliersi il cappotto.
-Dove lo metto?-
Genzo si riprese, prendendolo e appoggiandolo sull’attaccapanni, sopra il suo, accompagnando poi Yuko in salotto, la ragazza che tranquillamente si lasciava accompagnare, il bastone che emetteva quei rumori soffocati e vibrazioni morbide, segno che c’era un tappeto o una moquette per terra.
Si sedette sulla poltrona, assaporando il calore del camino li vicino, l’atmosfera che si respirava era si un po’ austera, ma incredibilmente serena e pacifica.
E dire che, pochi minuti fa, in quella casa aleggiava un’aria rabbiosa! Quasi come se stesse per scoppiare un temporale, un uragano!
Ma lei era stata come uno spiffero ladruncolo, portandola via con il suo sorriso, portando via quell’aura malvagia, lasciando solo la sua serenità.
Genzo si era messo sul divano, e l’ammirava alla luce soffusa del camino.
I colori caldi si riflettevano sul bel volto rilassato, le palpebre chiuse, come se stesse dormendo, le onde del mare dei suoi capelli castani assumevano il colore dell’oro fuso.
Indossava un maglioncino beige a collo alto, le maniche coprivano una parte delle mani, i jeans neri fasciavano le gambe magre e ben fatte.
Si era tolta gli scarponcini, bagnati, che erano rimasti vicini alla porta.
Bella…
Non da mozzare fiato, ma da restarne colpiti e affascinati…
Questa era la vera bellezza, secondo Genzo, che non le staccava gli occhi di dosso, ammirandola, contemplandola, quasi fosse davanti ad una visione.
La ragazza sorrise, quell’atmosfera così calma e pacifica era così bella.
Avrebbe tanto voluto…
-Vuoi qualcosa di caldo? Un the?-
il ragazzo la risvegliò da quel pensiero, e lei sorrise, annuendo con il capo.
-Si, magari…-
il ragazzo tornò velocemente con due tazze fumanti, temendo che quella visione fosse svanita.
No, lei c’era ancora li, seduta sulla poltrona, in silenzio, ad assaporare quell’atmosfera.
Genzo le offrì la tazza, e lei sorrise, per un attimo rischiarò i pensieri del ragazzo, che imbarazzato si mise comodo sul divano, passandosi una mano tra i corti capelli neri.
Yuko ascoltò lo sbuffare stanco del portiere, e ne ascoltò i respiri affaticati, quasi come se qualcosa lo crucciasse.
-Immagino…che ti starai chiedendo perché sono qui…-
Genzo la guardò lei sorrideva, sorseggiando a tratti il the caldo.
-In effetti non trovo il motivo della tua visita inaspettata…-
lei sorrise, appoggiando la tazza calda sulle gambe, socchiudendo gli occhi, per poi alzare lo sguardo davanti a se, in un’espressione di serenità.
Il ragazzo restò in silenzio, il cuore si allargava e stringeva contemporaneamente: quelle iridi così belle…di sicuro senza il velo della cecità dovevano essere meravigliosi…e quel suo modo di guardare il mondo, con gli occhi socchiusi, nascosti alla vista di qualche curioso, che brillavano con forza.
-Ecco…mi domandavo come mai così, all’improvviso, dopo essere riuscito a battere Taro, te ne sei scappato, con una scusa che direi abbastanza stupida…-
Genzo la fissò stupita, mentre lei tranquillamente posava la tazza su tavolo, alzandosi e a tastoni sedendosi accanto a lui sul divano, il tutto in una naturalezza incredibile.
-Genzo…-
quel modo di sussurrare il suo nome…quella mano che delicatamente si posava sulla sua spalla…
Quella era una piccola strega…un angelo bellissimo…
Lei si limitò a scuotere il capo, non ricevendo altro che silenzio, e si appoggiò con il capo sulla spalla grande e forte del portiere, che sussultò.
-Genzo, ti prego…sono preoccupata per te…-
-Perché…-
lei si scostò dalla spalla, restando colpita da quella domanda.
-Perché…ti preoccupi per me? Hai…Taro…-
Ecco il motivo del suo comportamento…
Lei sorrise soddisfatta, accarezzandogli la spalla, per poi scendere lungo il braccio fino alla mano, prendendogliela.
-Taro è un mio caro amico d’infanzia…un fratello…
Ma tu…
Tu sei…come il mare…
E io…ho sempre amato il carattere scostante del mare…-
Il ragazzo strinse con delicatezza ma al tempo stesso con forza quella mano, appoggiando la fronte contro quella della ragazza, che sorrise dolce.
In silenzio, così, le fronti appoggiate, le mani che si stringevano, mentre il caminetto scoppiettava allegro.
Genzo desiderò con tutto se stesso che, quel momento, quella sensazione di benessere, fosse bloccata, si ghiacciasse, in modo da rimanere perpetua nel tempo, custodendola in fondo al cuore come un gioiello prezioso.
Yuko, invece, si scostò, socchiudendo le iridi, allungando una mano.
Genzo si scostò ancora, spaventato, e lei sorrise triste.
-Ancora no…-
lei si alzò dal divano, e lui si maledisse, imprecando, fermando con una mano la ragazza, che nel frattempo si allontanava.
Lei restò ferma, aspettando silenziosa la prossima mossa del portiere, che senza pensarci due volte la strinse a se.
Non voleva lasciarla andar e via.
Voleva aver e accanto a se ancora la sua dolcezza, ammirare il suo sorriso e le sue iridi socchiuse.
Assaporare ancora il contatto delle loro mani unite.
La strinse a se, il corpo magro era avvolto dalle sue braccia grandi e muscolose, che lo avvolgevano con dolcezza, come un germoglio di fiore delicato.
Lei sorrise, aderendo a quel torace muscoloso, le sue mani che tastavano felici quella composizione di fasce muscolari e tendini, un esempio perfetto di anatomia creata dopo anni e anni di duri allenamenti.
Restarono così in silenzio, abbracciati, ad assaporare quella serenità che aleggiava tra i due.
Lei in altezza raggiungeva la sua spalla, e alzandosi in punta di piedi lo raggiungeva in volto, il fisico magro gia di suo appariva ancora più minuto sotto quel canone di bellezza, che ricordava molto le statue greche al tempo ellenistico, o come quelle di Roma durante l’impero.
-Resta…-
lei si scostò un attimo, giusto per lasciare al ragazzo la possibilità di guardarla in viso.
Lentamente, lei alzò il capo, e dischiuse, come boccioli di rosa che si schiudevano alla luce del mattino, le sue iridi.
Centinaia e centinaia di stelle, che erano catturate dalla nebbia del mattino, che le imprigionava, legandole a se, illuminando l’immensità di una prateria verde, le cui sfumature pallide la rendevano ancora più infinita e luminosa.
Due piccole chiazze grigiastre, come cirri di nuvole, che sembravano fissare Genzo, che era rimasto sbalordito e affascinato da quegl’occhi così belli e meravigliosi.
E la sua voce pareva il canto di cento arpe e cento violini.
-Resterò…questa notte resterò…-
il portiere le accarezzò il viso, e Yuko chiuse gli occhi, nascondendo ancora una volta quello spettacolo, assaporando il calore di quelle mani così forti e leggermente ruvide al contatto con la sua pelle morbida di seta, le dita del portiere s’intrecciarono con le onde di quel mare castano, che ora aveva le sfumature dell’oro più dorato.
Una mano di Genzo si fermò ad osservare il ciondolo che la ragazza portava al collo, il ragazzo sorrise con dolcezza.
-Lo sapevo che ti stava bene…-
lei annuì, fissando un punto vuoto sul torace, passandoci sopra le mani, che sapienti tastavano i muscoli duri sotto il maglione caldo del ragazzo, che sorrise, sfregando poi una guancia contro quella di Yuko.
Lentamente, i due si separarono, sui loro corpi e sui loro visi il calore di quel contatto così bello e profondo.
Yuko restò in silenzio, gli occhi semichiusi che fissavano davanti a se, il suo sorriso dolce e misterioso, mentre Genzo l’ammirava, tenendole stretto una mano, quasi temesse che scappasse via da lui.
Poi, la ragazza staccò anche quell’ultimo contatto, tornando a sedersi sulla poltrona, finendo di sorseggiare il the ormai tiepido, mentre il ragazzo sorrideva dolce, ammirandola.
Come l’autunno…
Sfuggente, portato via dal Maestrale, che intonava con spifferi soprani e brezze contralte melodie di musica infinita, che passavano veloci tra le foglie, producendo il suono di fruscii e tocchetti leggeri.
L’autunno freddo, piacevole da passare con addosso un maglione caldo…
Il profumo delle caldarroste e della frutta secca che inondava i pensieri di chiunque si fosse fermato ad annusare.
L’autunno rosso e marrone, dalle sfumature dorate, un grande tappeto di foglie rosse mischiate al marrone e al giallo orato, che come fuoco incendiava la strada grigia e priva di vita.
E quelle iridi verdi che si socchiudevano, ascoltando il canto del vento, oppure udendo il rumore della neve che cadeva.
Ora quelle iridi fissavano un punto vuoto della stanza, ed assumevano sfumature di tristezza, che fecero mettere in ansia il portiere, mentre Yuko finiva di bere il suo the, appoggiando la tazza sul tavolo, tastandone la durezza e il taglio molto semplice.
-Ho sentito da Sanae…che tornerai ad Amburgo…-
Genzo la guardò stupito, per poi sbuffare, passandosi una mano tra i corti capelli neri, avvicinandosi alla ragazza, che restava in silenzio, ascoltando i passi silenziosi del portiere, che si mise seduto su uno dei braccioli della poltrona, prendendola per le spalle e attraendola verso il suo corpo, il capo che si appoggiava un po’ sopra il ventre piatto, una mano di Yuko giocherellava con un ciuffo, mentre l’altra s’intrecciava con la mano del ragazzo, che restò in silenzio, prima di rispondere annuendo.
-Appena finirà questo giro di partite si, tornerò ad Amburgo-
-Quindi tra tre mesi…-
In tre mesi l’aveva conosciuto, e in tre mesi l’avrebbe perso.
Come corre il tempo, quando si sta bene…
Genzo si mordicchio il labbro, mentre la mano libera accarezzava il volto liscio caldo di Yuko, che si appoggiò con il capo su una gamba del portiere, lasciandosi accarezzare il capo, i capelli ondeggiavano lungo le spalle, accarezzandole la schiena e il petto.
Restarono così, in silenzio, fino a quando Yuko alzò il capo stupita, socchiudendo le palpebre, corrucciando le sopracciglia, e guardando un punto nel vuoto.
-Cosa?-
era sussurrato, quasi per non rompere l’atmosfera calda e serena, e Genzo la guardò, stupito di come ci sentisse bene. Ripeté la richiesta, imbarazzato, stringendo la mano della ragazza.
-Vieni con me ad Amburgo…-
...
Yuko restò colpita dalla richiesta, e dopo un attimo d’incertezza sorrise, abbassando il capo. -Sai cosa mi stai chiedendo?-
Genzo la guardò, triste, mentre stringeva la mano di Yuko, tra le sue dita quelle della ragazza erano fragili e delicate, lunghe e affusolate, dal candore che sfumava in un rosa pallido.
-Lo so che ti chiedo tanto…però…-
Genzo scivolo giù dal bracciolo, la poltrona era abbastanza larga da farlo stare seduto, appoggiando il capo della ragazza sul suo petto, tenendola per la vita.
-Però…non ti voglio lasciare…vorrei poterti….poterti stringere sempre a me…-
lei ascoltava, sorridendo dolce, poggiando una mano sul petto del portiere, l’altra sempre intrecciata a quella del ragazzo, le dita di lui erano grandi, forti e calde, quasi ardenti.
Genzo le baciò il capo, assaporando il profumo di frutta secca e vaniglia che emanavano, coccolandola con carezze sulla schiena e sul viso.
-Non voglio metterti fretta…pensaci…però sappi…che quando me ne andrò in Amburgo…temo che non ci rivedremo per molto tempo…-
-Questo lo so…ma non posso lasciare sola Neko…non adesso…-
Genzo non chiese altro, udendo il sussurrare soffocato della ragazza, limitandosi a stringerla a se, lei che restava con il capo appoggiato al petto del portiere.

Nella luce tu stavi là
dritta in piedi ed io ero qua
ti guardavo come se
se esistessi solo te
perso dentro negl’occhi tuoi
nel profumo che tu fai
poi un bacio ed ecco che
tu da allora stai con me

Quando si era risvegliato, in camera da letto, lei non c’era più.
Alla fine, erano saliti in camera, la poltrona era decisamente troppo scomoda.
Erano rimasti tutta la notte abbracciati, a coccolarsi a vicenda.
Senza parlare, solo a sfiorarsi.
Lei non aveva toccato il viso, come desiderio del ragazzo, intrecciando molto spesso le sue mani avide di curiosità con quelle del ragazzo, frenando il suo desiderio di scoprire quel volto, quel volto che non riusciva a vedere, nella nebbia dei suoi occhi.
I suoi occhi.
Genzo chiuse gli occhi, e li rivide.
Brillanti, infiniti, velati dalla nebbia del mattino, verdi e immensi come le praterie dell’Irlanda, illuminati dalla rugiada del mattino e dalle stelle incatenate ad un incantesimo.
Così belli e splendenti…il velo della cataratta li rendeva solo leggermente più pallidi.
Ma erano comunque meravigliosi…come lei…
Lei…che l’aveva lasciato nel dubbio di quella richiesta…
“Vieni con ad Amburgo”
Ma come poteva chiedergli una cosa del genere?
Gli aveva lasciato il tempo di decidere, ma tre mesi erano pochi…
E passavano in fretta…
Tre mesi…
Tra partite e allenamenti, conferenze ed altro, non si sarebbero più rivisti.
Il silenzio della neve non sarebbe riuscito a calmare il vuoto che si era creato a villa Wakabayashi, dopo la visita di quell’angelo…
Quell’angelo ceco…
Genzo si alzò in piedi, sbuffando come una locomotiva, aprendo la massimo l’acqua della doccia, tentando di lavarsi via le sue incertezze e i suoi dubbi.
Nella sua mente, il ricordo di frutta secca e vaniglia, e un sorriso dolce che lo aveva fatto perdere in un limbo oscuro ma pieno di serenità.

Neko sentì sua sorella tornare verso le sette, e subito aveva sentito la sua voce che tentava di calmare un irrequieto Inuki, che sembrava volerla sgridare, saltandogli addosso e uggiolando, abbaiando a tratti.
-Calmati, piccolo, ora sono tornata-
-Dov’eri? Sai che mamma era in ansia quando mi ha chiamato, perché non ti aveva più sentito?-
Yuko si mise una mano sulla fronte: doveva chiamare la mamma la sera precedente. Invece…invece era rimasta a dormire da Genzo, accoccolata tra le braccia del portiere, lasciandolo nel mondo dei sogni, ascoltando sorridente il respiro sereno, mentre le sue mani aveva attraversato per un attimo quel corpo ben fatto, ancora vestito dei jeans e del maglione.
-Hai ragione, Neko…-
-Com’è andata?-
Yuko si fermò, stupita nel sentire la voce allegra e curiosa di Neko, che in quel momento saltellava verso la sorella, curiosa.
-Piccolo gatto curioso, guarda che non ti dico niente!-
-Eh, dai, Yuko! Dimmi cosa è successo tra te e Wakabayashi!-
le due passarono il tempo a “litigare”, ridendo e divertendosi, Inuki che abitava, saltando da una parte all’altra.
Alla fine, si calmarono, e silenziose si sdraiarono sul grande tappeto persiano del salotto, i capelli di Yuko sparsi formavano un’aureola dorata, mentre Neko si era messa sulla sua pancia, lasciandosi accarezzare il volto dalle mani sapienti di Yuko, che sospirò, dubbiosa.
-Mi…mi ha chiesti di seguirlo ad Amburgo…-
era sussurrato, lo scoppiettio del camino si confondeva con la sua voce.
Ma Neko ci aveva sentito benissimo, ed aveva spalancato gli occhi, per poi socchiuderli, il sorriso si era tinto di tristezza, mentre Yuko delicatamente lo tastava con i polpastrelli magri, sospirando.
-E…tu…cos’hai deciso?-
-…ancora niente…-
-...seguilo…-
Yuko restò abbastanza sorpresa dell’affermazione di Neko ,che si mise seduta, ad osservare la sorella apparentemente addormentata, i realtà sveglissima, i suoi occhi si socchiusero, le iridi nascoste dalle lunghe ciglia, che nascondevano anche il brillare della sua tristezza e malinconia…
-…non posso lasciarvi sole…tu e la mamma…e anche Inuki…-
-Yuko, ormai non devi più preoccuparti per noi. Adesso, fra qualche settimana, il venti Gennaio, fai vent’anni, sei ormai maggiorenne e consapevole delle tue scelte.
E’ tempo che tu ti faccia un futuro…-
-Hai ragione, ma cerca di capire…potrei non tornare mai più da voi…-
Neko sorrise affettuosa, abbracciandola, Yuko si era alzata in piedi, e si stringeva a Neko, che la coccolava, le parti si erano scambiate, ora la piccola faceva da sorella maggiore.
-Sei rimasta con noi per diciannove anni, ormai quasi venti. E’ tempo che tu lasci il nido e voli, uccellino-
-Ma questo uccellino potrebbe andare a sbattere contro un albero…-
a volte queste sue ironie erano insopportabili, ma Neko ci passò sopra.
-Questo uccellino non sarà solo, perché ci sarà una mano che lo aiuterà a risollevarsi.
La mano di Wakabayashi…
Sempre che tu…lo ami…-
Yuko restò in silenzio a questa affermazione, tornando poi a sdraiarsi, seguita dalla sorella.

Ho scritto solo la prima strofa, ma l'ho fatto apposta!
COMMENTI! GRAZIE!

  
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