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Autore: Tsukuyomi    02/01/2010    6 recensioni
Salve a tutti! Finalmente prendo coraggio e pubblico.
Questa fanfic mi ronza in testa da tanto di quel tempo che ormai si scrive da sola.
Per il momento avrete sotto agli occhi dei futuri Gold Saint, ancora bambini e innocenti (più o meno), alcuni ancora non si conoscono e altri sì, alcuni sono nati nel Santuario e altri no, alcuni dovranno imparare il greco e, di qualcuno, non si sa per quale recondito motivo, non si conosce il nome. Spero che apprezziate. La storia è ambientata ai nostri giorni, per cui, le vicende conosciute avranno luogo nel futuro.
Genere: Comico, Generale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ramon

Non riusciva a dormire quella notte; dopo essersi rigirato nel letto per un po', facendo attenzione a non svegliare i due fratelli che riposavano al suo fianco, si alzò piano piano e con lentezza, trattenendo il fiato. Non voleva svegliare nessuno ma forse non ci sarebbe riuscito con tutta la buona volontà e con tutto l'impegno del mondo: erano tutti stanchissimi per la giornata da poco trascorsa. Il caldo era spossante e il lavoro della giornata era stato massacrante.
Faceva caldo dentro casa, l'aria era satura d'umidità e avere i corpi dei fratelli addormentati vicini al suo non migliorava la situazione.
La povertà era una condizione che conosceva bene; il cibo scarseggiava e ogni volta che si riusciva ad addentare qualcosa non si sapeva quando sarebbe ricapitato, la casa era stata costruita arrangiandosi al meglio con quello che il padre era riuscito a trovare. Nell'ultimo periodo aveva trovato materiale sufficiente a ristrutturarla, ricostruendo i muri con i mattoni. Purtroppo i lavori si erano dovuti fermare non solo a causa del caldo, ma anche a causa del tempo. Pioveva ininterrottamente da giorni, come spesso accadeva in inverno. Nonostante le copiose precipitazioni le temperature erano altissime, dovute al clima tropicale della regione.
La casa distava qualche centinaio di metri dalla favela di Rocinha, la più grande e pericolosa di tutto il Brasile, poco distante dalla foresta.
I genitori del piccolo Ramón speravano, vivendo distanziati dall'agglomerato di case, assieme a poche altre famiglie, di tenere i figli lontani dalle gang che si contendevano il comando della favela e di tutta la città di Rio. Purtroppo, il fratello maggiore di Ramón: Rubens, era già entrato a far parte dei Comando Vermelho, una delle gang più forti e pericolose.
Lo spaccio di droga e il traffico di armi, seppur rischiosi, erano l’unico modo che Rubens avesse per cercare di far star meglio i genitori e i fratelli, riuscendo a portare a casa qualche soldo.
Ramón, che sin da piccolissimo aveva dimostrato di avere un cuore d’oro, non lasciò mai il fratello maggiore da solo. Lo seguiva ogni volta che si allontanava da casa, impedendogli di svolgere il suo ruolo all’interno della cosca. Benché Rubens tentasse di tenerlo lontano da lui, e soprattutto da alcuni dei capi della gang, si accorse ben presto quanto l'impresa fosse difficile, quasi impossibile; nonostante la tenera età, Ramón, dimostrava già lo spirito che poi lo avrebbe caratterizzato in futuro. Sembrava più grande dei suoi tre anni e mezzo, alto e robusto, e dimostrava giorno dopo giorno di avere un cuore d'oro.
Quando Ramón non riusciva a stare dietro al fratello maggiore seguiva il padre nel suo mestiere di tuttofare, divertendosi a sollevare diversi pesi e a trasportare pezzi di legno e lamiera. Spesso trascinava gli attrezzi paterni in giro per il piccolo spiazzo di terra che aveva adibito a cortile, ma il suo passatempo preferito era quello di spingere il grosso copertone di un trattore da un muro all'altro. Essendo già dotato di una forza fuori del comune non poté non tornare utile al genitore, che si faceva seguire volentieri, anche solo per avere la certezza che non finisse invischiato nei loschi affari del fratello maggiore.
Aveva sonno e sbadigliava con forza, ma il caldo era troppo perchè riuscisse ancora a sopportarlo. Dopo essersi guardato attorno, lanciando uno sguardo ad ogni familiare perso tra i sogni, si passò il dorso della mano sulla fronte e trattenne uno sbuffo, avvicinandosi all'uscita. Una volta fuori dalla sua abitazione cercò riparo dalla pioggia sotto la nociva copertura di eternit che proteggeva l’uscio.
Rimase così, immobile, a fissare le gocce d’acqua che si univano alle numerose pozzanghere generando cerchi concentrici rapidi a svanire.
I lampi squarciarono il cielo illuminando in lontananza la statua del Cristo Redentore che vegliava sulla città, incurante delle difficili condizioni di vita in cui versava gran parte della popolazione.
Era una città strana Rio de Janeiro; in pochi passi si passava dalle agiate condizioni di vita di pochi, che senza ritegno venivano sbattute in faccia a persone che non potevano permettersi neanche la metà del cibo di cui avevano bisogno, ai poveracci che si arrangiavano come meglio potevano, affidandosi soprattutto a quello che la malavita locale offriva.
Altro motivo che spinse i genitori di Ramón ad optare nella costruzione abusiva di una casa fuori dalla favela fu quello di fare in modo che i figli non si trovassero mai coinvolti nei numerosi scontri a fuoco tra polizia e malviventi. Erano frequenti le sparatorie tra gli strettissimi vicoli che separavano le catapecchie addossate e, in quei casi, nessuna delle due fazioni si preoccupava eccessivamente della traiettoria che il proiettile avrebbe potuto percorrere.
I cimiteri erano pieni di tombe che non sarebbero dovute essere lì; tombe di innocenti che avevano avuto la sola sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Solo questo.
A Ramón piaceva la foresta e piaceva la sua casa. Nei pochi momenti davvero spensierati giocava con i bambini che dividevano con lui il piccolo spazio adibito ai giochi tra la favela e la foresta, incuranti dei pericoli dati non solo dalle gang ma anche dalla grande varietà di animali e soprattutto insetti velenosi che abitavano negli alberi o nei loro pressi.
Attorno alla luce fioca data da una vecchia lampadina che colorava il muro grigio di uno strano arancione si muovevano nugoli di zanzare e falene che scappavano alle gocce d'acqua sempre più violente e frequenti. Non sembrava che il piovasco sarebbe cessato presto. Allungò una mano perchè alcune gocce potessero raccogliersi nella piccola concavità formata dal palmo piegato, ridacchiò per il solletico e attese che la mano fosse piena per poi bere il liquido. Non contento fece sporgere anche la testa, tirando fuori la lingua e bagnandosi.
Un rombo lo distrasse dal suo gioco. Era lontano, ma il fragore non scemava.
Sembrava che una mandria di tori stesse correndo giù per i versanti del Pan di Zucchero, facendo vibrare il terreno. Quel tuonare si fece sempre più vicino, sinché Ramón non si voltò a guardare la foresta buia. Udì i versi di alcuni uccelli e poi gli stessi spiccare il volo con difficoltà, la foresta non era più silenziosa. Il frinire dei grilli scomparve coperto dal rombo. Un fulmine illuminò il paesaggio e poté vedere alcuni alberi svanire, adagiandosi sugli altri.
Non capiva. Aveva paura ma allo stesso tempo era incuriosito da quelle stranezze.

Ad ogni esplosione di elettricità vedeva la furia farsi più vicina.
Il fragore si avvicinava sempre più, finché un’onda di acqua, fango e detriti si gettava con violenza su quelle poche case, sradicandole senza fatica.
Tentò di urlare per avvertire chi dormiva del pericolo, ma era troppo tardi. La piena trascinò via le case e con loro gli abitanti.

I disboscamenti incauti avevano reso il terreno cedevole e veniva ora trascinato via dalla corrente causata dal violento e interminabile piovasco, l'onda inghiottiva qualunque cosa si trovasse sulla sua strada. Ramón, trascinato via dalla veemenza dell’acqua, venne sbattuto con forza contro tronchi e detriti che seguivano la corrente. Credette di morire; pensò che l’acqua, alla fine, avrebbe avuto la meglio su di lui.
Si agitava e cercava di tenere fuori la testa per respirare, di prendere qualche convulsa boccata d’aria prima che l’acqua riprendesse a tirarlo sotto. Riuscì ad aggrapparsi ad un ramo che galleggiava sulla superficie della fangosa piena, mentre il torrente proseguiva la sua folle corsa.
La corrente continuava ad imperversare contro di lui. Era sicuro che non ce l’avrebbe fatta.
Le braccia, ormai stanche per i tentativi di tenersi a galla e per la forte presa sul ramo, cominciavano a cedere, scosse da forti tremori muscolari.
Decise di abbandonarsi alla furia dell’evento, rivolgendo il suo ultimo pensiero ai genitori e ai fratelli.
Chiuse gli occhi, col viso rivolto al cielo, e si staccò dal ramo lasciandosi trascinare via.

La corrente lo strappò con violenza dalla superficie inghiottendolo e facendogli sbattere la testa contro un grosso tronco che sembrava lottare per rimanere a galla. Perse i sensi.
Nel vortice subacqueo causato dalla corsa dell’acqua, lo stesso fusto che lo colpì gli si posizionò sotto, riportandolo a galla. Venne protetto dalle stelle quella notte, bruciò, privo di coscienza, il suo cosmo salvandosi la vita.

Non sarebbe morto quella notte, il fato aveva altri progetti per lui.
Il suo corpo, mollemente adagiato sul tronco che lo teneva in superficie, sbatté su un albero abbattuto che sbarrava parzialmente la corsa del fiume, e venne sbalzato su un piccolo terrapieno miracolosamente sfuggito alla furia di acqua e fango. Era in salvo, ormai; rimase lì, privo di sensi.
Dopo molte ore di sonno forzato si destò. La piena aveva fatto il suo corso ormai e andava placandosi.
Ramón era debole e dolorante, si sollevò a forza sulle gambe tremolanti e si allontanò dal corso d’acqua addentrandosi tra gli alberi. Camminò per qualche chilometro, risalendo il percorso del torrente.
Era l’alba ormai. Cercò del cibo rovistando tra le piantine e i cespugli, trovò delle piccole bacche e ne mangiò fino a saziarsi. Riprese a camminare. La notte scese ancora ad avvolgere la foresta, rendendogli impossibile proseguire e riportandogli alla mente le ore precedenti.
Le braccia e le gambe dolevano per i continui sforzi, la schiena, il torace e l’addome erano ricoperti da grossi lividi ed escoriazioni dovuti ai numerosi impatti con i detriti. Sulla sua fronte torreggiava una grossa ferita, pulsante e dolorante.
Si accucciò tra alcuni alberi, ormai marcescenti, e restò lì seduto per molte ore, aspettando che il sole si decidesse a sorgere nuovamente. Il rifugio di fortuna lo avrebbe in parte riparato dall’umidità della calda notte di gennaio. Il tempo si rivelava clemente e le nuvole cominciarono a diradarsi, lasciando spazio alla volta stellata. Gli occhi si fecero pesanti.
Prima di lasciarsi andare all’oblio diede una fugace scorsa al cielo, verso ovest dove i rami erano meno fitti, ammiccava una stella; brillava, prepotente di lasciarsi ammirare in tutto il suo splendore.
La fissò a lungo senza conoscerne il nome, ignaro che in futuro avrebbe adottato lo stesso nome di quell’astro dall’alone arancione. Si addormentò.

La mattina successiva si svegliò ascoltando i rumori della foresta ritrovandosi ricoperto da insetti di ogni tipo. Con calma li spostò, cosciente dell’effetto venefico di alcuni di loro; la madre e il padre erano stati attenti nell’insegnare ai figli a riconoscere quale animale potesse essere un pericolo. Fu fortunato, nessun insetto letale al solo contatto. Si alzò e riprese a camminare, claudicante.
Non sapeva quanto fosse lontano dal luogo che lui aveva chiamato casa, ma era intenzionato a tornarci. Continuò a camminare per diversi giorni, a volte perdendosi nell’intrico dei tronchi.
Trovò infine i resti di quella che fu la sua casa, riconoscendo l’eternit firmata dal padre e colorata dal fratello Rubens. Si mise a scavare con frenesia, ignaro della sorte che era toccata ai familiari, nella speranza di trovare qualcuno. Nella foga e nella concitazione dello scavare tra il fango, detriti e macerie le sue dita iniziarono a sanguinare e le unghie a staccarsi.
I suoi sforzi vennero ripagati quando dalla poltiglia fece capolino un braccio. Scavò fino a dissotterrare l’intero corpo: lo riconobbe.
La madre sembrava dormire pacifica, come se non si fosse neanche resa conto di tutto il trambusto. Il corpo era sporco di fango e i capelli sembravano incollati sulla fronte.
Ramón si coricò accanto a lei, la abbracciò e cercò di svegliarla.
«Mamãe, por favor acorde [Mamma, per favore, svegliati.]»
Non ottenne nessuna risposta, nessun movimento.
Non pianse, non versò neanche una lacrima. Rimase lì a prendersi cura della madre, accarezzandola nel tentativo di pulirle il volto e chiedendole se si sentisse meglio. Le parlava, le raccontava di quello che aveva vissuto, dell’acqua e del fango, della stella che brillava la notte, degli insetti e delle bacche.
«Mãe, você està bem? Ainda està cansada? [Mamma, come stai? Sei stanca?]»

Finalmente arrivarono i soccorsi.
Venne portato in ospedale dove rimase qualche giorno affinché potessero medicarlo e accertarsi della sua salute. Era un bambino forte. Dopo le cure necessarie venne portato in orfanotrofio.
Divenne subito il paladino di tutti i piccoli; era grande, forte e infinitamente buono. Tentava sempre di consolare tutti e di riportare il sorriso sui visi dei piccoli orfani come lui.

-

Sion entrò nelle sue stanze, nuovamente al tredicesimo tempio. Arles stava sfogliando svogliatamente delle carte inerenti le spese del Santuario. Era un periodo di calma assoluta.
«Arles, fai convocare João. Subito.» intimò
Il cavaliere d’argento dell’Altare obbedì e mandò a chiamare il cavaliere portoghese, che in pochi minuti si presentò al cospetto del Sommo.
« João, qualche settimana fa ho percepito un altro cosmo: un altro bambino. Sembrava non ci fosse l'urgenza di andare a prelevarlo per condurlo qui, è stato in grave pericolo ed è sopravvissuto. Devi andare in Brasile e portarlo qui.»
Il gigante accettò l’incarico e partì il giorno stesso. Dopo quasi quindici ore di volo fu a Rio. Trovò senza difficoltà l’orfanotrofio indicatogli da Sion. Era impossibile sbagliare. La costruzione era circondata da un grandissimo giardino popolato da bambini che giocavano tra loro a calcio con una palla fatta di pezzi di stoffa arrotolati e tenuti insieme da uno spago. Fissò lo sguardo su un bambino in particolare. Giocava in difesa e dannatamente bene; sembrava un muro e riusciva ad incutere soggezione nei piccoli campioni che si sfidavano tra risate e urla. Non fu la sua bravura ad incuriosirlo, piuttosto il suo aspetto e il suo sguardo. Per un attimo ebbe l’impressione di vedere se stesso da piccolo.
Senza prestare ulteriore attenzione ai piccoli si recò verso l’ufficio del direttore dell’orfanotrofio e chiese di poter vedere Ramón. Si finse un parente giunto dall’Europa appena venuto a conoscenza della vicenda raccontando di essere un lontano cugino della madre, pronto a prendersi cura di lui. Aggiunse anche di non aver mai visto i figli della cugina, per cui non sarebbe stato in grado di riconoscerlo.
Il direttore, semplicemente, si affacciò alla finestra e chiamò a gran voce il piccolo che, in meno di un minuto, si presentò nell’ufficio.
«Olà
, Ramón, eu sou João. Eu vim te buscar.[Ciao Ramón, sono João. Sono venuto a prenderti.] »
«Para onde me leva? [Dove mi porti?]»

Nell’informarsi della nuova destinazione, Ramón, prese posto nella sedia accanto all’altro gigante.
«Eu o estou levando para Atenas. [Ti porto ad Atene.]»

Dopo aver parlato un po', Ramón accettò di seguire il gigante e corse a preparare le poche cose che aveva. La palla di stracci l'aveva fatta lui e la lasciò ai bambini che lo salutavano mentre si allontanava all'ombra del gigante. Promise loro di tornare con dei veri palloni.
Il viaggio sarebbe stato molto lungo.
Presero un volo diretto da Rio a Parigi, e il tragitto durò poco più di quattordici ore.  A Parigi dovettero attendere l’arrivo della coincidenza. Passeggiarono per l’aeroporto di Roissy. João comprò qualche snack e li fece assaggiare a Ramón che con somma gioia mangiava e si complimentava.
Poco prima che chiamassero per l'imbarco il piccolo brasiliano si guardò attorno e si rivolse a João.
«João
eu tenho que ir ao banheiro. [João, devo andare in bagno.]»
«Banheiro?»
ripetè l'altro strabuzzando gli occhi, cercando di capire per quale motivo Ramón volesse andare da un bagnino. Si guardò attorno spaesato, quando comprese e si diede dello stupido. Ramón per sottolinerare l'urgenza della situazione aveva portato entrambe le mani all'inguine e saltellava.
«Oh, casa de banho! [Oh, il bagno!]» disse infine prendendo il bambino per mano e lo condusse il più velocemente possibile dove il piccolo avrebbe potuto adempiere ai suoi bisogni.

Durante le ultime ore di volo João cercò di spiegare al piccolo Ramón in quale magico luogo lo avrebbe condotto.
Gli raccontò dei cavalieri d’oro, uomini forti e coraggiosi che difendevano l’umanità e la giustizia. Gli disse che sarebbe potuto diventare uno di loro se si fosse impegnato duramente.
Il piccolo brasiliano non perse tempo nel domandare lo scopo dell'esistenza dei cavalieri. La solita pappardella che i Silver erano pronti a snocciolare su giustizia e pace non aveva fatto colpo su di lui.
La domanda gli sorse quasi spontanea: avrebbe potuto evitare che qualcun altro soffrisse le sue stesse pene?
Il portoghese sorrise a quella richiesta e gli scompigliò i capelli. Non sarebbe mai riuscito a farsi una ragione della purezza d'animo di quei bambini, troppo adulti per essere considerati tali e troppo piccoli perché potessero essere presi sul serio. Gli rispose dicendogli la verità: avrebbe potuto.
Gli spiegò rapidamente quali fossero i poteri di un Cavaliere d'Oro e gli raccontò alcune gesta del passato, spesso narrate al Santuario.
Ramón ascoltò ogni parola e la fece sua, sorridendo con decisione.
Avrebbe potuto evitare che altri bambini restassero orfani e avrebbe aiutato chiunque avesse avuto bisogno di aiuto, niente lo avrebbe fermato.
João prese coscienza della bontà del bambino semplicemente guardandolo negli occhi, due pozzi scuri e ruggenti emananti potenza e forza. Sapeva che sarebbe riuscito nel suo intento se fosse riuscito ad indossare l'armatura.
«Descansa. [Riposati]» gli disse dopo qualche minuto, sistemandogli la coperta.
Ramón si accoccolò sul morbido sedile e chiuse gli occhi. Il sonno lo rapì poco dopo, mentre il suo accompagnatore lo scrutava con attenzione.
Riusciva a capire in quali condizioni avesse vissuto il bambino, condizioni difficili e mal tollerabili. Non poté fare a meno di pensare che fosse ad una svolta significativa della sua vita. Continuò a convincersi che fosse giusto che pochi soffrissero per il bene di molti, ignorando la voce di Leurak che gli rimbombava nel cervello. Dal giorno in cui parlarono della predestinazione e della qualità della vita dei bambini, qualcosa era cambiato.
Fuori dal Santuario, in tutto il mondo, ogni giorno morivano centinaia di bambini: chi di fame, chi per la guerra, chi per semplice cattiveria. Lui aveva l'opportunità di forgiare pochi di quei bambini, collaborare - in un modo o nell'altro -  a renderli eroi.
Sarebbe stato un compito tutt'altro che facile, ma se anche loro, come lui del resto, erano prescelti, se anche loro non dovevano fare altro che seguire una strada già segnata e percorsa in precedenza, non avrebbe dovuto fare altro che preparare loro il viaggio, indicandogli semplicemente il sentiero per giungere a quella luminosa via che attendeva i loro passi.
Si lasciò rapire dal sonno conscio che la meta fosse vicina.






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Chiedo immensamente perdono per il ritardo. Vi confesso che ho rimandato la correzione del capitolo per un sacco di tempo. Eh, pigrizia maledetta. Ma ringraziate whitesary e sakura2480, alla fine hanno vinto e hanno corretto loro.
Ed ecco qui un bambinone che in futuro sarà un toro in tutto e per tutto! Grande, grosso, imponente, altissimo, purissimo e brasilianissimo!
Mancano due pargoli che arriveranno praticamente assieme. 
Veniamo all'aspetto linguistico di tutto il capitolo, al fulcro che sorregge ogni singola parola e anche meno: "banheiro" in brasiliano vuol dire bagno, mentre in portoghese significa bagnino. Tutto qui.
Ringrazio le anime pure che hanno letto il capitolo e le anime pie che lo hanno recensito, ovviamente chi ha letto e recensito è pio e puro.
Inoltre ringrazio Isabel di Thule per la sua consulenza linguistica. E' grazie a lei che il mio PERFETTO portoghese ha un senso. E soprattutto, cosa di cui mi vergogno abbastanza, nel capitolo scorso non ho ringraziato la donna che mi ha betato il capitolo allungandomi anche due schiaffi per la pigrizia imperante di cui sono vittima ultimamente. Lo ammetto, fancazzista lo sono sempre stata, ma inizio a superarmi. whitesary, perdona questa sciocca.

Colgo l'occasione per farvi gli auguri di un bel 2010, ricco di tutto ciò che desiderate senza ritegno!

Ricklee.
Ciao tesoro!! Sono felice che Milo e Camus ti piacciano! Effettivamente sono di una dolcezza esasperante assieme e Milo non poteva fare altro che "velocizzare" l'apprendimento di Camus! Hai visto che non ti ho fatto aspettare al nuovo anno? Un bacione!

whitesary.
Io scema. Tu beta e io scema.
El Cid è bellissimo in ogni aspetto, anche in modalità namecciana. Ma Manigoldo versione Mokujin no!! Non si può!! Va bene: ha un po' le doti intellettive di un ciocco di legna, ma a legnosizzarlo tutto no!! Cattiva, cattiva. Baci baci!

Himechan.
Je suì un jeniò del francè. Speakko bene anche l'english. Ringrazio solo di non aver fatto parlare Miach in gaelico, ma lo sai cosa sono capaci di fare gli irlandesi? Sì, oltre a parlare in modo comico: sembrano sbronzi LOL. Sono pericolosissssssimi e sono anche permalosissimi. Meglio non scherzarci troppo!

nikkith.
Sion e Mu arriveranno la prossima volta e sarà amore arietoso a prima vista, ma non dico altro ^^. Per il momento accontentati di un po' di tauresca presenza! Baci e alla prossima!!

sakura2480.
Io ho un moto di imbarazzo non indifferente. Ti ringrazio vivamente per i complimenti che davvero non merito, non so come riesca a mettere due parole assieme e soprattutto quando rileggo ciò che scrivo trattengo i conati. Ma lo sai visto che sopporti le mie turbe assieme a whitesary. Ormai vi siete alleate e mi mandate anche a quel paese. Cattive, cattive. ;_;
Le citazioni lostcanvasiane sono d'obbligo visto che finalmente ci mostrano il passato. Ma ci sarà un capitolo, forse il prossimo o il prossimo ancora dove le citazioni saranno più "pesanti". Devo solo decidere l'ordine in cui postarli! Poi il resto vien da sè. :*

Camus.
Ecco il torello!! Povero scricciolo monociglione del mio
coração.
Io davvero non comprendo come non siano diventati tutti dei Death Mask. Ma Kanon lo comprendo fin troppo bene, insomma è nato e cresciuto con la consapevolezza di essere inferiore al gemello, ed è ovvio che cerchi un riscatto. Se non sarà nella stessa fazione lo sarà nella avversaria. Più sono psicolabili e più mi piacciono! Un bacio!

miloxcamus.
Ah, le marachelle!! Io direi che al prossimo capitolo, che arriverà a ferragosto se continuo a tenere questi ritmi, qualcuno combinerà qualcosa.
Oh sì. Qualcuno combinerà qualcosa che non deve. E qualcun altro pagherà al suo posto. Ma l'orgoglio di futuro saint sove lo mettiamo??

Saruwatari_Asuka.
Siccome aspettavi il tuo piccolo Shaka c'ho messo Aldebaran. Lol, no. Shaka e Mu giungeranno presto e giungeranno assieme, e non ti dico chi si recherà a recuperarli. Ah, che meraviglia. Tra non molto i dodici folli saranno al completo, pronti a dividersi di nuovo e riunirsi poi.
Che vitaccia 'sti pupi ;_; Un bacione

 

   
 
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