Non riusciva a dormire quella notte; dopo essersi
rigirato nel letto per un
po', facendo attenzione a non svegliare i due fratelli che riposavano
al suo
fianco, si alzò piano piano e con lentezza, trattenendo il
fiato. Non voleva
svegliare nessuno ma forse non ci sarebbe riuscito con tutta la buona
volontà e
con tutto l'impegno del mondo: erano tutti stanchissimi per la giornata
da poco
trascorsa. Il caldo era spossante e il lavoro della giornata era stato
massacrante.
Faceva caldo dentro casa, l'aria era satura d'umidità e
avere i corpi dei
fratelli addormentati vicini al suo non migliorava la
situazione.
La povertà era una condizione che conosceva bene; il cibo
scarseggiava
e ogni volta che si riusciva ad addentare qualcosa non si
sapeva quando
sarebbe ricapitato, la casa era stata costruita arrangiandosi al meglio
con
quello che il padre era riuscito a trovare. Nell'ultimo periodo aveva
trovato
materiale sufficiente a ristrutturarla, ricostruendo i muri con i
mattoni.
Purtroppo i lavori si erano dovuti fermare non solo a causa del caldo,
ma anche
a causa del tempo. Pioveva ininterrottamente da giorni, come spesso
accadeva in
inverno. Nonostante le copiose precipitazioni le temperature erano
altissime,
dovute al clima tropicale della regione.
La casa distava qualche centinaio di metri dalla favela di Rocinha, la
più
grande e pericolosa di tutto il Brasile, poco distante dalla foresta.
I genitori del piccolo Ramón speravano, vivendo distanziati
dall'agglomerato di
case, assieme a poche altre famiglie, di tenere i figli lontani dalle
gang che
si contendevano il comando della favela e di tutta la città
di Rio. Purtroppo,
il fratello maggiore di Ramón: Rubens, era già
entrato a far parte dei Comando
Vermelho, una delle gang più forti e pericolose.
Lo spaccio di droga e il traffico di armi, seppur rischiosi, erano
l’unico modo
che Rubens avesse per cercare di far star meglio i genitori e i
fratelli,
riuscendo a portare a casa qualche soldo.
Ramón, che sin da piccolissimo aveva dimostrato di avere un
cuore d’oro, non
lasciò mai il fratello maggiore da solo. Lo seguiva ogni
volta che si
allontanava da casa, impedendogli di svolgere il suo ruolo
all’interno della
cosca. Benché Rubens tentasse di tenerlo lontano da lui, e
soprattutto da
alcuni dei capi della gang, si accorse ben presto quanto l'impresa
fosse
difficile, quasi impossibile; nonostante la tenera età,
Ramón, dimostrava già
lo spirito che poi lo avrebbe caratterizzato in futuro. Sembrava
più grande dei
suoi tre anni e mezzo, alto e robusto, e dimostrava giorno dopo giorno
di avere
un cuore d'oro.
Quando Ramón non riusciva a stare dietro al fratello
maggiore seguiva il padre
nel suo mestiere di tuttofare, divertendosi a sollevare diversi pesi e
a
trasportare pezzi di legno e lamiera. Spesso trascinava gli attrezzi
paterni in
giro per il piccolo spiazzo di terra che aveva adibito a cortile, ma il
suo
passatempo preferito era quello di spingere il grosso copertone di un
trattore
da un muro all'altro. Essendo già dotato di una forza fuori
del comune non poté
non tornare utile al genitore, che si faceva seguire volentieri, anche
solo per
avere la certezza che non finisse invischiato nei loschi affari del
fratello
maggiore.
Aveva sonno e sbadigliava con forza, ma il caldo era troppo
perchè riuscisse
ancora a sopportarlo. Dopo essersi guardato attorno, lanciando uno
sguardo ad
ogni familiare perso tra i sogni, si passò il dorso della
mano sulla fronte e
trattenne uno sbuffo, avvicinandosi all'uscita. Una volta fuori dalla
sua
abitazione cercò riparo dalla pioggia sotto la nociva
copertura di eternit che
proteggeva l’uscio.
Rimase così, immobile, a fissare le gocce d’acqua
che si univano alle numerose
pozzanghere generando cerchi concentrici rapidi a svanire.
I lampi squarciarono il cielo illuminando in lontananza la statua del
Cristo
Redentore che vegliava sulla città, incurante delle
difficili condizioni di
vita in cui versava gran parte della popolazione.
Era una città strana Rio de Janeiro; in pochi passi si
passava dalle agiate
condizioni di vita di pochi, che senza ritegno venivano sbattute in
faccia a
persone che non potevano permettersi neanche la metà del
cibo di cui avevano
bisogno, ai poveracci che si arrangiavano come meglio potevano,
affidandosi
soprattutto a quello che la malavita locale offriva.
Altro motivo che spinse i genitori di Ramón ad optare nella
costruzione abusiva
di una casa fuori dalla favela fu quello di fare in modo che i figli
non si
trovassero mai coinvolti nei numerosi scontri a fuoco tra polizia e
malviventi.
Erano frequenti le sparatorie tra gli strettissimi vicoli che
separavano le
catapecchie addossate e, in quei casi, nessuna delle due fazioni si
preoccupava
eccessivamente della traiettoria che il proiettile avrebbe potuto
percorrere.
I cimiteri erano pieni di tombe che non sarebbero dovute essere
lì; tombe di
innocenti che avevano avuto la sola sfortuna di trovarsi nel posto
sbagliato al
momento sbagliato. Solo questo.
A Ramón piaceva la foresta e piaceva la sua casa. Nei pochi
momenti davvero
spensierati giocava con i bambini che dividevano con lui il piccolo
spazio
adibito ai giochi tra la favela e la foresta, incuranti dei pericoli
dati non
solo dalle gang ma anche dalla grande varietà di animali e
soprattutto insetti
velenosi che abitavano negli alberi o nei loro pressi.
Attorno alla luce fioca data da una vecchia lampadina che colorava il
muro
grigio di uno strano arancione si muovevano nugoli di zanzare e falene
che
scappavano alle gocce d'acqua sempre più violente e
frequenti. Non sembrava che
il piovasco sarebbe cessato presto. Allungò una mano
perchè alcune gocce
potessero raccogliersi nella piccola concavità formata dal
palmo piegato,
ridacchiò per il solletico e attese che la mano fosse piena
per poi bere il
liquido. Non contento fece sporgere anche la testa, tirando fuori la
lingua e
bagnandosi.
Un rombo lo distrasse dal suo gioco. Era lontano, ma il fragore non
scemava.
Sembrava che una mandria di tori stesse correndo giù per i
versanti del Pan di
Zucchero, facendo vibrare il terreno. Quel tuonare si fece sempre
più vicino,
sinché Ramón non si voltò a guardare
la foresta buia. Udì i versi di alcuni
uccelli e poi gli stessi spiccare il volo con difficoltà, la
foresta non era
più silenziosa. Il frinire dei grilli scomparve coperto dal
rombo. Un fulmine
illuminò il paesaggio e poté vedere alcuni alberi
svanire, adagiandosi sugli
altri.
Non capiva. Aveva paura ma allo stesso tempo era incuriosito da quelle
stranezze.
Ad ogni
esplosione di elettricità vedeva la furia farsi
più vicina.
Il fragore si avvicinava sempre più, finché
un’onda di acqua, fango e detriti
si gettava con violenza su quelle poche case, sradicandole senza
fatica.
Tentò di urlare per avvertire chi dormiva del pericolo, ma
era troppo tardi. La
piena trascinò via le case e con loro gli abitanti.
I disboscamenti incauti avevano reso il terreno cedevole e veniva ora
trascinato via dalla corrente causata dal violento e interminabile
piovasco,
l'onda inghiottiva qualunque cosa si trovasse sulla sua strada.
Ramón,
trascinato via dalla veemenza dell’acqua, venne sbattuto con
forza contro
tronchi e detriti che seguivano la corrente. Credette di morire;
pensò che
l’acqua, alla fine, avrebbe avuto la meglio su di lui.
Si agitava e cercava di tenere fuori la testa per respirare, di
prendere
qualche convulsa boccata d’aria prima che l’acqua
riprendesse a tirarlo sotto.
Riuscì ad aggrapparsi ad un ramo che galleggiava sulla
superficie della fangosa
piena, mentre il torrente proseguiva la sua folle corsa.
La corrente continuava ad imperversare contro di lui. Era sicuro che
non ce
l’avrebbe fatta.
Le braccia, ormai stanche per i tentativi di tenersi a galla e per la
forte
presa sul ramo, cominciavano a cedere, scosse da forti tremori
muscolari.
Decise di abbandonarsi alla furia dell’evento, rivolgendo il
suo ultimo
pensiero ai genitori e ai fratelli.
Chiuse gli occhi, col viso rivolto al cielo, e si staccò dal
ramo lasciandosi trascinare
via.
La corrente lo strappò con violenza dalla superficie
inghiottendolo e
facendogli sbattere la testa contro un grosso tronco che sembrava
lottare per
rimanere a galla. Perse i sensi.
Nel vortice subacqueo causato dalla corsa dell’acqua, lo
stesso fusto che lo
colpì gli si posizionò sotto, riportandolo a
galla. Venne protetto dalle stelle
quella notte, bruciò, privo di coscienza, il suo cosmo
salvandosi la vita.
Non sarebbe morto quella notte, il fato aveva altri progetti per lui.
Il suo corpo, mollemente adagiato sul tronco che lo teneva in
superficie, sbatté
su un albero abbattuto che sbarrava parzialmente la corsa del fiume, e
venne
sbalzato su un piccolo terrapieno miracolosamente sfuggito alla furia
di acqua
e fango. Era in salvo, ormai; rimase lì, privo di sensi.
Dopo molte ore di sonno forzato si destò. La piena aveva
fatto il suo corso
ormai e andava placandosi.
Ramón era debole e dolorante, si sollevò a forza
sulle gambe tremolanti e si
allontanò dal corso d’acqua addentrandosi tra gli
alberi. Camminò per qualche
chilometro, risalendo il percorso del torrente.
Era l’alba ormai. Cercò del cibo rovistando tra le
piantine e i cespugli, trovò
delle piccole bacche e ne mangiò fino a saziarsi. Riprese a
camminare. La notte
scese ancora ad avvolgere la foresta, rendendogli impossibile
proseguire e
riportandogli alla mente le ore precedenti.
Le braccia e le gambe dolevano per i continui sforzi, la schiena, il
torace e
l’addome erano ricoperti da grossi lividi ed escoriazioni
dovuti ai numerosi
impatti con i detriti. Sulla sua fronte torreggiava una grossa ferita,
pulsante
e dolorante.
Si accucciò tra alcuni alberi, ormai marcescenti, e
restò lì seduto per molte
ore, aspettando che il sole si decidesse a sorgere nuovamente. Il
rifugio di
fortuna lo avrebbe in parte riparato dall’umidità
della calda notte di gennaio.
Il tempo si rivelava clemente e le nuvole cominciarono a diradarsi,
lasciando
spazio alla volta stellata. Gli occhi si fecero pesanti.
Prima di lasciarsi andare all’oblio diede una fugace scorsa
al cielo, verso
ovest dove i rami erano meno fitti, ammiccava una stella; brillava,
prepotente
di lasciarsi ammirare in tutto il suo splendore.
La fissò a lungo senza conoscerne il nome, ignaro che in
futuro avrebbe
adottato lo stesso nome di quell’astro dall’alone
arancione. Si addormentò.
La mattina successiva si svegliò ascoltando i rumori della
foresta ritrovandosi
ricoperto da insetti di ogni tipo. Con calma li spostò,
cosciente dell’effetto
venefico di alcuni di loro; la madre e il padre erano stati attenti
nell’insegnare ai figli a riconoscere quale animale potesse
essere un pericolo.
Fu fortunato, nessun insetto letale al solo contatto. Si
alzò e riprese a
camminare, claudicante.
Non sapeva quanto fosse lontano dal luogo che lui aveva chiamato casa,
ma era
intenzionato a tornarci. Continuò a camminare per diversi
giorni, a volte
perdendosi nell’intrico dei tronchi.
Trovò infine i resti di quella che fu la sua casa,
riconoscendo l’eternit
firmata dal padre e colorata dal fratello Rubens. Si mise a scavare con
frenesia, ignaro della sorte che era toccata ai familiari, nella
speranza di
trovare qualcuno. Nella foga e nella concitazione dello scavare tra il
fango,
detriti e macerie le sue dita iniziarono a sanguinare e le unghie a
staccarsi.
I suoi sforzi vennero ripagati quando dalla poltiglia fece capolino un
braccio.
Scavò fino a dissotterrare l’intero corpo: lo
riconobbe.
La madre sembrava dormire pacifica, come se non si fosse neanche resa
conto di
tutto il trambusto. Il corpo era sporco di fango e i capelli sembravano
incollati sulla fronte.
Ramón si coricò accanto a lei, la
abbracciò e cercò di svegliarla.
«Mamãe, por favor acorde [Mamma, per
favore, svegliati.]»
Non ottenne nessuna risposta, nessun movimento.
Non pianse, non versò neanche una lacrima. Rimase
lì a prendersi cura della
madre, accarezzandola nel tentativo di pulirle il volto e chiedendole
se si
sentisse meglio. Le parlava, le raccontava di quello che aveva vissuto,
dell’acqua e del fango, della stella che brillava la notte,
degli insetti e
delle bacche.
«Mãe, você està bem?
Ainda està cansada? [Mamma, come stai? Sei
stanca?]»
Finalmente arrivarono i soccorsi.
Venne portato in ospedale dove rimase qualche giorno
affinché potessero medicarlo
e accertarsi della sua salute. Era un bambino forte. Dopo le cure
necessarie
venne portato in orfanotrofio.
Divenne subito il paladino di tutti i piccoli; era grande, forte e
infinitamente buono. Tentava sempre di consolare tutti e di riportare
il sorriso
sui visi dei piccoli orfani come lui.
-
Sion entrò nelle sue stanze, nuovamente al tredicesimo
tempio. Arles stava
sfogliando svogliatamente delle carte inerenti le spese del Santuario.
Era un
periodo di calma assoluta.
«Arles, fai convocare João. Subito.»
intimò
Il cavaliere d’argento dell’Altare
obbedì e mandò a chiamare il cavaliere
portoghese, che in pochi minuti si presentò al cospetto del
Sommo.
« João, qualche settimana fa ho percepito un altro
cosmo: un altro bambino.
Sembrava non ci fosse l'urgenza di andare a prelevarlo per condurlo
qui, è
stato in grave pericolo ed è sopravvissuto. Devi andare in
Brasile e portarlo
qui.»
Il gigante accettò l’incarico e partì
il giorno stesso. Dopo quasi quindici ore
di volo fu a Rio. Trovò senza difficoltà
l’orfanotrofio indicatogli da Sion.
Era impossibile sbagliare. La costruzione era circondata da un
grandissimo
giardino popolato da bambini che giocavano tra loro a calcio con una
palla
fatta di pezzi di stoffa arrotolati e tenuti insieme da uno spago.
Fissò lo
sguardo su un bambino in particolare. Giocava in difesa e dannatamente
bene;
sembrava un muro e riusciva ad incutere soggezione nei piccoli campioni
che si
sfidavano tra risate e urla. Non fu la sua bravura ad incuriosirlo,
piuttosto
il suo aspetto e il suo sguardo. Per un attimo ebbe
l’impressione di vedere se
stesso da piccolo.
Senza prestare ulteriore attenzione ai piccoli si recò verso
l’ufficio del
direttore dell’orfanotrofio e chiese di poter vedere
Ramón. Si finse un parente
giunto dall’Europa appena venuto a conoscenza della vicenda
raccontando di
essere un lontano cugino della madre, pronto a prendersi cura di lui.
Aggiunse
anche di non aver mai visto i figli della cugina, per cui non sarebbe
stato in
grado di riconoscerlo.
Il direttore, semplicemente, si affacciò alla finestra e
chiamò a gran voce il
piccolo che, in meno di un minuto, si presentò
nell’ufficio.
«Olà, Ramón, eu sou
João. Eu vim te buscar.[Ciao Ramón, sono
João. Sono venuto a prenderti.] »
«Para onde me leva? [Dove mi porti?]»
Nell’informarsi della nuova destinazione, Ramón,
prese posto nella sedia
accanto all’altro gigante.
«Eu o estou levando para Atenas. [Ti porto ad
Atene.]»
Dopo aver
parlato un po', Ramón accettò di seguire il
gigante e corse a preparare le
poche cose che aveva. La palla di stracci l'aveva fatta lui e la
lasciò ai
bambini che lo salutavano mentre si allontanava all'ombra del gigante.
Promise
loro di tornare con dei veri palloni.
Il viaggio sarebbe stato molto lungo.
Presero un volo diretto da Rio a Parigi, e il tragitto durò
poco più di
quattordici ore. A Parigi dovettero attendere
l’arrivo della coincidenza.
Passeggiarono per l’aeroporto di Roissy. João
comprò qualche snack e li fece
assaggiare a Ramón che con somma gioia mangiava e si
complimentava.
Poco prima che chiamassero per l'imbarco il piccolo brasiliano si
guardò
attorno e si rivolse a João.
«João eu tenho que ir ao banheiro. [João, devo andare in
bagno.]»
«Banheiro?» ripetè l'altro
strabuzzando gli occhi, cercando di capire per quale motivo
Ramón volesse
andare da un bagnino. Si guardò attorno spaesato, quando
comprese e si diede
dello stupido. Ramón per sottolinerare l'urgenza della
situazione aveva portato
entrambe le mani all'inguine e saltellava.
«Oh, casa de
banho! [Oh, il bagno!]» disse infine prendendo il bambino per mano e lo
condusse
il più velocemente possibile dove il piccolo avrebbe potuto
adempiere ai suoi
bisogni.
Durante le ultime ore di volo João cercò di
spiegare al piccolo Ramón in quale
magico luogo lo avrebbe condotto.
Gli raccontò dei cavalieri d’oro, uomini forti e
coraggiosi che difendevano
l’umanità e la giustizia. Gli disse che sarebbe
potuto diventare uno di loro se
si fosse impegnato duramente.
Il piccolo brasiliano non perse tempo nel domandare lo scopo
dell'esistenza dei
cavalieri. La solita pappardella che i Silver erano pronti a
snocciolare su
giustizia e pace non aveva fatto colpo su di lui.
La domanda gli sorse quasi spontanea: avrebbe potuto evitare che
qualcun altro
soffrisse le sue stesse pene?
Il portoghese sorrise a quella richiesta e gli scompigliò i
capelli. Non
sarebbe mai riuscito a farsi una ragione della purezza d'animo di quei
bambini,
troppo adulti per essere considerati tali e troppo piccoli
perché potessero
essere presi sul serio. Gli rispose dicendogli la verità:
avrebbe potuto.
Gli spiegò rapidamente quali fossero i poteri di un
Cavaliere d'Oro e gli
raccontò alcune gesta del passato, spesso narrate al
Santuario.
Ramón ascoltò ogni parola e la fece sua,
sorridendo con decisione.
Avrebbe potuto evitare che altri bambini restassero orfani e avrebbe
aiutato
chiunque avesse avuto bisogno di aiuto, niente lo avrebbe fermato.
João prese coscienza della bontà del bambino
semplicemente guardandolo negli
occhi, due pozzi scuri e ruggenti emananti potenza e forza. Sapeva che
sarebbe
riuscito nel suo intento se fosse riuscito ad indossare l'armatura.
«Descansa. [Riposati]» gli
disse dopo qualche minuto, sistemandogli la
coperta.
Ramón si accoccolò sul morbido sedile e chiuse
gli occhi. Il sonno lo rapì poco
dopo, mentre il suo accompagnatore lo scrutava con attenzione.
Riusciva a capire in quali condizioni avesse vissuto il bambino,
condizioni
difficili e mal tollerabili. Non poté fare a meno di pensare
che fosse ad una
svolta significativa della sua vita. Continuò a convincersi
che fosse giusto
che pochi soffrissero per il bene di molti, ignorando la voce di Leurak
che gli
rimbombava nel cervello. Dal giorno in cui parlarono della
predestinazione e
della qualità della vita dei bambini, qualcosa era cambiato.
Fuori dal Santuario, in tutto il mondo, ogni giorno morivano centinaia
di
bambini: chi di fame, chi per la guerra, chi per semplice cattiveria.
Lui aveva
l'opportunità di forgiare pochi di quei bambini, collaborare
- in un modo o
nell'altro - a renderli eroi.
Sarebbe stato un compito tutt'altro che facile, ma se anche loro, come
lui del
resto, erano prescelti, se anche loro non dovevano fare altro che
seguire una
strada già segnata e percorsa in precedenza, non avrebbe
dovuto fare altro che
preparare loro il viaggio, indicandogli semplicemente il sentiero per
giungere
a quella luminosa via che attendeva i loro passi.
Si lasciò rapire dal sonno conscio che la meta fosse vicina.
________________________________
Chiedo
immensamente perdono per il ritardo. Vi confesso che ho rimandato la
correzione
del capitolo per un sacco di tempo. Eh, pigrizia maledetta. Ma
ringraziate whitesary
e sakura2480, alla fine hanno vinto e hanno
corretto loro.
Ed ecco qui un bambinone che in futuro sarà un toro in tutto
e per tutto!
Grande, grosso, imponente, altissimo, purissimo e brasilianissimo!
Mancano due pargoli che arriveranno praticamente assieme.
Veniamo all'aspetto linguistico di tutto il capitolo, al fulcro che
sorregge
ogni singola parola e anche meno: "banheiro" in brasiliano vuol dire
bagno, mentre in portoghese significa bagnino. Tutto qui.
Ringrazio le anime pure che hanno letto il capitolo e le anime pie che
lo hanno
recensito, ovviamente chi ha letto e recensito è pio e puro.
Inoltre ringrazio Isabel di Thule per la sua
consulenza linguistica. E'
grazie a lei che il mio PERFETTO portoghese ha un senso. E soprattutto,
cosa di
cui mi vergogno abbastanza, nel capitolo scorso non ho ringraziato la
donna che
mi ha betato il capitolo allungandomi anche due schiaffi per la
pigrizia
imperante di cui sono vittima ultimamente. Lo ammetto, fancazzista lo
sono
sempre stata, ma inizio a superarmi. whitesary,
perdona questa sciocca.
Colgo l'occasione per farvi gli auguri di un bel 2010, ricco di tutto
ciò che
desiderate senza ritegno!
Ricklee.
Ciao tesoro!! Sono felice che Milo e Camus ti piacciano! Effettivamente
sono di
una dolcezza esasperante assieme e Milo non poteva fare altro che
"velocizzare" l'apprendimento di Camus! Hai visto che non ti ho fatto
aspettare al nuovo anno? Un bacione!
whitesary.
Io scema. Tu beta e io scema.
El Cid è bellissimo in ogni aspetto, anche in
modalità namecciana. Ma Manigoldo
versione Mokujin no!! Non si può!! Va bene: ha un po' le
doti intellettive di
un ciocco di legna, ma a legnosizzarlo tutto no!!
Cattiva, cattiva. Baci
baci!
Himechan.
Je suì un jeniò del francè. Speakko
bene anche l'english. Ringrazio solo di non
aver fatto parlare Miach in gaelico, ma lo sai cosa sono capaci di fare
gli
irlandesi? Sì, oltre a parlare in modo comico: sembrano
sbronzi LOL. Sono
pericolosissssssimi e sono anche permalosissimi. Meglio non scherzarci
troppo!
nikkith.
Sion e Mu arriveranno la prossima volta e sarà amore
arietoso a prima vista, ma
non dico altro ^^. Per il momento accontentati di un po' di tauresca
presenza!
Baci e alla prossima!!
sakura2480.
Io ho un moto di imbarazzo non indifferente. Ti ringrazio vivamente per
i
complimenti che davvero non merito, non so come riesca a mettere due
parole
assieme e soprattutto quando rileggo ciò che scrivo
trattengo i conati. Ma lo
sai visto che sopporti le mie turbe assieme a whitesary. Ormai vi siete
alleate
e mi mandate anche a quel paese. Cattive, cattive. ;_;
Le citazioni lostcanvasiane sono d'obbligo visto che finalmente ci
mostrano il
passato. Ma ci sarà un capitolo, forse il prossimo o il
prossimo ancora dove le
citazioni saranno più "pesanti". Devo solo decidere l'ordine
in cui
postarli! Poi il resto vien da sè. :*
Camus.
Ecco il torello!! Povero scricciolo monociglione del mio coração.
Io davvero non comprendo come non siano diventati tutti dei Death Mask.
Ma
Kanon lo comprendo fin troppo bene, insomma è nato e
cresciuto con la
consapevolezza di essere inferiore al gemello, ed è ovvio
che cerchi un
riscatto. Se non sarà nella stessa fazione lo
sarà nella avversaria. Più sono
psicolabili e più mi piacciono! Un bacio!
miloxcamus.
Ah, le marachelle!! Io direi che al prossimo capitolo, che
arriverà a
ferragosto se continuo a tenere questi ritmi, qualcuno
combinerà qualcosa.
Oh sì. Qualcuno combinerà qualcosa che non deve.
E qualcun altro pagherà al suo
posto. Ma l'orgoglio di futuro saint sove lo mettiamo??
Saruwatari_Asuka.
Siccome aspettavi il tuo piccolo Shaka c'ho messo Aldebaran. Lol, no.
Shaka e
Mu giungeranno presto e giungeranno assieme, e non ti dico chi si
recherà a
recuperarli. Ah, che meraviglia. Tra non molto i dodici folli saranno
al completo, pronti a dividersi di nuovo e
riunirsi poi. Che
vitaccia 'sti pupi ;_; Un bacione