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Autore: baka_the_genius_mind    07/01/2010    18 recensioni
«Yutaka...» la sua voce divenne improvvisamente un sussurro quasi inudibile «...Yutaka, devi farmi un favore.»
Strinsi le sue dita fino allo spasimo, mentre con l'altra mano continuavo ad accarezzargli incessantemente i capelli.
«Qualsiasi cosa, Ryo. Qualsiasi.»
Lui sorrise con dolcezza. Un sorriso che si incise a fuoco nella mia mente.
«Devi dirgli che lo amo. Digli che l'ho sempre amato, sempre, anche quando mi arrabbiavo con lui, anche quando lo accusavo di tradirmi, sempre.» tossì con violenza e io cercai di ignorare il sangue caldo che schizzò sul mio braccio nudo «Digli che l'ho amato fin da quando è venuto al negozio con quegli orrendi pantaloni rosa.»
[A tutte coloro che oggi ricominciano scuola, buon rientro.]
Genere: Triste, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kai, Reita, Ruki
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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A me.

Perchè la devo piantare di farmi influenzare dal mio brutto carattere e del mio umore lunatico quando scrivo.

E perchè devo imparare a non pensare ad ogni singola parola che scrivo come ad una parte di me.












Colonna sonora:

Scary Kids Scaring Kids – Watch Me Bleed




Watch Me Bleed






Il rumore fu assordante.


Mi sembrò che vibrasse persino l'asfalto.


Un istante prima quella splendida moto, che aveva avuto l'impudenza di suonare sfacciatamente il clacson a quella bella ragazza sulle strisce, correva sfrontata, dribblando le auto ferme in coda...un battito di ciglia dopo era sfracellata accanto al marciapiede, accartocciata come una lattina.


La ruota anteriore era ancora incastonata in mezzo al radiatore fumante del tir, quando le mie gambe si mossero inconsciamente verso quella catastrofe.


Un denso fumo bianco si alzava lentamente dal camion, il quale per altro non aveva subito danni irreparabili cadendo di lato pochi istanti dopo il tremendo impatto; tutto al contrario del giovane motociclista abbandonato malamente su di un fianco, le gambe invisibili sotto la gigantesca mole del rimorchio.


Mi precipitai accanto a quel corpo tremante.


In effetti, col senno di poi, mi resi conto che oramai per lui non c'era nulla da fare. Lo scontro era stato troppo violento per poter pensare di riprendere la vita che conduceva prima: nella migliore delle ipotesi sarebbe rimasto come minimo paralizzato.


Inoltre io odiavo la vista del sangue. E il ragazzo era immerso nel sangue.


L'istinto mi avrebbe suggerito di tenermi a distanza, magari chiamare un'ambulanza e lasciare ad altri il compito di assicurarsi che il giovane fosse quantomeno vivo. Ma avevo visto con estrema precisione il momento dell'impatto e avevo nitidamente stampato in testa l'agghiacciante immagine di quel corpo che veniva brutalmente strappato alla sua cavalcatura e colpiva con crudele violenza l'asfalto.


Per non parlare dell'orrore che avevo provato nel vedere l'enorme mole del camion oscillare sinistramente per poi cadere atroce e feroce su quel corpo che in confronto appariva così fragile e minuto.


Mi sembrava di essere stato personalmente coinvolto. Era bastato un pizzico in più di quella presunzione che l'aveva convinto di poter sfrecciare nell'incrocio col rosso e rimanerne illeso per...dei, non riuscxivo neanche a pensarci.


Quando superai con un balzo la carcassa ormai inutilizzabile della moto -il centauro che era in me non riuscì neanche a piangere la morte di una Ninja così dannatamente bella- mi trovai di fronte ad una scena agghiacciante.


Lui era riverso sull'asfalto, quasi completamente immobile, le gambe intrappolate e schiacciate sotto al tir, gli occhi socchiusi e il petto debolmente agitato dal residuo di un respiro. Schizzi di sangue gli avevano macchiato il viso asciutto, il collo magro e la maglietta bianca che indossava. Qualche metro più in là c'era il suo casco, il cinturino slacciato. Se non altro gli aveva protetto il cranio nella collisione, prima si venir sbalzato via e rimbalzare sulla strada.


Ryo Suzuki alzò il suo sguardo fiero e libertino sul mio, implorando un aiuto.


«St-stai bene?»


Che domanda idiota.


Mi avvicinai a lui, accovacciandomi accanto al suo corpo. Cercai di non prestare attenzione alla pozza di sangue caldo su cui avevo messo i piedi e sfiorai con le dita il suo collo, in corrispondenza della giugulare. Il battito del suo cuore era flebile come quello delle ali di una farfalla, ma batteva a ritmo regolare, lento ed angosciante, ma regolare.


«Una meraviglia...» mormorò lui, arricciando le labbra in un sorriso caustico e strafottente.


Gli sorrisi terrorizzato in risposta.


«Adesso arriva un ambulanza.»


Sbuffò una risatina e il suo torace si contrasse spiacevolmente in uno spasmo di dolore. Un sottilissimo rivolo di sangue scivolò fuori da quelle labbra piene.


«Come ti chiami?»


Avrei dovuto capirlo fin dal primo, disperato sguardo che non era una persona che si arrende all'evidenza. La sua voce suonò indifferente, come se a stritolargli le gambe non ci fossero tonnellate e tonnellate di metallo e plastica, ma un plaid colorato.


Mi sorrise con la morte negli occhi.


«Yutaka...ma tu non chiudere gli occhi, intesi? Rimani sveglio, ti prego.»


«Questo ed altro per un bel ragazzo come te.» biascicò in un mormorio, socchiudendo le palpebre «Io mi chiamo Ryo.»


«Ryo, va bene. Parlami, okay? Non chiudere gli occhi, parlami.»


Ero decisamente atterrito all'idea che potesse morirmi sotto al naso. Mi sedetti sull'asfalto umido del suo sangue e gli presi una mano senza pensare.


«Di dove sei? Dove abiti, cosa fai nella-»


Ridacchiò prendendomi in giro e voltando con spaventosa lentezza il volto, in modo da potermi guardare direttamente in faccia.


«Sono di Kanagawa, ma ormai vivo a Tokyo da quando avevo quindici anni. Sono un tecnico del suono.»


La sua voce era lenta e cadenzata, ma non aveva l'ombra di tentennamenti; era roca e sicura, assolutamente in tono con quegli occhi sornioni e strafottenti. Ma assolutamente in contrasto col pallore cadaverico della sua pelle e con la fatica che faceva anche solo a respirare.


«Un tecnico del suono?»


Sorrise orgoglioso. «Aiuto i gruppi che suonano al Budokan a fare bella figura.» biascicò con leggero disprezzo.


Inarcai un sopracciglio.


«Non esattamente i primi buffoni che si trovano per strada, quindi.»


Ghignò, arricciando solo l'angolo delle labbra.


«Sono dell'idea che un gruppo non abbia bisogno di una trentina di tecnici per fare scena. Un band vera fa scena anche nel garage di casa, con amplificatori scarsi e scarsa illuminazione.»


Prese un grosso respiro, mordendosi appena il labbro.


«Ma ormai non funziona più così...» sussurrò, mentre le sue palpebre scivolavano inevitabilmente alla chiusura.


«Ehi! No, no, no, Ryo, parlami, guardami!»


Socchiuse gli occhi: mi accorsi solo in quel momento che le sue iridi erano di un incredibile color marroncino chiaro. Non nere come quelle di tutti i giapponesi, ma marroncine.


«Te l'ha mai detto nessuno che sei un bel ragazzo, Yutaka?»


Sorrisi, arrossendo. Mi chiesi incredulo come riuscisse a mettermi in imbarazzo in quelle condizioni.


«Tu adesso.»


Abbozzò una risatina.


«Perchè dici che non funziona più così?»


«Adesso le stars hanno bisogno di un corredo di tecnici e specialisti inutili e superflui, ma un tempo non era così. Prendi i Sex Pistols, ad esempio.»


Aggrottai la fronte.


«I Pistols non sapevano suonare.»


Mi regalò un sorriso sardonico e fiero, a tratti anche incomprensibile.


«Sono d'accordo. Ma facevano scena.»


Stringevo ancora la sua mano fra le dita. Essa era immobile come una statua, abbandonata nella mia come un petalo abbandonato alla corrente di un fiume. Ma era calda, un calore che mi regalò una debole scintilla di speranza, scintilla che peraltro Ryo ci mise ben poco a spegnere con violenza.


«...non riesci a stringermi la mano?»


Inarcò eloquentemente il sopracciglio. Le sue labbra si schiusero in un muto sospiro.


«Non riesco neanche a capire chiaramente dove finisco io e dove comincia il tir, Yutaka.»


Un groppo incredibilmente amaro mi chiuse la gola. Non poteva essere... Avevo davvero sottovalutato la gravità delle sue condizioni?


«Ryo...»


«Non credo di riuscire a sopravvivere a questo, Yutaka...» sbuffò una risata che mi diede i brividi per quanto era amara; una lacrima disperata gli rigò la guancia, mischiandosi ed annacquando quel sangue vermiglio che continuava a sgorgagli lentamente dalle labbra.


Cominciai a piangere senza neanche accorgermene. Mi portai quella mano, calda carne morta, al petto, stringendola con forza.


«Non morire, Ryo...ti prego.»


«Yutaka....Yutaka, guardami, per favore.»


Ubbidii con gli occhi pieni di lacrime. Il suo volto era cadaverico, la pelle bianca come avorio e le labbra scarlatte del suo sangue; se le leccò con noncuranza, respirando molto lentamente.


«Parliamo, Yutaka.»


Continuando a piangere portai una mano al suo volto e gli tolsi quella dannata ciocca bionda che gli si era appoggiata sull'occhio quando si era mosso.


«Ti ringrazio, mi dava un fastidio assurdo.»


«Perchè biondo?» gli domandai all'improvviso; le mie dita si erano inconsciamente intrufolate in quella chioma chiara, accarezzandola quasi con affetto. Mi trovai sorpreso anch'io da quel mio gesto. I suoi capelli erano morbidi, eccezion fatta per qualche ciocca umida e rossiccia. Le mie speranze vacillarono ancora, quando individuai coi polpastrelli una ferita poco sotto la nuca, che sgorgava sangue bollente in continuazione.


Mi guardò per qualche lungo istante. Poi cominciò a ridacchiare.


«Per gli dei, sei una sorpresa. Nessuno me l'ha mai chiesto in vita mia...forse perchè pensano che mi dia fastidio come domanda, chi lo sa.» continuò a sghignazzare, socchiudendo gli occhi.


«Sono biondo perchè al mio ragazzo piacciono i biondi.» disse dopo un po', con un sospiro che sapeva molto di finta rassegnazione «Per amore questo ed altro.» rise ancora, tossicchiando faticosamente.


«Sei fidanzato, Ryo?»


Il suo sguardo mi apparve fiero ed orgoglioso. «Felicemente.» sorrise con dolcezza, arricciando appena l'angolo delle labbra.


«Come si chiama?»


«Takanori.»


«E com'è?»


Ghignò apertamente, mentre un nuovo ed odioso fiotto di sangue scarlatto gli macchiava quelle labbra sottili. Poi trasse un doloroso sospiro, gemendo.


«Bello e sensuale.» abbozzò un sorriso un po' imbarazzato «Un angelo che gioca a fare il demone...purtroppo non mi sono mai reso conto di quanto sia stato fortunato, almeno non fino ad adesso.»


Tu non morirai, cazzo!


«Come vi siete conosciuti?»


Che parlasse della sua morte con tanta leggerezza mi annientava.


Ero inutile.


Pregavo da quelle che mi sembravano ore intere che arrivasse un ambulanza, che lo togliessero da lì sotto in fretta -come, Yutaka, come, se solo quel camion pareva pesare tonnelate?-, che lo portassero in ospedale, che lo salvassero, che non mi facessero sentire uno sporco assassino, che non mi facessero sentire in colpa perchè l'ultima persona con cui Ryo stava parlando ero io e non il suo fidanzato... Ma ero perfettamente inutile. Non potevo fare nulla e lo sapevo.


«Vedi, prima di diventare tecnico del suono, facevo il commesso in un negozio...» emise un gemito strozzato, al quale io sobbalzai violentemente «...no...a posto. Ad ogni modo...un giorno quello scricciolo fece il suo ingresso, tutto orgoglioso in un improbabile paio di jeans rosa shocking.» ridacchiammo assieme.


«Non sta bene prendere in giro chi non è presente...» gli feci notare con una smorfia a metà fra il divertito e il severo. Lui distrusse quella smorfia con un sorriso da mascalzone.


«Oh, Takanori lo sa perfettamente che odio il rosa tanto quanto lui lo adora.»


Provai ad immaginarmi questo ragazzo. Ma per quanto mi sforzassi non riuscii a dare un volto a questo sconosciuto.


«Possiamo dire che più che un incontro il nostro fu un'esplosione.»


Risi. «Come mai?»


«Cominciammo subito a prenderci rispettivamente in giro, a punzecchiarci, a lanciarci velenose frecciatine. Per due settimane lui si fece vedere in quel negozio e per ogni giorno sfoggiò un abbigliamento...molto particolare. Leopardato, zebrato...un giorno mi è venuto con degli inconcepibile pantaloni pitonati e un cappello da cowboy sulla capoccia.»


Scoppiai a ridere. Avrei voluto conoscerlo. Doveva essere un uomo eccentrico e dalla forte personalità.


«L'ultimo giorno lo invitai a casa mia e lui si presentò in jeans e canotta, l'emblema dell'anonimato.» arricciò le labbra «Chissà cosa frullava nella testa di quel ragazzino...»


«A quel tempo io avevo vent'anni e lui diciannove.» rispose poco dopo alla mia tacita domanda con un sorriso.


Abbassai lo sguardo, improvvisamente a corto di parole.


«Ryo, quanti anni hai?»


Lui mi guardò con simpatia. «Più di trenta.»


Dieci anni. Mi sembravano un'eternità.


«Dieci anni sono tanti. Ma se ci penso ora mi sembrano passati in un soffio.»


Il groppo in gola, che aveva allentato quel dannato nodo nell'ultimo, scherzoso scambio di battute, tornò a stringere con violenza. Due lacrime parallele mi bagnarono le guance.


«Se avessi potere sulle mie mani ti asciugherei quelle dannate lacrime, Yutaka. Fallo tu al mio posto.»


Gli ubbidii con un mezzo gemito. Ma quelle continuarono a scendere, bagnandomi gli zigomi e scivolando sul mio mento, sul collo per poi perdersi nel bavero della giacca. Incollai nuovamente gli occhi all'asfalto e soffocai un conato di vomito nel vederlo vermiglio.


«Yutaka...» la sua voce divenne improvvisamente un sussurro quasi inudibile «...Yutaka, devi farmi un favore.»


Strinsi le sue dita fino allo spasimo, mentre con l'altra mano continuavo ad accarezzargli incessantemente i capelli.


«Qualsiasi cosa, Ryo. Qualsiasi.»


Lui sorrise con dolcezza. Un sorriso che si incise a fuoco nella mia mente.


«Devi dirgli che lo amo. Digli che l'ho sempre amato, sempre, anche quando mi arrabbiavo con lui, anche quando lo accusavo di tradirmi, sempre.» tossì con violenza e io cercai di ignorare il sangue caldo che schizzò sul mio braccio nudo «Digli che l'ho amato fin da quando è venuto al negozio con quegli orrendi pantaloni rosa.»


Il suo corpo paralizzato si contorse in uno spasmo agghiacciante. Mandò un mugolio tormentoso. I suoi occhi terrorizzati agganciarono i miei.


«Diglielo tu, io non ci sono mai riuscito...» mormorò sottovoce. Tossì sangue, piangendo.


«Ryo! Ryo, ti supplico, Ryo!» mi chinai su di lui, stringendolo a me: trovai il suo orecchio in mezzo a quelle folte ciocche bionde. «Non morire, Ryo, ti imploro...»


Per qualche lunghissimo istante non disse una parola; lo allontanai da me, guardandolo in volto. I suoi occhi erano appannati da una densa cortina d'oblio.


«Grazie Yutaka...» e sorrise con quella dolcezza inaspettata, prima di chiudere gli occhi e morirmi fra le braccia.




~




«Uke-san?»


Alzai lo sguardo lentamente.


Dopo la morte di Ryo era cambiato tutto. Mi ero licenziato dal lavoro, tagliando radicalmente tutte le spese più o meno superflue per poter vivere con quel poco che avevo risparmiato in quegli anni. “Poco” che, come diceva mia madre guardando impotente il suo unico figlio annullarsi giorno dopo giorno, avrebbe dovuto servire a costruirmi un futuro e non a farmi sopravvivere nella disperata apatia in cui ero caduto. Passavo le giornate chiuso nel mio appartamento, trascinandomi dalla camera al bagno, dal bagno alla cucina e dalla cucina nuovamente dentro al mio letto, come un'anima in pensa.


Avevo completamente smesso di dormire.


Prendevo sonno per pochi minuti, un sonno che mi assaliva con ferocia, torturandomi con incubi sanguinolenti e mute immagini di sofferenza, intramezzate a sprazzi dal cadaverico volto di Ryo, bianco gesso, dolce in quell'ultimo sorriso che mi aveva donato prima di spirare fra le mia braccia. Mi svegliavo puntualmente in un bagno di sudore gelido, il viso invaso dalle lacrime e il cuore in gola.


«Sono io.» mormorai con voce fioca.


Avevo parlato con l'ispettore tempo prima, anche se forse “parlare” non è esattamente il termine giusto: non avevo pronunciato mezza parola per due giorni interi. E ormai era passata quasi una settimana.


«Lo so, Uke-san. Posso disturbarla per qualche minuto?»


Alzai lo sguardo con una flemma disperata in cui non mi riconoscevo. Annuii piano.


L'ispettore era un uomo robusto, con un viso gioviale ed aperto e cortissimi capelli neri.


«Lei non è un parente di Suzuki-sama da quel che ho capito...»


Sospirai, raddrizzando le spalle e guardandolo in faccia. «No, non lo sono. Ero sul posto quando...quando è...» ogni mio tentativo di lasciarmi alle spalle ciò che era accaduto giorni prima fu reso vano da un'improvvisa e violenta realizzazione: Ryo era morto.


«È un testimone, quindi.»


Morto.


«Dovrei farle qualche noiosa domanda burocratica, Uke-san...»


Annuii sovrappensiero.


Morto.


«Può affermare con sicurezza che il giorno dell'incidente era il 28 ottobre 2011?»


Oh, certo che sì. Potevo affermarlo con estrema sicurezza.


Avevo compiuto trentanni quel giorno.


Splendido regalo di compleanno, non c'è che dire.


«Sì, era il 28 ottobre.»


«Bene.»


Mi domandò circa a che ora era avvenuto lo scontro, all'incrocio di quali vie, se quel giorno avesse o stesse piovendo e di chi era stata la colpa.


«Colpa?»


«Sì, beh...chi ha infranto il codice stradale e per questo causato l'incidente.»


Colpa?


Ryo era passato col rosso.


Era sua la colpa? E la sua morte la giusta punizione?


Cominciai a sudare freddo.


«Io non...non lo so, mi spiace, non ricordo...»


«È tutto a posto, Uke-san, non si preoccupi! Magari le tornerà in mente più avanti nel tempo...»


Annuii, improvvisamente nel panico.


«Uke-san? Un'ultima cosa. Svariati testimoni...» e sfogliò distrattamente alcuni fogli che aveva in mano e di cui non mi ero accorto «...hanno affermato che lei è stata l'ultima persona che ha parlato con Suzuki-sama.»


Lo guardai sbarrando gli occhi. Inghiottii a vuoto, cominciando a balbettare.


«Oh no, non deve preoccuparsi! La morte di Ryo Suzuki è stata attribuita all'emorragia interna e alla frattura multipla e scomposta alla colonna vertebrale, dovute alla collisione!» sorrise apertamente, mentre lo stomaco mi si annodava in un viscido nodo gelido «Nessuno l'accuserà di omicidio, Uke-san.»


Emorragia interna. Frattura multipla e scomposta alla colonna vertebrale. Cosa significava?


Significa che per colpa di uno stupido errore di valutazione Ryo è morto.


Significava che l'interno del suo corpo, solitamente perfetto in ogni sua più piccola cellula, era stato invaso da un ondata distruttiva di quello schifoso viscidume vermiglio che tanto odiavo, ondata che aveva compresso i suoi polmoni, il suo fegato, il suo cuore. Significava che l'insieme ordinato delle sue vertebre si era spezzato in più punti, e che il midollo osseo al suo interno e tutti i nervi che gli servivano per comandare al suo corpo di muoversi secondo i suoi desideri si erano accartocciati come la sua bella Kawasaki Ninja sul marciapiede di quella affollata strada di Tokyo.


«Abbiamo confrontato l'ora nel cellulare della ragazza che ha chiamato i soccorsi con quella che ci hanno fornito i paramedici. Approssimativamente lei è stato con Suzuki-sama per circa tre minuti e 17.»


Tre minuti e 17.


«Vorremmo sottoporla al riconoscimento del cadavere, in modo che lei possa confermare con sicurezza che l'uomo là dentro» e indicò col pollice la fredda stanza dell'obitorio «sia realmente Ryo Suzuki.»


Che Ryo faceva Suzuki di cognome l'avevo scoperto molti giorni dopo la sua morte. Come anche avevo scoperto che aveva una sorella maggiore, una madre e una nonna che attendevano il suo arrivo proprio per quel dannato 28 ottobre. Che aveva frequentato un liceo maschile, che non gli piaceva il cioccolato, che a sedici anni aveva capitanato la squadra di calcio che aveva vinto il torneo invernale. Che suonava il basso elettrico, che odiava gli insetti, che gli piaceva vestire di bianco e nero, che aveva perso il padre quando aveva solo tredici anni.


«Cosa...devo fare?»


La mia voce era così stridula che l'ispettore neanche mi rispose.


Scossi la testa con violenza.


«Non lo posso fare.»


«Prego?»


Mi schiarii la voce. «Non posso fare ciò che mi chiede.» scandii lentamente, incollando il mio sguardo alla nuda parete di fronte a me.


«Ma Uke-san...»


Abbassai nuovamente lo sguardo, incavando di nuovo il collo nelle spalle, raggomitolandomi su me stesso.


Raddrizzai le spalle solo quando sentii il ritmico e nervoso tacchettio di un passo leggero e affrettato.


«Volevate vedermi, ispettore?»


La prima impressione che ebbi di Takanori Matsumoto fu di quella di un completo stronzo.


I nostri sguardi si incrociarono per pochi istanti, prima che alzasse sdegnosamente un sopracciglio dandomi l'importanza di un pezzo dell'arredamento e si rivolgesse nuovamente all'uomo accanto a me.


Un cafone, insensibile ed ipocrita. Non aveva neanche avuto la decenza di vestirsi a lutto, e ostentava con indifferenza che purtroppo riconoscevo come autentica quella maglietta verde acido e quei jeans strappati.


«Matsumoto-san, buongiorno.»


L'ispettore mi lanciò un'ultima fugace occhiata, prima di alzarsi con un sospiro e inchinarsi rispettosamente al piccolo uomo che gli stava davanti.


Takanori, ventinovenne dal volto smunto, nervoso ed apatico, dai freddi occhi chiari e dallo sguardo vuoto, gli rispose con un quasi inesistente cenno del mento.


Stronzo...


«So di chiederle qualcosa di molto doloroso...» mormorò l'ispettore dopo qualche breve scambio di battute che io non seguii «...ma per legge dovremmo sottoporla al riconoscimento del cadavere.»


Lui inarcò un sopracciglio.


«È una procedura puramente simbolica, ma senza la quale non possiamo archiviare il caso.»


In quello Takanori mi guardò.


I suoi occhi freddi abbandonarono il volto dell'ispettore per studiare minuziosamente il suo. Se non fossi stato così dannatamente estraniato dal mondo uno sguardo del genere mi avrebbe messo enormemente a disagio.


Ryo ti amava, stronzo!


«Acconsento.»


La sua voce era bassa, incolore, e quando le sue labbra si mossero lui mi stava fissando. Mi fissava come se ciò che aveva detto rappresentasse una sorta di sfida nei miei confronti, come se il fatto che non stesse versando neanche mezza lacrima potesse in qualche modo arrecarmi fastidio e come se da questo mio irritamento lui ne traesse un muto quando palese godimento.


Stronzo.


Quando Takanori e l'ispettore uscirono da quella stanza gelida che conteneva il corpo senza vita di Ryo, io stavo piangendo. Entrambi mi guardarono con compassione (o il ragazzo solo con passiva indifferenza).


«Tu sei l'ultimo con cui ha parlato»


Takanori era indubbiamente un bell'uomo. Anche con una certa eleganza innata nei movimenti. Indubbiamente una di quelle persone che attraggono anche stando immobili.


Mi chiesi sgomento come Ryo, il mio angelo da tre minuti e 17 secondi, avesse potuto innamorarsi di un mostro simile.


Un angelo che gioca a fare il demone. Mi riusciva difficile crede che sotto a quella...freddezza, ci stesse anche solo un essere umano.


Inclinò la testa quando non gli risposi, inarcando sdegnosamente un sopracciglio e fissandomi storto.


Io continuai a piangere silenziosamente.


Dopo qualche istante di denso silenzio, lui sospirò con fare seccato. Evidentemente io e il mio muto dolore lo stavamo infastidendo.


Stronzo!


«Chiunque tu sia, e qualunque fosse il rapporto che ti legava a lui...è finito. È morto, piangere non lo riporterà in vita.»


Le sue parole mi squarciarono l'anima. Sentii il rumore dell'infrangersi dei miei pensieri, assordante come lo era stato il frastuono dell'incidente. Il dolce sorriso di Ryo mi annebbiò per qualche istante.


«Vorrei rimanere...» bugiardo «...ma ho molto da fare. Arrivederci.»


Ryo amava un uomo del genere?


Ryo aveva perso 10 anni dietro una persona che non riusciva, non dico a piangere, ma a dispiacersi della sua morte?


Ryo, il mio Ryo caparbio e sorridente...


...idiota, l'hai conosciuto per soli tre minuti!


Il Ryo da tre minuti e 17 secondi, il mio Ryo. Le ultime parole che aveva detto erano rivolte ad un essere così ignobile?


Centonovantasette secondi. Per cosa?


Tu non lo conosci.


«Stronzo.»


Takanori si bloccò sotto l'arco del portico. La sua camminata s'interruppe di botto, i suoi capelli biondo chiarissimo sferzarono l'aria.


«Sono biondo perchè al mio ragazzo piacciono i biondi.»


Non fece neanche in tempo a girarsi per lanciarmi un'occhiataccia, che subito lo aggredii con atroci parole furiose che gli avrebbero bloccato ogni movimento.


«Per amore questo ed altro.»


Balzai in piedi con uno scatto furibondo.


Stronzo.


«Lui ti amava.»


Denso e corposo silenzio.


«Ti amava alla follia.» la mia voce era un sussurro tremante «Ti ha amato sempre, in ogni istante dei dieci anni che siete stati assieme. Ti amava sfrenatamente anche quando ti accusava di tradimento.»


Tradimento...?


La mia voce tentennò per qualche istante.


...tradimento?


«Ti ha amato sempre, sempre, fin da quando ti ha visto entrare in negozio con quei pantaloni rosa.»


Non sono cazzi tuoi se l'ha tradito.


«Mi ha pregato di dirti questo, capisci?» ripresi a singhiozzare «Piangeva! E mi chiedeva di dirti che ti ha sempre amato, mentre moriva.»


Abbassai lo sguardo sconfitto da tanta sofferenza «Ryo ti amava.»


Hai visto Ryo? Ho fatto come mi hai chiesto, gliel'ho detto. Sei contento ora?


Quel sorriso, quel dannato sorriso che tormentava i miei sogni, mi privò di ogni pensiero logico e razionale.


«Ryo ti ama.»


Takanori rovinò a terra senza un rumore. Scivolò sulle ginocchia con un movimento fluido, accasciandosi sul freddo pavimento. Si appoggiò all'arco del portico, muto come una tomba.


Barcollai in avanti, instabile sulle mie gambe tremanti.


«Takanori, Ryo ti ama.»


Crollai accanto a lui. I capelli gli coprivano il volto.


La mia voce andava affievolendosi, ogni parola era più fioca e debole di quella precedente.


«Ti ama.»


Si appoggiò contro la mia spalla, cingendomi il collo con un braccio. Il suo volto invaso dalle lacrime si aprì in un accenno di sorriso. I suoi occhi, una sfumatura dell'azzurro simile al ghiaccio, erano liquidi come acqua.


Le sue labbra sfiorarono le mie, con delicatezza, quasi con titubanza.


Poi, gli occhi serrati che tuttavia non riuscivano ad impedire a quelle lacrime di solcargli le guance, posò la guancia sul mio torace e sospirò, sorridendo.


«Anche io ti amo, Ryo.»

















Note dell'autrice:


Nulla da segnalare.

Con questa spera veramente di aver chiuso un capitolo.

Mya

  
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