Il primo giorno
Lucas precedeva la sua nuova assistente lungo il corridoio che
portava agli uffici. Daphne lo seguiva in silenzio, guardando qua e là.
Cercava di imitare il suo passo, ma Lucas camminava troppo svelto per stargli dietro.
“Le dispiacerebbe rallentare, dottor Barrymore?”
Lucas si arrestò e si voltò verso di lei.
“Mi perdoni, signorina.” si scusò, ma Daphne
sospettava che lo facesse di proposito.
Camminavano fianco a fianco, Daphne ogni
tanto gli lanciava un'occhiata, era molto alto, lei gli arrivava più o meno
all'altezza della spalla, e questo la metteva un po' in soggezione.
“Ecco, siamo arrivati al mio studio, entri, prego.”
le disse aprendo la porta.
Era una grande stanza con poco arredamento, solo due scrivanie e un
lungo tavolo. Alla parete c'era un grande armadio a cassetti, nei quali si
conservavano i reperti di piccola dimensione. Le scrivanie erano poste in modo
che chiunque si fosse seduto ad entrambe, si sarebbero
voltati le spalle a vicenda.
Molto espansivo, pensò divertita Daphne.
“Lei si sistemi pure a questa scrivania, mi rincresce darle quella più
piccola, ma io sono disordinato e mi occorre più spazio per stendere tutte le
mie carte.” spiegò con un
sorrisetto un po' imbarazzato.
Daphne pensò che fosse sincero, in effetti
aveva l'aria di chi non dava troppa importanza alla forma delle cose.
“Non si preoccupi, credo di avere abbastanza spirito d'adattamento.” gli rispose lei, nascondendo la
sua emozione nell'avere, per la prima volta, una scrivania tutta sua.
Il resto della mattinata passò velocemente, mentre Lucas,
con malcelata impazienza, spiegava quello che c'era da fare alla ragazza. Nella pausa pranzo, Daphne uscì con Simon, mentre Lucas restò nello studio. La ragazza tornò dopo
circa un'ora, e lo ritrovò esattamente dove l'aveva lasciato, chino sui
frammenti logorati di un antico papiro.
Daphne rimase allibita. In
un'altra vita dev'essere stato un certosino. pensò tra sé tornando alla sua scrivania.
E la prima giornata di lavoro insieme alla sua nuova
assistente, volse al termine.
Mentre tornava a casa, Lucas pensava
alla ragazza.
Daphne O'Connell.
La prima volta che gli venne in mente questo cognome, aveva circa
dodici anni, ma pensò che semplicemente l'aveva sentito
nominare dai suoi genitori o da qualcun altro della sua famiglia.
Poi questo O'Connell iniziò a venirgli in sogno, e gli incubi che
lo avevano ossessionato fin dalla culla, tornarono.
Lucas scosse la testa.
“La devo smettere.... quella ragazza non sa
nulla, non è venuta per me. I suoi nonni saranno morti, altrimenti sarebbero
degli ultracentenari, e non credo che suo padre gli abbia raccontato quella
storia, e se lo avesse fatto lo avrebbe preso per pazzo.” Considerò a voce alta
svoltando a destra e fermando la macchina nel vialetto di casa sua.
Scese e si avviò verso la porta, inserì la
chiave nella serratura ed aprì.
Una volta dentro, trasse un profondo sospiro di
sollievo: la verità era che casa sua, era l’unico posto in cui si
sentiva davvero al sicuro. Per tutta la vita si era sempre sentito braccato,
spiato, inseguito, anche se non c’era nessuno a fare tutto ciò. Solo una volta
chiusa la porta, si sentiva tranquillo. Beh, più o meno tranquillo, poiché il
tormento era dentro di lui e non fuori dalla porta.
Si tolse la giacca e la buttò su una poltrona, si diresse verso il
bagno e si sciacquò il viso. Fissò la propria immagine riflessa nello specchio.
“Daphne O’Connel”, sussurrò.
Perché il suo volto gli era così familiare?