Capitolo 1
I miracoli a volte bussano alla porta
Scully
stava spalmando una dose generosa di marmellata di ciliegie sopra una fetta di
pane tostato, mentre Mulder versava del caffè bollente nelle tazze di entrambi.
Si
era concessa il lusso di una colazione abbondante e lenta, perché nell’ultimo
mese la sua vita si era rivelata troppo frenetica.
Erano
passate 4 settimane da quando il Presidente aveva annunciato l’arrivo negli
ospedali del vaccino e da allora lei era costantemente al lavoro.
Però
era soddisfatta del numero di persone che si stavano vaccinando. Le cifre erano
davvero alte e nel resto del mondo la situazione era la medesima. Per uno
strano gioco del destino, erano proprio i paesi più poveri, come l’Africa,
quelli che stavano rispondendo con entusiasmo e fiducia a quella protezione dal
male.
Alcuni
paesi “civilizzati”, invece, avevano la tendenza ad essere scettici e
diffidenti nei confronti di una malattia ricomparsa così improvvisamente.
Alcuni governi, probabilmente quelli che non avevano apprezzato il volta faccia
del Presidente degli Stati Uniti, stavano conducendo una controproducente
campagna anti vaccino. Incoraggiavano le folle a diffidare di un medicinale di
cui non si era mai sentito parlare prima, nonché di una malattia ricomparsa
così misteriosamente.
Non
che avessero tutti i torti. Se la gente avesse prestato più attenzione alle
parole del Presidente, avrebbe percepito alcune note stonate nel discorso,
passaggi che non tornavano, anelli mancanti di una catena di paura.
Ma
la gente, per istinto di sopravvivenza –o forse per
abitudine a non prestare attenzione- aveva dato per scontato che tutto questo
fosse stato fatto per loro, per la loro sicurezza e basta, senza interrogarsi
su faccende che reputavano futili o non a loro collegate direttamente.
Il
paese che aveva dato più filo da torcere alla storia della malattia antica e
mortale era stata l’Italia.
Il
suo governatore, che non era mai andato molto d’accordo con l’attuale
Presidente americano, aveva subodorato la falsità della sua storiella e aveva
agito di conseguenza, fomentando il suo popolo a diffidare dall’iniettarsi
sotto la cute un liquido di cui non conoscevano l’esatta natura.
Molto
probabilmente, il Primo Ministro italiano, che era, invece, molto legato al
precedente Presidente degli Stati Uniti, stava continuando a lavorare per i
super soldati, fregandosene altamente della sicurezza e della vita del suo
popolo.
Fortunatamente
non tutti gli italiani gli avevano prestato ascolto, e una buona parte di loro
aveva voltato le spalle alle parole di uomo di cui, molto probabilmente, non si
fidavano. Purtroppo non erano la maggioranza.
Mulder,
invece, passava gran parte delle giornate assieme a Skinner,
a studiare incartamenti e foto di Mount Weather. Due
volte erano riusciti, grazie a tecniche degne di un hacker (suggerite loro dal trio
incorporeo formato dai Lone Gunmen),
a rubare foto e video satellitari del presidio. La prima volta avevano notato
movimenti piuttosto concitati e sospetti. Si aveva quasi l’impressione che gli
occupanti del posto si stessero preparando alla fuga, ma la volta successiva il
luogo era ancora ampiamente abitato.
Di
sicuro stavano tramando qualcosa…
Probabilmente
il volta faccia del Presidente era stato un duro colpo e ora i super soldati,
che fungevano, almeno secondo il pensiero di Mulder, da guardie del corpo al
progetto di invasione aliena, stavano sicuramente escogitando qualche piano
alternativo, nonché qualche ritorsione ai danni del Presidente, degli altri
governatori che gli avevano dimostrato fiducia e dell’umanità intera.
Ma
fino a quel giorno, non era ancora accaduto nulla di eclatante. E Mulder era
certo che la loro ripicca sarebbe stata qualcosa di memorabile.
Doggett e Reyes
continuavano la loro esplorazione nel New Mexico, tenendosi giornalmente in
contatto con Mulder e Scully.
Avevano
individuato un sito che corrispondeva alle loro esigenze.
Era
uno spazio di svariate miglia, formato da una serie di cunicoli e grotte
naturali, ai piedi di collinette aride e rossicce. Tutto quel paesaggio
naturale era pieno di magnetite.
Non
erano ancora riusciti a trovare Gibson Praise, ma non
demordevano.
Se
volevano escogitare un modo per sterminare i super soldati, quel ragazzo
avrebbe fatto loro estremamente comodo.
Mancavano
due settimane e mezza alla data fatidica… era un sabato… il loro tempo scarseggiava, ma non si volevano dare
per vinti. Non l’avrebbero fatto, mai.
Mentre
Mulder stava sorseggiando il caffè, allontanando in fretta la tazzina dalle
labbra, perché la bevanda era bollente, il campanello di casa suonò tre volte
consecutive.
Scully
lo guardò stupefatta.
Era
presto, e non aspettavano nessuno.
Mulder
fece per alzarsi, ma Scully gli posò una mano sul braccio e si alzò da tavola.
Quando
aprì la porta il suo cuore perse un battito.
Gli
occhi disorientati e spaventati di un ragazzino dall’aria sveglia si guardavano
intorno, senza sosta.
Era
alto quasi quanto lei, magro. Le sue iridi erano di un blu intenso e i suoi
capelli castani erano brillanti, ma molto scompigliati. L’aria fredda di quella
mattina di inizio dicembre non aiutava certo a mantenerli in ordine.
Indossava
un paio di jeans di un blu scuro e un paio di stivaletti Converse All Star, del modello invernale che andava in voga
quell’anno. La giacca a vento, rosso fuoco, era chiusa con la cerniera fino al
mento, dove si intravedeva una sciarpa nera di lana.
Il
ragazzino fissò i suoi occhi in quelli di Scully e la guardò senza capire. Il
suo sguardo era perso, smarrito. Appariva quasi sull’orlo delle lacrime.
Scully
cercò di ripescare un po’ di aria nei polmoni.
“William…” sussurrò al ragazzino.
Questi
la guardò sbarrando gli enormi occhi blu.
“Come… come…” ma non riuscì a
terminare la frase.
Scully
lo vide barcollare e accasciarsi al suolo, privo di sensi, come fosse al
rallentatore.
Fece
in tempo ad afferrarlo per le ascelle, prima che toccasse il suolo, ma si rese
conto che non riusciva a sostenerne il peso, men che
meno a trascinarlo in casa.
“Mulder!”
gridò. Nel tono della voce c’era tutta l’urgenza e lo spavento tipici di
situazioni così inaspettate ed emotive.
Mulder
corse alla porta e rimase interdetto vedendola sorreggere il corpo di un
ragazzino di circa 12 anni.
“Aiutami
a portarlo dentro” gli ordinò in tono perentorio.
Mulder
obbedì, senza prestare troppa attenzione alla fisionomia del ragazzo.
La
aiutò a sollevarlo e insieme lo portarono in casa, dove lo adagiarono sul
divano.
Solo
in quel momento, mentre era sdraiato, con gli occhi chiusi, si accorse che nei
suoi tratti c’era qualcosa di familiare. I capelli erano dello stesso identico
colore dei suoi e i tratti del viso assomigliavano al viso di bambina di sua
sorella.
Vide
Scully avvicinarsi, per accertarsi del suo stato fisico.
Gli
sollevò una palpebra, per controllare la dilatazione della pupilla.
Quando
Mulder vide il blu delle sue iridi, capì.
“William?!”.
Disse quel nome a bassa voce, con un fervore controllato, ma quasi
reverenziale. Una nota sbalordita nel tono.
Scully
si voltò a guardarlo, gli occhi colmi di lacrime che stava disperatamente
cercando di ricacciare indietro. Annuì semplicemente.
“Che
è successo?” le chiese con ansia.
Lei
scosse il capo, asciugandosi le lacrime che le stavano scorrendo sulle guance.
“Non
lo so… me lo sono ritrovata di fronte…
poi è svenuto”. Un singhiozzo le scosse il petto. “Sembrava del tutto confuso, disorientato… e spaventato. Ho pronunciato il suo nome… poi si è accasciato al suolo…
Mulder…”.
Pronunciò
il suo nome come una preghiera.
Lo
stava implorando di darle una spiegazione, di trovare un senso alla presenza di
loro figlio in quella casa, dopo tanti anni. Di sostenerla, perché lei stava
per crollare.
Ma
Mulder non rispose, né si mosse. Era completamente spiazzato.
Le
braccia erano abbandonate lungo il busto, il suo corpo era immobile, quasi
sotto shock, gli occhi non riuscivano a capacitarsi che loro figlio, quel
bambino tanto agognato e tanto pianto, quel miracolo vivente, quella gioia
inattesa, fosse lì, davanti a loro.
Mosse
istintivamente una mano a toccargli il viso, mentre Scully si sedeva sul bordo
del divano e gli accarezzava i capelli. Rapita.
“Perché?...”
il suono le uscì spezzato dalle labbra, come non riuscisse a trovare abbastanza
aria o abbastanza energia per pronunciare quella singola domanda disperata.
Mulder
scosse la testa.
Senza
volerlo, il tocco della sua mano registrò la levigatezza e la morbidezza della
pelle sulla guancia di William. Gli ricordò molto la sensazione che provava
ogni volta che toccava la pelle di Scully.
Era
bellissimo.
Mentre
rifletteva su queste cose senza senso in quegli istanti infiniti, il corpo di
William si mosse.
Scully
si mise subito all’erta, asciugandosi velocemente le lacrime che continuavano a
scendere. Non voleva che lui la vedesse piangere non appena avesse aperto gli
occhi.
Mulder
le si sedette in fianco, afflosciando il cuscino del divano sotto il suo peso.
William
aprì gli occhi molto lentamente, poi sbatté le palpebre alcune volte e si
guardò intorno, disorientato. Quando vide Mulder e Scully, che gli stavano
sorridendo dolcemente, aggrottò le sopracciglia.
“Dove
sono?”.
Parlò
con una voce ancora acerba, ma che racchiudeva in sé già le prime note di un
tono più adulto, mascolino.
“Sei
al sicuro…”. Scully sentì le sue stesse parole
scivolarle dalle labbra. Le sembrarono inappropriate, ma allo stesso tempo estremamente
giuste.
Era
con i suoi genitori, era al suo posto, quel posto che gli spettava di diritto. Quale
situazione poteva essere più sicura? Ma Scully sapeva per esperienza che le
cose non stavano esattamente in quel modo… in quel
frangente più che mai.
“Hai
bussato alla nostra porta… come sei arrivato fin qui?”
Mulder parlò con un tono di voce baso, tranquillizzante.
William
li osservò per qualche istante.
Poi
cercò di mettersi a sedere.
Scully
allungò le mani, per aiutarlo, ma lui gliele allontanò, con un gesto timido, ma
che sottintendeva la sua volontà di farcela da solo.
Si
portò le ginocchia al petto e chiuse gli occhi, espirando rumorosamente. Poi
prese a mordicchiarsi nervosamente il labbro inferiore.
Mulder
sorrise. Quante volte aveva visto Scully fare lo stesso gesto…
“Io
non so cosa mi sia successo…”. William prese a
parlare ininterrottamente, come se avesse di fermarsi, come se le parole gli
potessero far accettare più tranquillamente quello che gli era successo.
Mulder
e Scully lo lasciarono parlare, in silenzio.
“Stavo
per prendere l’autobus che mi avrebbe riportato a casa, dopo la scuola, ma ho
sentito un bisogno pressante… non potevo ignorarlo… e mi diceva di allontanarmi dal marciapiede, di
raggiungere la stazione dei treni, di prendere il diretto per Washington DC… e così ho fatto.
Avevo
con me dei soldi, fortunatamente sono bastati per il biglietto…
di sola andata… non so perché.
Il
treno ha impiegato 14 ore ad arrivare a destinazione, perché ad un certo punto
abbiamo trovato un cumulo di neve che impediva di proseguire. Abbiamo dovuto aspettare
che arrivasse lo spazzaneve e che liberasse le rotaie, ma poi ha ricominciato a
nevicare…
Io
ho cercato di dormire, ma c’era sempre qualche rumore, qualche movimento che mi
svegliava.
E’
come se io avessi percorso tutti quei chilometri in trance, nulla contava, se
non il bisogno di arrivare qui.
Quando
il treno è arrivato a destinazione, ho raggiunto la stazione degli autobus più
vicina, chiedendo indicazioni ai passanti.
Sono
sceso alla fermata che c’è a pochi metri da qui… e
poi ho bussato alla vostra porta…”.
Alzò
gli occhi a guardarli.
“Sapevo
che ero arrivato, che ero nel posto giusto… ma non
appena lei è venuta ad aprire, la sensazione mi ha abbandonato e mi sono
ritrovato completamente spaesato…”.
Aggrottò
le fronte, guardando Scully.
“Come
conosci il mio nome?”.
Scully
gli rivolse un sorriso stanco, poi guardò Mulder.
Senza
dirsi una parola ritennero corretto dirgli la verità. Forse non avevano nemmeno
altre possibilità…
“Prima
permettimi di farti una domanda…” gli disse Scully
con una voce gentile “Dove vivi?”.
“A
Shepherd, uno sperduto paese nel Montana. Io e i miei
genitori ci siamo trasferiti là circa 7 anni fa…”.
Quando
sentirono William pronunciare la parola genitori, Mulder e Scully ebbero un
tuffo al cuore.
“Accidenti!”
esclamò subito dopo William. “Non sono rientrato a casa! Saranno fuori di
testa!!!”.
Si
frugò nelle tasche con urgenza, estrasse il cellulare e si accorse che era
spento. Lo accese, ma non appena il display si illuminò, il simbolo della
batteria iniziò a lampeggiare ansiosamente e il telefonino si spense di nuovo.
“Merda!”.
William lo scosse tra le mani, con un’espressione di stizza.
Mulder
e Scully non riuscirono a trattenere un sorrisetto divertito alla parolaccia
pronunciata dal bambino. Ma allo stesso tempo si resero conto che avrebbero
preferito non sentirgliela pronunciare.
Mulder
si alzò e prese il suo Blackberry dal tavolino.
Glielo tese con un sorriso.
“Chiamali
con questo”.
William
gli sorrise in risposta. Il suo volto sembrava l’immagine allo specchio del
viso di Mulder.
A
Scully mancò l’ennesimo battito del cuore.
“Grazie”
disse componendo il numero “Saranno preoccupatissimi…”.
Si
portò il telefonino all’orecchio e attese, in silenzio.
Poco
dopo le sue sopracciglia si aggrottarono, perplesse.
“Strano… non rispondono…”.
“Li
hai chiamati a casa?”.
“No,
sul cellulare, non abbiamo un telefono di casa fisso”.
Restituì
il cellulare a Mulder e sbuffò sonoramente.
“Mi
sembra di essere approdato in una realtà parallela…”.
Scully
gli sorrise, comprensiva.
“William… i tuoi genitori… hanno
altri figli?”. Cercò di arrivare a dirgli come stavano le cose nel modo meno
traumatico possibile. Non sapeva se lui era al corrente del fatto che era stato
adottato quando aveva circa un anno.
William
scosse il capo.
“No.
Purtroppo non possono avere figli. Io sono stato adottato” fece spallucce “Non
me l’hanno mai tenuto nascosto”.
Scully
sentì il sollievo invaderle lo stomaco.
Sentì
anche la mano di Mulder posarsi sulla sua spalla, per incoraggiarla a dirgli
chi erano.
Lei
posò la sua mano, ghiacciata e sudata, su quella del compagno.
“Non
hai mai saputo chi sono i tuoi veri genitori?”.
William
scosse nuovamente il capo.
“No.
Mamma e papà mi hanno sempre detto che la mia madre biologica ha dovuto darmi
in adozione, ma senza dire il motivo…”.
Scully
lo guardò. Sentì altre lacrime addensarsi dentro gli occhi.
“Mi
sono chiesto spesso il motivo…”. William abbassò lo
sguardo e si perse per un attimo in pensieri ai quali Mulder e Scully avrebbero
tanto voluto poter accedere.
Un
dolore antico e mai dimenticato prese nuovamente possesso del loro petto,
quando si resero conto che, se fossero stati loro a crescerlo, probabilmente
conoscerebbero ogni singolo pensiero inespresso del ragazzo.
Quando
William rialzò lo sguardo, il sorriso che gli illuminava il volto andò
spegnendosi gradatamente, quando incontrò lo sguardo disperato di Scully. Alzò
gli occhi verso Mulder e vi notò la stessa opprimente tristezza.
Ebbe
l’impulso inaspettato di abbracciare quelle due persone e di consolarle, ma
resistette a quel desiderio, dicendosi che non li conosceva, che non aveva
senso sentire pena nei loro confronti.
“William…” Scully lo fissò negli occhi con estrema
attenzione. “Quello che ti diremo ora non sarà semplice da accettare…
ma ti preghiamo di credere che è la verità… e ti
prego, ti scongiuro, di perdonarmi…”.
William
osservò quella bella signora senza comprendere le sue parole, ma annuì
ugualmente, perché, in cuor suo, sentiva che era giusto così.
“Noi… “ Scully prese un profondo respiro, e sentì le dita di
Mulder stringersi sulla sua spalla.
“Noi
siamo i tuoi genitori biologici… siamo noi…”. Le parole si confusero con le lacrime e il viso di
William apparve sfuocato ai suoi occhi.
Mulder
si sedette ai piedi del ragazzo, annuendo.
“E’
così…” aggiunse, con un sorriso che chiedeva perdono
sulle labbra.
William
li osservò per un tempo infinito, senza battere ciglio. Sembrava stesse
valutando la situazione.
All’improvviso
i suoi occhi si spalancarono e si batté una mano sulla fronte, ridendo
sommessamente.
“Ma
certo! Ecco perché sono arrivato fin qui! Come ho fatto a non arrivarci subito… quando hai detto il mio nome sulla porta, questa
fretta di arrivare… è ovvio…”.
Mulder
e Scully si guardarono, uno sguardo interrogativo solcava i loro volti.
Ovvio?
Erano spiazzati dalle parole di William, e ancora di più dalla sua reazione,
per nulla scioccata… sembrava quasi…
sollevato.
William
sorrise a entrambi, un sorriso caldo, aperto, senza ombre.
“Sono
contento di conoscervi! Vi ho immaginati spesso…”.
Scully
si sentì invadere da una gioia talmente forte e travolgente che il pavimento
smise di esistere sotto i suoi piedi. Attorno a lei tutto iniziò a svanire.
Rimasero
solo lei, Mulder e William.
La
sua famiglia.
Vedendo
che i suoi genitori non accennavano a muovere un muscolo, né a pronunciare
nessuna parola, sventolò davanti ai loro occhi una mano.
“Ciao!
Ci siete???”. La sua voce da ragazzino non nascose una nota ironica, quasi da
presa in giro.
Mulder
gli sorrise.
“Scusaci… è che siamo un po’ spiazzati da tutto… questo” fece un gesto ampio con il braccio.
“Trovarti
qui, dopo 12 anni in cui non sapevamo nemmeno dove fossi, se stavi bene, come vivevi… e ora sei qui… e poi la
tua calma…
Sei
così tranquillo, e sereno… ci aspettavamo una
reazione un po’ più … isterica!”.
William
rise, divertito.
Il
suono cristallino della sua risata sincera si perse nella stanza, riempiendo
l’aria di una ilarità, di una
spensieratezza e di una buona dose di innocenza, che non sentivano più da molti
mesi.
“Sono
davvero felice di conoscervi” disse
William, dopo aver smesso di ridere “E sono anche sollevato all’idea che il mio
viaggio avesse un senso compiuto”.
Scully
guardò Mulder di sottecchi.
“Ti
è capitato altre volte di avere queste… chiamiamole
sensazioni?” gli chiese in tono pacato.
“Due
o tre volte…”. Alzò gli occhi verso il soffitto, con
lo sguardo perso in chissà quali ricordi.
“Ricordo
quella volta che il mio cane, Toby -come quello di
Red e Toby, nemiciamici- si
era cacciato nei guai, andando a fare amicizia con la cagnetta dei vicini… ho avuto una netta visione di un bastone che gli
calava con violenza sulla schiena… mi sono
precipitato dal vicino, e l’ho bloccato appena in tempo, prima che riuscisse a
picchiare il mio cane… poi l’ho pure denunciato… è saltato fuori che picchiava la sua cagnolina… che abbiamo poi adottato”. Sorrise, ricordando i
suoi cani.
“Sono
rimasti a casa con i tuoi… genitori?” gli chiese
Mulder, dimostrando interesse per la vita sconosciuta di suo figlio.
William
scosse la testa, un’ombra di tristezza gli attraversò il volto da ragazzino.
“Purtroppo
l’anno scorso sono morti entrambi di una malattia che ha colpito molti animali
nella zona… non l’ho mai detto a nessuno…
ma ho passato ore e ore in camera a piangere…”.
Scully
si sentì invadere il cuore di tenerezza. E di orgoglio. Li aveva reputati degni
di conoscere quella che lui considerava una debolezza. Poi, però, sul suo
petto, scese un’ombra di rammarico… Probabilmente non
lo aveva detto perché li riteneva meritevoli di conoscere i suoi segreti, ma
perché, essendo due estranei, non si preoccupava troppo del loro giudizio.
Mulder
non replicò a questa piccola confessione, sapeva per certo che cercare di
consolarlo, o di dirgli che non c’era nulla di male a piangere, l’avrebbe fatto
sentire debole.
“Oh…” disse dopo un po’ William, “Poi c’è stata quella volta
in cui…”.
Ma
non terminò la frase.
I
suoi si fecero vacui e l’espressione sembrò pietrificarsi in uno sguardo vuoto,
inespressivo.
Scully
si sentì mancare vedendolo così, quasi fosse privo di vita.
Il
suo spavento le fece allungare le braccia verso di lui, per scuoterlo, per
farlo riprendere, per accertarsi che fosse vivo, che stesse bene, ma le mani di
Mulder arrivarono, repentine, a bloccarla.
Lei
lo guardò con gli occhi spalancati, sul suo volto passò una muta domanda
disperata. Aprì la bocca per protestare contro quel gesto incomprensibile, ma
lui le fece cenno di tacere, portandole una mano sulle labbra.
Si
avvicinò al suo orecchio.
“Sta
bene… lascialo tranquillo”.
Lei
continuò a guardarlo con gli occhi sbarrati, un velo di rabbia oscurava le sue
pupille.
Mulder
le accarezzò i capelli, per tranquillizzarla, ma lei si scostò dal suo tocco,
con un movimento repentino e stizzito.
“Perché?
“ disse a voce bassissima.
“Secondo
me sta avendo una visione… o sensazione…
come la vuoi chiamare”.
Scully
lo osservò per qualche istante, le sopracciglia aggrottate, poi fissò lo
sguardo sul volto di suo figlio.
Effettivamente
non sembrava stare male. Respirava normalmente, il suo corpo emanava calore, ma
vederlo così immobile, con lo sguardo fisso, le metteva addosso una strana
angoscia. E non le piaceva affatto.
Sia
lei che Mulder rimasero fermi a guardarlo, per un tempo che le parve infinito.
Quando
William riprese a muoversi, emettendo un lungo respiro, e i suoi occhi
riconquistarono la loro naturale vitalità, entrambi si rilassarono
visibilmente.
Ma
il sollievo durò una frazione di secondo. Lo sguardo del ragazzo non prometteva
nessuna lieta notizia.
“Ho
visto immagini confuse… ma…
non mi era mai capitato di avere sensazioni così intense…”.
Poi si voltò verso Mulder e gli strinse le dita della mano destra sul braccio.
“Dovete
spiegarmi ogni cosa… tutto…
ma prima, ti prego, cerca di rintracciare i miei genitori…
li ho visti scappare, avevano paura, più per me che per loro stessi… ho visto un’immagine confusa, troppo veloce per
focalizzarla, della mia casa. Era tutta sottosopra…”.
Mulder
annegò nel dolore che si agitava come un mare in tempesta negli occhi di
William.
Gli
fece un cenno secco d’assenso col capo e si alzò in piedi.
“Qual
è il nome dei tuoi genitori?” chiese perentorio.
“Van De Kamp. Eleonor e Mark
Van De Kamp”.
Prese
il cellulare e si diresse verso l’altra stanza.
Aveva
un’idea.
Il
suono monotono della linea telefonica gli rimbombava nell’orecchio come un
fastidioso orologio a cucù. Quando infine la voce di Doggett
giunse dall’altro capo del telefono, gli parve d’aver atteso quella risposta
per secoli.
“John,
sono Mulder”.
“Problemi?”
“Temo
di sì… tu e Monica dovete farmi un favore grandissimo”.
Non dette il tempo al suo interlocutore di replicare. “Prendete il primo aereo
che trovate per il Montana. Arrivate in un piccolo paese chiamato Shepherd e cercate casa Van De Kamp.
E’ urgente”.
Doggett provò a protestare, pur sapendo che sarebbe
stato inutile.
“E
il nostro compito qui?”.
“Rimandato.
Questa faccenda ha la massima priorità”.
“Posso
almeno sapere perché?” Doggett fece l’ultimo
tentativo per avere informazioni.
“Si… è la casa dei genitori adottivi di William”.