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Autore: Opal636    10/01/2010    1 recensioni
Dopo aver indagato sul caso che coinvolgeva Padre Joe, Mulder e Scully hanno fatto ritorno a Washington, con l'intento di tornare a vivere una vita serena. Ma una tragedia annunciata si insinua sul loro cammino e turba una tranquilla vita di coppia, portandoli a combattere ancora, fianco a fianco, per la sopravvivenza.
Genere: Azione, Avventura, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dana Katherine Scully, Fox William Mulder, John Doggett, Monica Reyes, Walter S. Skinner
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1

I miracoli a volte bussano alla porta

 

 

Scully stava spalmando una dose generosa di marmellata di ciliegie sopra una fetta di pane tostato, mentre Mulder versava del caffè bollente nelle tazze di entrambi.

Si era concessa il lusso di una colazione abbondante e lenta, perché nell’ultimo mese la sua vita si era rivelata troppo frenetica.

Erano passate 4 settimane da quando il Presidente aveva annunciato l’arrivo negli ospedali del vaccino e da allora lei era costantemente al lavoro.

Però era soddisfatta del numero di persone che si stavano vaccinando. Le cifre erano davvero alte e nel resto del mondo la situazione era la medesima. Per uno strano gioco del destino, erano proprio i paesi più poveri, come l’Africa, quelli che stavano rispondendo con entusiasmo e fiducia a quella protezione dal male.

Alcuni paesi “civilizzati”, invece, avevano la tendenza ad essere scettici e diffidenti nei confronti di una malattia ricomparsa così improvvisamente. Alcuni governi, probabilmente quelli che non avevano apprezzato il volta faccia del Presidente degli Stati Uniti, stavano conducendo una controproducente campagna anti vaccino. Incoraggiavano le folle a diffidare di un medicinale di cui non si era mai sentito parlare prima, nonché di una malattia ricomparsa così misteriosamente.

Non che avessero tutti i torti. Se la gente avesse prestato più attenzione alle parole del Presidente, avrebbe percepito alcune note stonate nel discorso, passaggi che non tornavano, anelli mancanti di una catena di paura.

Ma la gente, per istinto di sopravvivenza –o forse per abitudine a non prestare attenzione- aveva dato per scontato che tutto questo fosse stato fatto per loro, per la loro sicurezza e basta, senza interrogarsi su faccende che reputavano futili o non a loro collegate direttamente.

Il paese che aveva dato più filo da torcere alla storia della malattia antica e mortale era stata l’Italia.

Il suo governatore, che non era mai andato molto d’accordo con l’attuale Presidente americano, aveva subodorato la falsità della sua storiella e aveva agito di conseguenza, fomentando il suo popolo a diffidare dall’iniettarsi sotto la cute un liquido di cui non conoscevano l’esatta natura.

Molto probabilmente, il Primo Ministro italiano, che era, invece, molto legato al precedente Presidente degli Stati Uniti, stava continuando a lavorare per i super soldati, fregandosene altamente della sicurezza e della vita del suo popolo.

Fortunatamente non tutti gli italiani gli avevano prestato ascolto, e una buona parte di loro aveva voltato le spalle alle parole di uomo di cui, molto probabilmente, non si fidavano. Purtroppo non erano la maggioranza.

Mulder, invece, passava gran parte delle giornate assieme a Skinner, a studiare incartamenti e foto di Mount Weather. Due volte erano riusciti, grazie a tecniche degne di un hacker (suggerite loro dal trio incorporeo formato dai Lone Gunmen), a rubare foto e video satellitari del presidio. La prima volta avevano notato movimenti piuttosto concitati e sospetti. Si aveva quasi l’impressione che gli occupanti del posto si stessero preparando alla fuga, ma la volta successiva il luogo era ancora ampiamente abitato.

Di sicuro stavano tramando qualcosa…

Probabilmente il volta faccia del Presidente era stato un duro colpo e ora i super soldati, che fungevano, almeno secondo il pensiero di Mulder, da guardie del corpo al progetto di invasione aliena, stavano sicuramente escogitando qualche piano alternativo, nonché qualche ritorsione ai danni del Presidente, degli altri governatori che gli avevano dimostrato fiducia e dell’umanità intera.

Ma fino a quel giorno, non era ancora accaduto nulla di eclatante. E Mulder era certo che la loro ripicca sarebbe stata qualcosa di memorabile.

Doggett e Reyes continuavano la loro esplorazione nel New Mexico, tenendosi giornalmente in contatto con Mulder e Scully.

Avevano individuato un sito che corrispondeva alle loro esigenze.

Era uno spazio di svariate miglia, formato da una serie di cunicoli e grotte naturali, ai piedi di collinette aride e rossicce. Tutto quel paesaggio naturale era pieno di magnetite.

Non erano ancora riusciti a trovare Gibson Praise, ma non demordevano.

Se volevano escogitare un modo per sterminare i super soldati, quel ragazzo avrebbe fatto loro estremamente comodo.

Mancavano due settimane e mezza alla data fatidica… era un sabato… il loro tempo scarseggiava, ma non si volevano dare per vinti. Non l’avrebbero fatto, mai.

Mentre Mulder stava sorseggiando il caffè, allontanando in fretta la tazzina dalle labbra, perché la bevanda era bollente, il campanello di casa suonò tre volte consecutive.

Scully lo guardò stupefatta.

Era presto, e non aspettavano nessuno.

Mulder fece per alzarsi, ma Scully gli posò una mano sul braccio e si alzò da tavola.

Quando aprì la porta il suo cuore perse un battito.

 

Gli occhi disorientati e spaventati di un ragazzino dall’aria sveglia si guardavano intorno, senza sosta.

Era alto quasi quanto lei, magro. Le sue iridi erano di un blu intenso e i suoi capelli castani erano brillanti, ma molto scompigliati. L’aria fredda di quella mattina di inizio dicembre non aiutava certo a mantenerli in ordine.

Indossava un paio di jeans di un blu scuro e un paio di stivaletti Converse All Star, del modello invernale che andava in voga quell’anno. La giacca a vento, rosso fuoco, era chiusa con la cerniera fino al mento, dove si intravedeva una sciarpa nera di lana.

Il ragazzino fissò i suoi occhi in quelli di Scully e la guardò senza capire. Il suo sguardo era perso, smarrito. Appariva quasi sull’orlo delle lacrime.

Scully cercò di ripescare un po’ di aria nei polmoni.

William…” sussurrò al ragazzino.

Questi la guardò sbarrando gli enormi occhi blu.

Come… come…” ma non riuscì a terminare la frase.

Scully lo vide barcollare e accasciarsi al suolo, privo di sensi, come fosse al rallentatore.

Fece in tempo ad afferrarlo per le ascelle, prima che toccasse il suolo, ma si rese conto che non riusciva a sostenerne il peso, men che meno a trascinarlo in casa.

“Mulder!” gridò. Nel tono della voce c’era tutta l’urgenza e lo spavento tipici di situazioni così inaspettate ed emotive.

Mulder corse alla porta e rimase interdetto vedendola sorreggere il corpo di un ragazzino di circa 12 anni.

“Aiutami a portarlo dentro” gli ordinò in tono perentorio.

Mulder obbedì, senza prestare troppa attenzione alla fisionomia del ragazzo.

La aiutò a sollevarlo e insieme lo portarono in casa, dove lo adagiarono sul divano.

Solo in quel momento, mentre era sdraiato, con gli occhi chiusi, si accorse che nei suoi tratti c’era qualcosa di familiare. I capelli erano dello stesso identico colore dei suoi e i tratti del viso assomigliavano al viso di bambina di sua sorella.

Vide Scully avvicinarsi, per accertarsi del suo stato fisico.

Gli sollevò una palpebra, per controllare la dilatazione della pupilla.

Quando Mulder vide il blu delle sue iridi, capì.

“William?!”. Disse quel nome a bassa voce, con un fervore controllato, ma quasi reverenziale. Una nota sbalordita nel tono.

Scully si voltò a guardarlo, gli occhi colmi di lacrime che stava disperatamente cercando di ricacciare indietro. Annuì semplicemente.

“Che è successo?” le chiese con ansia.

Lei scosse il capo, asciugandosi le lacrime che le stavano scorrendo sulle guance.

“Non lo so… me lo sono ritrovata di fronte… poi è svenuto”. Un singhiozzo le scosse il petto. “Sembrava del tutto confuso, disorientato… e spaventato. Ho pronunciato il suo nome… poi si è accasciato al suolo… Mulder…”.

Pronunciò il suo nome come una preghiera.

Lo stava implorando di darle una spiegazione, di trovare un senso alla presenza di loro figlio in quella casa, dopo tanti anni. Di sostenerla, perché lei stava per crollare.

Ma Mulder non rispose, né si mosse. Era completamente spiazzato.

Le braccia erano abbandonate lungo il busto, il suo corpo era immobile, quasi sotto shock, gli occhi non riuscivano a capacitarsi che loro figlio, quel bambino tanto agognato e tanto pianto, quel miracolo vivente, quella gioia inattesa, fosse lì, davanti a loro.

Mosse istintivamente una mano a toccargli il viso, mentre Scully si sedeva sul bordo del divano e gli accarezzava i capelli. Rapita.

“Perché?...” il suono le uscì spezzato dalle labbra, come non riuscisse a trovare abbastanza aria o abbastanza energia per pronunciare quella singola domanda disperata.

Mulder scosse la testa.

Senza volerlo, il tocco della sua mano registrò la levigatezza e la morbidezza della pelle sulla guancia di William. Gli ricordò molto la sensazione che provava ogni volta che toccava la pelle di Scully.

Era bellissimo.

Mentre rifletteva su queste cose senza senso in quegli istanti infiniti, il corpo di William si mosse.

Scully si mise subito all’erta, asciugandosi velocemente le lacrime che continuavano a scendere. Non voleva che lui la vedesse piangere non appena avesse aperto gli occhi.

Mulder le si sedette in fianco, afflosciando il cuscino del divano sotto il suo peso.

William aprì gli occhi molto lentamente, poi sbatté le palpebre alcune volte e si guardò intorno, disorientato. Quando vide Mulder e Scully, che gli stavano sorridendo dolcemente, aggrottò le sopracciglia.

“Dove sono?”.

Parlò con una voce ancora acerba, ma che racchiudeva in sé già le prime note di un tono più adulto, mascolino.

“Sei al sicuro…”. Scully sentì le sue stesse parole scivolarle dalle labbra. Le sembrarono inappropriate, ma allo stesso tempo estremamente giuste.

Era con i suoi genitori, era al suo posto, quel posto che gli spettava di diritto. Quale situazione poteva essere più sicura? Ma Scully sapeva per esperienza che le cose non stavano esattamente in quel modo… in quel frangente più che mai.

“Hai bussato alla nostra porta… come sei arrivato fin qui?” Mulder parlò con un tono di voce baso, tranquillizzante.

William li osservò per qualche istante.

Poi cercò di mettersi a sedere.

Scully allungò le mani, per aiutarlo, ma lui gliele allontanò, con un gesto timido, ma che sottintendeva la sua volontà di farcela da solo.

Si portò le ginocchia al petto e chiuse gli occhi, espirando rumorosamente. Poi prese a mordicchiarsi nervosamente il labbro inferiore.

Mulder sorrise. Quante volte aveva visto Scully fare lo stesso gesto…

“Io non so cosa mi sia successo…”. William prese a parlare ininterrottamente, come se avesse di fermarsi, come se le parole gli potessero far accettare più tranquillamente quello che gli era successo.

Mulder e Scully lo lasciarono parlare, in silenzio.

“Stavo per prendere l’autobus che mi avrebbe riportato a casa, dopo la scuola, ma ho sentito un bisogno pressante… non potevo ignorarlo… e mi diceva di allontanarmi dal marciapiede, di raggiungere la stazione dei treni, di prendere il diretto per Washington DC… e così ho fatto.

Avevo con me dei soldi, fortunatamente sono bastati per il biglietto… di sola andata… non so perché.

Il treno ha impiegato 14 ore ad arrivare a destinazione, perché ad un certo punto abbiamo trovato un cumulo di neve che impediva di proseguire. Abbiamo dovuto aspettare che arrivasse lo spazzaneve e che liberasse le rotaie, ma poi ha ricominciato a nevicare…

Io ho cercato di dormire, ma c’era sempre qualche rumore, qualche movimento che mi svegliava.

E’ come se io avessi percorso tutti quei chilometri in trance, nulla contava, se non il bisogno di arrivare qui.

Quando il treno è arrivato a destinazione, ho raggiunto la stazione degli autobus più vicina, chiedendo indicazioni ai passanti.

Sono sceso alla fermata che c’è a pochi metri da qui… e poi ho bussato alla vostra porta…”.

Alzò gli occhi a guardarli.

“Sapevo che ero arrivato, che ero nel posto giusto… ma non appena lei è venuta ad aprire, la sensazione mi ha abbandonato e mi sono ritrovato completamente spaesato…”.

Aggrottò le fronte, guardando Scully.

“Come conosci il mio nome?”.

Scully gli rivolse un sorriso stanco, poi guardò Mulder.

Senza dirsi una parola ritennero corretto dirgli la verità. Forse non avevano nemmeno altre possibilità…

“Prima permettimi di farti una domanda…” gli disse Scully con una voce gentile “Dove vivi?”.

“A Shepherd, uno sperduto paese nel Montana. Io e i miei genitori ci siamo trasferiti là circa 7 anni fa…”.

Quando sentirono William pronunciare la parola genitori, Mulder e Scully ebbero un tuffo al cuore.

“Accidenti!” esclamò subito dopo William. “Non sono rientrato a casa! Saranno fuori di testa!!!”.

Si frugò nelle tasche con urgenza, estrasse il cellulare e si accorse che era spento. Lo accese, ma non appena il display si illuminò, il simbolo della batteria iniziò a lampeggiare ansiosamente e il telefonino si spense di nuovo.

“Merda!”. William lo scosse tra le mani, con un’espressione di stizza.

Mulder e Scully non riuscirono a trattenere un sorrisetto divertito alla parolaccia pronunciata dal bambino. Ma allo stesso tempo si resero conto che avrebbero preferito non sentirgliela pronunciare.

Mulder si alzò e prese il suo Blackberry dal tavolino. Glielo tese con un sorriso.

“Chiamali con questo”.

William gli sorrise in risposta. Il suo volto sembrava l’immagine allo specchio del viso di Mulder.

A Scully mancò l’ennesimo battito del cuore.

“Grazie” disse componendo il numero “Saranno preoccupatissimi…”.

Si portò il telefonino all’orecchio e attese, in silenzio.

Poco dopo le sue sopracciglia si aggrottarono, perplesse.

Strano… non rispondono…”.

“Li hai chiamati a casa?”.

“No, sul cellulare, non abbiamo un telefono di casa fisso”.

Restituì il cellulare a Mulder e sbuffò sonoramente.

“Mi sembra di essere approdato in una realtà parallela…”.

Scully gli sorrise, comprensiva.

William… i tuoi genitori… hanno altri figli?”. Cercò di arrivare a dirgli come stavano le cose nel modo meno traumatico possibile. Non sapeva se lui era al corrente del fatto che era stato adottato quando aveva circa un anno.

William scosse il capo.

“No. Purtroppo non possono avere figli. Io sono stato adottato” fece spallucce “Non me l’hanno mai tenuto nascosto”.

Scully sentì il sollievo invaderle lo stomaco.

Sentì anche la mano di Mulder posarsi sulla sua spalla, per incoraggiarla a dirgli chi erano.

Lei posò la sua mano, ghiacciata e sudata, su quella del compagno.

“Non hai mai saputo chi sono i tuoi veri genitori?”.

William scosse nuovamente il capo.

“No. Mamma e papà mi hanno sempre detto che la mia madre biologica ha dovuto darmi in adozione, ma senza dire il motivo…”.

Scully lo guardò. Sentì altre lacrime addensarsi dentro gli occhi.

“Mi sono chiesto spesso il motivo…”. William abbassò lo sguardo e si perse per un attimo in pensieri ai quali Mulder e Scully avrebbero tanto voluto poter accedere.

Un dolore antico e mai dimenticato prese nuovamente possesso del loro petto, quando si resero conto che, se fossero stati loro a crescerlo, probabilmente conoscerebbero ogni singolo pensiero inespresso del ragazzo.

Quando William rialzò lo sguardo, il sorriso che gli illuminava il volto andò spegnendosi gradatamente, quando incontrò lo sguardo disperato di Scully. Alzò gli occhi verso Mulder e vi notò la stessa opprimente tristezza.

Ebbe l’impulso inaspettato di abbracciare quelle due persone e di consolarle, ma resistette a quel desiderio, dicendosi che non li conosceva, che non aveva senso sentire pena nei loro confronti.

William…” Scully lo fissò negli occhi con estrema attenzione. “Quello che ti diremo ora non sarà semplice da accettare… ma ti preghiamo di credere che è la verità… e ti prego, ti scongiuro, di perdonarmi…”.

William osservò quella bella signora senza comprendere le sue parole, ma annuì ugualmente, perché, in cuor suo, sentiva che era giusto così.

Noi… “ Scully prese un profondo respiro, e sentì le dita di Mulder stringersi sulla sua spalla.

“Noi siamo i tuoi genitori biologici… siamo noi…”. Le parole si confusero con le lacrime e il viso di William apparve sfuocato ai suoi occhi.

Mulder si sedette ai piedi del ragazzo, annuendo.

“E’ così…” aggiunse, con un sorriso che chiedeva perdono sulle labbra.

William li osservò per un tempo infinito, senza battere ciglio. Sembrava stesse valutando la situazione.

All’improvviso i suoi occhi si spalancarono e si batté una mano sulla fronte, ridendo sommessamente.

“Ma certo! Ecco perché sono arrivato fin qui! Come ho fatto a non arrivarci subito… quando hai detto il mio nome sulla porta, questa fretta di arrivare… è ovvio…”.

Mulder e Scully si guardarono, uno sguardo interrogativo solcava i loro volti.

Ovvio? Erano spiazzati dalle parole di William, e ancora di più dalla sua reazione, per nulla scioccata… sembrava quasi… sollevato.

William sorrise a entrambi, un sorriso caldo, aperto, senza ombre.

“Sono contento di conoscervi! Vi ho immaginati spesso…”.

Scully si sentì invadere da una gioia talmente forte e travolgente che il pavimento smise di esistere sotto i suoi piedi. Attorno a lei tutto iniziò a svanire.

Rimasero solo lei, Mulder e William.

La sua famiglia.

Vedendo che i suoi genitori non accennavano a muovere un muscolo, né a pronunciare nessuna parola, sventolò davanti ai loro occhi una mano.

“Ciao! Ci siete???”. La sua voce da ragazzino non nascose una nota ironica, quasi da presa in giro.

Mulder gli sorrise.

Scusaci… è che siamo un po’ spiazzati da tutto… questo” fece un gesto ampio con il braccio.

“Trovarti qui, dopo 12 anni in cui non sapevamo nemmeno dove fossi, se stavi bene, come vivevi… e ora sei qui… e poi la tua calma…

Sei così tranquillo, e sereno… ci aspettavamo una reazione un po’ più … isterica!”.

William rise, divertito.

Il suono cristallino della sua risata sincera si perse nella stanza, riempiendo l’aria  di una ilarità, di una spensieratezza e di una buona dose di innocenza, che non sentivano più da molti mesi.

“Sono davvero felice di conoscervi” disse William, dopo aver smesso di ridere “E sono anche sollevato all’idea che il mio viaggio avesse un senso compiuto”.

Scully guardò Mulder di sottecchi.

“Ti è capitato altre volte di avere queste… chiamiamole sensazioni?” gli chiese in tono pacato.

“Due o tre volte…”. Alzò gli occhi verso il soffitto, con lo sguardo perso in chissà quali ricordi.

“Ricordo quella volta che il mio cane, Toby -come quello di Red e Toby, nemiciamici- si era cacciato nei guai, andando a fare amicizia con la cagnetta dei vicini… ho avuto una netta visione di un bastone che gli calava con violenza sulla schiena… mi sono precipitato dal vicino, e l’ho bloccato appena in tempo, prima che riuscisse a picchiare il mio cane… poi l’ho pure denunciato… è saltato fuori che picchiava la sua cagnolina… che abbiamo poi adottato”. Sorrise, ricordando i suoi cani.

“Sono rimasti a casa con i tuoi… genitori?” gli chiese Mulder, dimostrando interesse per la vita sconosciuta di suo figlio.

William scosse la testa, un’ombra di tristezza gli attraversò il volto da ragazzino.

“Purtroppo l’anno scorso sono morti entrambi di una malattia che ha colpito molti animali nella zona… non l’ho mai detto a nessuno… ma ho passato ore e ore in camera a piangere…”.

Scully si sentì invadere il cuore di tenerezza. E di orgoglio. Li aveva reputati degni di conoscere quella che lui considerava una debolezza. Poi, però, sul suo petto, scese un’ombra di rammarico… Probabilmente non lo aveva detto perché li riteneva meritevoli di conoscere i suoi segreti, ma perché, essendo due estranei, non si preoccupava troppo del loro giudizio.

Mulder non replicò a questa piccola confessione, sapeva per certo che cercare di consolarlo, o di dirgli che non c’era nulla di male a piangere, l’avrebbe fatto sentire debole.

Oh…” disse dopo un po’ William, “Poi c’è stata quella volta in cui…”.

Ma non terminò la frase.

I suoi si fecero vacui e l’espressione sembrò pietrificarsi in uno sguardo vuoto, inespressivo.

Scully si sentì mancare vedendolo così, quasi fosse privo di vita.

Il suo spavento le fece allungare le braccia verso di lui, per scuoterlo, per farlo riprendere, per accertarsi che fosse vivo, che stesse bene, ma le mani di Mulder arrivarono, repentine, a bloccarla.

Lei lo guardò con gli occhi spalancati, sul suo volto passò una muta domanda disperata. Aprì la bocca per protestare contro quel gesto incomprensibile, ma lui le fece cenno di tacere, portandole una mano sulle labbra.

Si avvicinò al suo orecchio.

“Sta bene… lascialo tranquillo”.

Lei continuò a guardarlo con gli occhi sbarrati, un velo di rabbia oscurava le sue pupille.

Mulder le accarezzò i capelli, per tranquillizzarla, ma lei si scostò dal suo tocco, con un movimento repentino e stizzito.

“Perché? “ disse a voce bassissima.

“Secondo me sta avendo una visione… o sensazione… come la vuoi chiamare”.

Scully lo osservò per qualche istante, le sopracciglia aggrottate, poi fissò lo sguardo sul volto di suo figlio.

Effettivamente non sembrava stare male. Respirava normalmente, il suo corpo emanava calore, ma vederlo così immobile, con lo sguardo fisso, le metteva addosso una strana angoscia. E non le piaceva affatto.

Sia lei che Mulder rimasero fermi a guardarlo, per un tempo che le parve infinito.

Quando William riprese a muoversi, emettendo un lungo respiro, e i suoi occhi riconquistarono la loro naturale vitalità, entrambi si rilassarono visibilmente.

Ma il sollievo durò una frazione di secondo. Lo sguardo del ragazzo non prometteva nessuna lieta notizia.

“Ho visto immagini confuse… ma… non mi era mai capitato di avere sensazioni così intense…”. Poi si voltò verso Mulder e gli strinse le dita della mano destra sul braccio.

“Dovete spiegarmi ogni cosa… tutto… ma prima, ti prego, cerca di rintracciare i miei genitori… li ho visti scappare, avevano paura, più per me che per loro stessi… ho visto un’immagine confusa, troppo veloce per focalizzarla, della mia casa. Era tutta sottosopra…”.

Mulder annegò nel dolore che si agitava come un mare in tempesta negli occhi di William.

Gli fece un cenno secco d’assenso col capo e si alzò in piedi.

“Qual è il nome dei tuoi genitori?” chiese perentorio.

“Van De Kamp. Eleonor e Mark Van De Kamp”.

Prese il cellulare e si diresse verso l’altra stanza.

Aveva un’idea.

 

Il suono monotono della linea telefonica gli rimbombava nell’orecchio come un fastidioso orologio a cucù. Quando infine la voce di Doggett giunse dall’altro capo del telefono, gli parve d’aver atteso quella risposta per secoli.

“John, sono Mulder”.

“Problemi?”

“Temo di sì… tu e Monica dovete farmi un favore grandissimo”. Non dette il tempo al suo interlocutore di replicare. “Prendete il primo aereo che trovate per il Montana. Arrivate in un piccolo paese chiamato Shepherd e cercate casa Van De Kamp. E’ urgente”.

Doggett provò a protestare, pur sapendo che sarebbe stato inutile.

“E il nostro compito qui?”.

“Rimandato. Questa faccenda ha la massima priorità”.

“Posso almeno sapere perché?” Doggett fece l’ultimo tentativo per avere informazioni.

Si… è la casa dei genitori adottivi di William”.

 

 

  
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