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Autore: Dragana    10/01/2010    7 recensioni
"Hanno designato Volterra come loro dimora, vi si sono stabiliti con le loro mogli, hanno istituito il loro corpo di guardia e dalla cima del loro monte vigilano sul mondo."
Disordinata raccolta di one-shot sui Volturi e le loro guardie.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Aro, Jane, Renata, Sulpicia, Volturi
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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UNA STORIA PER SULPICIA

-Seconda parte-

 

 

 

 

Sta di fatto che la lasciai in quel luogo di limbo a pensare alla sua profezia ed a chiedersi da quale donna avrebbe dovuto guardarsi e tornai alla nostra dimora, pianificando la mia prossima mossa.

Semplice eppure perigliosissima: capire quanto, in questo secondo millennio dopo la nascita di Cristo, una fanciulla vergine è ansiosa di non essere più tale. Non una fanciulla vergine, anzi: quella fanciulla vergine. E per saperlo in fretta e con precisione l’unico modo è farmelo rivelare dalla sua stessa mente, con il non indifferente ostacolo che sarei dovuto avvicinarmi alla ninfetta tanto abbastanza da poterla toccare.

Ponderai di avvicinarla durante la notte in modo da trovarla ferma ed addormentata, ma scartai l’idea: la tentazione poteva farsi troppo forte, il desiderio irresistibile. Mi risolsi così a farmi trovare di nuovo sotto la sua finestra, come il più sciocco degli amanti, durante una giornata grigia: avrei potuto attrarla al mio fianco e la presenza di altri mortali avrebbe costretto il mio autocontrollo a non cedere. Furono i giorni in cui mi procurai un completo elegante e ti dissi che avevo deciso di passeggiare per la città come un semplice umano, li ricordi? Era passato così tanto dall’ultima volta che l’avevo fatto che nessuno avrebbe potuto ricordarsi di me.

Così feci. Attesi una giornata nuvolosa, che per mia fortuna giunse presto dopo giorni di bel tempo, e mi sedetti su una panchina posta di fronte alla finestra della ragazza, leggendo uno degli orribili romanzetti di Chelsea per passare il tempo (avevo scelto “Intervista col vampiro”, e pensa che cosa buffa: vi è un personaggio simile a Jane, ed uno simile ad Edward Cullen!). Non dovetti attendere molto prima di vederla gettare un’occhiata annoiata fuori dalla finestra, notarmi, e ricomparire sul portone d’ingresso della casa, diretta verso di me. Sfacciate, davvero, queste fanciulle d’oggi.

Mi ero ben nutrito, e smisi di respirare. La piazzetta non era deserta, le vie attorno neppure, davanti ad un piccolo bar poco distante vi erano dei mortali che fumavano sigari e parlavano di partite di calcio. Alzai gli occhi e le sorrisi, in modo che le mie parole non risultassero brusche.

-Prego? Hai bisogno di qualcosa?- Le dissi. Sul suo viso si dipinse un ombra di preoccupazione. Era arrivata fin lì senza saper bene cosa dire, ed era in difficoltà. La vidi mordicchiarsi il labbro, per poi riprendersi agilmente.

-No, è che ti vedo sempre qui, però non sei di Volterra. Sei in vacanza?-

Questa abitudine di rivolgersi agli sconosciuti in tono così colloquiale mi ha sempre disturbato, Sulpicia. Lo sopporto in lingua inglese poiché non può essere diversamente, ma non lo tollero in altre lingue e soprattutto non in italiano. Eppure dovetti far buon viso a cattivo gioco perché lei non era che una giovinetta e vedeva in me una persona evidentemente abbastanza giovane da non meritare neppure la terza persona.

-Diciamo di sì, in vacanza; e tu invece abiti qui, non è vero…- M’interruppi. Termini come “tesoruccio” o “carina” non erano adatti e proprio non me ne venivano in mente altri. Per mia fortuna lei interpretò questa mia incertezza come una richiesta di presentazioni, e mi tese la mano.

-Chiara-, Disse stringendomela.

Chiara aveva sedici anni di vita ed una mente così vacua che mi ci volle davvero poco a trovare ciò che cercavo. Nella fattispecie una sorta di fidanzatino che lei sentiva di amare follemente e che reputava l’uomo perfetto: fico, simpatico e sensibile (sic!). Lei lo amava tanto, eh, però aveva visto in giro uno che era il ragazzo più fico che ci fosse sulla terra (questo sono io Sulpicia, e spero tanto che il parere di Chiara coincida con il tuo) e doveva almeno provare a conoscerlo, solo conoscerlo non era tradimento, lei non avrebbe mai tradito Gianma (il ragazzino di cui sopra, poichè la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni) perché lo amava tantissimo (ripetitiva, adorabile Chiara) e sicuramente sarebbe stato quello con cui fare l’amore per la prima volta (lupus in fabula!) perché lui ci teneva davvero a lei, non come quello stronzo di Dedo (non me la sono sentita di approfondire oltre, non ero certo che avrei retto senza scoppiare a ridere), e anche lei lo amava un casino (onestamente la faccenda stava iniziando a diventare noiosa). Comunque io ero veramente un gran fico. Segnatelo, mia amata, ché voglio sentire questo termine triviale pronunciato dalle tue labbra delicate.

-Fosco-, Mi presentai trattenendo la sua mano nella mia quel tanto che bastava per trovare ciò di cui sopra. Sì, il gioco di parole è atroce, ma mi venne in mente quello e tanto non ha importanza.

-Che nome strano!- Esclamò lei. Sorrisi. –Nomen omen-, Ribattei, ma il suo sguardo smarrito mi suggerì che il latino non era incluso tra le materie che questa ragazza studiava nella vita.

Poco male. Dovevo andarmene, perché ogni volta che parlavo mi sembrava che il suo sapore m’inondasse la bocca, raccolto nella semplice aria che usavo per questa banale funzione. Benedissi gli uomini fuori dal bar e le loro vivaci bestemmie, che mi ricordavano continuamente che non potevo permettermi alcun cedimento. Così consultai l’orologio e composi un’espressione preoccupatissima, per poi alzarmi.

-Oh, com’è tardi! Devo andare…- La sua espressione era delusa. Stava per dirmi qualcosa ma non glielo permisi, evitando che le venissero in mente sciocchezze tipo “scambiamoci i numeri di telefono” et similia. Mi voltai rapido, per poi rivolgerle un cenno di saluto. –Arrivederci, Chiara!- Mi sembrò che andasse bene. La sventurata rispose, entusiasta.

 

So bene, Sulpicia, che le profezie nefaste si possono evitare, e chi afferma il contrario è uno stolto. La guerra di Troia non sarebbe scoppiata se Priamo avesse avuto il coraggio di uccidere Paride, ed avrebbe avuto un diverso esito se Cassandra fosse stata ascoltata.

Solo che le profezie scongiurate non vengono tramandate: se Cesare si fosse guardato dalle idi di marzo la congiura a suo danno non sarebbe stata che una riga negli annales. Ed io non avevo alcuna intenzione che si parlasse della caduta di Aro dei Volturi.

Così  non mi restava che vedere se le profezie della Veggente potevano essere scongiurate, e l’unico modo per verificarlo era fare sì che la vergine Chiara non fosse più tale. E se questo non fosse bastato, Sulpicia, ebbene, avrei trovato un altro modo: andarmene da Volterra per almeno un secolo, o non uscire dalle mie stanze per il medesimo periodo di tempo; eppure, non sopportavo questa idea. Nella mia esistenza non sarebbe cambiato nulla, ma io mi sarei sentito prigioniero, ed io detesto che qualcuno o qualcosa mi obblighino a piegarmi ai loro voleri. Sono io quello che obbliga gli altri, mia amata, e non viceversa. Ma non aveva senso pensarci ora: un problema alla volta, mi dissi.

Esclusi naturalmente l’ipotesi di prenderla io stesso, giacché so perfettamente che non sarei mai e poi mai riuscito a non ucciderla nel tentativo. Mi trovai a ponderare l’idea di farla prendere per forza da qualcuno, c’erano in ballo il mio regno e la mia stessa vita ed una risoluzione così truce mi avrebbe lasciato senza alcun senso di colpa; ma, mi chiesi, e se questo atto avesse messo in moto la profezia? Avrei forzato il destino introducendovi un elemento estraneo, che per di più sarebbe nuociuto alla fanciulla, e non potevo rischiare di far avverare la profezia con un maldestro tentativo di evitarla. L’unica alternativa rimaneva Gianma (presumo si chiamasse Gianmaria, o almeno lo spero per lui), ma come convincere il ragazzino sensibile et simpaticissimo a cogliere rapidamente il delizioso fiorellino? Ci pensai per qualche giorno, inquieto, senza trovare soluzioni che non mi esponessero troppo. Infine ripensai a lei, non Chiara, la Veggente, perché era l’unica che già sapeva.

 

Mi recai alla via in cui, ormai sapevo, avrei trovato la Veggente; a questo punto della storia è inutile mentire, mia amata, o fingere che mi ci trovai davanti per caso. Mi recai dunque là di proposito, ben consapevole del fatto che avrei dovuto chiederle aiuto ed oltremodo indispettito per il fatto medesimo.

Questa volta all’angolo vi era una sorta di delizioso negozietto dagli scaffali stipati di nugae e chincaglierie. Lei stava dietro al bancone e davanti ad uno scaffale di bambole sembrava una bambola ella stessa, con i perfetti boccoli color del cioccolato azteco ed una maschera in velluto verde con un fiore applicato a un lato, costellata di ricami in filo argentato, ed un corpetto di broccato d’un intenso color smeraldo ricamato a foglie d’argento.

Non appena la porta annunciò il mio arrivo con un delicato scampanellio lei ricompose nel mazzo le carte disposte sul banco, accennò un saluto chinando la testa e cominciò subito a parlare.

-Pare che la questione sia piuttosto seria-, Esordì. –Ma se è il mio aiuto che vi serve dovete per forza dirmi qualche cosa di più: vedo che la minaccia è una donna e il desiderio che avete per lei, mentre il futuro è ancora incerto: riuscirete nelle vostre imprese se avrete audacia e sarete nel vostro diritto. Solo non capisco in quale modo una donna possa farvi infrangere le vostre regole, tra le quali non mi sembra contemplata una pena per l’adulterio; sapete? Ci sono anch’io nelle carte: una donna più forte di voi che vi porterà aiuto.-

Non perdetti tempo a rimanere perplesso, Sulpicia, non più; in tutta questa storia, avrai capito, ero ormai oltre la perplessità. Perfino la sua impudenza mi risultò divertente.

-Sorvolerò su quel, come avete detto? Essere più forte di me, adorabile bambolina-. Alzai la mano per bloccare le sue parole. –Lo so, volete specificare che le vostre parole non erano da intendersi in senso assoluto ma erano riferite alla specifica circostanza; in altre occasioni vi consiglierei di pensare bene alle parole prima di pronunciarle, ma ora non c’è alcun motivo di formalizzarsi. Dunque.-

Girai intorno al bancone, fino a raggiungerla dietro di esso. L’abito si apriva in una gonna color verde bottiglia, di tulle, simile a quelle delle ballerine, indossava calze di seta trattenute da un reggicalze e deliziose scarpette da ballo argentate.

-Non è la donna il pericolo, né l’adulterio; è il suo sangue di fanciulla. Ho motivo di credere che, qualora la fanciulla non fosse più tale, il suo sangue si guasterebbe ed il suo odore sarebbe per me allettante ma non più di altri. Va da se’, mia adorabile ballerina, che non ritengo prudente forzare l’evento facendo sì che qualcuno la prenda per forza. Il discorso cambierebbe se fosse lei a concedersi, traendone il giusto piacere.-

-Lei a concedersi, dite? Dunque…- Si picchiettò il dito indice sul mento, pensierosa, le labbra color fragola imbronciate in un’espressione concentrata.

-Potrei avere qualcosa che fa al caso vostro, qui. Lei si concederà alla persona a cui è più vicina sentimentalmente, voi escluso e parenti esclusi, parenti stretti intendo. Però è merce costosa, perché è unica. Devo barattarla con qualcosa di unico. Avete idea di cosa offrirmi?-

-Niente cose materiali, giusto?- Le dissi sorridendo, perché ormai conoscevo il gioco. Lei annuì.

-Potreste donarmi il vostro nome. Dopotutto sono millenni che non lo usate più.-

Rimasi stranito dalla peculiare richiesta.

-Il mio nome? Questo solo vi basta?-

-Potrei dirvi che sì, sono generosa, in fondo non è che un piccolo dono senza importanza, ma sono vincolata a giocare in modo pulito. Non è un dono di poco conto, è il vostro vero nome, e lo donereste a me. Non lo ricordereste più né voi né i vostri fratelli, o vostra moglie, o i vostri amici e sottoposti. Mi apparterrebbe.-

La fissai intensamente e lei sospirò, spiegandomi ciò che intendeva.

-Non sottovalutate la vostra natura e quello che significa vivere per sempre: potete dire di ricordare com’era la consistenza della vostra carnagione mortale, l’odore dei vostri capelli, il colore degli occhi? Cosa vi piaceva mangiare, cosa bere, com’era fare l’amore? No, certo, o almeno non tutto, e forse penserete che non v’interessa. Ma con i vostri ricordi il mortale di un tempo si sgretola, e prima o poi di quella umanità non rimarrà che il nome dell’uomo che eravate. Se mi donerete il vostro nome il giorno in cui cercherete quel mortale non troverete null’altro che Aro dei Volturi. Siete consapevole di questo?-

Risi. Un nome! Uno sciocco nome, il nome di un mortale che non esiste più da tre millenni in cambio del mio impero, un nome che probabilmente non ricordava più nessuno a parte me e te… toglimi una curiosità, Sulpicia, e pensaci adesso: tu riesci a ricordarlo? A pronunciarlo ad alta voce, a scriverlo sui margini di questa pergamena? Eppure dovresti. Ed io certamente lo ricordavo, quel giorno.

-Vi dono il mio nome, se è questo che chiedete. È già come dite: esiste solo Aro dei Volturi.-

Presi il suo viso tra le mani e glielo sussurrai all’orecchio. Sospirò, con un brivido.

Poi mi trattenne la testa contro il suo orecchio, affondando le mani nei miei capelli e guidando la mia bocca sul suo collo sottile. La sollevai fino a deporla a sedere sul bancone, e lei mi cinse i fianchi con le gambe attirandomi a sé.

-Quando dicevo di essere più forte di voi-, Mi sussurrò con voce roca, - ero assolutamente seria.-

Non persi tempo a controbattere una tale sciocchezza piazzata ad effetto. Ero impegnato a fare altro.

 

Allora, mia amata, non vuoi sapere cosa mi ha dato la Veggente?

Sulpicia!

Sei una signora, suvvia, certe battute volgari non ti si addicono proprio! Chiedo venia, te l’ho servita su un piatto d’argento, ma insomma, contieni i tuoi pensieri! Non vedo l’ora di averti sotto le mie mani, mia amata. Non sai quanto sia divertente questo pensiero, e quanto mi ecciti questo desiderio.

Comunque fu una bottiglietta di profumo l’oggetto che mi porse, e mi sarebbe bastato che Chiara l’annusasse per scatenare l’effetto voluto. Contenuto in una fiala d’alabastro di meravigliosa fattura, tipica di Volterra, come quelle che si usavano un tempo per contenere gli unguenti profumati. Come una delle tante che regalai a Didyme, simile in tutto e per tutto ad una che lei preferiva e che perdette, lasciandola scioccamente in giro durante un convegno d’amore. Di nuovo, Sulpicia, una bizzarra coincidenza, non trovi? E due coincidenze fanno un indizio, diceva quel famoso investigatore. O erano tre?

Non importa. Guardai gli oggetti sparsi sugli altri scaffali: una rosa gialla sotto vetro, le bambole di porcellana, una scacchiera d’ebano e alabastro con i pezzi in posizione di partenza, un kimono rosso di seta. Nessuno di questi aveva l’aria familiare.

 

Immediatamente mi recai da Chiara: pensai che potesse valere la pena di battere il ferro finché era caldo; non c’era motivo di non essere impazienti fintantoché ancora riuscivo a controllare la mia sete. Volevo solo soddisfarla o dimenticarla: impossibile assuefarmici. In questo, lo ammetto, Edward Cullen è stato davvero più bravo di me.

Riutilizzai la panchina, su cui notai una nuova scritta in colore rosso fiammante: “Fosco was here”. Se mai un vampiro può morire, mia amata, in quel momento rischiai seriamente di morire dalle risate.

Ero nel punto del libro in cui la piccola e adorabile Claudia manipola così abilmente il suo amante ai danni del loro affascinante comune creatore, reo ai suoi occhi di averle sottratto la mortalità quando non era che una bambina (Jane non sarebbe mai così sciocca, a onor del vero, e comunque sono io l’amante di Jane, quindi non possono esservi parallelismi), quando sentii il suo odore.

Rischiai di cedere, per colpa di quello sciocco romanzetto che aveva catturato la mia attenzione distraendomi. Per un attimo vidi solo il sangue rosso fluire da lei come da una ferita, irresistibile, ma qualche occupante del bar pensò bene di iniziare una conversazione in dialetto stretto a voce altissima e mi riportò con i piedi per terra. Benedetto sia quel mortale.

Probabilmente Chiara era di ritorno a scuola, visto lo zaino colorato che portava in spalla. Nel vedermi s’illuminò e corse verso di me.

-Ciao Fosco!- Esclamò vivace. Mascherai il disappunto che mi assaliva ogni volta che si rivolgeva a me con quel tono colloquiale, e sorrisi.

-Buongiorno Chiara!- Le risposi. Lei si mordicchiava le unghie, come al solito un po’ imbarazzata. Prima che se ne uscisse con qualche vacua stupidaggine presi in mano io la situazione.

-Sai, oggi mi è stato regalato questo…- Le mostrai la fialetta, confidando nel fatto che lei non capisse il valore di un simile oggetto. –È un profumo da donna ed io non me ne farei nulla, naturalmente. Prendilo tu!-

Sorrise come se le avessi offerto l’immortalità. Ringraziandomi prese la fialetta e l’aprì, annusandone il contenuto. Ho fatto un bingo, pensai. È così che si dice, Sulpicia, “ho fatto un bingo”?

-Buono!-, Esclamò. Lo sguardo le si appannò leggermente, talmente leggermente, mia amata, che forse me lo sto solo immaginando.

-Chiara, o che ci fai lì? L’ è cotta la pasta!- Gridò una donna, la madre suppongo, dalla finestra. Una donna che a quanto pare non fa altro che cucinare tutto il giorno, direi. La ninfetta mi guardò con rammarico, io colsi l’occasione per salutarla ed andarmene.

 

E poi attesi. Attesi vari soli senza mai uscire dal nostro palazzo, per essere sicuro. Attesi perché, in una parte della mia mente, temevo di scoprire che la Veggente mi aveva imbastito una storiella stupida a cui io avevo dato fede, magari allo scopo di trovare un mio punto debole a beneficio di chissà quale dei miei nemici, Chiara era ancora la mia cantante ed io dovevo venire a capo di questo complotto senza sapere da che parte incominciare e con la sottile convinzione che la profezia fosse reale.

Fino a che non ne potei più di attendere e per l’ultima volta raggiunsi Chiara.

Stavolta non avevo con me il libro, che avevo terminato di leggere (ora devo procurarmi il seguito, perché Chelsea dice che il protagonista è l’affascinate creatore della bambina, la quale tra parentesi muore… non volevi leggerlo, Sulpicia, vero?) ed attesi nascosto nelle ombre, senza mostrarmi, pronto a fuggire al primo accenno di dolcissimo odore di sangue.

Ma poi lei attraversò la piazzetta. E potei sospirare, riempirmi la gola di quel sospiro di sollievo: era finita. Un buon odore, nulla di particolare. Heidi ne cattura di meglio perfino quando non s’impegna. Per esserne certo mi avvicinai a lei passeggiando lentamente, ed addirittura mi arrischiai ad attirare la sua attenzione.

-Chiara!-, La chiamai. Lei saltellò verso di me.

-O Fosco! Ciao! Come stai?- Stavo splendidamente. Nessun effetto. Ed era ora che Fosco se ne andasse; non sarebbe neanche dovuto esistere, ed era stato anche troppo su quella panchina, come decretava insindacabilmente la scritta rossa.

-Molto bene, davvero! Nonostante le mie vacanze siano finite. Ma è stato un vero piacere conoscerti!- Le tesi la mano e lei me la strinse, dicendo qualcosa del tipo: -Di già? Che peccato, ma torni?-

Oh, l’aveva persa eccome la verginità, Sulpicia. Ma non con Gianma, no, con Dedo (non riesco davvero ad immaginare come possa chiamarsi in realtà), che lei non era mai riuscita a dimenticare nonostante l’avesse tradita con quella troia della Francesca (sic!). Ed il giorno dopo, presa dai sensi di colpa, aveva ripetuto la performance con Gianma, per poi lasciarlo perché aveva capito che in realtà amava di più Dedo. Voi donne, mia amata, siete meravigliose. Siete dipinte dalla mano di Dio, e non capisco come facciate ad amare così tanto degli uomini come noi. Meno male che non sono mai stato un brav’uomo, Sulpicia, altrimenti come avrei potuto continuare ad affascinarti così tanto dopo tremila anni?

Mi congedai da Chiara quasi con rammarico, ora che quella bambina non era più un pericolo. Chissà come procedono le sue vicende amorose; magari tra qualche tempo Fosco ci tornerà, in vacanza a Volterra.

 

Qualche giorno dopo, ricordi, la Veggente mandò un biglietto con il quale comunicava ufficialmente che la sua permanenza a Volterra sarebbe terminata al sorgere della luna. Con la scusa di controllare i suoi movimenti la raggiunsi a sera, a Porta dell’Arco; Renata mi seguì in qualità di guardia del corpo.

Stavolta non portava alcuna maschera; indossava una veste bianca lievissima, che pareva intessuta di luce lunare, ed i suoi capelli candidi fluivano lisci sulle spalle minute, appena trattenuti da una sottile tiara di platino. Aveva zigomi affilati e labbra pallide, ed i liquidi occhi rosso vivo orlati da lunghe ciglia bianche parevano essere l’unica nota di colore in un disegno bianco e argento. Nel vedermi sorrise e s’inchinò; feci cenno a Renata di rimanere dov’era e mi avvicinai a lei.

-Ho consultato le carte, e il vostro destino è cambiato: potere, amore, ricchezza, le solite cose. Niente caduta; la ruota ha girato di nuovo.-

-E devo ringraziare voi, bellissima-, Le dissi baciandole la mano. Rise.

-La prossima volta che mi vedrete, se vi sarà una prossima volta, dovrò stare attenta a non farmi baciare da voi, perché come da patti i vostri poteri funzioneranno di nuovo su di me. Mi avete predetto il futuro e donato il vostro nome: non c’è alcun debito tra noi e nessun patto è stato infranto. L’equilibrio è rispettato.-

Annuii. Pareva obbedire a leggi tutte sue, Sulpicia, questa donna affascinante. Mi sarebbe piaciuto davvero sapere quali.

-La prossima volta vi unirete a me?-, Proposi ancora una volta.

-No, perché non vi appartengo-, Rispose con grazia.

 

 

Su congedò da me con un inchino, lanciandomi un bacio con due dita.

Renata la fissava furibonda, i denti scoperti. Ricambiai il bacio della Veggente e la guardai uscire dalla Porta dell’Arco, argentea alla luce della luna. Mi concessi il tempo di vederla scomparire, di ripensare a questa bizzarra vicenda che già mi sembrava sfumare come un tempo facevano i sogni al mattino, e presi la decisione di raccontarti questa storia affinché sia tu a ricordarla per me.

Poi concessi attenzione al mio scudo.

-Renata, che c’è? Calmati, dunque. Va tutto bene, e questa reazione è totalmente fuori luogo!-

Lei chinò il capo.

-Chiedo perdono, Signore, ma… Perdonatemi… quella donna: avete avuto commercio con lei? Le avete donato qualcosa, promesso qualcosa?-

Non avevo certo voglia di parlare della vicenda e sicuramente non con Renata. Quindi negai.

-È solo una donna che ha chiesto il permesso di stare qualche giorno a Volterra, l’ha ottenuto, e ora se ne va. Che ti succede, tesoruccio?-

-Perdonate, signore… quella non è una di noi.-

Scoppiai a ridere. –Cosa cerchi di dire? Riesci a spiegarmelo o preferisci che capisca da me quello che intendi?-

-Come desiderate, Signore.-

Sembrava smarrita, così le accarezzai il volto.

La mente di Renata, Sulpicia, presenta figure dai colori vividi stagliate su sfondi cupi. Sentii gli echi delle leggende della sua isola, storie di minuscole fate che a volte scendevano nei villaggi dalle loro dimore di pietra e ballavano con i contadini al suono delle launeddas. Le vidi come le immaginava lei, con la pelle luminosa per rischiararsi la via, vidi le più crudeli tra loro succhiare il sangue dei giovinetti, le vidi fingersi umane. Sentii il turbinio preoccupato dei suoi dubbi: se esistono vampiri e uomini lupo, perché non le fate? Se esistono nella sua isola, perché non in altri luoghi? Se potevano farsi passare per umane, perché non per vampire? Su di loro vi era tanta mitologia quanta ve ne era su di noi, dopotutto: potevano essere tutte fole?

Come aveva identificato la Veggente in una fata? Non lo sapeva, le era venuto istintivo e mi aveva messo in guardia. Aveva ragione? Non lo sapeva, potevano essere sciocchezze e spero che Aro, il mio Signore, non si arrabbi.

Le depositai un bacio leggero a fior di labbra.

-Non mi arrabbio, Renata, ma credo che la tua immaginazione sia troppo fervida. Non temere, tesoruccio. Quella era una vampira, come noi, e adesso se n’è andata.-

Lei annuii, poco convinta. E dico il vero, sono poco convinto anch’io.

 

E così, mia amata, finisce questa storia. Tuttavia avevo promesso di darti qualcosa che tenesse la noia lontana da te, e sarei un ben misero fabulatore se il mio tentativo si esaurisse con l’ultima pagina di questa pergamena.

Dunque voglio che tu la rilegga, e poi ancora e ancora, senza mai neppure posarla, fino ad averne in mente ogni dettaglio. Neanche allora poserai questi fogli: accenderai una candela ed, uno dopo l’altro, li brucerai.

Lo farai perché nessuno sguardo tranne il tuo vi si possa posare sopra, e nessuna mente tranne la tua possa custodire questa mia favola; lo farai perché te lo sto ordinando e saprò di certo se il mio ordine è stato eseguito o meno.

Ridurrai queste carte in cenere, e continuerai a bruciarle fino a scottarti la punta delle tue adorabili, piccole dita.

A questo punto sarai sola nella nostra stanza, e so bene cosa farai: ti chiederai quanta verità è contenuta in questa storia e quanto è mia invenzione; se io abbia semplicemente usato una bella donna venuta a chiedere udienza come spunto per inventare un racconto di fate, vampiri e sangue, se ogni parola sia testimonianza fedele di accadimenti reali, o se le cose siano state mescolate. Se davvero io sia riuscito a resistere alla mia cantante o se abbia ceduto, e con quali conseguenze.

Se io ricordi il mio vero nome, perché sono pronto a scommettere che tu l’hai dimenticato, e magari fino a qualche istante fa eri convinta che ciò non sarebbe mai successo.

So anche che sai che non risponderò a queste domande, lasciandoti come sempre ad interpretare ogni mio più minuscolo gesto, e sai quanto mi divertirò ad affondare nel gorgo i pensieri che la tua mente così splendida sta producendo.

Sulpicia, mia amata, non vedo l’ora!

                                                                                                                                                    Aro

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note finali: alè! Ho iniziato a scriverla quest’estate, ‘sta storia, e finalmente (finalmente?) vede la luce!

Dal momento in cui ho deciso che doveva essere scritta in prima persona, Aro si è impossessato di me. Ha cominciato a flirtare spudoratamente con la tizia (giuro, non l’avevo previsto). Ha scoperto che la sua cantante era una bimbaminkia (tiè!). Si è messo a leggere i libri della Rice e poi ha spoilerato il finale a sua moglie. Cita impunemente i film di Tarantino (“Ho fatto un bingo! Si dice così, ho fatto un bingo?”). Fa orribili giochi di parole. Insomma, come al solito ha fatto tutto ciò che voleva lui. E, se qualcuno si stesse chiedendo se alla fine questa storia è vera o no, beh… non ne ho idea: non me l’ha mica detto!

La mega soddisfazione? Che, nel suo giudizio, storyteller lover ha scritto: in questa storia ci troviamo di fronte ad Aro in persona”.

 

Se qualcuno è riuscito ad arrivare fin qui, lo ringrazio!

E ringrazio tanto:

Luna95: come vedi, nel mio tuailàit-mondo a Volterra i giochetti di parole vanno di moda! Grazie per i complimenti, sei sempre troppo gentile!

Zenobia_vampire: Demetri ed Heidi li si immagina solamente a letto perché, parole di Demetri, “io ci giocherei a Trivial Pursuit con Heidi, è che dopo un po’ mi deconcentro”! L’immagine di Renata che svia Felix col suo potere è…è… oddio! Troppo carini, sì! Ed anch’io adoro Afton e Chelsea. Follemente.

OttoNoveTre: E parliamo degli etruschi con i nomi romani? Io la risolvo cambiandoli tutti. Oltretutto qui, come vedi, cambio il nome pure all’unico che almeno aveva un suono etrusco! E’ che un etrusco di nome Aro, vuoi che non gli faccia avere un passato da aruspice? Me lo vedo troppo col fegato di Piacenza sotto il banco durante le verifiche!

 

 

 

 


   
 
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