8.
La
luna bianca in cielo illuminava il parco pubblico. Sulle altalene Ebe l’attiva
sembrava spogliata da tutte le sue forze.
Un
secondo dopo l’altra altalena venne occupata dal divino Ermes.
“Attiva
Ebe, mia diletta, come mai sei così triste?”
“Ermes,
mio cuore, Zeus, tuo padre, ha cacciato il nostro professore migliore!”
Gli
occhi di Ermes si velarono. L’attiva Ebe si ritrovò tra le braccia di Ermes.
La
notte per Ebe finì cullata dalle parole mormorate da Ermes.
Il
giorno dopo, davanti al divino Zeus c’era la bella Afrodite, intenzionata a
fare una richiesta al padre degli Dei.
“Potente
Zeus! Ti chiedo di salvare almeno il bell’Adone dalle sofferenze che quella
classe sta per passare!”
Zeus
tacque.
“Non
mi par giusto!” intervenne Ares che aveva ascoltato la supplica di Afrodite
“Se salverete Adone voi dovrete salvare anche la forte Talia!”
Zeus
corrugò la fronte, guardando i due dei che gli avevano fatto una richiesta. Una
richiesta inesaudibile per lui poiché quei ragazzi lo avevano oltraggiato fin
troppo.
“No,
io non salverò nessuno di quei Fanciulli! Anzi, manderò da loro il peggior
professore che gli potesse capitare!”
Afrodite
ed Ares si guardarono angustiati.
Gl’ignari
alunni si diressero anche quel giorno nell’aula funesta.
Tranquilli
si sedettero ai propri posti, sconsolati: quell’ora sarebbe dovuta essere di
Deucalione.
Non
s’accorsero di un’alta e pelata personcina davanti alla cattedra.
“Or
dunque siete voi la mia nova classe!” la personcina pronunciò tali parole
attirando l’attenzione della classe.
“Chi
è cotal persona?” Chiese Licurgio innalzandosi.
“Non
t’è detto di far domande, non t’è detto di parlare, non t’è detto di
pronunziarti!” asserì solenne e inviperita la personcina.
La
classe si guardò stranamente, nessuno mai aveva tolto loro il permesso di
esprimersi, cosa sacra per loro.
“Il mio parlar narrare voglio
Non esser bloccata da cotal bruto
che altri non è che un sostituto
il quale agisce mosso dall'odio,
non si può fermare il nostro gaudio
nel proferire il nostro sapere ribattuto.” L’erudita
Cosmia si era alzata in piedi e dopo aver recitato tali versi guardò la
personcina in modo avverso.
La
personacina iniziò a sogghignare malignamente: “Ebbene abbiamo una poetessa
in classe! Strano che gli dei non ti abbiano tolto questa dote…”
Il
saggio Eurito guardò Cosmia, che si era attirata le ire della personcina, mai
avrebbe detto che la libertà di parola costasse tanto a Cosmia!
“E
Così, la Belva è stupida e non sa quando bisogna stare zitti” proseguì la
personcina in modo malvagio.
A
tal proposito, dopo che ebbe visto che nessuno prendeva parola per difender la
compagna, il bell’Adone s’alzò e parlò: “Il professore non dovrebbe
essere maligno con gl’alunni! Tantomeno se non ha pelle licia come la mia, se
non ha occhi vivi come i miei, capelli lucidi e morbidi come lo sono i miei…
La belva dovreste essere voi, anzi peggio una bestia!”
Gli
occhi della personcina si infiammarono e puntarono direttamente contro Adone. La
personcina iniziò a modificare lentamente il suo aspetto mentre si avvicinava
furioso ad Adone.
Dalla
testa spuntaron fuori due paia di corna fiammeggianti, la lingua divenne
biforcuta e i piedi si ingrandirono smisuratamente. Cotale creatura si stava per
avventare contro Adone, quando un colpo alla nuca secco e deciso fece perdere
conoscenza alla creatura.
La
creatura svenne e cadde sul pavimento dell’aula, rivelando dietro di essa
Cosmia con in mano un pezzo di legno, proveniente dalla sedia rotta della
classe.
Subito
Adone e Cosmia si adoperarono per legare la creatura, che stava ritornando ad
essere la personcina.
Gl’alunni
inizialmente sbigottiti si ripresero e aiutaron i due compagni coraggiosi.