-Un
concerto?-
-Sì
sì. Al Circolo Degli Artisti. Che ne pensi?- chiese
Virginia.
Il
venerdì era dedicato esclusivamente a loro due. Si trovavano
sempre da lei, a
ingozzarsi di Nutella e Pan Di Stelle davanti alla tv o riducendo casa
nel caos
totale.
Questa
volta però dovettero optare per casa di Daphne, e il motivo
lo si poteva
immaginare. Almeno riuscì a farsi promettere di non essere
spiata.
-Chi
suona?-
-Non
ricordo bene… Però sono piuttosto famosi. Allora,
ci andiamo?-
-Perché
no…?- cercò di fare un sorriso –Un
po’ di musica dal vivo mi farà bene… Li
prendi tu i biglietti? Quanto ti devo?-
Quello
che Daphne non sapeva era che Deneuve era un grandissimo bugiardo.
Oh,
quanto cose non sapeva di lui!
Tanto
per cominciare, lui non si chiamava affatto Deneuve. Era un nome
fittizio, uno
dei tanti. Tra gli altri, si era spacciato per Ryuzaki, Erald Coil, e
L.
L
era un nome ancora poco conosciuto dalle parti di Daphne.
Il
che era strano, in quanto L rappresentava la più grande
mente investigativa dell’intero
pianeta. La sua brillante carriera contava casi difficilissimi, tutti
risolti
nel giro di tempi record. Una sorta di Sherlock Holmes, e il Watson
della
situazione era nientemeno che Watari. Anche Watari era un nome falso,
che
nascondeva l’identità di Quillsh Wammy, inventore
di fama mondiale, fondatore
di orfanotrofi che ospitava ragazzini superdotati.
L
però era simile a Holmes solo nella professione e nelle
stranezze. Non usava
pipe, anzi, non fumava proprio, non suonava nessun strumento e non
aveva una
vita sociale degna di tale nome.
Nessuno
sapeva che faccia avesse L, nessuno sapeva nulla circa le sue origini,
né
quanti anni avesse, né quanto fosse alto.
Daphne
era una delle poche che avrebbe potuto descriverlo fisicamente, e mai
avrebbe
detto che quel giovanotto di circa vent’anni fosse una delle
menti più
brillanti viste negli ultimi tempi.
Le
stranezze di L, inoltre, erano davvero singolari e molte. A cominciare
dal
cibo: dolci. In ogni momento e su qualunque cosa. Ogni tanto la frutta,
ornata
comunque da qualcosa di dolce. senza ingrassare nemmeno un
po’. Il cervello, si
sa, ha bisogno di zuccheri per lavorare correttamente, ma era
impossibile
pensare che quel ragazzo bruciasse tutte quelle calorie senza fare un
minimo di
attività fisica. E infatti praticava uno sport esotico,
giusto per
soddisfazione personale e autodifesa. Uno stile di lotta: la capoeira,
un arte
marziale di origini brasiliane. Uno come lui, che aveva visto
praticamente
tutto il mondo, era in grado di assimilare velocemente le diverse
culture, e
poi era dotato di una spiccata curiosità.
Altra
stranezza: il modo di sedersi. Come se fosse un bambino. Ginocchia
poggiate
sotto il mento, piedi costantemente nudi e quando indossava le scarpe
non le
allacciava e non portava le calze.
Il
vestiario: sempre uguale. Senso della moda pari a zero, si accontentava
di una
maglietta bianca senza scritte a maniche lunghe o tre quarti, jeans
larghi e
che gli andavano sotto i piedi. Neanche una cintura, così
che i boxer
sporgevano sempre un po’, ma la maglietta,
anch’essa lunga, copriva tale
particolare.
L’igiene:
L era ossessionato dalla pulizia. Faceva il bagno di frequente, anche
più di
una volta al dì, usando ogni tipo di sapone. Toccava le cose
sempre come se
fossero sporche, con la punta delle dita, e a costo di farsela sotto
non andava
mai nei bagni pubblici. Se aveva un contatto con qualcuno, a seconda
del suo
umore decideva se pulirsi subito dopo. Faceva passare
l’aspirapolvere molto
spesso, così che potesse passeggiare tranquillamente a piedi
nudi.
L’ultima
stranezza, ma non meno importante, era il carattere, condizionato per
la
maggior parte dalle cose sopra citate. Era un tipo estremamente
diffidente,
taciturno, privo di ogni interesse verso il mondo esterno se non per i
casi che
gli venivano affidati. Era molto capriccioso, difatti accettava solo
casi che
gli suscitassero interesse, e non sotto il milione di dollari.
Nonostante
questo, però, non era affatto taccagno, anzi: era pronto a
spendersi tutto per
le cose più stupide. Ed era anche parecchio bugiardo, in
parte dovuto alla sua
professione. Infine, era molto infantile, detestava dal profondo
perdere e
arrivava a fare di tutto per ottenere ciò che voleva.
Come
mettere delle telecamere in casa di Daphne per sapere cosa faceva e
quali
programmi avesse. Aveva promesso che non avrebbe ascoltato, ma
mentì
spudoratamente. Venne a sapere del concerto. Ed ebbe una delle tante
idee di
cui Daphne era tenuta all’oscuro se non all’ultimo.
Non
sapeva bene come reagire quando lo trovò davanti ai cancelli
con tanto di
biglietto in mano. Lui invece fu tranquillissimo.
-Buonasera,
Daphne, che coincidenza incontrarti anche qui-
-Ma…
Ma…-
Virginia,
incuriosita dalla situazione, fece un sorriso di circostanza e
tentò di rompere
il ghiaccio –E’ un tuo amico? È davvero
piccolo il mondo!- porse la mano –Io
sono Virginia, molto piacere… Ehm…-
-Deneuve.
Il piacere è tutto mio, Virginia. Ti conosco di fama-
strinse la mano, un
leggero tocco, per poi lasciarla subito.
-Davvero?-
fece una risatina –Non ti ho mai visto da queste parti. Sei
nuovo? O sei venuto
apposta per il concerto?-
-Sono
qui sia per lavoro che per piacere. Appena avrò risolto,
purtroppo, dovrò
ripartire. Andare ai concerti è una delle tante cose che
faccio per svagarmi.
Poi la band che suona stasera mi piace parecchio-
Bugiardo
infame!
E
purtroppo Daphne non poté ribattere più di tanto,
visto che il ragazzo sapeva
tutte le canzoni a memoria e sembrava saperla lunga sul gruppo in
questione.
Merda, si era preparato proprio tutto.
Ma
appena ne ebbe l’occasione, grazie anche alla grande
quantità di gente, gli
lanciò una frecciatina. Ma come al solito Deneuve (o L che
dir si voglia) fu
calmo e con la battuta pronta.
-E’
mio dovere tenerti d’occhio, che ti piaccia o no. Fai finta
che ci siamo dei
buoni conoscenti, ti chiedo solo questo. Vedrai che tra poco non mi
vedi più.
dipende da te: più collabori, prima me ne vado da questo
paese-