Fermatevi, fermatevi.
Non
lasciatemi
indietro…
Te
ne stai adagiata sul sedile
di quel treno delle cinque, gli occhi chiusi e la guancia premuta
stancamente
sul vetro offuscato del vagone. Hai il fiato grosso, le palpebre
pesanti. Il
paesaggio squallido dei bassifondi sfreccia davanti ai tuoi occhi,
mandando
lampi brevi ed improvvisi, mentre le sagome sembrano fondersi e
inseguirsi in
un’unica confusa tonalità senza contorni.
Il
vagone è freddo e
silenzioso, le maniglie per i passeggeri ondeggiano solitarie e
abbandonate
seguendo il ritmo ripetitivo che accompagna il treno sulle sue
sferraglianti
rotaie.
Non
sei mai riuscita ad
abituarti ad una quiete così greve; la tua vita non
è mai stata silenziosa,
neppure quando ti chiudevi da sola nella tua stanza e guardavi
affascinata la
neve che cadeva fuori dalla finestra. Neppure allora le voci sussurrate
avevano
mai taciuto; non hanno mai smesso di rimbombare cristalline in un
angolo della
tua testa, riempiendoti le orecchie di una piacevole melodia argentina.
Perché
ora sembrano tutte
ammutolite?
Riempie
anche me
di un’immensa tristezza.
«
Mamma…?» la voce tremante di
tua figlia ti risveglia un istante dal sonno
leggero in cui sei caduta. Ti volti lentamente verso di lei, battendo
faticosamente le ciglia; se ne sta rannicchiata sul sedile, facendosi
piccola
piccola nel vestitino color pastello che tu stessa le hai cucito. Ha
intrecciato le dita alle tue, ma senti appena il calore della sua mano
contro
la tua pelle fredda; ed il profilo del suo volto diventa sempre
più difficile
da distinguere, ogni volta che, con sempre maggiore
difficoltà, chiudi e riapri
gli occhi.
«
Mamma, non stai bene?»
domanda, le sopracciglia sottili corrugate sui suoi grandi occhi verdi.
Le
sorridi, allungando una mano per carezzarle i capelli:
«
La mamma sta bene, amore
mio.» cerchi di rassicurarla, anche se la voce che ti risale per la gola
assomiglia ad un rantolo soffocato.
Lei annuisce con poca convinzione e si accosta maggiormente a te,
poggiando la
guancia sulla tua spalla; senti il suo respiro regolare affiancarsi al
tuo che
sta diventando discontinuo. Vorresti poterle offrire qualcosa di
più
rassicurante di questa tua febbre persistente, ma quando provi a
tirarti a
sedere ti rendi conto di non averne più le forze. Chiudi gli
occhi, limitandoti
a stringere forte la mano di Aerith nella tua.
«
Vedrai, piccola mia, solo un
altro po’ di pazienza.» bisbigli, sicura che le tue
parole sussurrate la
raggiungeranno anche se lo sferragliare del treno è
più forte « Torniamo a
casa, okay? Torniamo nella casa di mamma e papà,
lassù sulle montagne…» Prendi
fiato, deglutendo. « Torneremo a casa e nessuno ci
disturberà più, mio piccolo
tesoro. Saremo al sicuro, vedrai, amore mio. Solo un po’ di
pazienza.»
Lei
mugola qualcosa, anche se
la sua mano ha iniziato a tremare.
Adorati
fratelli
e sorelle, vi prego.
Vi
prego,
aiutatemi.
Vorresti
poterle raccontare
una favola, una leggenda del tuo popolo, così che lei possa
sgranare gli occhi
e fissarti a bocca aperta, rapita, senza più bisogno di
pensare a nient’altro.
Vi
prego, non
lasciateci sole.
Vorresti
prenderla tra le
braccia e cullarla, sussurrandole una ninna nanna cetra fino a farla
addormentare, come facevi quando era ancora appena nata. Come quando la
tenevi
stretta, su quella vecchia sedia a dondolo, davanti al caminetto
acceso. Come
quando suo padre le carezzava la fronte, riscaldando entrambe nel suo
abbraccio
che aveva la capacità di annullare il gelo portato
dall’inverno.
Ma
la voce di tuo marito che
ti ha sempre sostenuta fino ad oggi, ora ti ha in qualche modo
abbandonata.
Tutto questo silenzio ti opprime, ti fa sentire persa; e di colpo ti
accorgi di
non ricordare più nessuna melodia cetra, nessun testo,
nessuna ballata. In
quella fredda solitudine, tutte le canzoni che tua madre ti ha
insegnato si
trasformarono in fumo, assieme a tutte le storie fantastiche che
generazioni e
generazioni di donne Cetra si sono tramandate per millenni. Si
frantumano,
lasciando che la tua mente si sgomberi, mandandoti nel panico.
Gast,
amore
mio, dove sei ora?
Senza
di te non
riesco ad andare avanti.
Aerith
è una bambina
coraggiosa. Non si lamenta mai, trattiene le lacrime anche quando il
volto le
si colora di paura. Ti ha seguita lungo le scale infinite che vi hanno
condotte
fuori dal Palazzo ShinRa, la notte fatidica in cui avete deciso di
fuggire.
Avete sceso quei sessanta piani contando i gradini, a piedi nudi,
terrorizzate
che il semplice rumore dei vostri respiri potesse tradirvi; mentre tu
lasciavi
scorrere la mano sulla ringhiera, la mano che stringeva forte la
maniglia della
valigia in cui in fretta e furia avete stipato le vostre poche cose,
Aerith ti
ha seguita di corsa, sfiorando con le mani le ampie anse della tua
gonna rossa.
Ricordi
ancora l’entusiasmo
che vi ha rinfrancate quando, aprendo la porta, vi siete accorte di
essere
finalmente fuori.
In
quel momento hai pensato
che forse avresti potuto farcela; a Midgar il sussurro degli Antichi
non
riusciva a raggiungerti, ma se fossi riuscita a lasciare quella
città
maledetta, forse allora le loro voci ti avrebbero accolta di nuovo.
Potevi
farcela. Dovevi resistere solo qualche altro giorno.
La
voce del
Pianeta è l’anima stessa di un Cetra.
Senza
quei sussurri,
un Cetra non può continuare a vivere.
Quando
il Pianeta ha smesso di
parlarti, il giorno stesso in cui hai varcato le porte del palazzo
ShinRa, hai
urlato e pianto di disperazione fino a farti mancare il fiato nei
polmoni. Ma
da quando sei scappata, il Pianeta non ti ha ancora rivolto la parola.
Gli
occhi hanno iniziato a
lacrimarti incessantemente dalla notte che avete passato in quel vicolo
freddo
del Settore 8, abbracciate per riscaldarvi a vicenda.
Dev’essere così… Devi esserti
ammalata durante quella notte,
poggiata al muro di cemento, quando ti sei accostata alle condotte del
Mako nel
tentativo di trarre conforto dai sussurri del Pianeta.
E
da quella notte che hai
iniziato a spegnerti.
Dei
deboli zampilli verdi
fuoriuscivano da una crepa nel tubo arrugginito, ogni tanto, evaporando
senza
un suono dopo meno di un istante. Hai osservato quelle gocce tristi per
ore,
con la tempia premuta sulla parete grigia, in un’attesa
speranzosa ed
instancabile; ma quando hai chiuso gli occhi ormai inumiditi dallo
sconforto ed
appesantiti dalla stanchezza, con Aerith che già dormiva
aggrappata al tuo
abbraccio, il Flusso Vitale non ti aveva ancora concesso una sola
parola di
incoraggiamento.
Mio
adorato
Pianeta, perché mi hai abbandonata?
Desidero
solo
poterti sentire ancora una volta.
Quando
riprendi coscienza, ti
accorgi di non essere più sul treno. La superficie sotto di
te è spigolosa e
ghiacciata, sembrano quasi dei gradini. Aerith è al tuo
fianco e le rivolgi un
sorriso stanco; all’inizio non comprendi il motivo per cui
sia così agitata, o
perché i suoi occhi siano colmi di lacrime.
«
Piccola mia, non piangere…»
cerchi di dirglielo. Aerith è così coraggiosa.
Lei non piange neanche quando ha
paura.
La
sua bocca si muove
disperatamente, ma non riesci a percepire alcun suono.
E
poi di colpo accade, in
maniera definitiva.
Senti
qualcosa spezzarsi
dentro di te, lentamente; con le labbra dischiuse, senza poter fare
nulla,
senti la conoscenza degli Antichi scivolare via fra le tue dita,
disperdendosi.
Di colpo la tua mente è vuota, la tua memoria sembra un
rotolo di carta bianca
inviolata. Ti senti afferrare da una nostalgia e da una tristezza
feroce, ma
non hai fiato per urlare.
Eri
l’ultima su questa terra a
conservare quel sapere, come un tesoro racchiuso in uno scrigno che
solo tu
potevi aprire, sepolto negli angoli più reconditi della tua
mente. Ma come un
cuore non può battere senza che venga irrorato dal sangue,
la tua sapienza Cetra
non può perdurare se il Pianeta smette di
accompagnarti.
Guardi
Aerith, che continua a
piangere, in silenzio: ormai non ricordi più nulla
dell’eredità degli Antichi.
Non hai fatto in tempo a trasmettergliela.
Povera,
piccola
mia.
Mi
dispiace così
tanto.
Percepisci
dei movimenti,
Aerith che non riesce a stare ferma, la sua bocca spalancata in urla
che non
riesci a sentire; una donna dai lineamenti gentili ti si avvicina, una
strana
preoccupazione dipinta negli occhi incorniciati da fitte ragnatele di
rughe.
«
Ti prego…» bisbigli d’un
tratto, volgendoti a lei «…porta Aerith al
sicuro.»
Ogni
suono diventa
inconsistente. Anche il fischio del treno che parte alle tue spalle si
smorza e
ti lascia nel più assoluto silenzio. Neppure ti sei accorta
della pioggia che
picchietta e inzuppa il vestito porpora che ti ha regalato tuo marito,
il
giorno in cui nacque vostra figlia: anche il tamburellare delle gocce
si è
fatto lontano.
Ed
è a quel punto che lo
senti, mentre fissi la piastra grigia del Settore 7.
E’
un balbettio sofferente,
una richiesta di aiuto, un pianto angoscioso e straziante che ti
riempie di
dolore. Riesci a percepire appena i lamenti disperati di una creatura
che
lentamente si arrende ad una morte pigra e amara. Le lacrime del Pianeta si confondono alle tue, e
non sai dire se il
tuo pianto sia di felicità o meno.
Prima di accoglierti
nelle sue
braccia di smeraldo, il Pianeta ha cercato di parlarti. Ma le sue
parole erano
solo i gemiti ossessivi che precedono una morte sofferta.
Gli
uomini ti
stanno uccidendo.
Questa
città
soffoca le tue grida e ti prosciuga fino a lasciarti agonizzante.
Cosa
sta
succedendo al mondo?
Di
nuovo sola, continui a
fissare il cielo fatto di metallo e cemento. Delle luminose lampadine
di neon
mandano i loro lampi intensi, sparse sulla superficie fredda della
piastra come
tanti astri scintillanti.
Eppure,
Ifalna, quanto sembra
triste questo cielo.
Le stelle non sono mai state così silenziose.
Assieme
alla deathflash di Zack, questa
è stata la
morte che fino ad ora mi ha commossa di più, mentre
scrivevo. In fin dei conti
chi era Ifalna? Era l’ultima vera
Cetra, l’unica donna sul Pianeta che ancora conservasse la
tradizione di quel
popolo antico e misterioso. Certa gente si sarebbe letteralmente ammazzata per poterle parlare, anche per
il semplice fatto che potesse leggere la lingua Cetra. Era una fonte di
conoscenza inesauribile, un patrimonio
dell’umanità, potremmo dire.
Eppure,
gli uomini l’hanno
lasciata morire così, sui gradini squallidi di una stazione
nei bassifondi,
permettendo che gran parte delle sue conoscenze svanissero con lei. Non
è
tremendamente triste?
OST di questa flash è la track “The Flow of Life”. Un motivetto semplicissimo che si ripete all’infinito assieme a qualche percussione e un paio di tintinnii che ricordano molto il Flusso Vitale. E mi rattrista in maniera incredibile.
Scritta nel 2008, ad Agosto, fa parte di D.e.c.e.a.s.e, una raccolta di flash dedicate ai personaggi deceduti durante e prima Final Fantasy VII.