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Autore: trullitrulli    23/01/2010    2 recensioni
Raccontato dagli occhi della protagonista, Psyche, la mortale che ardì d'essere bella come Afrodite e di cui Eros osò innamorarsi.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Eros e Psyche


La mia gioia raggiante durò molto a lungo. Era una gioia che mi scaldava dentro come il sole mi scaldava la pelle. Sentivo una grande frenesia di vivere e di cantare all’Amore e volteggiare danzando per tutto il bosco, ma ero chiusa in una casa vuota dove non vedevo mai nessuno e non parlavo mai con nessuno, sebbene il mio sposo mi lasciasse tante consolazioni materiali e doni d’oro. 
Ogni volta che veniva c’era un oggetto nuovo, alcuni sembravano di provenienza assai remota, e avevano i colori e il profumo dell’Oriente. 
Non ero mai stata abituata a vivere lussuosamente e, seppur fossi grata di tutto, me ne disinteressavo completamente. Dopo tutto quel tempo conobbi ormai a memoria ogni corridoio e avrei saputo descrivere con precisione millimetrica ogni statua o mosaico o ampio soffitto decorato.
“Che assurdità” pensavo “proprio quando la vita mi si apre davanti vengo chiusa qui dentro, e queste ricchezze per me non sono nulla…non sono buone conversatrici, ne mi consolano per l'assenza del mio amato più di quanto facciano le voci aree...”
Una notte il mio sposo venne a trovarmi e, come tante volte aveva fatto già prima di quella, abbandonò pesantemente il suo carico sferragliante ai suoi piedi e mi si avvicinò.
Io balzai su dal letto e a tentoni, con le mani tese, lo cercai nella stanza buia.
Il mio amore si divertì a sfuggirmi costringendomi a seguire le sue risatine scherzose.
Alla fine mi acchiappò lui.
Prima di andarsene, quando l’alba ormai si avvicinava in punta di piedi schiarendo le montagne ad Oriente e tingendo le nuvole di un rosa soffuso, mi disse molto seriamente
-Anima mia, ascoltami attentamente- mi prese il viso in una mano vedendo che mi si chiudevano gli occhi dal sonno –un orribile destino minaccia la tua vita. Le tue sorelle non credono alla notizia che tu sia morta e tuttavia temono di sbagliarsi, perciò ti stanno cercando e ben presto arriveranno anche alla rupe da dove sei giunta tu. Se mai sentirai i loro pianti giungerti attraverso il vento del buon Zefiro tu non rispondere. Anzi, non preoccuparti affatto di vederle. Se mi disobbedirai per me sarà un grande dolore e per te la rovina-
Il sonno sparì dai miei occhi, li spalancai per lo stupore e il dispiacere, guardandolo come una bambina che ha appena ricevuto uno schiaffo e non sa nemmeno lei per quale ragione.
-No! Permettimi di vederle, ti prego! Non può far nulla, non cambierà niente se arrivano qui. Che rovina potrebbero essere per me le mie sorelle?!-
-No Psiche, adesso dormi-
L’alba cominciava ad illuminare ogni cosa. Mio marito si staccò velocemente da me. Io feci appena in tempo a vedere la sua ombra che si proiettava sul pavimento contro la luce del sole che era già sparito dalle mie braccia.
Trascorsi il giorno tra lo scoramento, mentre le voci attorno a me, in ogni momento di maggior sconforto, mi sussurravano attorno ripetendo che ogni cosa era fatta per il mio bene.
Per tutto il pomeriggio continuai a ripetermi che ora veramente mi sentivo finita, affondando in un abisso sempre più profondo e buio di malinconia.
Piansi e mi lamentai; non potevo neanche confortare le mie sorelle, anzi, non potevo neppure vederle. Le mie sorelle! Le mie amate sorelle.
Tra gli strascichi sgualciti del peplo mi trascinai verso la mia stanza, sbattei la porta e strillai alle voci di stare zitte.
Mi gettai sul letto tra i cuscini. Oh mi sentivo davvero finita e seppellita dentro quel palazzo! Volevo uscirne! Non avrei potuto rimanere là senza anima viva, io non ero una bestia tenuta in gabbia per il divertimento di nessuno! Perché forse era questo che il mio sposo voleva da me!
Scacciai quel pensiero e scoppiai in lacrime nuovamente, ma per il rimorso: che il mio sposo mi amasse non c’era nessun dubbio, e il mio cuore si stava stringendo di più per essermi permessa di pensare una cosa simile di lui.
Ma se lui era divino, io ero umana, mortale, limitata, e non avevo bisogno solo di me stessa e di lui, ma anche della mia famiglia, delle mie sorelle.
Mi addormentai e venni svegliata a notte fatta dal mio amato. Da come mi rimproverò capii che doveva avere una faccia molto scura e delusa.
-Psyche, non ostinarti, non è possibile che tu pianga così. Non ti basta già tutto quello che hai? Vuoi davvero non rivedermi più solo perché hai voluto vedere le tue sorelle?-
Diedi una scossa alla testa per dire no.
-Vorrei morire mille volte piuttosto che questo! Ma capisci che per me tutto quello che c’è in questa casa non è importante. Non è nemmeno mio. E quindi non ho nulla! A parte te. Permettimi di vederle- supplicai ed esagerando per convincerlo lo minacciai con voce scorata che sarei morta se non mi avesse accontentato.
-Allora fa il tuo male, Psyche, ti ricorderai del mio serio avvertimento solo quando sarà tardi!- si arrese torvo.
-Se fossi un mortale capiresti ciò che ti lega ai parenti, amore- dissi piano e con dolcezza, come quando si accarezza un gatto.
-Sei tu che a causa della tua semplicità e del tuo buon cuore sei affezionata a loro e ai tuoi genitori, ma bada che dovrai pentirti di questa tua gentilezza. Loro non lo farebbero per te-
-Non dire sciocchezze!-
Con mille scuse e parole amorevoli lo supplicai di perdonarmi questo dolore e gli assicurai che non sarebbe successo nulla.
-Ci saranno pessime conseguenze- disse affatto convinto.
Alcuni giorni dopo, come previsto, mi arrivarono alle orecchie i pianti delle mie sorelle: si erano gettare sul bordo della rupe e piangevano e si battevano il petto e invocavano gli dei di aiutarmi ovunque io fossi.
Ero talmente commossa che mi sembrò di avere un grande cuore, tanto da poter dare amore a tutto il mondo, e volli riversarlo tutto sulle mie amate sorelle.
Tutto si sarebbero aspettate tranne che alle loro invocazioni per la sorella Psyche qualcuno rispondesse –eccomi!-
Stupite e ancora in lacrime, si guardarono intorno.
-Sentite anche voi che sono viva e che vi sto rispondendo. Perciò non piangete come se fossi morta-
-Dove sei?- rispose la mia sorella più grande asciugandosi gli occhi con i veli.
-Voi non riuscite a vedere il palazzo, agli occhi degli uomini si confonde con la collina sotto questa rupe, ma tra poco ci riabbracceremo, forza asciugatevi le lacrime-
L’altra mia sorella strillò quando il vento forte la spinse verso la rupe e la sollevò come con me molto tempo fa.
-È Zefiro, non siate allarmate-
Le fece volteggiare verso quella discesa che finiva nella collina verde coperta di un letto di fiori.
Ordinai alla casa –Fatti vedere dagli altri mortali!- e questa apparì come il palazzo d’oro che era.
Le mie sorelle rimasero con la bocca aperta ancor più a vedermi venirle in contro che all’apparizione del palazzo.
-Scusate se Zefiro è stato un po’ brusco, di solito è un vento gentile e caldo nei giorni di primavera, è un buon dio- dissi affrettando il passo.
Abbracciai la prima sorella, rimasta impietrita ed in lacrime, ma la seconda mi restituì l’abbraccio saltellando sul posto.
Mi feci seguire dalle due, tutte eccitate da quelle ricchezze che avevano davanti ai loro occhi.
La prima delle mie sorelle era educata, manierosa e sempre composta, matura e piena di tatto fin dall’infanzia, ma a volte si avvertiva in lei una certa secchezza.
L’altra invece aveva un carattere ridanciano e allegro, piuttosto frivolo, ma chi non ne conosceva i difetti, come la vanità, poteva dire di lei che era solo un'innocua farfalla che rallegrava il mondo.
-Questa è casa mia- dissi timidamente –potrete tornare quando vorrete, mi alleviereste solo molta solitudine- sorrisi brillando di gioia, e così dicendo le accompagnai per tutto il palazzo.
Non si stancavano mai di meravigliarsi di tutto: feci risuonare le voci alle loro orecchie, le ristorai con un bagno delizioso e con una mensa degna di tre dee.
Ma quando si furono saziate di quella abbondanza, non mi accorsi che cominciarono segretamente a covare un senso di invidia.
Ma era come se nella mia anima fosse in corso una festa e si elevassero canti.
Da allora mi domandarono tutto con un tono meno entusiastico ed estasiato.
Mi chiesero di mio marito, ma io fui ben attenta a non farmi sfuggire proprio nulla, e come avrei potuto!, non l’avevo mai visto!
Dissi che era un bellissimo giovane, che di solito era occupato a cacciare. Per timore di lasciarmi sfuggire qualcosa le mandai via troppo in fretta, forse con l’aria un po’ troppo evidente di aver qualcosa da nasconderle, e per farmi perdonare le ricolmai di regali d’oro. 
Le affidai a Zefiro, invitandole a tornare al più presto, ma non risposero al saluto.

 

 
-Come stanno i nostri genitori?- chiesi con la voce piena di riguardo, perché mi dispiaceva che fino ad allora non avessero saputo che ero viva.
Eravamo in un salottino, sedute a chiacchierare.
Gli occhi della seconda sorella cadevano continuamente su una statua di marmo di Zeus che teneva in mano, come per scagliarlo, un fulmine d’oro.
Non potevo certo sapere che nemmeno loro avevano fatto sapere nulla di me ai nostri genitori.
-Oh davvero meglio, gli ha fatto tanto piacere sapere che sei viva. Come piangevano di gioia! D’altronde chi ti conosce non può volerti che bene- disse la maggiore.
-Sono stati in uno stato pietoso da quando ti hanno abbandonata sulla rupe. Di cent’anni più vecchi! Ringraziamo gli dei che non siano morti di crepacuore- trillò l’altra.
-Sono contenta- risposi.
-Però- la maggiore prese un gran respiro come per prendere coraggio ed introdurre un argomento triste –quando ci hanno chiesto di tuo marito non abbiamo potuto raccontargli molto-
Sentì un brivido freddo tra i capelli e a stento mi trattenni per non mostrare la mia paura improvvisa.
Presi a raccontare, sciogliendomi man mano che sciorinavo un'altra storiella, completamente diversa dalla prima, che nella mia semplicità avevo dimenticato: mio marito era un ricco mercante, di mezza età, già un po’ brizzolato, ed era piuttosto impegnato in viaggi, per cui non lo vedevo spesso.
Le ringraziai, ma le mandai via di fretta, sempre piene di regali d’oro, e con l’aiuto del solito vento risalirono la rupe e tornarono alle loro case.

 

 
Un giorno le vidi scendere dalla parete di roccia vertiginosamente verticale per trovarle in lacrime.
-Psyche!- mi abbracciarono, angosciate come se mi fossi appena salvata per miracolo da un pericolo mortale –Psiche! Noi già avevamo capito da un pezzo quello che stavi passando, ma temevamo di dirtelo per non guastare la tua felicità! Ci dava tanta gioia vederti allegra e serena come non eri mai stata!-
Confusa e atterrita, mi allontanai dai loro abbracci, invitandole con più calma possibile a entrare.
Loro mi camminavano dietro continuando a spremersi a forza le lacrime dagli occhi.
Le feci accomodare su due seggiole.
A quanto pare ero minacciata da qualche cosa. Lo sapevano loro, ma non lo sapevo io!
Angosciata chiesi loro di spiegarmi che sventura mi stesse puntando il dito contro, pronta a colpirmi.
-Avevamo già capito, noi- ripeté la seconda –lo sapevamo dalle storie sconnesse che raccontavi su tuo marito, un uomo prima giovane, appena uscito dall’adolescenza, come dicevi, che poi in una seconda versione è invecchiato velocemente fino ad essere già brizzolato!...Oh no, non essere dispiaciuta, o spaventata, non ti portiamo rancore, sorella-
Tirai un sospiro, le spalle mi si rilassarono sentendo che le veniva sollevato di dosso quel fardello.
-Sapevamo che i casi erano due- continuò la maggiore –Il primo era che tu fossi una bugiarda che si inventava una storia sull’altra. Ma non abbiamo neppure pensato di accusarti di questo, perché conosciamo, come sorelle, la tua bontà- le scoppiò un singhiozzò in mezzo al discorso in modo un po’ teatrale.
-L’unica ragione rimasta per spiegare le tue bugie era che non avessi mai visto il volto di tuo marito, è così?-
Io chinai il capo annuendo.
-È vero- mormorai –ma, non ha mai voluto!- mi difesi.
-Lo immaginavamo- continuò con ansia- e abbiamo scoperto perché. Ti ha colpito un orribile sciagura! La verità è che fai l’amore con un orribile mostro!-
In silenzio, allibita, con gli occhi un po’ più grandi dallo stupore, le fissai con molta paura.
Le sorelle allora videro il varco aperto nel mio animo, e ne approfittarono per insinuarmi dentro ancora più a fondo il terribile dubbio.
Mentre parlavano mi dimenticai a poco a poco di tutte le promesse fatte al mio sposo e dell’amore che provavo per lui, accantonato subito in un angolo dal terrore.
-È un serpente terribile, con la gola spalancata che cola di veleno mortale, e che si avvolge in cento spire, ma che al tuo tocco ha le sembianze di un uomo- disse la prima -Ricordati ciò che aveva predetto l’oracolo: che eri destinata ad un mostro crudele! Molte persone hanno detto di averlo visto aggirarsi in cerca di creature da divorare; animali, uomini, bambini. Altre ci hanno raccontato di averlo visto fare il bagno nel fiume qui vicino!-
-Vieni a vivere con noi, senza pericolo- la interruppe la seconda –non restare in questo deserto, tutte le notti in compagnia di quel drago velenoso!-
-Sorelle, io non so che dire, ma siete proprio sicure!? Non pensate che quella gente abbia mentito? Che questa storia sia solo una favola che è stata raccontata loro da bambini? Io..io amavo sinceramente mio marito…-
-Dovrà ben conoscere l’arte dell’inganno quel serpente!- disse la seconda con una voce che sembrava piena d’odio –non è una storia! Perché altrimenti non farsi vedere e non volere che tu esca? Non ci sono pericoli o bestie feroci in giro, tranne lui-
Mio marito diceva sempre che ero semplice, tenera ed ingenua nel mio animo, e forse era fin troppo vera e grave questa mia ingenuità.
Che stupida che ero stata!
Un mostro, era! Un serpente, che con la sua voce incantatrice mi aveva cantato tante belle cose, a cui, senza dubbi, io avevo sempre creduto.
Ormai ero completamente convinta.
-Cosa devo fare?- le supplicai. La mia testa era una tempesta di panico, vergogna e voglia di piangere.
-Ci abbiamo pensato a lungo- disse la prima – e siamo arrivate a questa soluzione…-
Si alzò dalla sedia, si avvicinò, mi prese per le spalle, in atto di grande serietà, e facendomi coraggio disse:- Nascondi sotto il letto un rasoio- affilò lo sguardo per controllare se esitassi al pensiero di ucciderlo, ed esitai -…no, non essere impaurita, non è un assassinio a sangue freddo come pensi tu, che sei tanto dolce e non faresti male neppure ad una zanzara, se ti infastidisse- mi carezzò la guancia – è solo difesa, legittima difesa-
Diedi una scossa alla testa per dire di si: stavo per scoppiare a piangere senza freni.
-Lasciami finire- disse riafferrandomi a due mani –poi devi mettere una lucerna piena d’olio in un contenitore ben chiuso, in modo che la luce non si veda. Dopo che ogni cosa sarà pronta aspetta che quello si sia trascinato sul letto, muovendosi sulle sue spire, come fa sempre, ed aspetta ancora, fino a che non si sarà profondamente addormentato. Poi muovendoti piano, tira fuori il rasoio e con l’aiuto della luce della lucerna, che rivelerà l’inganno tenuto sempre nascosto dal buio, prendi la mira per colpirlo tra capo e collo-

 

Era buio nella stanza, aprii la porta producendo un lieve cigolio.
Mi insultai mentalmente mentre introducevo il corpo nel poco spazio della porta aperta e tastai intorno per cercare la sponda del letto.
Sentivo un respiro pesante, un po’ roco, segno che il mio sposo, non trovandomi, si era addormentato attendendomi.
Sempre a tentoni, cercai nel buio ancora più impenetrabile che c’era sotto il letto, tra le lenzuola cadute per terra, il rasoio e la scatola con dentro la lucerna.
In ginocchio, le tirai fuori cercando, nelle tenebre, di non affettarmi la mano da sola con la lama affilatissima.
Molto cautamente aprii il coperchio della scatola con dentro la lucerna accesa, e subito un fascio di luce tremolante apparì sul muro e sul pavimento alle mie spalle, con la mia ombra stagliata contro.
Potei impugnare meglio il rasoio e mi preparai a compiere il delitto.
Presi la lucerna dal contenitore, la sollevai alta per avere una vista chiara su tutta la stanza e mi guardai intorno.
Il letto era rimasto nel semibuio, ma quando alzai il lume sul mio sposo per vedere che razza di dio o mostro fosse mi si mozzò il fiato per un secondo.
Avevo avuto un soprassalto e la lucerna mi era tremata in mano fin quasi a rovesciarsi.
Avevo trovato il mostro più mite e dolce di tutte le bestie: Eros, la divinità che presiedeva al sentimento stesso che io avevo infranto, osando pensare di uccidere il mio sposo.
Atterrita, abbandonai la presa sulla lama, che cadde ai miei piedi, nel buio.
Ero spaventata dal mio piano e, afferrandomi i capelli con la mano libera, cercavo di capire quali sentimenti deliranti e stupidi, insieme alle mie sorelle, avessero cercato di farmi uccidere il mio amore!
Presa da terrore isterico, mi abbassai a cercare la lama per piantarmela nel cuore dalla vergogna, ma era finita più lontano di quel che pensavo, e avevo una mano impegnata a reggere la lucerna.
Ma ecco che, disperata, guardando la bellezza del divino Eros, riprendevo sempre più animo.
Aveva i capelli biondi, che alla lucerna si infuocavano, umidi di ambrosia. Tutto il suo corpo era bianco, di latte, ed era nudo sul letto. Sulla schiena, piegate e rilassate c’erano le ali bianche e le piumette che stavano alle estremità tremolavano scherzosamente senza posa.
Il cuore mi si gonfiò a dismisura di amore.
Accanto al letto, con la coda dell’occhio, vidi i suoi infallibili strumenti, quelli che gettava da parte quando entrava ogni volta.
L’arco, la faretra e le frecce.
Per una curiosità insaziabile, che il mio sposo mi aveva sempre rimproverato come il mio peggior difetto, le presi in una mano, osservandole, prima l’arco, poi la faretra.
A quel punto estrassi una freccia e toccandola con la punta dell’indice per vedere quanto fosse appuntita mi ferì piuttosto profondamente, nonostante l’avessi appena sfiorata.
La cosa strana fu che mi sembrò di aver ricevuto una puntura anche al cuore.
Succhiando la ferita per alleviare il dolore alzai gli occhi su Eros e subito toccai la vetta più vertiginosa dell’amore: lo smodato delirio della passione.
Oh, era talmente bello che appena l’avevo illuminato anche la fiamma era sembrata rallegrarsi alla sua vista, e balenare più splendente!
Lo accarezzai su una guancia, lo volevo accarezzare tanto da spellarlo, e mi avvicinai per baciarlo.
Ma la lucerna che mi aveva aiutato a vederlo, traditrice, schizzò dalla punta della sua fiamma una goccia di olio bollente, che cadde sulla spalla del mio amore.
Il dio sentendosi scottare spalancò gli occhi e balzò in piedi, vide confuso l’oltraggio di ogni promessa di fedeltà della sua Psyche, e quando capì, lanciatomi appena un occhiata, senza rivestirsi prese di fretta il volo.
Ma io, prima che fuggisse del tutto, mi appesi alle sue gambe abbracciandogli le ginocchia.
Sollevandosi sempre di più mi fece scivolare verso le caviglie e, quando ormai eravamo già per le vie buie e nuvolose del cielo, mi reggevo ai suoi piedi, uno per mano, come una miserabile appendice.
Eros diede forti scossoni alle gambe per liberarsi di me, ma io non cedetti, almeno finché le forze delle braccia non mi abbandonarono.
Mi abbattei al suolo, facendo una caduta dall’altezza che era poco meno di quella di un albero.
Ma il mio sposo, gentile, non mi lasciò così buttata per terra. Si appollaiò sul ramo di un cipresso là vicino e dall’alto mi osservò con un viso commosso e insieme tristemente rassegnato.
Dopo aver piagnucolato per un po’ con la faccia a terra, mi puntellai faticosamente  sui gomiti.
-Non volevo!- singhiozzai –Mi hanno ingannata! Raggirata! Mi avevano convinta che eri una serpe dalle cento spire, non te ne andare, ti supplico, non te ne andare! Non te ne andare!!- strillai trascinando quelle ultime parole in un grido piagnucoloso.
La puntura della freccia ora mi confondeva il cervello e mi rendeva isterica.
Eros mi guardò commosso e impietosito dall’effetto che una punta magica aveva scatenato.
La passione per il dio della passione, provocata dalla punta della freccia, si congiungeva all'amore per lui già presente dentro di me, facendomi impazzire, come un largo affluente che si getta in un fiume quasi in piena e lo fa straripare, distruggendo tutto intorno.
-Proprio io- sospirò lui appoggiandosi al tronco e alzando gli occhi alle nuvole –io che dovevo punirti, sono volato da te e sono diventato tuo marito!-
-Punirmi!!- strillai farneticando, fuori dai gangheri –non sono già stata punita abbastanza?!-
-Non era questo il modo né il momento in cui mia madre avrebbe voluto punirti- disse tentando un sorriso birbante, in un modo che sembrava dire "io so, e tu no, ma proprio questo tenerti sulle spine mi da gusto!".
Poi sospirò di nuovo, parlando pazientemente al cielo –Voleva che con le miei frecce scatenassi in te la più violenta e cocente passione per l’uomo più brutto e sfortunato del mondo, in questo modo nessun uomo degno avrebbe goduto della tua bellezza e tu e la tua famiglia sareste stati disonorati e svergognati. Voleva punirti per il motivo che avevi sempre temuto. Non per causa tua, ma perché gli uomini hanno creduto che tu fossi bella come lei.-
I miei occhi allucinati si accesero di furia. Mai prima di allora ero stata pazza d’odio per gli dei!
-Perché non mi hai piantato quella maledettissima freccia nella schiena e non l’hai fatta finita abbandonandomi per sempre!- urlai prostrata a terra.
-Ho agito con leggerezza!- rise di sé -Sono stato incauto: proprio io, il famoso arciere, ho fatto cadere per sbaglio una freccia che mi ha ferito il piede, e mi sono perdutamente innamorato di te-
Si voltò verso di me con occhi amorevoli –Solo due cose ti avevo chiesto: di non vedermi mai, altrimenti sarei stato costretto ad andarmene, e di non incontrare le tue sorelle. Hai disobbedito e tentato di tagliarmi il capo. Proprio quello di un dio! Proprio il capo che porta gli occhi innamorati di te!-
Io ero ancora stesa sull’erba a pancia in giù, con la bocca spalancata e la faccia congestionata di pianto e isteria.
-Ma cosa volete voi dei da me!- singhiozzai poggiando spossata la fronte a terra e battendo prima forte, poi debolmente, il pugno contro l’erba –Cosa ho fatto!!? Ma perché non ho un aspetto umano! Non è colpa mia! Afrodite! Mi hai dato in dono la grazia solo per tormentare una tua figlia della bellezza?!-
Battei forte la fronte contro la terra, poi la sollevai un po’ e mi rivolsi a Eros, mio marito, guardandolo con odio -Ecco come provvedete voi odiosi dei agli uomini! So che godete a vederci distrutti, nel fango, come vermi! Ammettetelo! Eh!!? Ditelo!! Non sono una donna, non sono neanche viva, se sto mentendo!- strillai e tornai a sbattere la fronte contro la terra.
-Sei il dio dell’amore! Aiutami! Sono innamorata di Eros, della passione, di Amore! Aiutami! Non lasciarmi qui! Non dovrei esserti invisa, amore mio-
-Dì grazie alle tue egregie consigliere, che hanno tramato, invidiose di te, per ridurti nel fango e senza sposo. Loro saranno punite presto con un castigo terribile, tu te la caverai soltanto con la mia fuga-
Detto questo si sollevò rapidamente in aria sulle sue grandi ali piumate.
Mi sollevai sui gomiti, alzando faticosamente il capo per seguire il suo volo finché le ali non lo portarono abbastanza lontano da farlo perdere nel cielo e nelle nuvole e renderlo invisibile.
E mentre cercavo ancora quel punto, tra i miei pensieri dissennati e labili passò la folgore dell’ispirazione.
La freccia mi aveva istillato una vena di follia sufficiente per permettermi di tornare sull’idea del suicidio.
Quello di cui avevo bisogno era un fiume profondo, buttarmici e annegare: e voltandomi intorno notai che ne avevo uno proprio a un passo.

 

Continua…

Michelegiolo: Questa storia è in un ritardo indecente, purtroppo la passione nello scriverla languiva ed io non trovavo la voglia di scrivere, più che il tempo materiale.
Spero che questo capitolo sia di tuo gradimento.

 
Owarinai yume: Sono contenta che le descrizioni ti piacciano, la descrizione del castello, lo ammetto (per purissima onestà), è in larga parte attinta dall’opera di Apuleio, il resto è mio, e me ne prendo il merito con tutti i diritti (nessuno lo aveva mai messo in dubbio nd tutti) (uffi, noiosi nd io).

  
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