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Autore: The Noise Parade    28/01/2010    3 recensioni
Storie di follia, ordinaria e non.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 4 - LA MIA MORTE E' SOLO MIA. ULTIMO CAFFE' DI UN CONDANNATO A MORTE.

''Voi vi siete condannati a morte
nel vostro quieto vivere
,,

E cadde, morto, sotto i miei occhi... l'ho visto con questi occhi, capisci?

Non ricordo esattamente il suo nome, ma potrei riconoscere la sua faccia tra mille. I lineamenti duri e affilati e quegli occhi color ghiaccio, quasi incolori. A me facevano paura quegli occhi, sembrava che ti lacerassero dentro, non riuscivi, non osavi guardarli. E lui era un tipo schivo, sì, schivo, parlava poco con quel suo accento indefinibile e quella voce a malapena udibile. Perché a lui non avresti dato un centesimo a vederlo. Piccolo, gracile, aveva quel colorito insano, sembrava perennemente malato, un pezzo di carne andato a male. Sembrava che non ne avesse bisogno della sedia elettrica, che dovesse partire da sé da un momento all'altro, sì, proprio di quelli su cui non scommetteresti nemmeno una gallina in fin di vita, dico.
Non ho mentito riguardo al suo nome. Lui diceva di odiarlo e noi l'abbiamo sempre chiamato Joe. Perché era un nome facile e stupido, un nome che non puoi detestare. Non ci disse mai qual era il suo nome.
Tutti dicevano di essere innocenti, tutti tranne lui che lo era davvero. Come faccio a saperlo? L'uomo per cui lui era dentro, in realtà l'avevo ammazzato io. E lui lo sapeva, e io lo sapevo, ma ha voluto dire di averlo ammazzato lui. Non so bene perché, ma penso che avesse tutto in mente fin dall'inizio quel delinquente. E comunque, anch'io sono qui, ma so di non aver vanificato il suo tentativo... perché il suo tentativo non era pararmi il culo. Lui ambiva a qualcos'altro, lui voleva dare una dimostrazione che lasciasse tutti a bocca aperta.
E lo fece, dio se lo fece...
Ricordo che lui non beveva mai caffè. Lui odiava il caffè, è una delle cose che ricordo di lui, semplicemente, una cosa grandiosa adesso che ci penso, sì, grandiosa davvero. Come fai a bere quella merda Hank, mi chiedeva sempre, e io la bevevo e lui se ne stava lì con quei suoi occhi finti a guardarmi disgustato. Non erano finti davvero, ma era come se lo fossero.
Era il 13 novembre 2009. Pioveva, mi ricordo che c'era un tempo da lupi, nemmeno il diavolo sarebbe uscito di casa quella notte. Quella notte toccava a lui, dopo un anno, toccava a lui davvero e sembrava che non gliene potesse fregare di meno. Erano le due di notte e lui stava chiuso lì nella sua cella a pensare, in perfetto, religioso silenzio. E noi lo lasciavamo stare, che diavolo, come puoi rompere l'anima a un povero cristo che sta andando a farsi friggere il cervello a morte?
Erano le cinque e cinquantotto di mattina quando vennero a chiamarlo. Lui si rifiutò di muoversi fino alle sei in punto, e poi non fece storie. Si alzò in silenzio, in silenzio seguì la guardia, con noi tutti aggrappati alle sbarre come cani, come scimmie allo zoo. Scimmie condannate a morte. Andò a farsi radere i capelli, e poi fu il momento dell'ultimo desiderio, o almeno credo. Fatto sta che lo vedemmo tornare indietro, e subito pensammo che fosse venuto a salutarci. Invece aveva una tazza di caffè in mano. Tu odi il caffè, gli dissi. Era vero, a lui il caffè aveva sempre fatto schifo, a quel vecchio bastardo.
«Ti sbagli Hank, vecchio mio» mi disse «Questo caffè è ottimo.»

Ora devo andare, amico mio. Domani tocca a me.


A-ehm. Prova. Prova.. Mi scuso con non so bene chi per il ritardo. L'avevo già scritto, ma un'entità superiore mi ha obbligata a dimenticarmi di postare. Ogni tanto capita.

Noise

  
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