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Autore: Dark Magician    30/01/2010    2 recensioni
Seconda classificata pari merito al contest "Due Parole [III edizione del Contest *Magical Tales*]" di niobe88.
Aaron è un comune adolescente, Till un novizio che attende di diventare Sacerdote della Trinità. È il caso a farli incontrare ed il ricordo che Aaron ha del fratello Zane – scelto da bambino per diventare Sacerdote – ad avvicinarli.
“«Till, tesoro mio…» la donna sorrise e gli carezzò i capelli «È appunto perché lo ami che devi farlo.[…]”
Genere: Romantico, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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~PARTE III~

~PARTE III~

 

«Till, sei tu?», chiese Zane, sentendo la porta aprirsi.

Till la calciò con la gamba sana ed entrò con la carrozzella.

«Sono io­. Come vanno gli occhi, oggi?».

Zane scosse la testa sconsolato «Niente. Vedo tutto nero».

Cercò a tentoni la bacinella d’acqua sul comodino e vi immerse un fazzoletto di stoffa, che si passò poi sul viso.

«Aspetta», disse Till. Raggiunse il letto e vi si issò sopra «Faccio io».

«Non è giusto», singhiozzò Zane mentre l’altro gli rinfrescava le zone corrotte «Non posso toccarti, non posso vederti, e secondo i medici nel giro di due o tre giorni al massimo la Corruzione mi giungerà alle corde vocali e quindi non potrò più nemmeno parlarti! Perché la Trinità mi sta togliendo l’unica cosa che mi dà conforto?».

«Andrà tutto bene», disse piatto Till, e una lacrima gli rotolò su una guancia «Finché la Corruzione non ti attacca gli organi importanti è tutto a posto».

«Non è tutto a posto!», gridò Zane. Riuscì a sollevare un braccio e colpì debolmente la mano di Till «Mi imboccano, devo usare il pannolone perché non riesco più a muovermi, e fra poco non potrò nemmeno comunicare con chi mi sta attorno! Come fai a dire che è tutto a posto?!».

Till scoppiò a piangere.

Lo sapeva che non era tutto a posto. L’aveva anche ammesso a se stesso, eppure voleva ancora convincersi che ci fosse qualche speranza.

«Perdonami», mormorò Zane dispiaciuto. Alzò a fatica una mano e cercò il viso di Till «Perdonami, non volevo alzare la voce. Come ti senti oggi?».

Forzando il braccio corrotto, Till lo abbracciò con foga.

Singhiozzava troppo per riuscire a rispondere.

 

Era la mattina del decimo giorno, e Till notò che una nuova porta era del tutto silenziosa.

Erano rimasti in cinque, e qualcosa gli diceva che il numero si sarebbe ridotto molto presto, perché dalle altre tre camere provenivano solo dei bip bip.

 

«Hai deciso di seguire il mio consiglio, quindi?».

Till aprì gli occhi e si mise a sedere.

Non vedeva nessuno, lì attorno. Con che aspetto gli si sarebbe presentato, questa volta?

«Vieni fuori», borbottò, e quando sentì dei passi alle proprie spalle si girò.

Un ragazzo all’incirca della sua età con capelli castani ed occhi azzurri gli rivolse un sorriso divertito.

«Somigli ad Aaron», osservò Till, e l’altro rise.

«Non è un caso. Il tuo amichetto defunto avrebbe questa faccia, se non avesse fatto la fine che ha fatto. Non male, eh?».

Till impallidì. Distolse lo sguardo e si alzò in piedi, dirigendosi verso l’Achre.

«Scappi?».

«Cambia subito aspetto», sibilò Till, e il ragazzo rise.

«Ma che ti importa? Tanto giochi ai fidanzatini col suo fratellino...!».

«Fallo!», gridò Till senza voltarsi.

Il ragazzo sbuffò.

«Ma quanto sei palloso. Va bene, va bene, ti accontento, mocciosetto viziato».

Till attese qualche istante prima di voltarsi, e quando lo fece si trovò davanti una ragazzina mora.

«Mi sto annoiando tanto, Till caro», piagnucolò lei «Non vedo l’ora che passino queste tre luuunghe settimane».

«Fino ad allora lasciami in pace, okay?», la pregò Till, e lei distese le labbra in un largo sorriso.

Si passò la lingua sui denti e annuì.

«In cambio che mi dai?».

«Niente. Non posso offrirti niente», rispose Till, e si strinse nelle spalle.

La ragazzina gonfiò le guance, come offesa.

«Non ho davvero niente, lo sai».

«Che noia», borbottò lei. Gli diede le spalle e si diresse verso il muro saltellando.

«Dimmi una cosa, Till caro. Hai intenzione di raccontare al tuo nuovo fidanzatino che fine ha fatto suo fratello? Se non te la senti posso farlo io. Adoro questo genere di cose!».

«Lo farò», affermò Till, abbassando poi lo sguardo «Ma non ora».

«Sììì, bravo, rimanda...!».

La ragazzina spiccò un balzo troppo alto per un umano, e quando atterrò in cima al muro aveva l’aspetto di un gatto bianco.

«Non vedo l’ora, Till caro», disse, e si passò la lingua sul muso.

 

«Ciao, Zane», mormorò Till, muovendo la carrozzella fino al letto «Scusa se oggi ho fatto un po’ più tardi del solito, ma il libro che volevo era in alto e ho fatto una gran fatica a prenderlo».

Tacque  e lanciò qualche occhiata a Zane, immobile sul letto.

Sentì gli occhi riempirsi di lacrime.

«Ho... ho preso il libro che ti piace tanto», gli disse, cercando di trattenere il tremolio della voce. Si spostò sul letto e carezzò la testa di Zane.

«Se mi senti... fa... fa qualcosa», balbettò, e l’altro gli rispose con un lieve movimento delle labbra.

Una lacrima gli scivolò dagli occhi socchiusi, e Till si morse un labbro.

«Pensavo... che potrei leggerti qualche mito», gli disse, aprendo il libro «Di quelli che ti piacciono tanto. Sei d’accordo?».

Passò la mano sana sul busto di Zane, unica parte del corpo non corrotta, e continuò ad accarezzarlo a lungo, senza smettere di parlargli.

«Sai che è un po’ che Batuffolo non mi compare più? E i medici hanno visto che la Corruzione non continua... dicono che è una buona cosa. Dicono anche che c’è ancora la possibilità che tu riesca a riprenderti, dato che non sei attaccato alle macchine. Io... voglio crederci, insomma.

La speranza è l’ultima a morire, no?».

Gli sorrise debolmente e gli passò la mano fra i capelli.

«Mi hanno detto di bambini che erano messi ancora peggio ma poi si sono ripresi. Dicono che è tutta questione di fede e che non».

Terrorizzato, si interruppe ed osservò la ciocca di capelli bianchi che gli era rimasta tra le dita.

Per il suo fragile autocontrollo fu troppo. Scoppiò a piangere, e continuò a singhiozzare a lungo.

Non voleva perdere Zane, non voleva. Ma non c’era niente che potesse fare.

Non riusciva ad immaginare la vita senza di lui; l’unica consolazione che gli rimaneva era che non avrebbe tardato troppo a raggiungerlo.

 

Till aprì la copertina del libro con le forbici e tirò fuori la lettera che Zane aveva scritto anni prima.

La rilesse attentamente, e quando ebbe appurato che Zane non lo nominava neanche una volta se la mise in tasca.

Non aveva ancora intenzione di raccontare ad Aaron tutta la storia, ma quella almeno poteva dargliela. Gli avrebbe poi detto che l’aveva trovata per caso, sfogliando un vecchio volume.

 

Aaron lo aspettava fuori dal giardino.

Quando vide Till scendere il muro, gli rivolse un sorriso dolce e si avvicinò per aiutarlo.

«Oggi ti porto in un posto divertente», gli disse, spingendogli l’orrendo cappello sulla testa «Non ci passa mai nessuno...».

«Devo pensar male?», rise Till. Gli posò un lieve bacio sulle labbra, poi estrasse dei fogli dalla tasca «Piuttosto, ho trovato questi, ieri. Credo potrebbero interessarti».

 

«Molto, molto bene!», esclamò il medico, battendo le mani eccitato.

Till assottigliò l’occhio sano – l’altro era tanto gonfio da rimanere chiuso da solo – e lo fissò torvo.

«“Molto bene” cosa significa, nel suo linguaggio? Che sto finalmente per farla finita con tutto questo male o che dovrò sopportare ancora a lungo?».

«Non essere così pessimista», rispose il medico con un’espressione crucciata tanto sciocca che a Till venne quasi voglia di colpirlo con un calcio «Non stai migliorando, ma neanche peggiorando!».

«Questo lo vedo», sbottò Till «Ma non ce la faccio più. Preferirei si decidesse a muoversi, a questo punto».

«Immagino tu ti senta solo, ora che il tuo amico è in quello stato», disse il medico, e scosse il capo «Povero, povero ragazzo. Quella è davvero una brutta situazione».

«Perché?», chiese Till, mentre una morsa gelida gli attanagliava lo stomaco «Qual è il problema?».

«Con la velocità a cui la Corruzione lo divora ora, potrebbe averne anche per un mese. Ma non disperare, fino alla fine non è detto niente. Pensa, ho conosciuto un Sacerdote che...»

Ma Till non lo ascoltava più.

Un mese? Un mese? Dalla cerimonia erano passati nemmeno quindici giorni, e già gli pareva fossero trascorsi anni.

Silenziosamente si sciolse in lacrime, e il medico si interruppe per fissarlo.

«Bravo, bravo, piangi il più possibile! Più piangi, più possibilità hai che le lacrime diventino rosse!».

«Stia zitto, per favore», lo implorò Till, e raccolse le ginocchia al petto.

 

«Povero Zane», borbottò Aaron «Spero che stia bene».

Incrociò le braccia dietro la testa e sospirò, godendosi la frescura dell’ombra degli alberi.

Erano in un parchetto poco frequentato all’interno della città, e si erano sistemati in un boschetto di piante sempreverdi che Aaron non riconosceva.

Till non disse niente. Rimase seduto a fissare i tronchi davanti a sé finché Aaron non lo afferrò per la maglietta.

«Tu hai la minima idea di quanto io mi senta cretino, mh?», gli chiese.

«Perché mai?», rise Till, voltandosi a fissarlo.

«Perché sì», rispose Aaron. Gli sorrise e lo trasse a sé per baciarlo.

 

«“... il Caos leccò il proprio sangue del colore della pece che gli tingeva le labbra. Alzò lo sguardo nell’ultimo, disperato tentativo di catturare la Trinità col proprio fascino velenoso, ma né Izdihaar, la Mente, abbassò gli occhi, né Chlomo, lo Spirito, lo degnò d’attenzione, né Mahadev, la Vista, aprì il terzo occhio. E così il Caos crollò al suolo; il suo involucro di carne e sangue divenne sabbia, il suo potere si dissolse nell’aria fresca; ed il mondo conobbe finalmente la pace”. Fine».

Till chiuse il libro e rimase a fissare la copertina per qualche istante, poi alzò lo sguardo sul volto scavato di Zane e gli carezzò i pochi capelli rimasti.

«Sai, non mi è mai piaciuto questo finale. E poi... sono convinto che il Caos non sia stato veramente distrutto. Magari l’hanno solo... che ne so, limitato. L’ordine senza disordine non avrebbe tanto senso, no?».

Rimase in silenzio per alcuni minuti, alzando di tanto in tanto gli occhi a controllare il livello delle flebo.

«Chissà se mi senti, Zane», sussurrò, la voce incrinata «L’unica cosa che fai è piangere. Se potessi parlare, grideresti tutto il tempo?».

Riportò la mano sul libro e la passò sulla copertina.

«Ti ho letto tutte le tue storie preferite. Le hai sentite, Zane? Ora cosa ti posso leggere? Cosa posso fare, se non leggerti le storie che ti piacciono?».

Una lacrima gli scivolò fuori dall’occhio sano, gli rotolò sulla guancia e cadde sul libro.

«Ci ho pensato tantissimo in questi giorni, sai? Io ti amo così tanto... e non posso aiutarti. Vomito in continuazione da quanto questo mi fa star male».

Seguirono altre lacrime, e mentre lasciava cadere il libro a terra gli sorrise.

«Ti racconto una storia che so che ti piace tanto, dato che ormai le altre sono finite. Quando ero ancora un bimbo normale, per il mio compleanno mamma mi regalò un coniglio. Era un coniglio bellissimo, tutto bianco e morbido, e gli volevo un gran bene. Però poi si è ammalato».

Si sporse in avanti e prese il cuscino poggiato sulla carrozzella. Lo strinse al petto col braccio sano, poggiandovi il mento.

«Dovevi vederlo, poverino, tremava tutto e non mangiava più niente. E perdeva pure il pelo a ciuffi, verso la fine. Io gli volevo così bene... ma non potevo fare niente. E allora mamma l’ha portato dal dottore, che gli ha fatto una puntura e l’ha… “fatto addormentare”, come mi disse mia madre. Mi disse anche che era l’unica cosa che potevamo fare per lui. Che dovevamo farlo, se lo amavamo».

Sorrise fra le lacrime, e si sporse in avanti.

 «Zane, non puoi neanche immaginare quanto ti amo. Ti ho amato fino all’ultima parola che mi hai detto, e continuo ad amarti anche ora che non mi parli più. Però...!».

Singhiozzò e si morse un labbro.

«Mi perdonerai, Zane? Quando ci incontreremo nello Heva, mi sgriderai o mi sorriderai e mi dirai che mi ami? Mi odierai?».

Gli posò un bacio sulle labbra e soffocò un singhiozzo, mentre forzava la mano destra e la portava a reggere il cuscino.

«Io quella cosa del “devi uccidere il coniglio perché lo ami” non l’ho mai capita troppo bene. Mi è sempre sembrata una cosa assurda. Però ora... Zane, ti amo. Perdonami».

E con uno slancio gli premette il cuscino sulla faccia, gettandovisi sopra con tutto il corpo.

Il corpo di Zane fremette appena, ma era troppo debole e troppo consumato per tentare d’opporsi.

Till spinse il cuscino con tutte le forze che aveva, gridando e singhiozzando disperato, e continuò anche dopo che il petto di Zane smise d’alzarsi e d’abbassarsi.

Rimase in quella posizione a lungo, incapace di muoversi.

Quando finalmente riuscì a rialzarsi, notò che il cuscino era sporco di sangue. Si portò una mano alla guancia sinistra, confuso.

Era sporca di rosso.

Per un attimo ebbe come la sensazione che il cuore gli si fosse di colpo fermato.

«Che cosa triste», commentò una voce, e Till si raggelò.

 

«Ultimo giorno di libertà», mormorò Till.

Aaron leccò il proprio gelato e gli lanciò un’occhiata perplessa.

«Ma la cerimonia non è dopodomani?».

«Sì», confermò Till «Domani però ci sono le prove. Non potrò filarmela».

«Peccato», borbottò Aaron, e si dedicò in silenzio al gelato.

Till sospirò «È stato bello, finché è durato».

Camminarono in silenzio per i freschi sentierini del parco per diversi minuti, finché Aaron non riuscì più a sopportare quell’aria deprimente. Afferrò Till per un braccio e lo costrinse a fermarsi.

«Cosa vuoi fare oggi?», gli chiese, cacciandosi in bocca gli ultimi residui di cialda «Scegli tu. Qualsiasi cosa. E mangia il gelato, che si scioglie».

Till ridacchiò e passò il dolce all’altra mano, per leccarsi le dita sporche di crema.

«Qualsiasi cosa... sei un po’ vago».

«Ho detto qualsiasi e qualsiasi sarà», ribatté Aaron, stringendosi nelle spalle. Fingendo di osservare le folte chiome degli alberi, distolse lo sguardo ed arrossì «Idee?».

«Mh, fammici pensare».

Aaron si mordicchiò un labbro e gli lanciò un’occhiata di sottecchi. Sembrava più pallido e nervoso del solito.

Chissà quanto doveva turbarlo la cerimonia.

«...Non mi viene in mente niente!», esclamò Till «Potremmo... non so... tu pensavi a qualcosa in particolare?».

«Come sei noioso», sbottò Aaron. Sbuffò e lo distanziò di qualche passo «Manchi di inventiva. Non c’è niente che desideri particolarmente fare prima di rinchiuderti a vita in quel posto di merda?».

Till distolse lo sguardo.

«Ti senti bene? Mi stai preoccupando, oggi», mormorò Aaron tornandogli vicino «Cosa c’è che non va?».

«È un brutto momento, Zane. Dovrei dirti un sacco di cose, ma–».

Un’espressione terrorizzata sul volto, Till si interruppe. Sgranò gli occhi e si portò una mano alla fronte, poggiando l’altra contro il tronco di un albero.

Aaron aggrottò le sopracciglia, perplesso.

«... Com’è che mi hai chiamato?», gli chiese, mentre avvertiva il cuore aumentargli i battiti.

Till si lasciò sfuggire un debole “cazzo”.

«Till», lo chiamò Aaron. Boccheggiò, cercando di dire qualcosa.

«Till, perché mi hai chiamato “Zane”?», gli chiese ancora. Lo afferrò per le spalle, costringendolo a voltarsi «Tu... conoscevi mio fratello?».

L’altro annuì debolmente, poi scosse la testa.

«Cazzo, io volevo dirtelo, ma farlo venire fuori così...», borbottò sconsolato. Indietreggiò di un paio di passi, per sottrarsi alla presa di Aaron, e solo allora alzò lo sguardo.

Aveva un’aria tanto stravolta che Aaron non riuscì ad aprir bocca.

«Ti dirò tutto, te lo giuro. Ma ora...» Till scosse nuovamente la testa, e si allontanò ancora «Perdonami, Aaron. Non volevo mentirti, però... non ce la faccio».

E senza aggiungere altro si allontanò alla massima velocità che il ginocchio malandato poteva concedergli.

Aaron avrebbe potuto raggiungerlo e bloccarlo senza difficoltà. Avrebbe potuto obbligarlo a dirgli tutto subito, ma non lo fece.

Era tanto sconvolto per il fatto che Till gli avesse mentito su una cosa così importante che gli si erano paralizzate le ginocchia.

Si mordicchiò ripetutamente la guancia, lo stomaco sconquassato da una miriade di emozioni che andavano dalla rabbia alla sorpresa alla delusione.

Delusione, sì, soprattutto quella. Perché, in fondo, Till gli piaceva sul serio.

 

Till voltò il capo lentamente.

Poggiato con la schiena alla porta d’ingresso, stava un Sacerdote che non aveva mai visto prima di allora. Sempre se fosse stato un Sacerdote, ma i lunghi capelli bianchi e i tratti androgini accreditavano l’ipotesi.

«Chi... chi sei?», singhiozzò, il corpo ancora sconvolto dal pianto disperato «Sei... di questo Achre?».

«Nnnah», rispose lui, incrociando le iridi grigie con quelle color pece di Till «Diciamo che... vengo da fuori. Molto da fuori. Da fuori... lontano, toh», ed accompagnò le parole roteando una mano.

«Ti osservavo».

«Cosa vuoi?», pigolò Till. Si asciugò il viso con la manica del braccio sano, e la tinse tutta di rosso.

L’uomo incrociò le braccia dietro la schiena in una posizione che a Till parve assurdamente scomoda e si avvicinò.

«Mi annoio. Perché non facciamo un patto?».

«Un... patto?», ripeté Till spaventato «Perché dovrei? Cosa vuoi tu da me?!».

«Uffaaa, te l’ho detto. Mi annoio. Hai mai provato la noia? È una cosa terribile, ti prende il cervello e te lo rivolta tutto».

Till lo fissò senza proferir parola, continuando a singhiozzare.

«No, eh? Quanto odio i bambini, non capite mai un cazzo alla prima. Devo farti uno schemino?».

«Vattene o chiamo qualcuno», sibilò Till, e l’uomo sospirò.

«Mettiamola così... Io mi annoio tanto, tantissimo, e visto che suono buono e generoso...» rise, e dopo essersi schiarito la voce con un colpetto di tosse continuò: «Dicevo, dato che sono buono e generoso, ti voglio offrire uno scambio equo. Ho visto ciò che ti frulla nella testolina, bimbo caro, anche se tu forse non te ne rendi ancora conto».

Till si portò la mano sana alla bocca. Ad un certo punto i singhiozzi ed il dolore avevano lasciato spazio ad una soffocante sensazione di terrore, e se ne accorgeva solo ora.

«Chi... chi sei?», balbettò, e l’uomo gli sorrise.

«Vediamo, com’è che dite voi...?», disse, carezzandosi i denti con la lingua «Era qualcosa tipo “la fine e l’inizio di tutto”, se non ricordo male. E poi qualche altro epiteto poco carino».

Till si sentì raggelare.

«Oooh, scusa tanto se non ho la faccia che voi pezzenti vi aspettate», sbottò l’uomo con aria offesa, come leggendogli nel pensiero «Ma ti pare che possa andarmene in giro col costumino? Ci mancherebbe, la nanetta non aspetta altro».

Poi sorrise, e si passò nuovamente la lingua sui denti.

 

Aaron si rivoltò nel letto senza riuscire a prender sonno. Lanciò uno sguardo alla sveglia digitale sul comodino, e faceva sempre lo stesso orario di mezzo minuto prima.

Era l’una passata, e la cerimonia di Till doveva essere cominciata da poco.

In quel giorno e mezzo trascorso senza vederlo, Aaron aveva notato che le emozioni provate tutte nello stesso istante al parco si erano poi succedute una per volta nelle ore seguenti.

Era stato arrabbiato, anzi furioso per tutte quelle bugie, poi la rabbia di era acquietata ed aveva ceduto il posto ad una terribile tristezza, seguita subito dopo dalla sensazione di delusione che l’aveva ridotto ad una pezza da piedi per ore. Ora, dopo aver attraversato almeno quindici stati d’animo diversi, l’unica cosa che avvertiva era un’insana voglia di vedere Till, farsi spiegare tutto e nel caso di motivi convincenti dargli una seconda possibilità. Lo desiderava con tutto il cuore.

Un rumore sordo lo riscosse. Si mise a sedere, scrutandosi attorno per capire da dove provenisse, e quando si ripeté capì che veniva dalla finestra.

Qualcuno la stava tempestando di sassolini, e gli parve tanto una scena di film che per un attimo credette di stare sognando.

Si alzò in piedi e la spalancò completamente, lanciando larghe occhiate fuori.

Non c’era nessuno.

Stava per richiudere, quando un gatto bianco balzò sul davanzale e lo richiamò con un miagolio.

«Ciao, micio», borbottò Aaron perplesso «Siamo al primo piano, come hai fatto a saltare quassù?».

«Vieni con me», disse il gatto, e balzò via.

Aaron lo osservò basito. Rimase fermo alla finestra qualche istante, poi si infilò in fretta e furia un paio di jeans e corse a mettersi le scarpe.

 

In strada non trovò il gatto ad attenderlo, ma un giovane uomo dall’aspetto singolare. Era piuttosto alto – almeno un metro e novanta – ed aveva lunghi capelli color avorio e tratti androgini.

Ed era bello, molto.

Un Sacerdote, osservò mentalmente Aaron. L’uomo sollevò gli occhialetti da sole che portava sul naso e lo fissò torvo.

«Ma ci mancherebbe!», esclamò, come leggendogli nel pensiero «Io uno di quei mentecatti esaltati! Lo so che non sono tanto macho, ma non sono castrato! Cioè, non così, almeno».

«Mi... mi scusi», borbottò Aaron «Ma lei cosa...».

«Seguimi, ragazzino. Andiamo in gita!», disse allegro l’uomo. Si spostò alle spalle di Aaron e lo spinse in avanti «Andiamo a trovare Till caro. Certo, gli avevo promesso che non l’avrei fatto, peròòò...».

«Lei è pazzo», sbottò Aaron spostandosi di lato «Non sarei dovuto uscire. Anche se quel gatto...».

«Ma insomma, perché dovete fare sempre tutte queste storie? Aaah, i bei tempi andati, in cui la gente si fidava subito e non faceva troppe domande noiose! Ora tutti vogliono essere convinti, e non è divertente se hai fretta. Che rottura voi umani, chiedete sempre a sproposito».

«Non la seguo», disse Aaron «Cosa vuole da me?».

«Te l’ho già detto, insomma! Andiamo da Till! Non volevi forse vederlo?».

«E lei come lo sa?», chiese il ragazzo, confuso. Si portò una mano alla testa, massaggiandosi una tempia.

Non ci stava capendo più niente.

«Mettiamola così», disse l’uomo, incrociando le braccia dietro la schiena ed ignorando la domanda «Se non mi segui ora, perderai l’unica occasione che hai per rivedere Till e farti dire la verità, tutta la verità e nient’altro che la verità. Certo, potrei raccontarti tutto io... ma vedere Till caro che si tormenta è molto più divertente. Però...».

Piroettò su se stesso e diede le spalle ad Aaron.

«... Dipende anche dalle condizioni in cui è. Sono piuttosto curioso».

«Dalle sue condizioni?», ripeté Aaron «Potrebbe essere messo male?».

L’uomo si strinse nelle spalle «Chissà, forse. Deciditi in fretta, comincio ad annoiarmi a non far niente. E poi la strada è luuunga...».

Cosa devo fare?, pensò Aaron turbato. Quello strano individuo lo inquietava – poteva essere un pazzo assassino, e seguirlo non sarebbe stato molto saggio.

Però sembrava conoscere Till sul serio.

Rifletté ancora qualche istante, e alla fine decise di rischiare.

«Va bene, vengo».

«Mi sono venute in mente almeno quindici battutine volgari», disse l’uomo, rivolgendogli un sorriso divertito «Ma per questa volta te le risparmio. Seguimi, da qui all’Achre sono minimo minimo otto chilometri, ci metteremo almeno un paio d’ore. Cerca di tenere il passo, Aaron caro».

L’uomo si incamminò, le braccia sempre incrociate dietro la schiena in quel modo scomodo, e Aaron lo affiancò.

«Dimmi una cosa, tizio strano», gli disse, e l’altro gli sorrise.

«Prego».

«Conosci Till, sai chi sono io... ma tu chi sei?».

L’uomo si passò la lingua sui denti, sulle labbra un sorrisetto beffardo, e ad Aaron la mossa parve molto familiare.

«Non posso dirtelo. Poi scappi via e la nana di merda mi scopre, e noi non vogliamo questo, giusto?».

«La... “nana di merda”?», ripeté Aaron, e l’uomo annuì «E chi sarebbe?».

Con un’espressione innocente sul viso, l’uomo puntò un indice verso il cielo.

«La... la somma Izdihaar?», chiese Aaron, sgranando gli occhi «E lei la chiama “nana di merda”?».

«È alta un metro e quaranta, come la devo chiamare? “Pertica”?».

Sconvolto, Aaron tacque, e l’uomo cominciò a monologare su qualcosa che aveva a che fare con le stagioni e i cambiamenti climatici.

 

L’uomo continuò a parlottare – più a se stesso che ad Aaron – per tutto il tragitto. Il ragazzo tentò in qualche momento di seguirlo, ma lo strano tizio sembrava avere l’innata capacità di mettere in fila frasi completamente disconnesse, e ad Aaron bastavano pochi minuti per perdere il filo del discorso.

Solo quando giunsero presso il muro esterno dell’Achre l’uomo tacque. Fece segno ad Aaron di seguirlo e si diresse verso un piccolo ingresso posteriore, lanciandosi di tanto in tanto qualche occhiata attorno.

«Non passa nessuno», disse Aaron, e l’uomo scosse la testa.

«Occhi Belli osserva sempre tutto. Magari si starà chiedendo perché un ragazzino si aggira tutto solo attorno all’Achre in piena notte».

«Ma io non sono “tutto solo”», osservò Aaron. L’uomo rise ed esaminò la serratura dell’alto cancelletto nero.

«Occhi Belli è troppo stupido per vedermi», rispose, e posò un indice sulla toppa. Fece poi un passetto indietro, e colpì il cancello con un calcio all’altezza della serratura.

Questa si ruppe, e l’uomo indietreggiò ancora.

«Prego».

Aaron entrò e l’altro lo seguì, accostando il cancello dietro di sé.

«Spero che Till caro abbia concluso. Sarebbe fastidioso irrompere».

«Concluso cosa?», chiese Aaron «Vuole degnarsi di spiegarmi cosa succede?».

«Eeh, calmino. Ora vedi», rispose l’uomo. Si diresse verso una piccola porta e l’aprì «Toh, stavolta non c’è bisogno di trucchetti. Dimmi, ragazzino, lo sai che gli Achre sono insonorizzati?».

«Avevo sentito qualcosa del genere. C’è una sorta di incantesimo, no?».

«Eggià». Entrò, e rimase qualche minuto ad annusare l’aria con espressione estasiata.

«Ma che buon profumino!».

Aaron mise dentro la testa, ma non sentì nessun odore.

 

Un odore strano lo avvertì però mano a mano che lui e il tizio pazzo si addentravano nell’Achre.

«Questa è la Sala delle Cerimonie», gli spiegò l’uomo, indicando un ampio portone «Cos’è quella faccia?».

Aaron si portò una mano alla bocca, cercando di trattenere i conati.

«Questa puzza… è terribile! Sembra sangue!».

L’uomo sorrise e si carezzò i denti con la lingua.

«Non è sangue, vero?», chiese Aaron inquietato. Si lanciò qualche occhiata attorno ed aggiunse: «E perché non abbiamo incontrato nessuno?».

«Sono tutti lì dentro, ovvio», rispose l’uomo, e spalancò il portone.

Il tanfo di sangue investì Aaron con tanta violenza da farlo vomitare. Cercando di farsi forza alzò lo sguardo e si lanciò rapide occhiate attorno.

Non c’erano cadaveri come dall’odore si sarebbe aspettato, solo sangue. Sangue ricopriva le pareti e il pavimento della lunga sala rettangolare, sangue ricopriva le panche, sangue ricopriva i tendaggi, i candelabri, l’altare in fondo alla stanza.

«C’è una sorta di buongusto in tutto ciò…», commentò l’uomo, saltando una pozzanghera scarlatta. Si guardò attorno e rise.

«Ora sì che la nana malefica s’incazza».

«Cosa... cos’è successo qui? Till sta bene?», mormorò Aaron, e a rispondergli fu una voce alle sue spalle.

«Io sto benissimo».

Aaron si voltò di scatto, e si trovò davanti Till. Indossava la tunica bianca e oro dei Sacerdoti, e tolti pochi centimetri in basso era perfettamente linda; ma non fu quella a sconvolgere Aaron.

Il viso di Till era diverso. L’occhio sinistro era diventato d’una tonalità purpurea, e il lato destro del viso era di un colore fra il nero e il viola che gli ricordò quasi la cancrena.

«Till!», esclamò, e gli poggiò le mani sulle braccia «Che ti è successo?».

Till lo trafisse con un’occhiata tanto gelida che Aaron sentì gli organi interni rivoltarsi.

Non gli sorrise come aveva sempre fatto, né lo trattò con quell’intimità che avevano raggiunto nell’ultimo periodo.

«Cosa ci fai tu qui?», gli chiese, il viso inespressivo, e Aaron sussultò.

«Mi... mi ci ha portato lui».

Till mosse appena la testa per guardare oltre Aaron e mormorò, quasi scocciato: «Ti avevo chiesto di non farlo. Ma ormai, per quel che vale...».

Distese le labbra in un sorrisetto divertito.

«Allontanati», disse, ma Aaron non si spostò.

«Cosa ti è successo?», gli chiese, sforzandosi di ignorare il groppo che gli bloccava la gola «Non... non mi sembri... non sei...».

«Allontanati», ripeté Till, e lo spinse di lato. Questa volta Aaron non oppose resistenza, era troppo sconvolto per riuscire a fare qualcosa.

Chi era quello?

«Wow», commentò l’uomo, in piedi poggiato ad una panca «Dritta dritta al cervello, questa volta. Non ti è andata liscia».

Till si strinse nelle spalle ed avanzò verso l’altare zoppicando.

«Ma quindi», continuò l’uomo, lanciando ad Aaron occhiatine divertite «Non hai più intenzione di dirgli tutto?».

«Se vuoi farlo tu...», rispose Till.

«Zanuccio che penserebbe di te, ora? Non credi sarebbe arrabbiato?», lo provocò l’uomo, ma Till parve non sentirlo neanche.

«Cazzo, mi spiegate che sta succedendo?!», esclamò Aaron, portandosi le mani alla testa. Gli veniva da piangere, ma non aveva intenzione di lasciarsi andare «Che c’entra mio fratello? Perché Till è... è...».

Tacque, incapace di continuare.

«Oh, è una storia divertente», disse l’uomo, incrociando le mani dietro la schiena «Anche se raccontandotela io si perde la metà del divertimento – ossia la reazione di Till caro, ma a quanto pare ormai è andato...».

«Ti prego, arriva subito al punto!», esclamò Aaron, sul viso un’espressione disperata «Smettetela di prendermi in giro!».

«Uh, che impaziente. Allora senti un po’: Till e il tuo fratellino caro si conoscevano. Bene, molto bene».

«Questo l’avevo capito», mormorò Aaron, e l’uomo rise.

«Si conoscevano talmente bene che ad un certo punto si sono pure messi a fare i piccioncini! Roba da diabete, davvero».

Aaron sgranò gli occhi. Tentò di dire qualcosa, ma dalla bocca non gli uscì nemmeno una frase di senso compiuto.

«Solo che – poveri, poveri piccoli – ad un certo punto Zane si è ridotto male, tanto tanto male. E Till caro...».

«L’ho ucciso», concluse Till. Prese il bastone di legno poggiato sull’altare e si voltò «Purtroppo non c’era altro da fare».

Aaron si sentì svuotare. Scivolò in ginocchio, cercando con tutte le proprie forze di raccogliere le idee ed affrontarle, ma gli turbinavano in testa tanto violente da non riuscire a focalizzarle, ed era come se non ci fosse stato niente.

L’unica cosa che riuscì a fare fu scuotere la testa.

«Mi spiace averti mentito. Cioè, forse», disse Till avvicinandosi. Il suo tono di voce era tanto piatto e gelido che Aaron non riuscì più a trattenersi.

Si portò una mano alla bocca e singhiozzò.

«Che... che cosa ti è successo, Till? Perché ora fai così?».

Il ragazzo si strinse nelle spalle «Forse sono davvero ad uno stadio superiore di conoscenza, o forse la Corruzione mi ha mangiato il cervello» fissò il tizio pazzo e gli rivolse un sorrisetto cinico «Forse avrei dovuto scegliere qualcos’altro, ma mi sono divertito».

«Oh, pure io», rispose l’uomo, e Aaron rivolse lo sguardo verso di lui.

«Ma tu chi-», cercò di chiedergli per l’ennesima volta, ma si interruppe.

L’uomo vestiva ora un’armatura dai colori scuri ed aveva lunghi, lunghissimi capelli azzurri.

Aaron cominciò a scuotere la testa freneticamente. Cercò di risollevarsi, ma scivolò e cadde indietro.

«Te l’avevo detto che avresti fatto così», rise il Caos, e si passò la lingua sui denti affilati.

«Tu... tu non puoi esistere davvero», balbettò Aaron «La Trinità ti ha... cioè... Till, perché hai...».

Till si strinse nelle spalle.

«Non puoi capire, Aaron. E a dire il vero non lo capisco tanto nemmeno io, ora».

Lo raggiunse e gli porse una mano, rivolgendogli un sorriso malinconico che per un attimo gli ricordò il Till di prima.

Aaron accettò l’aiuto e si rialzò, senza riuscire ancora a smettere di piangere.

«Te l’avevo detto che non ci saremmo più potuti vedere», gli sussurrò Till, e si voltò verso il Caos «Quanto mi costerebbe chiederti di risparmiarlo? In fondo l’hai trascinato tu in questa storia».

«Te lo concedo», rise il Caos «Vedrò di accontentarmi».

Si avvicinò lentamente, e ad ogni passo Aaron si rendeva conto di stringere un po’ più forte le braccia di Till.

«Tranquillinooo, non ti faccio niente. Ma non darmi fastidio, o la nana di merda arriva prima e allora son cazzi».

Si chinò su di lui, sovrastandolo – ora doveva essere alto più di due metri – e gli prese il mento fra le dita.

«Cosa vuoi farmi?», singhiozzò Aaron, e con l’altra mano il Caos si sfilò l’elmo.

Aveva davvero occhi vuoti. Aaron ebbe come l’impressione che sarebbe riuscito ad infilarvi due dita per tutta la loro lunghezza senza riuscire a toccar niente.

Il Caos gli posò le labbra gelide sulla fronte, poi si ritrasse.

«Fatto. Ora perdonatemi se vi abbandono sul più bello – quanto adoooro gli addii strappalacrime, rido quasi più che alle mie battute – ma vorrei far dannare la nana ancora un pochetto, se permettete. Oh, e Aaron...!» gli sorrise e si portò l’indice all’altezza del naso «Ssh, acqua in bocca. Lo dico per te, se il trio di buffoni ti scopre... poi son cazzi amari».

Accennò un saluto con una mano e scomparve, ed in quel momento Aaron si sentì come liberato da un peso.

Volse lo sguardo verso Till e gli sfiorò la guancia sana con una mano.

«Non è giusto», sussurrò, e Till si strinse nelle spalle.

«L’ho pensato un sacco di volte. Vorrei potesse dispiacermi per te, ma in questo momento proprio non mi riesce».

«È così... improvviso, io non...» Aaron si passò una mano sulla faccia, cercando di fermare le lacrime, ma queste non obbedirono alla sua volontà «Che cosa hai fatto, Till?».

«Ricordi quella cosa che mi hai chiesto l’altro giorno? Se avessi potuto esprimere un desiderio, cos’avrei chiesto?».

Aaron annuì «Il potere del Caos».

«Esatto. Purtroppo pare che noi umani non siamo fatti per portare in noi il potere di una qualche creatura superiore senza pagare un prezzo. Però...» distese le labbra in un sorriso cinico, e Aaron si morse un labbro «... Però è entusiasmante».

«Ma perché tutto questo?!», esclamò Aaron allargando le braccia «Perché hai fatto tutto questo?!».

«Un “perché sì” immagino non valga come risposta, mh?».

«No».

«Beh, accontentati. Non hai visto ciò che ho visto io, non puoi capire. E, ad essere sincero, nemmeno io lo capisco più tanto bene».

«Till...», sussurrò Aaron, poi tacque.

Non aveva senso continuare, non c’era più niente da aggiungere.

Si sentiva tanto male da non riuscire quasi a respirare.

«Dimenticami», gli sussurrò Till, e dopo essere indietreggiato compì col bastone uno strano simbolo a mezz’aria.

Per un attimo Aaron non vide niente, e l’immagine successiva fu quella del bagno di casa sua.

Si fissò allo specchio, ritrovandosi più sporco di sangue di quel che credeva. Chiuse a chiave la porta, riempì la vasca d’acqua e nel frattempo si svestì, la mente tanto vuota da impedirgli anche di piangere.

Fu quando si fu immerso nell’acqua bollente che i pensieri tornarono tutti insieme e lo sovrastarono.

Raccolse le gambe al petto e ricominciò a piangere in silenzio.

 

Somewhere in time I will find you and haunt you again
Like the wind sweeps the earth
Somewhere in time when no virtues are left to defend
You've fallen deep

 

I was a liar in every debate
I drew the forces that fueled your hate
When the cold in my heart leaves, it comes to an end
Quietly now go to sleep

 

Al telegiornale trasmettevano immagini della facciata dell’Achre.

Una giornalista dai capelli scuri parlava animatamente, ma Aaron portava una cucchiaiata di cerali dopo l’altra alla bocca senza nemmeno sentirla.

Annet lo fissò quasi preoccupata.

«Ehi, che hai?», gli chiese, cercando di buttarla sul ridere «Ti ha mollato la ragazza?».

«Non è il momento, Annet», borbottò lui, fissando il latte con aria mogia.

«Fidati di me, ne troverai migliaia molto meglio. Ma dove hai sbattuto la testa? Lo sai che alle donne i maschi goffi non piacciono, vero?»

«Sbattuto la testa?», ripeté Aaron, e Annet annuì.

«Hai un livido, lì in mezzo alla fronte. Che hai fatto ieri sera, bevuto come una spugna? Si spiegherebbe la faccia che hai oggi, in effetti».

Aaron si alzò e raggiunse il bagno per specchiarsi. Sua sorella aveva ragione, aveva una macchietta violacea sulla fronte di non più di due o tre centimetri di diametro.

Istintivamente abbassò lo sguardo sul ginocchio destro.

Qualcosa, dentro di lui, gli diceva che non sarebbe finito tutto lì.

 

Somewhere in time I will find you and love you again
Like the wind sweeps the earth
Somewhere in time when no virtues are left to defend
You've fallen deep

I was a liar in every debate
I rule the forces that fueled your hate
When the cold in my heart leaves, it comes to an end
Quietly I'll go to sleep

 

[Kamelot, “The Haunting (Somewhere in Time)”]

 

 

 

 

   
 
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