Mi tornarono alla mente un Andrea
e un Mario a litigare per la minima sciocchezza, una piccola Valentina
e una Lisa
con giochi da piccole dame, un Pietro più giovane ma
dall’aspetto non certo più
delicato e una Anna quasi identica alla figlia: immagini sbiadite
dell’ultimo
nostro incontro. Era passato molto tempo dell’ultima visita
dei de’Liberi, ed
io non ero che un fanciullo allora. Un fanciullo che le prendeva di
santa
ragione dal proprio fratello e dal suo amico. Quante volte avevamo
fatto a
botte, e quante volte Andrea aveva prevalso lasciandoci rotti e
contusi, ma noi
ci divertivamo così, nonostante i rimproveri di Lisa.
D’altro canto gli adulti
non si preoccupavano minimamente di interrompere i nostri giochi
violenti a
meno che non li ritenessero troppo pericolosi- la soglia del troppo
pericoloso
chiaramente non comprendeva nulla che fosse lividi, graffi o cadute da
qualche
albero. Come addestrare inconsapevolmente un assassino fin dalla tenera
età…
Tornato nel salone scoprii che il
caminetto era di nuovo acceso. Mario era seduto su uno dei divanetti,
chino a
leggere un libro in pergamena. Sembrò non accorgersi del
cigolio della porta, e
io mi avvicinai silenzioso come un felino nel buio della camera. Diedi
un’occhiata migliore al volume che mio fratello teneva tra le
mani, sempre a
debita distanza. Non mi sembrava che ci fosse nulla di simile nella
nostra
biblioteca. Chiaramente doveva essere molto vecchio, certo
più di me. «Che
leggi?» Feci io, mentre Mario sobbalzava per la sorpresa e si
affrettava a
nascondere ogni cosa con aria colpevole, negando la mia affermazione
ripetutamente. Io insistetti, sporgendomi per intravedere almeno la
copertina
del libro, che però lui aveva celato con un lembo del
mantello. «Non è roba da
mocciosi» Biascicò
lui respingendomi
deciso. Sorrisi, malizioso. Se non era per bambini e lo stava leggendo
da solo
nel cuore della notte, un motivo doveva pur esserci.
«Fratellone, fratellone,
non si leggono libri sconci! Soprattutto pensando alla nostra
ospite» Lo
schernii e lo spintonai leggermente, ma lui mi restituì il
colpo con gli
interessi, facendomi indietreggiare: «Piantala,
idiota… è un libro che mi ha
dato Pietro e non intendo mostrarlo né a te, né a
nessun altro». Tombola! Ecco
il segreto della scatola. Un vecchio manoscritto? No, qualcosa di
così prezioso
da non poter essere condiviso nemmeno con il proprio fratello. Nemmeno
con il
migliore amico e il più grande complice di una vita. Non era
da Mario tenermi
un segreto, nient’affatto. Continuai ad insistere ancora per
un po’, da parassita
qual ero, piagnucolando e supplicandolo perché mi leggesse
almeno una frase, il
titolo, che mi mostrasse un disegno, qualsiasi cosa. Ripresi anche a
provocarlo
e ad alludere, ma uno schiaffo mi tappò la bocca
all’istante. Avevo esagerato,
ed era ora di cambiare aria. Tornare nella mia stanza al momento era
ciò che
più desideravo al mondo e non mi feci ripetere due volte di
filar via.
La mattina dopo mi alzai di
buon'ora con l’intenzione di indagare sul manoscritto, ma
scoprii che qualcuno
era stato più mattiniero di me. Nel cortile della villa,
svegli e pimpanti,
trovai mio padre e Pietro che tiravano di scherma, assieme ad Andrea,
Valentina
e Mario che facevano da spettatori. Nulla poteva sorprendermi di
più,
soprattutto per la bravura dei due combattenti. Erano agili, scattanti,
aggraziati, Pietro in particolar modo. Nonostante la sua stazza aveva
una
sveltezza invidiabile da chiunque, e dava parecchio filo da torcere al
suo
avversario. Anche mio padre, però, sembrava darsi da fare,
parando, schivando e
colpendo con maestria. «Quanta ruggine, Vincenzo! Quando ti
decidi a passare il
testimone a chi è più degno di te?» Lo
derideva Pietro, accorgendosi che stava
già iniziando a crollare. «Non sono vecchio
abbastanza per ritirarmi» Replicava
lui, troppo orgoglioso per cedere, deciso a mostrargli di cosa era
capace. Ma
era chiaro, Pietro era esperto nell’uso della spada, ed aveva
l’aria di chi si
allena ogni giorno, al contrario di mio padre che, a quanto ne sapevo,
aveva
lasciato la lama nel fodero per molto tempo. Nel giro di qualche
stoccata e
fendente avevamo già un vincitore. E non era un Auditore.
«Forza, Mario, mostrateci che
sapete fare!» Incitò Valentina sogghignando mentre
il viso di mio fratello
cambiava drasticamente colore. Chiaramente non si aspettava una simile
richiesta, specialmente da lei, ma non si lasciò pregare.
Scattò in piedi e
raggiunse Pietro, scambiandosi di posto con nostro padre per iniziare
il
combattimento. Non sembrava affatto a suo agio, era agitato, sia per il
fatto
di dover fronteggiare de’Liberi, sia perché era
consapevole di avere addosso
gli occhi di Valentina. Le donne, le donne e i loro sortilegi!
Sarebbero capaci
di rendere pazzo il più saggio degli uomini.
«Avanti, Mario! Sii audace
nell’assalto, non mostrarti vecchio
nell’animo. Che non ci sia timore nella tua mente,
sta’ in guardia: puoi
farcela!» Lo incitò Pietro, sorridendo.
«Mancherebbe tutto, se nel cuore non
ci fosse l’audacia» Recitò
Mario,
anche lui con un sorriso, scandendo le parole come avesse recitato una
poesia. Non
capivo per quale motivo si fossero messi a parlare in modo tanto
teatrale, così
strano. Mi pareva di essere l’unico a non intuirne il senso.
«Oh, bene! Vedo
che impari in fretta» Si complimentò Pietro dopo
una risata. Mi stavano
nascondendo qualcosa, che forse stavo iniziando a capire.
«Ancora non sono in
grado di mettere in pratica» Spiegò Mario,
visibilmente in imbarazzo. Pietro
appoggiò la propria spada accanto al muro della villa, e
fece cenno a mio
fratello di avanzare, disarmato: «Ora vedremo, giovane
Auditore, se davvero sei
degno del nome che porti!». In quel momento ebbi il forte
presentimento che
sarebbe servito un cerusico al più presto.
Mario esitò un istante, ma avanzò
e si mise in guardia, le gambe piegate, le mani con i palmi aperti e
puntati
verso l’avversario, le braccia vicine al corpo ma pronte a
scattare in avanti,
gli occhi ben fissi sulle spalle dell’avversario. Anche
Pietro aveva assunto la
posizione di combattimento, questa volta con il braccio sinistro
proteso in avanti
e il destro dietro la schiena, come a voler nascondere le sue
intenzioni. Invitò
Mario ad attaccare, che però ancora titubava. Sapeva che non
sarebbe stato
facile contro quel bestione, era il doppio di lui. Con tutta la buona
volontà,
atterrarlo non sarebbe stata una passeggiata. Provò a
spostarsi, ma Pietro
indietreggiò nella stessa direzione. Si giravano attorno, si
studiavano. Nessuno
avanzava, nessuno osava, nessuno rischiava. Andrea sembrava annoiarsi
terribilmente. Pietro si decise a sbloccare quella situazione
insostenibilmente
statica. Si avvicinò a Mario, facendo scattare un pugno in
avanti, ma lui
scartò di lato e contrattaccò cercando di
sferrare un colpo al viso. De’Liberi però
e immobilizzò il braccio dell’avversario, mentre
con l’altra mano andava a
spingere sul suo petto per atterrarlo. Di nuovo un assalto non
andò a segno, i
due si sciolsero dalle prese in cui si erano incatenati l’un
l’altro. Mario
sembrò farsi coraggio e si gettò ancora su
Pietro, un pugno dritto al mento.
L’avversario lo intercettò prima che
l’assalto fosse compiuto e ne approfittò
afferrando il polso e costringendolo a piegarsi. Bastò un
semplice sgambetto
per fargli mancare la terra sotto i piedi e farlo finire lungo disteso
sulla
schiena.
Valentina si trattenne dal ridere,
e così anche suo fratello. Credevo che Mario fosse in grado
di menar le mani,
ma non c’era paragone con Pietro, nel modo più
assoluto. Non osavo immaginare
che figura avrei fatto al suo posto e pregai di non essere chiamato
anche io.
Le scaramucce con certi ragazzacci di Firenze non erano sufficienti
come preparazione
ad affrontare un simile avversario. «Ne avrete di che
allenarvi, se questo è
tutto ciò che sapete fare» Osservò
Andrea, schietto. Aveva ragione, non eravamo
particolarmente brillanti nel combattimento, ma in fondo non avevamo
imparato
da nessuno. Io e mio fratello eravamo stati i maestri l’uno
dell’altro, la
nostra esperienza era data solo dalle liti tra noi e con altri. Non
dubitavo
che invece Pietro avesse avuto un buon maestro, e a giudicare dal suo
fisico lo
stesso si poteva dire del figlio. Non era gente che faceva a
scazzottate una
volta ogni tanto. «Non ho certo insegnato loro a combattere a
nove anni» Cercò
di giustificarci nostro padre, con l’aria colpevole di chi
non ha assolto al
proprio dovere come si conviene.
Andrea pareva contrariato. Da ciò
che avevo appreso la sera prima durante la conversazione con lui,
Pietro lo
aveva indirizzato agli studi da notaio ma al tempo stesso aveva preteso
che fin
da piccolo fosse in grado di maneggiare una spada, facendo di lui
un’insolita
accozzaglia di sapienza borghese, linguaggio da viaggiatore e
abilità militari
nobiliari: un uomo dalle molte qualità. Ciò di
cui sembrava andare più fiero erano
le sue doti di guerriero, nonostante gli avessero causato qualche
guaio. La
cicatrice, infatti, era il risultato di un duello che aveva ingaggiato,
ora non
ricordo bene per quale affronto subito. Ci aveva quasi rimesso
l’occhio ma pare
che l’altro contendente non fosse vissuto tanto a lungo da
raccontarlo.
Incredibile quanto sembrasse più aristocratico lui di tutta
la mia famiglia
messa assieme, nonostante non fosse di sangue nobile, così
attaccato all’onore
e simili stupidaggini. In compenso sapeva essere anche più
alla mano, quando
voleva, e a seconda dell’occasione diventava il
più serio e altezzoso dei duchi
o il più divertente compagno da osteria. Devo ammetterlo, un
personaggio
ambiguo sul serio. Mi chiedevo quale fosse il suo vero
carattere…
Perso nei miei pensieri, non
arrivai ad accorgermi subito che qualcun altro si era unito a noi. Un
uomo a
cavallo era arrivato al galoppo alla scalinata della villa, era sceso e
aveva
percorso in fretta le gradinate, porgendo una lettera a mio padre. Era
una
busta chiusa e sigillata con la ceralacca. Il messaggero si
raccomandò che
fosse solo Vincenzo ad aprirla, ed era da parte di un certo Bertrando
Vadi.
Nome non nuovo, ma nemmeno così noto. Possibile che si
facessero vive così
tante vecchie conoscenze tutte in una volta?
[***L’angolo di Elkade***
Ehm… sì, prova, ok… Ciao a tutti e buona notte! Ehm no, va bene, chiedo scusa ^^” prima volta che scrivo qualcosa ai miei lettori, abbiate pietà di me…
Bene bene, grazie a tutti coloro che hanno letto il primo capitolo, in particolar modo comix che mi ha ordinato di continuare questo assurdo progetto, Elika95 con i suoi preziosissimi aiuti (l’ho fatta impazzire, chiedo venia XD), Darkness666 per avermi fatto da cavia come sempre e renault per aver messo tra i preferiti questa umile fic.
Qualche piccola nota è doverosa, anche se non spiegherò tutto direttamente in questo capitolo. Primo: NO, non sono diventata Fantozzi (vedi “Vadi”, che questo cavolo di pc continua a correggermi in “vada”). Secondo: la maggior parte dei personaggi usati per questa fanfiction è di mia invenzione, tranne chiaramente quelli citati in Assassin’s Creed II. Si sono intravisti, però, due cognomi che a fanatici medievali come me possono suonare familiari, ossia de’Liberi e Vadi- sono assolutamente certa che in questo momento i poveri Fiore e Filippo si staranno rivoltando nella tomba… chiedo venia. Ho voluto creare un collegamento con questi due personaggi (di cui parlerò meglio in seguito) con uno tramite discendenti e con l’altro per predecessori, ma non avendo notizie sui loro nomi, sulla loro provenienza e sulle date di nascita ho dovuto ideare le loro famiglie di sana pianta: per questo motivo ci ritroviamo con Pietro, Andrea e Valentina da una parte -nipote e pronipoti di Fiore de’Liberi- e Betrando dall’altra -nonno di Filippo Vadi. Per chi fosse interessato, su wikipedia si possono trovare articoli su di loro, ma io consiglio di leggerli tra qualche capitolo, anche perché ve li farò conoscere sotto una luce particolare, e non esattamente fedele alla realtà. Spero di riuscire a continuare questa fanfiction, ho visto che ha riscosso abbastanza successo ma purtroppo sono piena di impegni… sigh… aiuto…
Grazie
ancora a tutti quanti!]